Capitolo
VIII – Consigli
Non si può non
comunicare.
Paul
Watzlawick, Pragmatica della
comunicazione umana.
Il
mattino seguente, quando Link si sveglia, Revali non
c’è. Non che questa sia
una novità, ma stamani Link ne è quasi contento:
non saprebbe cosa dirgli. Non
sa neppure cosa pensare.
Attizza
le braci aggiungendo un paio di ciocchi di legna per scaldarsi mentre
si veste:
fa freddissimo, e scostando appena le pesanti tende che coprono le
finestre
intravede la neve ancor più vicina sui monti di Hebra. Si
scalda del latte e vi
spezza del pane, ma gli viene la nausea dopo pochi bocconi. Lo lascia
stare.
Si
avventura fuori, nell’aria gelida nella quale il suo respiro
si condensa appena
uscito dalla sua bocca, per andare a trovare Kagan a proposito di
quella
lettera di cui gli ha parlato ieri. Lo trova in casa, appollaiato su
una sedia
a dondolo vicino al grande braciere centrale, che cerca di imboccare
con la
persuasione suo figlio più piccolo.
Link
bussa sullo stipite della porta per annunciarsi. «Ehi.
Disturbo?»
Tutto
preso dal bambino che gli fa i capricci sulle ginocchia, Kagan alza gli
occhi
su di lui distrattamente, poi torna a posarveli con maggiore attenzione.
«Dipende»
risponde. La sua voce vibra di una risata che non si sforza neppure di
mascherare. «Se parlo con te, mi prometti che Revali non
verrà a cercarmi
stanotte per staccarmi la testa?»
Dunque
dovrà farci i conti. Link decide che
quell’affermazione è un invito a entrare e
si pianta di fronte a lui con le mani sui fianchi. «Credevo
che ieri avessero
bisogno di te quando ci hai lasciati. Non eri andato a fare qualcosa di
urgente
tipo salvare il borgo? O sei rimasto a spiare la nostra conversazione
per tutto
il tempo?»
«Mi
offendi, Link» risponde Kagan molto seriamente, asciugando
pappa dal becco del
suo bambino e da tutto il proprio petto. «Pensi che avrei mai
origliato?»
In
verità quella di Link era una speranza, perché
l’alternativa è molto peggiore.
Una parte di lui non vuole neppure porre la domanda che ne consegue.
«Immagino
di no. Quindi come hai saputo?»
«Mettiamola
così» Kagan finge persino di cercare
l’espressione più adatta per quasi un
secondo. «Diciamo che, in tutto il borgo, nessuno avrebbe mai
immaginato di
sentire il grande Revali piazzare una scenata di gelosia in mezzo a un
matrimonio. Neanche in un’altra occasione,
comunque.»
È
inutile girarci intorno. Link va a sedersi sul pavimento di fronte a
lui, a
gambe incrociate, alla maniera dei Rito, e domanda: «Quindi
ne parla tutto il
borgo?»
«Oh,
non preoccuparti» lo rassicura Kagan gentilmente.
«A quest’ora ne parleranno
anche nel forte di guardia di Hebra. Derdran è ripartito
stanotte.»
Link
posa la fronte contro le ginocchia e rimane così per un
po’. Per qualche
minuto, il suono del bambino di Kagan che gorgoglia sputando cibo
ovunque è
l’unico che riempia la stanza.
«Ci
hai parlato prima che ripartisse?»
«Con
Derdran? Sì, certo. È venuto a salutarmi e a
chiedere se ci fossero ordini.»
«Ti
ha detto qualcosa?»
«Ha
detto che Revali è pazzo e paranoico. Ma questa è
sempre stata la sua idea su
di lui, quindi non è che fosse chissà quale
sorpresa.»
«E
tu cosa ne pensi?»
Kagan
fa una pausa, Link non riesce a capire se sia perché
è troppo impegnato col
bambino o perché sta raccogliendo le idee. «Quello
che penso io è importante,
dici?»
Link
solleva la fronte dalle proprie ginocchia per guardarlo. «Te
lo sto chiedendo,
no?»
«Bene,
allora. Penso due cose non necessariamente correlate tra di loro. Penso
che
Derdran fosse in cattiva fede e penso che Revali sia geloso matto di
te. Tu che
ne pensi, spiumino?» domanda affettuosamente al bimbo
facendoselo ondeggiare
sulle ginocchia. «Sei d’accordo con me,
sì?»
Il
bambino si spalma pappa ridendo su tutta la faccia lasciando al padre
il
compito d’interpretare la sua risposta. Link lo guarda per un
po’. «Quello era
un sì o un no?»
«Un
sì, naturalmente» risponde Kagan con sicurezza
pulendo la faccia del bambino
con un tovagliolo che ha tutta l’aria di essere in servizio
dall’inizio del
pasto. «È mio figlio, quindi è logico
che dia ragione a suo padre. Ma tu puoi
dissentire, se vuoi. Mi prendi qualcos’altro per asciugarlo,
per favore, visto
che sei qui? Questo ormai peggiora solo la situazione.»
Link
si alza e inizia a frugare in giro alla ricerca di un tovagliolo.
È grato che
Kagan glielo abbia chiesto, perché gli dà la
possibilità di distogliere lo
sguardo da lui per qualche secondo.
«Non
lo sento dissentire» commenta Kagan dopo un po’,
alle sue spalle, rivolgendosi
al figlio. «Tu lo senti, spiumino?»
«Revali
ha detto che non vuole che mi tocchi
qualcun altro» borbotta Link, lieto di poterlo dire senza
guardarlo, colla
faccia nascosta da uno stipetto nel quale sta frugando in una pila di
tovaglioli ricamati per trovarne uno che faccia al caso suo.
A
Kagan scappa una mezza risata. «Questo l’aveva reso
abbastanza evidente a tutti
gli invitati. Non c’era propriamente bisogno che lo spiegasse
anche ad alta
voce. Ma immagino che per Revali sia un notevole miglioramento dal
punto di
vista della comunicazione ammetterlo.»
Dopo
aver esaminato tutti i tovaglioli un paio di volte, Link non
può girarci
intorno più di così. Ne prende uno, rimette a
posto gli altri e si decide ad
andare a porgerlo a Kagan e a fronteggiare il suo sguardo.
«Link.»
La voce di Kagan, mentre pulisce il bambino, è dolce e
rassicurante, del tutto
priva di giudizio. «Che cosa sei venuto a
chiedermi?»
«La
lettera di cui mi parlavi» risponde Link debolmente.
«Se
è tutto qui, puoi prenderla da te. È su quel
tavolo. È meglio che io non la
tocchi finché non mi sarò lavato le mani. Ti
serve altro?» Link rimane
immobile, allora Kagan sorride. «Bene. Allora immagino tu sia
venuto qui perché
speravi in un consiglio. Ho ragione?»
Nella
sua vita Link non s’è trovato a chiedere molti
consigli: la sua strada è sempre
stata tracciata già da altri, prima di lui, forse da prima
della vita del
mondo, e a lui non è rimasto altro da fare che da seguirla.
Ha vissuto una vita
semplice, per quanto pericolosa; ma ora è diverso. Questo
non riguarda più
Hyrule né Zelda, né gli eroi del passato o la
Spada che esorcizza il male:
riguarda lui. «Forse sì.»
«Uhm.
Beh, non è che tu sia capitato molto bene»
risponde Kagan, sollevando il
bambino per le ascelle per posarlo sul pavimento. Suo figlio
è molto contento
di questa interruzione, perché gattona sotto il tavolo e si
mette a osservarli
da lì col massimo interesse. Link non aveva neppure idea che
i piccoli Rito
gattonassero fino a questo momento. «Ancora non so neppure
come ho fatto a
convincere mia moglie a sposare me, e temo che Revali sia un
po’ fuori dalla
mia area di competenza… cioè, da quella di
chiunque, in verità. Comunque,
vediamo. Non mi hai ancora detto che ne pensi tu di questa
storia.»
«Sono
confuso» risponde Link senza pensarci neppure.
Kagan
aggrotta la fronte. «Non l’avrei mai detto. Amico
mio, dovrai fare uno sforzo
d’introspezione un po’ più intenso di
questo, se vogliamo andare da qualche
parte, ti pare?»
Non
ha tutti i torti, ma quello che prova Link non è neanche
qualcosa cui sia così
facile dar voce o parole. Link cerca dentro di sé qualcosa
cui possa dar forma
e nome così, di prima mattina, mentre Kagan si asciuga le
mani e prende a
rassettare la stanza.
«Mi
ha fatto piacere che fosse geloso, in un certo senso. Ma mi spaventa
anche,
solo che non so perché.»
«Sforzati
d’immaginarlo.»
Non
ha bisogno di sforzarsi troppo. «Perché sarebbe
complicato. Perché dobbiamo
vivere insieme e, se le cose non funzionassero…»
«Per
carità» lo interrompe Kagan. «Tutto
molto giusto. Ma è proprio necessario
immaginare che tutto vada male? Non potreste, che ne so, essere una
coppia
felice e innamorata come tutte le altre?»
«Va
bene, allora… perché c’è la
Calamità. Non posso permettermi distrazioni.»
Kagan
si ferma bruscamente mentre si sta chinando per attizzare il fuoco. I
suoi
occhi si coprono di un velo per un istante mentre si volta a guardarlo
con
stupore come se lo vedesse per la prima volta.
«Giusto,
la Calamità» mormora. Sembra star pensando ad
altro: Link rimane immobile ad
aspettare da lui una qualche epifania, anche se questo scettico
capovillaggio è
l’ultimo al mondo che sembra in grado di elargirne una. Kagan
continua a
rassettare per un po’ senza curarsi di lui: sta pensando.
«Link…
io a questo finto matrimonio non ci ho mai creduto, ma questo lo sai
già.»
«Sì,
lo so.»
«So
che lo sai… ma quello che credo o non credo io, per fortuna
di tutti, non è
molto importante. Tu provi qualcosa per lui?»
Link
ha girato intorno a questa domanda per settimane da quando ha scoperto
di aver
cercato Revali nella lunga notte di Hebra, nella sua tenda,
quand’era ferito. È
stata dentro di lui per giorni: ha rifiutato di guardarla direttamente
persino
quando Revali gliene ha chiesto il motivo, perché guardarla
avrebbe voluto dire
ammetterne l’esistenza e questo lo imbarazzava e mortificava;
se ha guardato
ovunque tranne che verso quella domanda, è stato
perché conoscerne la risposta
avrebbe voluto dire esporlo al volere d’altrui persino in
quell’unica parte di
lui che è la sola a essergli sempre appartenuta e a non
esser dipesa da altri
mai. Ma è venuto da Kagan apposta perché gli
facesse quella domanda ad alta
voce e così lo costringesse a rispondere; e il cielo sa che
questo
capovillaggio avrebbe altro a cui pensare alla vigilia della minaccia
che
incombe su Hyrule che alle sue sciocchezze. Eppure ugualmente Kagan
s’è tirato
su le maniche e s’è messo ad ascoltarlo e a
cercare di cavargli fuori qualcosa,
qualsiasi cosa; non foss’altro che per questo, Link ora non
può più permettersi
di mentire.
«Forse
sì» mormora.
Kagan
batte le mani. «Ah! Siamo stati qui mezz’ora, e
siamo approdati alla bellezza
di un forse sì. Non sei un tipo facile,
tu, vero?» Sentendosi un po’ in
colpa, Link tralascia di rispondere. Kagan lo guarda con un sospiro
molto più
paziente di quanto Link senta di meritare da parte sua.
«Lasciamo perdere. Ora
che hai appurato che forse potresti essere attratto dal nostro
Campione, che
cosa hai in mente di farci con questa rivelazione? Perché
presumo che tu non
abbia neppure preso in considerazione l’idea che voi due
potreste, non so…
comunicare.»
Il
giorno dopo il suo arrivo, a un certo punto, Link ricorda chiaramente,
Revali
gli ha detto di togliersi dalla faccia quell’espressione
da cerbiatto
smarrito, o qualcosa del genere. In qualche modo è
certo che l’espressione
di cui stava parlando sia quella che ha in faccia adesso,
perché Kagan lo
guarda per un momento con occhi colmi di pietà.
«È
la prima volta che provi qualcosa del genere?»
Link
compie un gesto scomposto che è assieme una scrollata di
spalle e un segno
d’assenso. Kagan l’osserva in silenzio per un
po’.
«Non
ci hai mai nemmeno pensato, vero?» domanda gentilmente, a
bassa voce. La sua
voce ha assunto la stessa tenerezza di quando parla coi suoi figli:
Link scuote
il capo di nuovo, e Kagan, d’improvviso, gli appare
tremendamente triste, come
invecchiato di cento anni.
«Dunque
è questo che abbiamo fatto a voi eroi, eh?»
mormora. «Vi abbiamo riempito la
testa con la storia della nostra salvezza e vi abbiamo convinto che voi
non
siete importanti, che venite sempre dopo di noi e della nostra
meschinità; che
tutto quello che apparteneva a voi solamente fosse qualcosa che avreste
sottratto a noi…»
Link
non sa subito cosa rispondere perché non ha mai sentito
nessuno parlare così;
ma l’amarezza delle sue parole tocca qualcosa dentro di lui
che non ha sentito
mai prima. Lo spaventa il fatto che suoni così vero, che
nelle sue parole gli
appaia per un attimo la prospettiva d’essere egoista, di
poter sottrarre per un
istante se stesso e i propri giorni al pensiero costante della
Calamità. Non è
quello che è stato insegnato a lui né a Zelda,
né, per quanto gli è stato dato
conoscere, a Revali.
Kagan
tutto questo lo capisce, o forse lo legge nei suoi occhi: lo tocca
sulla spalla
con gentilezza.
«Link…
non devi decidere adesso.» Una parte di lui è
delusa da questa risposta,
s’aspettava qualcosa di più definitivo, concreto,
da parte sua; ma la verità è
che Kagan ha ragione, ovviamente. «Forse devi prenderti un
po’ di tempo per
pensare a quello che vuoi. Lo hai mai concesso a te stesso?»
Dire
di no è così imbarazzante che Link scuote il capo
soltanto.
«Già,
comincio a capire» commenta Kagan a bassa voce. «E
forse neanche Revali lo ha
fatto. Il che spiegherebbe molte cose, ora che ci penso.
Perché non torni a
parlarne con me tra qualche giorno, quando ci avrai pensato un
po’?»
In
qualche modo il suo congedo cortese lo esonera dal bisogno di guardare
ancora
in quella parte di sé che gli fa paura: Link se ne sente
quasi sollevato. «Ti
ho portato via già molto tempo con i miei
problemi.»
Kagan
allarga le ali gonfiando il petto. «Che ci vuoi fare? Essere
il capo vuol dire
anche questo. Non ci pensare troppo, però. Vedrai che tutto
si aggiusterà da
sé.»
«Non
dirai a nessuno quello di cui abbiamo parlato oggi, vero?»
chiede Link prima di
uscire.
Kagan,
che è già carponi sul pavimento a inseguire suo
figlio, volta appena il capo
sulla spalla per guardarlo. «A essere sincero, io racconto
sempre tutto a mia
moglie.»
Link
comincia a nutrire il fondato dubbio che questo maledetto capovillaggio
si stia
divertendo un mondo a farlo impazzire. «Sai cosa
intendo.»
«Davvero?»
chiede Kagan alzandosi per guardare verso di lui.
«Stranissimo. Non mi viene in
mente niente.»
«Voglio
dire» sibila Link, che sta cominciando a pentirsi
d’essere uscito di casa
un’ora fa e soprattutto di essere venuto qui. «Non
lo dirai a Revali, vero?»
«Tranquillo»
ribatte Kagan tornando a distendersi sul pavimento per raggiungere suo
figlio
che gattona via ridendo. «Non intendo fare il lavoro sporco
al posto tuo e dire
io a tuo marito che sei innamorato di lui. Prima o poi dovrai farlo
tu.»
«Non
sono…» protesta Link a mezza voce, ma Kagan si
limita a guardarlo al di sopra
della propria spalla come a sfidarlo a terminare la frase. Link decide
di
lasciar perdere ed esce senza sentirsene troppo convinto.
Per
colmo di umiliazione, Kagan attende che abbia già
attraversato la soglia per
richiamarlo. «Ehi, Link. Non è che stai
dimenticando qualcosa?»
Link
rientra in casa sentendosi piuttosto confuso. Kagan sta indicando
qualcosa su
un tavolino con aria divertita.
«So
che per te essere innamorato è un’esperienza
nuova, ma potresti almeno fare
finta di essere davvero venuto qui per quella lettera
anziché per parlarmi di
tuo marito, ti pare?»
Link
afferra la lettera con le guance che gli bruciano. «Non ho
mai detto di essere
innamorato» dice stavolta.
«Davvero?»
ribatte Kagan. «Da noi si dice che quando dimentichi le cose,
o sei vecchio
oppure sei innamorato. Mi rammenti quanti anni hai?»
Link
decide di imboccare diplomaticamente la porta senza rispondere.
Ieri
sera lui e Revali non hanno parlato oltre di quanto è
successo: tutto sommato
va bene così. Hanno cenato ai due lati del braciere, quasi
senza guardarsi, e
sono rimasti seduti in silenzio di fronte alle braci che si
affievolivano,
attorno al fuoco fin oltre l’ora d dormire, facendo finta che
quello che era
accaduto tra di loro non significasse niente perché nessuno
dei due voleva
affrontare oltre l’argomento per timore di guardarlo
direttamente: dalle
finestre schermate da tende e arazzi provenivano musiche e canti della
festa di
matrimonio che proseguiva, del tutto ignara di loro. Per un
po’ è stato come
fingere di non esistere: Revali s’è rimesso a
lavorare al suo arco,
metodicamente, come tutto quello che fa, e Link ha seguito i suoi gesti
cogli
occhi finché non s’è sentito
appisolare, stranamente rilassato nel calore del
fuoco. Revali lo guardava di tanto in tanto al di sopra del braciere.
«Dovresti
dormire» gli ha detto sul tardi.
«Anche
tu dovresti» ha ribattuto Link riscuotendosi dal sonno, e
Revali ha sorriso
solamente e ha risposto: «A me ci penso io. Tu vai a
dormire.»
È
stato gentile, certo; di una gentilezza un po’ assente,
distante, perché non
voleva parlare di quello che era successo e che lo mortificava troppo.
Link non
ha insistito: neanche lui voleva parlarne perché non avrebbe
saputo che altro
dire.
Non
può evitarlo in eterno. Non intende neppure parlargli di
quanto è venuto fuori
nella sua conversazione con Kagan, naturalmente; ma che sia ora o
stasera,
prima o poi dovrà rivedere Revali e affrontare
l’imbarazzo e la strana cortese
distanza che quello che è successo porta con sé.
Perciò Link torna a casa,
getta sopra tutti i suoi vestiti il mantello più pesante che
ha, infila la
lettera in una delle sue bisacce e parte per il Volodromo.
Revali
si sta allenando. Deve aver finito il suo nuovo arco, stanotte, e lo
sta
mettendo alla prova: ha gli occhi esausti, pesantemente cerchiati di
scuro, e
sta mirando ai bersagli disseminati sulla rupe del Volodromo come se
dovesse
far scontar loro tutti i peccati del creato. Che, a giudicare dal
numero di
frecce che Link coglie a colpo d’occhio senza riuscire a
contarle, devono
essere davvero tanti e particolarmente gravi.
Nel
dubbio che Revali abbia qualche peccato da far scontare anche a lui,
Link si
ferma prudentemente a qualche metro di distanza a osservarlo librarsi
nell’aria
senza interromperlo.
Revali
s’interrompe solo quando scopre la faretra vuota sollevando
l’ala dietro di sé,
ed è in quel momento che si accorge della sua presenza. Non
se l’era aspettato:
rimane interdetto per un istante, ma solleva ugualmente il mento in
segno di
saluto.
«Sei
venuto» dice soltanto tornando ad abbassarsi verso terra.
Sembra un po’ meno
arrabbiato di pochi istanti fa, mentre volava.
«La
cosa ti sorprende?» ribatte Link sorridendo mentre piega la
paravela.
«A
essere sincero, sì» risponde Revali.
«Pensavo che ti fossi scoraggiato, l’altro
giorno.» La verità, di cui sono consapevoli
entrambi, è che Revali pensava che
non sarebbe venuto per tutt’altro motivo; ma ancora, come
ieri sera, nessuno
dei due quella verità si sente di dirla ad alta voce;
è troppo scomoda,
imbarazzante, e porrebbe tra di loro qualcosa che nella loro situazione
attuale
non possono permettersi di affrontare.
«Vieni
qui» aggiunge allora Revali facendogli cenno di avvicinarsi.
Più per la
sorpresa di sentirgli dir così che per altro, Link avanza
verso di lui: Revali
dà un’occhiata al di sopra della sua spalla e gli
porge il suo arco. Link ne
rimane talmente stupito che non tende neppure la mano per prenderlo.
«Ah, bene…
hai la faretra. Voglio vedere se era il tuo arco a essere il problema
l’altro
giorno. Prova questo. Beh?» chiede stupito porgendogli
l’arco con più
insistenza.
«Questo
è il tuo arco Aquila» obietta Link scrutandolo con
sospetto.
«Non
ti sfugge niente come al solito» osserva Revali.
«Senti, tu hai tutto il
giorno? Perché io no, quindi muoviti.»
Link
aggrotta la fronte. «Tu non permetti a nessuno di toccare il
tuo arco. Ti ho
visto minacciare di far degradare un soldato semplice solo per avertelo
porto.»
È vero che l’ha lasciato tenere ai bambini, la
sera che sono arrivati al borgo;
ma i bambini non contano, e non solo perché non sono neppure
in grado di
tenderlo, ma soprattutto perché Revali ha un debole per loro
che non ammetterà
mai.
«Davvero?
Può essere» risponde Revali come se la cosa non
avesse la minima rilevanza.
«Allora immagino che me lo avesse porto senza prima chiedermi
il permesso.»
«Non
si possono neanche degradare i soldati semplici, tra l’altro.
È implicito nel
verbo stesso. Eri veramente arrabbiato.»
Revali
gira gli occhi al cielo. «Ma senti. Ti rivelerò un
segreto: non mi interessa
cosa succede ai soldati semplici. Vuoi imparare a tirare come si deve
oppure
no?»
Link
prova il forte impulso di fargli notare che come si deve, all’interno
di
questa conversazione, ha assunto minacciosamente il significato di come
lui,
ma decide di trattenersi, anche se ha la sensazione che
l’unico tra i due
che si stia sforzando di non litigare ogni santo giorno di questo
matrimonio
sia lui; comunque, va bene così. C’è
tutta una parte della sua mente che non
riesce a non ripensare a quello che ha detto Kagan: che forse,
esattamente come
lui non ha avuto molto tempo per pensare ai suoi sentimenti, quel tempo
non è
stato concesso neppure a Revali, e che s’è trovato
coinvolto, esattamente come
lui, in questa situazione che li avviluppa entrambi un po’
troppo da vicino
senza possibilità di districarsene per guardarsi a vicenda
né dentro. Lascia
perdere. Si sfila di dosso le bisacce e lo scudo e prende in mano
l’arco con la
cautela che userebbe a un oggetto sacro. Revali si colloca alle sue
spalle per
osservarlo tirare; Link preferirebbe quasi che si allontanasse un
po’ di più:
dopo aver parlato con Kagan, per ignorare la vicinanza del suo petto
dietro di
sé deve sforzarsi un tantino più di prima. Si
concentra sui bersagli per non
lasciarsene distrarre.
Gli
dispiace quasi che quell’arco non sia pensato per la sua
statura e la sua
struttura fisica. È l’arco più
equilibrato, insieme maneggevole e potente, che
gli sia mai capitato di provare: Revali osserva in silenzio i suoi
movimenti mentre
prende la mira e tira senza commentare, pensierosamente. Quando Link
torna a
porgergli l’arco dopo aver scoccato una decina di frecce, lo
riprende con
lentezza dalle sue mani come se ancora stesse riflettendo.
«È
perfetto» gli dice Link onestamente, perché
è quanto di meno possa dire dopo
averlo provato. Ora gli è chiaro perché tutti al
borgo parlano degli archi di
Revali come della massima vetta raggiungibile dal loro artigianato.
Revali
accenna quasi un sorriso. «Lo so già, ma grazie
comunque. Quindi era davvero il
tuo arco a fare schifo» aggiunge. «Tu non saresti
così male a tirare.»
«Se
questo è un tentativo di ricambiare il mio complimento, non
sono sicuro che ti
sia venuto bene» risponde Link senza offendersene troppo,
perché probabilmente
per Revali quello è davvero un complimento e dunque va preso
per quello che è.
«È
una constatazione» risponde Revali. «Il che prova
comunque che avevo ragione io
e che tu non sei irrecuperabile. Vuoi provare ancora ad allenarti con
me?»
L’altro
giorno è stata un’esperienza
terrificante e frustrante ai limiti dell’umiliazione e Link
non ha mai
desiderato tanto ucciderlo come in quel momento; gli viene quasi da
ridere a
quella proposta, perché anche Revali dovrebbe essersi reso
conto che
quell’allenamento non può portare da nessuna
parte: si trattiene dal farlo,
perché d’improvviso realizza che Revali ci sta
provando esattamente come lui,
seppure in modo diverso, a far funzionare le cose tra di loro; e forse
questo è
l’unico modo che conosca, insegnargli a tirare come lui. Che
Revali lo ha
salvato e adesso sta condividendo con lui tutto quello che possiede;
non può
farci nulla se tutto quello che possiede, esattamente come lui, sono i
suoi
allenamenti estenuanti e l’obbligo di difendere la sua gente:
è quello che ha,
e glielo sta offrendo. Non lo sta tenendo lontano da sé,
quali che siano i suoi
motivi. Anche questo non era tenuto a farlo.
«Metà
giornata» propone.
Revali
sembra trovare la sua risposta inaspettata ed egualmente divertente.
«Spiegati.»
Link
scrolla le spalle. «Per metà giornata io
seguirò il tuo allenamento e per metà
giornata tu seguirai il mio. Ci stai?»
Revali
non risponde subito. Se la prende comoda: inizia a recuperare le frecce
dai
numerosi bersagli, dandogli le spalle; Link sente dalla sua silenziosa
concentrazione che sta riflettendo.
Quando
torna verso di lui, Revali gli porge le sue frecce e risponde:
«Le giornate
stanno diventando troppo corte. Un giorno a testa. Ci stai?»
Sembra
ragionevole. Link prende le frecce che gli porge, è come
stringersi la mano.
A
sera, quando tornano a casa, c’è una piccola
sorpresa. Di fronte all’ingresso sono
posati dei curiosi pannelli rettangolari: Link ne solleva uno. Non ha
mai visto
niente del genere: è una leggera intelaiatura di legno su
cui sono stati tesi
enormi rettangoli di stoffa pesante cucita a maglie molto spesse, tutti
di
fantasie e colori diversi.
«Ah,
ottimo» commenta Revali. A giudicare dalla sua voce, per lui
non si tratta
affatto di una sorpresa. «Domani dobbiamo tornare dal
Volodromo un po’ più
presto del solito, allora. Preferirei montarli con la luce.»
«Che
cosa sono?» chiede Link esaminandolo tra le mani.
«Beh,
mi sembra evidente.» Poiché deve trasparire dal
suo sguardo che per lui tanto
evidente non è, Revali sospira teatralmente per la sua
ignoranza entrando in
casa. «Pannelli per le finestre. Sono rimuovibili,
così da non rinunciare del
tutto alla luce, ma sono costruiti in modo da avere una sorta di camera
d’aria
all’interno, così da essere il più
isolanti possibile. Non hai mai sperimentato
gli inverni in questa zona, ma immagino che tu non ci tenga troppo a
congelarti
quel tuo culo secco, no?»
Link
ha sufficienti domande da fare da lasciar
correre il riferimento al suo culo secco per qualche minuto.
«Quindi sono…
pannelli per isolare la casa dal freddo?»
«Esattamente
come ho detto, sì.»
«E
sono comparsi dal niente mentre ci allenavamo?»
«Sì.
Crescono spontaneamente» risponde Revali. È una
vera fortuna che il pannello
che Link ha in mano sia troppo poco maneggevole per scagliarglielo
addosso, ma
Revali pare intuire quest’intenzione dal suo sguardo,
perché si decide a
spiegare. «Ieri durante il matrimonio sono andato a chiederli
in prestito a
degli amici che ormai hanno figli grandi e non ne hanno più
bisogno. Sono stati
gentili a portarceli già oggi.»
Probabilmente
a Revali sembra d’esser stato chiaro, ma è solo
una sua impressione. Link lo
fissa senza capire per un po’, aspettandosi che a quelle
parole ne facciano
seguito altre più illuminanti; ma, poiché non
arrivano, è costretto a indagare.
«Mi sfugge il collegamento coi figli grandi.»
«Beh,
non sono cose che usiamo abitualmente. Il freddo non ci dà
fastidio come a voi»
spiega Revali. «Se ci farai caso, nei prossimi giorni, vedrai
che quasi nessuno
li ha. Di solito li monta chi ha figli piccoli o spose in attesa. Puoi
decidere
a quale delle due categorie assimilarti, se ti fa piacere.»
«Un
piacere indescrivibile» commenta Link, ma evita di mettersi a
discutere, per
una volta. Anche questo Revali non era tenuto a farlo: si è
preoccupato che non
abbia freddo. «Grazie, Revali. Davvero.»
Revali
si stringe nelle spalle senza guardarlo. «Bah, non
è niente di che. Non avrebbe
avuto molto senso salvarti dal patibolo per farti morire assiderato
quassù,
no?»
No,
probabilmente no.
Dopo
cena, quando s’infila nell’amaca intiepidita da uno
scaldaletto pieno di braci,
Link si decide finalmente ad aprire la grossa busta che gli ha dato
Kagan
questa mattina. Gli spiovono in grembo vari fogli, tutti scritti in
grafie
diverse: Link cerca con lo sguardo quello di Mazli. È
indirizzato a Revali,
tecnicamente, perciò Link si schiarisce la voce.
«Ho
scordato di dirti che Mazli ha mandato una lettera ed è
riuscito a inviarci
qualcosa anche da Impa e gli altri. Questa mattina sono andato a
prenderla da
Kagan. Sul biglietto di Mazli c’è il tuo nome.
Vuoi leggerlo tu?»
Dall’altro
lato della casa, appoggiato come al solito contro il muro, Revali si
è rimesso
al lavoro, come ogni sera. Non alza neppure lo sguardo su di lui.
«Leggilo pure
tu. Mazli sa che siamo sposati. Quello che è mio
è tuo, eccetera.»
«Bastava
dire che non ti interessa.» Link scorre rapidamente il
biglietto con gli occhi:
non dice nulla d’interessante. L’ambasciatore si
limita ad augurarsi che stiano
bene, che Kagan li abbia accolti come si deve e a informarli che non ha
ricevuto ulteriori domande né visite da parte dei generali
dell’esercito; per
quanto ne sa, il suo congedo forzato permane tuttora. «Non
scrive niente di
nuovo, comunque. Ma non hai finito il tuo nuovo arco
stanotte?» chiede mettendo
da parte il biglietto.
«Certo
che l’ho finito. Te l’ho fatto provare.»
Non
è che Link sia poi eccessivamente interessato
all’attività di artigianato di
Revali, ma parlare così, dai due lati della casa, divisi dal
fuoco, è
stranamente rilassante. Ha qualcosa di domestico e confortante che non
ricorda
d’aver mai provato prima, persino quando discutono. Scorre
gli altri fogli che
ha in grembo: Pruna e Rovely gli hanno mandato appunti e schemi di
alcune armi
ancestrali che stanno sperimentando. Si sofferma a esaminare il disegno
di
un’armatura sotto cui Pruna ha annotato nella sua graziosa
grafia piena di
ghirigori: Con questa sembreresti un guardiano anche tu!
Sbrigati a tornare.
Devi provare un sacco di invenzioni! «E ne inizi
subito un altro?»
Revali
s’interrompe per un momento. «Lavorare mi rilassa.
Qualcun altro ha scritto
qualcosa di interessante?»
«Per
ora no.» Per un po’, Link continua a leggere in
silenzio: anche Zelda ha
trovato il tempo di scrivergli, ma, forse per timore che la sua lettera
potesse
cadere in mani sbagliate malgrado l’immunità
diplomatica che protegge la
corrispondenza privata di un ambasciatore, ha evitato di scrivere
alcunché di
compromettente. Parla perlopiù dei suoi continui
allenamenti, delle sue
sfiancanti preghiere, e lo rassicura sul fatto che è al
sicuro e protetta anche
senza di lui. Perdona mio padre,
c’è scritto soltanto in fondo alla
lettera. Si accorgerà di aver sbagliato,
più prima che poi. Non perdonarlo
per lui né per me, perché nessuno di noi lo
merita; ma per Hyrule.
La
lettera più lunga è quella di Impa. La prima data
che riporta, in realtà, è di
pochissimi giorni successiva a quella del processo; ma ha continuato a
scriverla a pezzi, per giorni e settimane, tornandovi sopra ogni volta
che
aveva un momento libero, nell’attesa di trovare qualcuno
diretto al Borgo dei
Rito cui affidarla per fargliela portare: anche spedire la posta, con
l’avvicinarsi della Calamità, sta diventando
sempre più difficile. Io e
l’ambasciatore Mazli stiamo diventando sempre più
amici, scrive a un certo
punto, o per meglio dire lui viene spesso da me in preda alle
sue crisi
d’ansia. Credo che trovi la mia presenza rassicurante, per
chissà quale motivo.
Forse chiederò a lui quando pensa di scrivere al vostro
capovillaggio per
allegare questa lettera alla sua: non penso che me lo
rifiuterà. Mi vede come
se fossi la sua unica complice in una sorta di sanguinoso delitto che
abbiamo
commesso insieme. Il che, dal punto di vista di Mazli,
è esattamente quello
che è successo, considera Link sorridendo; ma la lettera
continua per diverse
altre pagine, forse perché Impa attendeva che Mazli si
decidesse a spedire
qualcosa a casa per porle termine.
Novità!
C’è
scritto nell’ultimo
paragrafo. Urbosa ha scritto per avvisare che gli Yiga sono
in subbuglio:
sospetta qualcosa. Partiremo all’inizio del mese per
raggiungerla sulle
montagne per verificare la situazione e sferrare loro un attacco. La
principessa, inoltre, deve recarsi a pregare nel Canyon di Tanagar:
uniremo le
due occasioni di viaggio. questo significa che dovremo comunque
avvicinarci
molto al Borgo dei Rito tra poche settimane. La principessa ha proposto
che
allunghiamo di un giorno il tragitto per venire a ringraziare
personalmente il
capovillaggio dei Rito di averti accolto: credo che voglia
semplicemente
vederti. So che non riuscirai mai a rispondere prima che partiamo anche
se tu
dovessi trovare qualcuno che viene verso la capitale, ma spero almeno
che
questa lettera ti raggiunga prima di noi.
Link interrompe
la lettura per darne notizia a
Revali: la novità pare destare un certo interesse persino in
lui.
«La
principessa vorrà accertarsi che io non ti
abbia maltrattato troppo» commenta con un sorriso tornando al
lavoro. «Molto
bene. Avvisiamo Kagan, domattina. Vorrà prepararsi a
riceverla.»
«Cerca
di non attaccare lei e la sua scorta anche
stavolta, piuttosto» risponde Link tornando a leggere.
«Rischia di diventare
un’abitudine.»
«Farò
del mio meglio. Ci sarà anche Mipha?»
«Non
penso. Urbosa è nella Cittadella, quindi forse
i Campioni sono tornati…» Link
s’interrompe bruscamente alzando gli occhi dalla
lettera. Si è appena reso conto di qualcosa.
«Perché Mipha?»
Revali solleva un
pezzo di legno in direzione del
braciere per osservarlo in controluce. «Così. Per
chiedere.»
«Ma
perché specificamente Mipha di tutti i Campioni?»
Revali sospira
posando il legno per terra.
D’improvviso sembra a disagio. «Andiamo,
Link… lo sai il perché. Non farmelo
dire ad alta voce.»
«Non
è che, per caso, sei geloso anche di lei?»
È la
prima volta che parlano di nuovo di quello che
è successo ieri, anche se indirettamente: la domanda si
sfilaccia tra di loro
nell’aria della stanza come fumo. Per un attimo Link teme che
Revali non
risponda; ma poi, a bassa voce, fissandolo negli occhi al di sopra del
fuoco,
Revali dice a bassa voce: «È lei che è
gelosa di me, Link. È troppo buona per
ammetterlo mai, e sappiamo entrambi che non dirà mai
niente… ma io so che quel
giorno, quando ho detto che ti avrei sposato io, le ho dato un grande
dolore.»
«Oh»
mormora Link. Torna a distendersi con un
braccio sotto la nuca, sfogliando la lettera di Impa per avere qualcosa
da
guardare che non sia Revali, e domanda: «Quindi suppongo che
sia proprio
evidente, se lo sai anche tu.»
«Lo
dici come se io fossi talmente privo di empatia
da non essere in grado di accorgermi dei sentimenti dei miei
compagni» osserva
Revali, ma non c’è amarezza nella sua voce.
«Che Mipha è innamorata di te?
Penso di non dirti niente di nuovo, Link. Certo che è
evidente.»
«Che
cosa ne pensi?»
Non
l’ha mai chiesto a nessuno; lui e Impa ne hanno
parlato a mezze parole soltanto, scambiandosi accenni e commenti
fuggevoli
durante le notti infinite degli accampamenti e delle veglie notturne;
per il
resto ha sempre fatto finta di non sapere, perché fingere
d’ignorare era più
semplice che ammettere ad alta voce la sua indifferenza.
«Penso
che la cosa non mi riguarda.»
«Davvero?
Perché mi pare che sia stato tu a
menzionare Mipha, non io.»
Dall’altro
lato della stanza proviene un sospiro.
«Pensavo solo che sarebbe indelicato sbandierarle in faccia
la nostra felicità
coniugale, Link. Tutto qui. La cosa forse ti sorprenderà, ma
persino io sono in
grado di provare sentimenti di compassione e simpatia per
qualcuno.»
Non è
questa la cosa che lo sorprende, a dire il
vero. Link si tira a sedere di scatto nell’oscillare
dell’amaca. «Abbiamo una
felicità coniugale?» chiede, perché
quella notizia gli giunge totalmente nuova
e gli viene da chiedersi dov’è che ha trascorso le
prime settimane del suo
matrimonio. «E perché io non me ne sono
accorto?»
«Scemo»
lo rimbecca Revali. «Sai cosa intendo. E
poi, tecnicamente sto adornando casa mia come farei se tu fossi la mia
sposa in
dolce attesa per proteggerti dal freddo. Quindi evita di lamentarti e
accontentati. Hai deciso se ti senti più affine alle spose
incinte o ai bambini
piccoli, a proposito?»
Link decide che
considererà questa domanda come
retorica e si ritiene dunque esentato dal rispondere. Torna a
distendersi
sull’amaca che ancora oscilla pigramente nel buio. La
questione delle spose
incinte gli ronza in testa per un po’.
«Voi
Rito fate le uova?»
Il silenzio che
segue a questa domanda è talmente
lungo che Link teme che Revali non abbia sentito. Quando solleva il
capo per
cercare il suo sguardo nell’oscurità, i suoi occhi
sono enormi e spalancati al
di là del fuoco.
«Non ci
sei andato a scuola?» esala Revali come se
lo avesse mortalmente offeso.
Il che non
è poi una grossa novità, visto che
questo dannato Rito riesce a essere teatrale ai limiti
dell’inverosimile,
perciò Link risponde con sincerità senza darsi
troppo peso della sua reazione. «A
dire il vero no. Ho sempre seguito mio padre negli accampamenti da che
ho
memoria. Quindi?»
«Beh,
è già un miracolo che tu sappia scrivere,
allora» borbotta Revali rimettendosi al lavoro, ancora
piuttosto scandalizzato.
Non è ancora del tutto convinto di non essere stato offeso.
«Ho
detto negli accampamenti, non tra i cinghiali.»
«A
giudicare dalla tua ignoranza, il risultato
sarebbe stato lo stesso» conclude Revali.
«Comunque, ovviamente sì. Perché
questo improvviso interesse? Vuoi partorirmi il mio primogenito
maschio?»
Se glielo
chiedessero, Link non saprebbe spiegare
perché trova quest’immagine subitaneamente
divertente. Forse è l’idea del primogenito
maschio, altisonante come tutto quello che fa questo dannato Rito.
«Vuoi dare
avvio a una dinastia?»
Revali ride.
«Questa non sarebbe una cattiva idea,
ma non credo che sarei molto tagliato per i bambini, anche se quelli
degli
altri mi piacciono. E poi, ci ho rinunciato tanto tempo fa.»
«Come
mai?»
Cala il silenzio,
per l’ennesima volta. Stavolta,
però, Link non si solleva per guardarlo. Qualcosa nella
diversa qualità di quel
silenzio gli dice che è meglio parlarsi senza vedersi, per
adesso.
«Perché,
visti i miei gusti in fatto di partner…»
È
molto raro per Revali non terminare una frase. Le sue parole sfumano
nell’incertezza per un momento, poi si spengono; la sua voce
assume un tono
diverso quando riprende. «È strano, sai. Mi ero
fatto l’idea che anche per te
valesse lo stesso.»
Link si sente la
bocca stranamente asciutta quando
si rende conto che, ben celata in quell’insinuazione,
c’è una domanda che non
trova parole. Si schiarisce la voce. «Sempre parlando di
gusti in fatti di
partner, intendi.»
«Si
capisce.»
«Beh,
allora…» Non è che Link davvero ci
abbia mai
pensato: su questo Kagan ha ragione, pensa. Non ha mai neppure concesso
a se
stesso d’interrogarsi su chi gli piacesse, o su chi o cosa
volesse al suo
fianco, perché ciascuna di queste domande sarebbe stata come
sottrarre tempo ed
energie al compito che il destino gli ha assegnato, a Hyrule, a Zelda,
alla
Spada che esorcizza il male; perché non ha mai neppure
pensato di poter avere
del tempo da dedicare a qualcuno al suo fianco, soprattutto; e ora
d’improvviso
si ritrova a cercare quella risposta dentro di sé senza aver
mai neppure saputo
che quella risposta ci fosse o che fosse importante cercarla. Si
schiarisce la
voce, di nuovo. «Forse vale lo stesso anche per me.»
«Bene»
risponde Revali. «Sono contento che ci siamo
chiariti.»
«Anch’io»
risponde Link girandosi dall’altra parte
nell’amaca. «Buonanotte.»
Nessuno
dei due
reputa necessario sottolineare il fatto che fino a quel momento non era
stata
sollevata alcuna questione che necessitasse d’essere chiarita.
In queste settimane sono
stata presa da un furor scribendi tremendo: mi fermo al volo ad
aggiungere, in
fondo a questo capitoletto, i miei ringraziamenti ad An13Uta e a
LeVicomteDeBragelonne
per aver recensito o messo tra le preferite questa storia: grazie,
davvero, di
cuore.
Spero che possiate
leggere
questo capitolo nel pieno dei festeggiamenti di Pasqua, tra una fetta
di
colomba e un pezzo di uovo di cioccolata!
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