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Autore: lady lina 77    19/03/2024    1 recensioni
Una AU con protagonisti i personaggi di Poldark creati dal meraviglioso W. Graham.
Siamo in Germania, negli anni neri del nazismo, nell'affascinante Annaberg-Buchholz, in Sassonia, fra boschi, miniere, case a graticcio e antiche tradizioni. Ross Poldark è un giovane tenebroso, volenteroso, proprietario di alcune miniere lasciate in eredità dal padre. Non è ricco ma ha tanta voglia di fare, da lavoro a molte persone che lo aiutano e rispettano ma questo non può bastare: è ebreo, anche se non praticante. E nella Germania di quegli anni questo potrebbe non essergli perdonato.
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Demelza Carne, Dwight Enys, Elizabeth Chynoweth, George Warleggan, Ross Poldark
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Ross, nel silenzio della stanza intervallato unicamente dal rumore del placido respiro di Demelza accanto a lui, si sentiva incredulo per quanto appena successo. Demelza, la bambina selvaggia e sporca raccolta dalla strada anni prima per senso di pietà e giustizia, si era trasformata in una giovane donna affascinante, appassionata e capace di attrarlo come una calamita. Ciò che c'era appena stato fra loro era stata pura elettricità, senza inibizioni, reticenze, paure. Lei si era donata a lui, gli aveva donato la sua verginità senza remore, con naturalezza. E si era dimostrata una amante passionale, forse inesperta ma capace di portarlo a un genere di estasi che mai aveva provato. Era come se il corpo di quella ragazzina fosse stato creato apposta per fondersi perfettamente con il suo ed ora si sentiva frastornato, incapace di comprendere i suoi sentimenti e decidere il da farsi. Questa Demelza sensuale e appassionata conosciuta nell'intimità come avrebbe potuto conciliarsi con la ragazza solare, amante del cinema e degli attori, con cui aveva condiviso la vita negli ultimi anni?
Si voltò verso di lei e la trovò stranamente silenziosa, col viso rivolto verso il soffitto di legno. Si erano cacciati in grossi guai, LEI soprattutto. Ciò che c'era stato e che ci sarebbe stato fra loro in futuro, per la sua sicurezza, sarebbe dovuto rimanere un segreto. Il partito nazista vietava ogni rapporto fra ariani ed ebrei e di certo una giovane tedesca che si donava a 'un impuro' avrebbe potuto andare incontro a conseguenze pericolose.
Demelza era bella, affascinante, con un corpo fresco e perfetto. Avrebbe dovuto uscire con un ragazzo della gioventù hitleriana, donarsi a lui, fare figli con lui in nome di Hitler e del partito ed invece aveva fatto una scelta diversa, coraggiosa e irrevocabile. Le aveva detto che non la amava ma questo non l'aveva fatta arretrare. Certo, le voleva bene e le era affezionato ed ora si sentiva pure inebriato per quanto accaduto ma questo bastava per metterla in pericolo lanciandosi in quella relazione tanto folle?
"Demelza, a cosa stai pensando?" - chiese infine, stanco di quel silenzio.
Lei voltò il viso. "A nulla di particolare, mi sento la mente... vuota...".
L'uomo sospirò, in preda agli stessi mille dubbi che l'avevano frenato nelle settimane precedenti. "Non avrebbe dovuto succedere".
"Perché?".
Lui strinse i pugni. "Lo sai bene, ci sono mille ottimi motivi!".
La ragazza sospirò. "Ma è successo lo stesso e questo non può essere cambiato. Lo volevamo, no?".
"Per i motivi sbagliati!".
Demelza parve ferita da quelle parole e rimase in silenzio. Lui se ne accorse e si sedette sul letto, fronteggiandola. "Prima che accadesse, sono stato chiaro, no? Ero attratto da te, lo sono ancora e se dipendesse da me ti prenderei di nuovo anche subito. Ma l'amore... l'amore è altro, dovrebbe includere altro... Meriti di meglio di me, meriti di meglio di qualcuno che non sa più amare e che potrebbe mettere a rischio la tua vita".
Anche Demelza si mise a sedere, coprendosi il petto nudo col lenzuolo. "Il meglio che mi sia capitato da quando sono nata, è stato oggi. E voi siete stato la persona che più mi ha avuta a cuore da quando sono nata. A parte mia madre, forse... Non sono pentita e non mi sento sbagliata. So cosa mi avete detto prima, so che non posso essere neppure lontanamente la donna dei vostri sogni e so bene cosa sto rischiando ma non mi importa. Io sto bene, BENE. Ed è stato bello quanto successo, io nemmeno immaginavo che ci si potesse sentire così. E se mi volete prendere ancora, anche adesso, io sono pronta. Sarò sempre pronta per voi. Preferisco rischiare ma essere felice che vivere come nelle ultime settimane dove sembravate non sopportare più la mia presenza".
Quelle parole lo fecero sentire in colpa. "Mi dispiace, cercavo solo un modo per proteggerti da me. Ma l'ho fatto nel modo sbagliato... Mi è mancato non parlarti, non avere a che fare con te, scherzare con te...".
"Anche a me"- rispose lei, prendendogli la mano. "Potete riavermi anche subito, dico sul serio. Ogni volta che volete sarò pronta per voi. Ma non dite che non è giusto che succeda perché io la vedo diversamente. C'è così poco di cui gioire in questo mondo, in questi anni, perché privarci di un momento di piacere e pace?".
Era un invito eccitante, se non si fosse sentito così responsabile per lei, l'avrebbe spinta sul materasso e l'avrebbe posseduta subito ancora e ancora. Ma Demelza era giovane, aveva appena conosciuto intimamente il corpo di un uomo e non era nemmeno certo che stesse bene. "Non dovresti parlare in modo tanto spudorato, una ragazzina per bene non parlerebbe così".
"Io sono abituata a dire ciò che penso, sempre".
Ross sorrise, suo malgrado. "Sì, me ne sono accorto. Ma prima di fare qualsiasi cosa, devo parlarti Demelza, e devi stare a sentirmi".
"Quali cose?".
Alzò la mano ad accarezzarle la guancia. "Puoi darmi del tu quando siamo da soli, soprattutto a letto. E' piuttosto assurdo che tu dia del lei a un uomo con cui fai l'amore".
Lei spalancò gli occhi. "Ma... ma... signore!".
"Chiamami Ross, è più semplice. Siamo quì, nudi, abbiamo appena fatto l'amore e siamo perfettamente sullo stesso livello, solo un uomo e una donna".
Demelza sorrise anche se non era certa di riuscirci. "Va bene, ci proverò".
"Seconda cosa: la nostra intimità deve rimanere segreta! Se qualche nazista zelante ne venisse a conoscenza e lo dicesse a chi di dovere, potresti essere perseguitata. Sei ariana, nessuno si aspetta o sospetta che tu venga a letto con un ebreo. Può essere pericoloso e basto già io a rischiare la vita, non è necessario che la rischi anche tu".
La ragazza si morse il labbro. "Nemmeno a Dwight e Caroline?".
Lui scosse la testa. "Mi fido di loro, so che sarebbero contenti per noi. Ma sapere e tacere la cosa, diventare parte di questo segreto, metterebbe a rischio pure loro. Caroline aspetta un bambino, Dwight è un dottore da cui dipendono tante vite quì. Devono vivere al sicuro".
Demelza ci pensò su e giunse alla conclusione che lui avesse ragione. "Va bene".
Ross sorrise. "Ultima cosa: stai bene? Hai male da qualche parte?".
Lei si accigliò, poi sorrise dolcemente. "Ho avuto un pò di male all'inizio, quando voi...". Si bloccò, arrossendo mentre ripensava a Ross che entrava dentro di lei. Ma poi riprese coraggio e capì che doveva rassicurarlo. "E' durato pochi istanti, poi mi è piaciuto subito. Sto bene, non ho male da nessuna parte". Non mentiva. Non aveva dolore e l'unica cosa che ricordava era la sensazione di stare fra le sue braccia, coi loro corpi fusi che si muovevano all'unisono in una sorta di danza dell'amore.
Ross la osservò, era bellissima con quei lunghi capelli rossi che le ricadevano sulle spalle nude. Anche se celata dal lenzuolo, poteva scorgere sotto di essere quel corpo e quelle curve che lo avevano fatto sentire in paradiso fino a poco prima. "Ti voglio, ancora! Adesso".
Lei annuì. "Anche io, signor... Ross".
Lui la baciò sulle labbra, avidamente. Poi raggiunse il suo collo, il petto. Crollarono sul materasso, si stese su di lei ed entrambi scivolarono gradualmente, di nuovo, verso l'estasi.
Ross comprese che non c'era nulla da fare, non poteva opporsi a quella forza che lo attraeva senza possibilità di sottrarsi. Quella ragazza lo aveva stregato...

...

Erano passate sei settimane dalla notte che per Ross e Demelza aveva segnato l’inizio di qualcosa di nuovo, inizialmente indecifrabile ma col tempo sempre più intenso.
Ross era felice, condizione strana per una persona solitamente cupa e poco propensa all’ottimismo come lui. Non sapeva se fosse solo per Demelza, per quelle notti di passione che condividevano o per il fatto di sentirsi meno solo in quel mondo che stava diventando sempre più folle e oscuro, però era così. Era felice e tutto pareva meno difficile da affrontare, anche la sua condizione di ebreo nella Germania sempre più nazista. Forse Demelza aveva ragione, lasciare la politica e il nazismo fuori dalla porta di casa non era poi una così cattiva idea…
Demelza, dal canto suo, rimaneva una creatura indecifrabile ai suoi occhi ma lo affascinava sempre di più. La vivace ragazzina, instancabile lavoratrice, entusiasta della vita e amante di cinema e attori, sempre sorridente e dotata di un notevole spirito di osservazione nonché di una maturità sorprendente per la sua giovane età, era cresciuta e diventata donna davanti ai suoi occhi. Bella, seducente, disinibita, passionale, riusciva a confonderlo e a farlo sentire in paradiso quando erano insieme. Apparentemente lei non era cambiata, il suo modo di fare non era mutato dopo le loro prime esperienze intime insieme e rimaneva la stessa fresca, giovane ragazza entusiasta della vita, un’ottima conversatrice ma anche una silenziosa ascoltatrice quando si fermavano a parlare di tutto o niente di importante davanti al fuoco del camino. La passione fra loro, unita a una conoscenza reciproca che si era consolidata in un rapporto costruito negli anni aveva prodotto un qualcosa di profondo, molto più di quanto lui avrebbe potuto immaginare. E se nei primi giorni ad unirli era il puro bisogno fisico, man mano si trovava sempre più spesso a chiedersi cosa fossero diventati ‘insieme’. Perché la passione, man mano che passavano i giorni, si stava mischiando sempre più alla tenerezza e a un rapporto che stava diventando ‘altro’ anche se ancora lui non sapeva definirne la natura. Eppure era stato chiaro dall’inizio, con lei e con se stesso: non era più capace di amare e non aveva voglia né di farlo né di soffrire di nuovo. Ma cominciava a capire che mente e cuore spesso non andavano d’accordo e ognuno prendeva la sua strada senza che lui potesse farci niente.
L’estate era nel pieno del suo splendore e quel pomeriggio aveva lasciato la miniera piuttosto presto per andare ad acquistare dei libri contabili per le sue attività.
Era andato nella piazza di Annaberg-Buchholz di malavoglia, lo faceva sempre meno da quando il partito nazista aveva preso piede e ad ogni angolo delle strade si notavano bandiere con la svastica, ma non poteva farne a meno. Il caro Hitler odiava gli ebrei ma sembrava gradire particolarmente le esose tasse che questi pagavano allo Stato e non aveva voglia di avere più grande di quante ne desse la sua condizione di ebreo diventando anche evasore.
Dopo aver preso dei libri contabili nuovi dal cartolaio, ignorato da chi lo incrociava, lo conosceva da una vita ma non voleva averci a che fare, a passo spedito si avviò verso il viottolo che dalla piazza portava alla periferia e di lì alla campagna e al sentiero di montagna che lo avrebbe condotto a casa.
Stava diventando un lupo solitario – non che fosse mai stato il re delle feste nemmeno prima - ma ultimamente gli pesava ancora di più frequentare quel paese dove un tempo si recava con piacere per bere una birra o mangiare qualche salsiccia con i suoi minatori. Ma i tempi erano cambiati, la gente era cambiata e non era facile per un ebreo essere in mezzo a persone che conosceva da sempre che per paura o avversione ora lo trattavano con disprezzo e supponenza e lui era consapevole di non essere propriamente bravissimo ad ignorare eventuali provocazioni. Per questo era ormai solo Demelza a scendere in paese per fare compere e lui si limitava a passare le giornate fra miniera e casa.
Stava per lasciare la piazza quando improvvisamente e assolutamente a sorpresa, si trovò davanti Elizabeth. La donna, vestita con un elegante abito verde e con i capelli raccolti sotto a un elegante cappellino di peltro, spingeva la carrozzina che ospitava il bambino nato a febbraio di quell’anno dall’unione con George Warleggan.
Ross impallidì quando vi si trovò faccia a faccia, lei impallidì ancora di più. Erano mesi, forse un anno, che non si vedevano e Ross si era sforzato di dimenticarla e non pensare più a lei. Elizabeth era ormai parte del suo passato e aveva reso ben chiari quali fossero ormai i suoi orizzonti e le sue priorità. E lui non ne faceva parte!
Era bella come sempre, la gravidanza sembrava non aver lasciato alcun segno sul suo fisico snello e appariva aggraziata e aristocratica più che mai.
Elizabeth si guardò attorno preoccupata prima di tornare a fissarlo con aria grave. “Ross… E’ molto che…”.
Lui si accorse del suo disagio e della paura di essere notata mentre parlava con un ebreo. Aveva sposato il nazista più nazista del paese, ne aveva abbracciato le idee – per forza o forse per piacere, temeva – e ora doveva essere ben difficile trovarsi in quella situazione. “E’ molto, sì. Ma suppongo di non esserti mancato”.
La donna osservò il bambino di sei mesi che sgambettava nella carrozzina. Aveva i suoi stessi capelli neri ma gli occhi erano piccoli e ravvicinati come quelli del padre e parevano esprimere una freddezza inconsueta per la sua età. “Beh, ho avuto molto da fare, sì”.
Ross annuì, fissò brevemente il bambino e poi ancora lei. “E’ grazioso. Come si chiama?”.
Elizabeth rispose con un sorriso di circostanza. “Valentine perché è nato il 14 febbraio. Non sei obbligato ad essere gentile con me e a chiedermi di mio figlio, comunque”.
Lui la fissò, serio. “Non me la prendo con un bambino a causa delle sue parentele ma hai ragione, non siamo obbligati ad essere cordiali e a parlarci” – le rispose, a tono, deciso a non farsi sopraffare dai ricordi e dai sogni che aveva cullato per lei. Elizabeth si stava dimostrando molto diversa da come aveva creduto.
Quasi fosse stata punta sul vivo, consapevole di non essere più il centro dell’adulazione dell’uomo che aveva davanti e irritata per questo, lei arrossì nervosamente. “Comprendo che tu possa pensar male di me e ne hai motivo, ma cerca di capire, sono tempi difficili per tutti e dobbiamo fare delle scelte…”.
Lui sorrise, sarcastico. “Oh, lo so bene che sono tempi difficili, non c’è bisogno che tu venga a spiegarlo a un ebreo”.
Elizabeth tentò un approccio più dolce, avvertendo sarcasmo e disprezzo in lui. Amava essere adulata e anche se ora era la signora Warleggan e Ross rimaneva un ebreo e per questo per legge gli era inferiore, desiderava sentirsi ancora al centro della vita di quell’uomo tanto virile. “Mi dispiace per la tua condizione, davvero”.
Lui la fissò, non credendo a mezza parola. No, a lei non dispiaceva, lei era stata la prima a voltargli le spalle dopo l’emanazione delle leggi razziali. Aveva scelto, aveva fatto in fretta a farlo e aveva intrapreso la strada più comoda e sicura senza preoccuparsi delle macerie che lasciava attorno a se. Ci aveva messo molto a comprendere la natura di quella donna su cui un tempo aveva posato gli occhi ma alla fine aveva dovuto arrendersi al fatto che lei fosse così. Non cattiva ma sicuramente accentrata più su se stessa e la sua tranquillità che agli altri. “Dubito tu ci perda il sonno”.
Dico davvero!”.
Ross sorrise ancora, sarcastico. “E allora perché ti guardi attorno con paura, come se temessi che qualcuno ti veda parlare con me?”.
Lei scosse la testa, esasperata. “Te l’ho detto, sono tempi difficili e noi non dovremmo…”.
Ross scosse la testa, strinse a se i registri appena acquistati e poi la fronteggiò prima di andarsene. “Sono tempi difficili, sì. Eppure accanto a me ho persone che non mi hanno voltato le spalle e hanno continuato ad essermi amiche. Senza di loro sarei completamente solo al mondo. Loro mi danno speranza che in questa Germania tanto folle e crudele ci sia ancora posto per l’umanità e ci siano le basi per ricostruire tutto un po’ meglio di come è ora”. Demelza, Dwight, Caroline, i suoi minatori… Per loro lui continuava ad essere un amico, un affetto, come un fratello. Per loro lui era una persona, non un ebreo di cui vergognarsi se lo si incrociava per strada. Erano tempi difficili e pericolosi anche per quelle persone ma a differenza di Elizabeth avevano fatto altri tipi di scelte che li avevano mantenuti umani e non macchine comandate da un folle coi baffetti.
Non tutti siamo coraggiosi, Ross” – mormorò lei.
Lui scosse la testa. “Ma tutti dovremmo sforzarci di rimanere perlomeno umani”. E detto questo se ne andò senza salutarla o darle modo di rispondere, felice di lasciarsela alle spalle. C’era stato un tempo in cui sognava di incontrarla ad ogni angolo di strada mentre ora, mentre parlava con lei, non sentiva che la necessità di andarsene verso chi lo attendeva a casa con un sorriso e affetto. Quella bella ragazza non era mai stata adatta a lui e forse doveva ringraziare il nazismo per averglielo fatto capire. Non era rancoroso, Elizabeth seguiva semplicemente la sua natura volubile e delicata. Ed era questo il problema: in comune non avevano mai avuto nulla e si sarebbero resi infelici a vicenda.
Riprese la sua strada verso casa sentendosi leggero, come se quell’incontro avesse spezzato l’ultimo velo che ancora non aveva scoperto ai suoi occhi la vacuità che lo aveva legato un tempo alla figura di Elizabeth. Si sentì libero, incredibilmente sereno, come se quell’incontro fosse l’ultimo tassello mancante per consentirgli di andare finalmente avanti con la sua vita.
Quando arrivò a Nampara, circondata dagli alberi del bosco al pieno del loro splendore estivo, trovò Garrick che dormiva nel portico perfettamente rassettato. Demelza aveva spazzato tutto, sistemato le piante e i fiori e non c’era nulla fuori posto.
Dalla finestra aperta che dava sulla cucina usciva un invitante profumo di stufato di carne e patate che gli risvegliò l’appetito. Si sentì a casa, felice di esserlo e in pace col mondo.
Quando entrò, trovò Demelza seduta al tavolo davanti ai fornelli, intenta ad osservare delle stampe tutte sparse davanti a lei. Indossava la divisa della gioventù hitleriana, quella sera ci sarebbe stata una proiezione nel cinematografo del paese e lei era costretta a parteciparvi. Le sorrise. “Che stai facendo?”.
Anche Demelza sorrise, serena. “Mi sono portata avanti, odio fare le cose di fretta. Ho messo a cuocere la cena anche se è ancora presto e ho già indossato questi dannati vestiti. Mi chiedo che diavolo avrà da dirci Goebbels di tanto importante… Con tutti i bei film che potrebbero trasmettere al cinematografo, è davvero un delitto che venga occupato da lui”.
Ross si sedette accanto a lei, poggiando sul tavolo, accanto alle stampe, i nuovi registri contabili. Le accarezzò le trecce, scompigliandole i capelli con fare affettuoso e scherzoso. “Dovrà rendervi edotti di quante volte ieri Hitler sia andato a fare pipì”.
Demelza scoppiò a ridere, divertita. “Già, suppongo che potrebbe trovare la notizia di estremo interesse per la popolazione. Resta il fatto che però morirò di noia”.
Fingi di ascoltare e pensa ad altro, io facevo così a scuola”.
La ragazza rise ancora. “Buona idea!”.
Ross tornò ad osservare le stampe che Demelza stava spargendo sul tavolo. Non che ne capisse molto ma sembrava roba attinente a cinema, attori eccetera, tutte faccende a lui totalmente sconosciute. “Cos’è questa roba?”.
Fiera di se stessa, felice che glielo avesse chiesto, Demelza si alzò dalla sedia indicandogli le stampe una ad una. “Le ho comprate ieri dal cartolaio. So che non dovrei spendere denaro per queste cose ma non ho resistito”.
Lui osservò le foto. “Sono soldi tuoi che ti guadagni con fatica, sei libera di farci ciò che vuoi”.
Mio padre non sarebbe d’accordo!”.
Tuo padre non è qui e comunque gli verso già parte del tuo stipendio, mensilmente. Il resto del denaro è tuo. Chi sarebbero questi divi?” – chiese poi, cambiando discorso.
Demelza prese una stampa raffigurante un uomo e una donna. “Questa l’ho presa per Caroline, sono Clarke Gable e Vivien Leigh, i protagonisti del film che aspetta tanto, Via col vento. E’ follemente innamorata di Gable, quasi quanto di Dwight”.
Ross rise. “Oh, il famoso rivale…”. Osservò altre stampe, alcune di Chaplin, grande passione di Demelza. Era il suo, di rivale? Poi lo sguardo gli cadde su una donna affascinante, dai capelli chiari. Lei era davvero interessante… “Lei, chi sarebbe?”.
Demelza spalancò gli occhi, stupita. “Oh Ross, davvero non sai chi è?”.
Lui la guardò storto. “Ti ricordo la mia avversione per queste diavolerie moderne…”.
Demelza sospirò “Già, dimenticavo che sei fermo all’ottocento… E’ una attrice tedesca, si chiama Marlene Dietrich. E’ quella de ‘L’angelo azzurro’, non ne hai mai sentito parlare? Un film così famoso…”.
Ross si rese conto di avere uno sguardo ebete e di essere effettivamente fuori dal mondo. Forse troppo… “Ehm…no!”.
Demelza sospirò di nuovo. “E’ tedesca, pare che Hitler ne sia innamorato e le abbia scritto numerose lettere con offerte amorose a cui lei non ha risposto”.
Ross sorrise, sempre più interessante questa Marlene che mandava in bianco il tanto osannato Furher. Allora era vero, ce n’erano tante di donne che avevano avuto il coraggio di scegliere, dire no e vivere rimanendo fedeli a loro stesse. Elisabeth diventava una figura sempre più piccolina… “Oh, questo le farà guadagnare un posto in qualche campo di lavoro” – commentò, sarcastico.
No, non credo. Si è trasferita negli Stati Uniti e dubito voglia tornare qui. Si dice che sia totalmente contraria all’ideologia nazista”.
Ross prese la foto della donna, osservandola con ammirazione. “Interessante, interessante”.
Demelza lo osservò assorta e orgogliosa di aver risvegliato in lui un qualche tipo di interesse per le sue passioni. Le mostrò quindi un’altra stampa, raffigurante una bimbetta paffuta e piena di boccoli. “Lei invece è Shirley Temple. Piccola ma famosissima, negli Stati Uniti la adorano, fa film su film da quando non aveva che due o tre anni. Per loro è quasi una dea”.
Ross osservò la graziosa bimbetta vestita di trine e merletti. Graziosa, sicuramente con tutte le caratteristiche necessarie per mandare in visibilio mamme e nonne d’America, ma non condivideva l’entusiasmo di Demelza. “Una bambina dovrebbe essere solo una bambina. Scommetto che preferirebbe passare le giornate a giocare e non sotto i riflettori. C’è il tempo del lavoro e credo che non lo sia alla sua età”. Poi osservò Demelza. “A proposito…”.
Cosa?”.
Lui guardò verso la finestra. “Ho visto il portico, è più lucido di uno specchio”.
L’ho pulito stamattina”.
Lui la osservò, preoccupato. “Non dovresti lavorare troppo e stancarti, non è necessario tirare a lucido l’esterno”.
Lei scosse la testa. “Ma è il mio lavoro!” – obiettò. “Lo faccio da sempre”.
Ross le prese la mano, costringendola ad alzarsi. Si accorse di essere apprensivo, di preoccuparsi per lei e di volere unicamente il suo bene. Demelza era ormai troppo preziosa per lui e se la guardava, non vedeva più la sua domestica ma quanto di più caro possedesse. Si trovò a pensare che non avrebbe voluto sentirsi legato così a qualcuno, che c’erano mille buone ragioni per non farlo ma al suo cuore non poteva comandare e Demelza era entrata dentro di lui troppo in profondità per poter ignorare i suoi sentimenti. “Credo di considerarti ben altro. Non ti vedo affatto come la mia cameriera”.
Lei rimase incerta, silenziosa. “Ma… Mi hai assunta…”.
Le accarezzò la guancia. “Direi che le cose sono cambiate, no? Voglio solo che tu faccia il necessario, non c’è necessità che Nampara somigli a un museo”.
E cosa dovrei fare tutto il giorno quando non ci sei?”.
Le sorrise, baciandola sulla fronte. “La signora di questa casa. Siediti, guardati le tue stampe, porta a spasso Garrick, leggi. Ma non lavorare troppo duramente, non è necessario”.
Non sono affatto la signora di questa casa, Ross”.
La bloccò, prendendole il viso fra le mani. “Demelza, ascolta…”.
La ragazza, col cuore che le martellava in petto, deglutì. Erano ormai molto vicini, intimi, eppure percepiva che c’era qualcosa di diverso fra loro in quel momento, ben più della vicinanza che condividevano mentre facevano l’amore. “Ross…” – mormorò, incerta.
Lui, serio come raramente lo aveva visto, la guardò negli occhi. Non poteva darle molto se non il suo cuore ed era inutile negarlo o derubricare il loro rapporto a semplice passione. Demelza era la sua ragione a tornare a casa di sera, quel qualcosa che ancora gli dava fiducia nel mondo e negli esseri umani, la donna che condivideva con lui confidenze, intimità, tenerezza, passione. E nel giro di poco era diventata quanto di più caro avesse al mondo. “Ascolta! Prima di tornare, in piazza, ho visto Elizabeth per caso…”. La sentì irrigidirsi e volle subito tranquillizzarla. “Solo poche parole, non vedevo l’ora di andar via perché volevo tornare da te! L’avevo davanti e mentre la guardavo sì, notavo che è ancora bella come quando me ne ero innamorato ma che mi sbagliavo, lei non  è affatto adatta a me. Non lo è mai stata! Che vedevo un’illusione mentre tu sei la mia realtà adesso”.
Ross…”. Demelza tremava, non riusciva a credere a quanto lui stava dicendo. Cosa intendeva, cosa stava cercando di farle capire?
La baciò sulle labbra, un bacio lungo, dolce e gentile. Poi appoggiò la fronte contro la sua, sospirando. “Demelza, quello che voglio dirti è che ti amo, che non sei la mia domestica ma la donna che desidero al mio fianco. E non è solo perché facciamo l’amore insieme ed ogni volta è fantastico, è che tu mi completi e sento – spero – di completare a mia volta te! Se ti ho fatto dei torti in passato, perdonami! Non posso prometterti nulla, né che sarà facile ma sei parte di me e non voglio rinunciarci. Sei settimane fa mi hai detto che siamo vivi e che dobbiamo assaporare al meglio ciò che le nostre esistenze ci danno e il meglio non è più solo la passione che condividiamo a letto ma tutto. Io voglio tutto di te! Sono un uomo complicato, a volte difficile e con una vita difficile. Ma tu mi rendi felice e credo non mi sia mai successo davvero”.
Demelza si sentì senza fiato. Aveva davvero sentito bene? Davvero lui aveva usato la parola ‘amore’? Per lei, lei??? “Ross, caro Ross… Io vivo per te, da sempre. E ti amo forse da prima di capire il significato di questa parola” – disse, con gli occhi lucidi. Come avrebbe anche solo potuto sperare in qualcosa di tanto bello lei, una piccola stracciona raccolta anni prima forse per pietà da un giovane che le era apparso bello ed irraggiungibile?
Lui le sorrise dolcemente, come percependo il suo stupore e i suoi pensieri, prima di baciarla di nuovo per riaffermare quanto appena detto. “Allora siamo d’accordo”.
La prese per la vita, la sollevò e la mise sul tavolo, scostando le stampe degli attori. Poi la baciò ancora, mai sazio di lei, scompigliandole i capelli con le mani mentre cresceva il desiderio di amarla.
Lei rise contro le sue labbra. “Stai scompigliando le mie bellissime trecce da brava ragazza ariana. E la mia bella e amatissima divisa” – sussurrò, sentendo le mani di lui sotto la sua gonna.
Ross rise, rideva sempre quando era con lei, sentendosi stranamente leggero. “Immagino tu sia disperata per questo”.
Lei per risposta lo baciò. “Parecchio…” – sussurrò, ironica.
Ross si staccò lievemente. “Fra quanto devi andare alla proiezione?”.
Fra tre ore”.
Lui sorrise. “Abbiamo tutto il tempo per darti qualcosa a cui pensare mentre Goebbels parlerà di sciocchezze!”. Era fantastico, con lei riusciva a scherzare anche di cose così drammatiche come il nazismo e l’impatto sulle loro vite senza provare ansie e paure. Non era forse questo l’amore? Amare, essere riamato e condividere tutto fino all’anima con la persona che scegli di avere accanto?
Demelza si trovò d’accordo. “Ottima idea. Penserò a questo e a quello che mi aspetterà quando tornerò a casa”.
Lui la baciò, lei sapeva diventare così attraente e seducente quando erano vicini... Erano stesi su un tavolo e si sentivano lo stesso assolutamente comodi. “Torna a casa subito, appena finita la proiezione!”.
Demelza rise, maliziosa. “Sembri mio padre però, se parli così”.
Di tutta risposta lui la baciò con passione, tornando ad alzarle la gonna. “No, non sono tuo padre, decisamente no!”.
La amava, la desiderava e lei amava e desiderava lui. Forse sul letto sarebbero stati più comodi ma non riuscivano nemmeno a pensare di riuscire ad arrivarci.
La passione, fra due anime gemelle che avevano ormai ben chiaro di esserlo l’uno per l’altra, esplose. Avevano scelto, si erano scelti e avevano avuto il coraggio di farlo! E questo era tutto quello che contava.


  
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