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Autore: Afaneia    28/03/2024    1 recensioni
Link viene condannato ingiustamente per alto tradimento.
Impa e i Campioni escogitano l'unico, folle piano possibile per salvarlo.
Succedono cose.
La mattina del terzo giorno Zelda è stata confinata nei suoi appartamenti dalle guardie e a Link è stato ricordato senza mezzi termini che, rifiutando un ordine diretto del re, rischiava la corte marziale. Senza scomporsi, Link ha pranzato con calma, ha indossato la divisa della guardia reale, ha congedato il suo attendente e si è seduto nei suoi alloggi ad aspettare che venissero ad arrestarlo; ha scritto qualche lettera, nel frattempo, e ha annotato delle idee sulle mappe che campeggiano da mesi sul suo tavolo da lavoro. Quando i soldati mortificati si sono presentati con l’ordine d’arresto, ha chiesto solo la cortesia di non essere ammanettato, ha deposto la Spada sul tavolo e li ha seguiti senza opporre resistenza.
Revalink, ovviamente.
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Impa, Link, Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Capitolo VIII – Consigli
Non si può non comunicare.
 Paul Watzlawick, Pragmatica della comunicazione umana.
 
Il mattino seguente, quando Link si sveglia, Revali non c’è. Non che questa sia una novità, ma stamani Link ne è quasi contento: non saprebbe cosa dirgli. Non sa neppure cosa pensare.
Attizza le braci aggiungendo un paio di ciocchi di legna per scaldarsi mentre si veste: fa freddissimo, e scostando appena le pesanti tende che coprono le finestre intravede la neve ancor più vicina sui monti di Hebra. Si scalda del latte e vi spezza del pane, ma gli viene la nausea dopo pochi bocconi. Lo lascia stare.
Si avventura fuori, nell’aria gelida nella quale il suo respiro si condensa appena uscito dalla sua bocca, per andare a trovare Kagan a proposito di quella lettera di cui gli ha parlato ieri. Lo trova in casa, appollaiato su una sedia a dondolo vicino al grande braciere centrale, che cerca di imboccare con la persuasione suo figlio più piccolo.
Link bussa sullo stipite della porta per annunciarsi. «Ehi. Disturbo?»
Tutto preso dal bambino che gli fa i capricci sulle ginocchia, Kagan alza gli occhi su di lui distrattamente, poi torna a posarveli con maggiore attenzione.
«Dipende» risponde. La sua voce vibra di una risata che non si sforza neppure di mascherare. «Se parlo con te, mi prometti che Revali non verrà a cercarmi stanotte per staccarmi la testa?»
Dunque dovrà farci i conti. Link decide che quell’affermazione è un invito a entrare e si pianta di fronte a lui con le mani sui fianchi. «Credevo che ieri avessero bisogno di te quando ci hai lasciati. Non eri andato a fare qualcosa di urgente tipo salvare il borgo? O sei rimasto a spiare la nostra conversazione per tutto il tempo?»
«Mi offendi, Link» risponde Kagan molto seriamente, asciugando pappa dal becco del suo bambino e da tutto il proprio petto. «Pensi che avrei mai origliato?»
In verità quella di Link era una speranza, perché l’alternativa è molto peggiore. Una parte di lui non vuole neppure porre la domanda che ne consegue. «Immagino di no. Quindi come hai saputo?»
«Mettiamola così» Kagan finge persino di cercare l’espressione più adatta per quasi un secondo. «Diciamo che, in tutto il borgo, nessuno avrebbe mai immaginato di sentire il grande Revali piazzare una scenata di gelosia in mezzo a un matrimonio. Neanche in un’altra occasione, comunque.»
È inutile girarci intorno. Link va a sedersi sul pavimento di fronte a lui, a gambe incrociate, alla maniera dei Rito, e domanda: «Quindi ne parla tutto il borgo?»
«Oh, non preoccuparti» lo rassicura Kagan gentilmente. «A quest’ora ne parleranno anche nel forte di guardia di Hebra. Derdran è ripartito stanotte.»
Link posa la fronte contro le ginocchia e rimane così per un po’. Per qualche minuto, il suono del bambino di Kagan che gorgoglia sputando cibo ovunque è l’unico che riempia la stanza.
«Ci hai parlato prima che ripartisse?»
«Con Derdran? Sì, certo. È venuto a salutarmi e a chiedere se ci fossero ordini.»
«Ti ha detto qualcosa?»
«Ha detto che Revali è pazzo e paranoico. Ma questa è sempre stata la sua idea su di lui, quindi non è che fosse chissà quale sorpresa.»
«E tu cosa ne pensi?»
Kagan fa una pausa, Link non riesce a capire se sia perché è troppo impegnato col bambino o perché sta raccogliendo le idee. «Quello che penso io è importante, dici?»
Link solleva la fronte dalle proprie ginocchia per guardarlo. «Te lo sto chiedendo, no?»
«Bene, allora. Penso due cose non necessariamente correlate tra di loro. Penso che Derdran fosse in cattiva fede e penso che Revali sia geloso matto di te. Tu che ne pensi, spiumino?» domanda affettuosamente al bimbo facendoselo ondeggiare sulle ginocchia. «Sei d’accordo con me, sì?»
Il bambino si spalma pappa ridendo su tutta la faccia lasciando al padre il compito d’interpretare la sua risposta. Link lo guarda per un po’. «Quello era un sì o un no?»
«Un sì, naturalmente» risponde Kagan con sicurezza pulendo la faccia del bambino con un tovagliolo che ha tutta l’aria di essere in servizio dall’inizio del pasto. «È mio figlio, quindi è logico che dia ragione a suo padre. Ma tu puoi dissentire, se vuoi. Mi prendi qualcos’altro per asciugarlo, per favore, visto che sei qui? Questo ormai peggiora solo la situazione.»
Link si alza e inizia a frugare in giro alla ricerca di un tovagliolo. È grato che Kagan glielo abbia chiesto, perché gli dà la possibilità di distogliere lo sguardo da lui per qualche secondo.
«Non lo sento dissentire» commenta Kagan dopo un po’, alle sue spalle, rivolgendosi al figlio. «Tu lo senti, spiumino?»
 «Revali ha detto che non vuole che mi tocchi qualcun altro» borbotta Link, lieto di poterlo dire senza guardarlo, colla faccia nascosta da uno stipetto nel quale sta frugando in una pila di tovaglioli ricamati per trovarne uno che faccia al caso suo.
A Kagan scappa una mezza risata. «Questo l’aveva reso abbastanza evidente a tutti gli invitati. Non c’era propriamente bisogno che lo spiegasse anche ad alta voce. Ma immagino che per Revali sia un notevole miglioramento dal punto di vista della comunicazione ammetterlo.»
Dopo aver esaminato tutti i tovaglioli un paio di volte, Link non può girarci intorno più di così. Ne prende uno, rimette a posto gli altri e si decide ad andare a porgerlo a Kagan e a fronteggiare il suo sguardo.
«Link.» La voce di Kagan, mentre pulisce il bambino, è dolce e rassicurante, del tutto priva di giudizio. «Che cosa sei venuto a chiedermi?»
«La lettera di cui mi parlavi» risponde Link debolmente.
«Se è tutto qui, puoi prenderla da te. È su quel tavolo. È meglio che io non la tocchi finché non mi sarò lavato le mani. Ti serve altro?» Link rimane immobile, allora Kagan sorride. «Bene. Allora immagino tu sia venuto qui perché speravi in un consiglio. Ho ragione?»
Nella sua vita Link non s’è trovato a chiedere molti consigli: la sua strada è sempre stata tracciata già da altri, prima di lui, forse da prima della vita del mondo, e a lui non è rimasto altro da fare che da seguirla. Ha vissuto una vita semplice, per quanto pericolosa; ma ora è diverso. Questo non riguarda più Hyrule né Zelda, né gli eroi del passato o la Spada che esorcizza il male: riguarda lui. «Forse sì.»
«Uhm. Beh, non è che tu sia capitato molto bene» risponde Kagan, sollevando il bambino per le ascelle per posarlo sul pavimento. Suo figlio è molto contento di questa interruzione, perché gattona sotto il tavolo e si mette a osservarli da lì col massimo interesse. Link non aveva neppure idea che i piccoli Rito gattonassero fino a questo momento. «Ancora non so neppure come ho fatto a convincere mia moglie a sposare me, e temo che Revali sia un po’ fuori dalla mia area di competenza… cioè, da quella di chiunque, in verità. Comunque, vediamo. Non mi hai ancora detto che ne pensi tu di questa storia.»
«Sono confuso» risponde Link senza pensarci neppure.
Kagan aggrotta la fronte. «Non l’avrei mai detto. Amico mio, dovrai fare uno sforzo d’introspezione un po’ più intenso di questo, se vogliamo andare da qualche parte, ti pare?»
Non ha tutti i torti, ma quello che prova Link non è neanche qualcosa cui sia così facile dar voce o parole. Link cerca dentro di sé qualcosa cui possa dar forma e nome così, di prima mattina, mentre Kagan si asciuga le mani e prende a rassettare la stanza.
«Mi ha fatto piacere che fosse geloso, in un certo senso. Ma mi spaventa anche, solo che non so perché.»
«Sforzati d’immaginarlo.»
Non ha bisogno di sforzarsi troppo. «Perché sarebbe complicato. Perché dobbiamo vivere insieme e, se le cose non funzionassero…»
«Per carità» lo interrompe Kagan. «Tutto molto giusto. Ma è proprio necessario immaginare che tutto vada male? Non potreste, che ne so, essere una coppia felice e innamorata come tutte le altre?»
«Va bene, allora… perché c’è la Calamità. Non posso permettermi distrazioni.»
Kagan si ferma bruscamente mentre si sta chinando per attizzare il fuoco. I suoi occhi si coprono di un velo per un istante mentre si volta a guardarlo con stupore come se lo vedesse per la prima volta.
«Giusto, la Calamità» mormora. Sembra star pensando ad altro: Link rimane immobile ad aspettare da lui una qualche epifania, anche se questo scettico capovillaggio è l’ultimo al mondo che sembra in grado di elargirne una. Kagan continua a rassettare per un po’ senza curarsi di lui: sta pensando.
«Link… io a questo finto matrimonio non ci ho mai creduto, ma questo lo sai già.»
«Sì, lo so.»
«So che lo sai… ma quello che credo o non credo io, per fortuna di tutti, non è molto importante. Tu provi qualcosa per lui?»
Link ha girato intorno a questa domanda per settimane da quando ha scoperto di aver cercato Revali nella lunga notte di Hebra, nella sua tenda, quand’era ferito. È stata dentro di lui per giorni: ha rifiutato di guardarla direttamente persino quando Revali gliene ha chiesto il motivo, perché guardarla avrebbe voluto dire ammetterne l’esistenza e questo lo imbarazzava e mortificava; se ha guardato ovunque tranne che verso quella domanda, è stato perché conoscerne la risposta avrebbe voluto dire esporlo al volere d’altrui persino in quell’unica parte di lui che è la sola a essergli sempre appartenuta e a non esser dipesa da altri mai. Ma è venuto da Kagan apposta perché gli facesse quella domanda ad alta voce e così lo costringesse a rispondere; e il cielo sa che questo capovillaggio avrebbe altro a cui pensare alla vigilia della minaccia che incombe su Hyrule che alle sue sciocchezze. Eppure ugualmente Kagan s’è tirato su le maniche e s’è messo ad ascoltarlo e a cercare di cavargli fuori qualcosa, qualsiasi cosa; non foss’altro che per questo, Link ora non può più permettersi di mentire.
«Forse sì» mormora.
Kagan batte le mani. «Ah! Siamo stati qui mezz’ora, e siamo approdati alla bellezza di un forse sì. Non sei un tipo facile, tu, vero?» Sentendosi un po’ in colpa, Link tralascia di rispondere. Kagan lo guarda con un sospiro molto più paziente di quanto Link senta di meritare da parte sua. «Lasciamo perdere. Ora che hai appurato che forse potresti essere attratto dal nostro Campione, che cosa hai in mente di farci con questa rivelazione? Perché presumo che tu non abbia neppure preso in considerazione l’idea che voi due potreste, non so… comunicare.»
Il giorno dopo il suo arrivo, a un certo punto, Link ricorda chiaramente, Revali gli ha detto di togliersi dalla faccia quell’espressione da cerbiatto smarrito, o qualcosa del genere. In qualche modo è certo che l’espressione di cui stava parlando sia quella che ha in faccia adesso, perché Kagan lo guarda per un momento con occhi colmi di pietà.  
«È la prima volta che provi qualcosa del genere?»
Link compie un gesto scomposto che è assieme una scrollata di spalle e un segno d’assenso. Kagan l’osserva in silenzio per un po’.
«Non ci hai mai nemmeno pensato, vero?» domanda gentilmente, a bassa voce. La sua voce ha assunto la stessa tenerezza di quando parla coi suoi figli: Link scuote il capo di nuovo, e Kagan, d’improvviso, gli appare tremendamente triste, come invecchiato di cento anni.
«Dunque è questo che abbiamo fatto a voi eroi, eh?» mormora. «Vi abbiamo riempito la testa con la storia della nostra salvezza e vi abbiamo convinto che voi non siete importanti, che venite sempre dopo di noi e della nostra meschinità; che tutto quello che apparteneva a voi solamente fosse qualcosa che avreste sottratto a noi…»
Link non sa subito cosa rispondere perché non ha mai sentito nessuno parlare così; ma l’amarezza delle sue parole tocca qualcosa dentro di lui che non ha sentito mai prima. Lo spaventa il fatto che suoni così vero, che nelle sue parole gli appaia per un attimo la prospettiva d’essere egoista, di poter sottrarre per un istante se stesso e i propri giorni al pensiero costante della Calamità. Non è quello che è stato insegnato a lui né a Zelda, né, per quanto gli è stato dato conoscere, a Revali.
Kagan tutto questo lo capisce, o forse lo legge nei suoi occhi: lo tocca sulla spalla con gentilezza.
«Link… non devi decidere adesso.» Una parte di lui è delusa da questa risposta, s’aspettava qualcosa di più definitivo, concreto, da parte sua; ma la verità è che Kagan ha ragione, ovviamente. «Forse devi prenderti un po’ di tempo per pensare a quello che vuoi. Lo hai mai concesso a te stesso?»
Dire di no è così imbarazzante che Link scuote il capo soltanto.
«Già, comincio a capire» commenta Kagan a bassa voce. «E forse neanche Revali lo ha fatto. Il che spiegherebbe molte cose, ora che ci penso. Perché non torni a parlarne con me tra qualche giorno, quando ci avrai pensato un po’?»
In qualche modo il suo congedo cortese lo esonera dal bisogno di guardare ancora in quella parte di sé che gli fa paura: Link se ne sente quasi sollevato. «Ti ho portato via già molto tempo con i miei problemi.»
Kagan allarga le ali gonfiando il petto. «Che ci vuoi fare? Essere il capo vuol dire anche questo. Non ci pensare troppo, però. Vedrai che tutto si aggiusterà da sé.»
«Non dirai a nessuno quello di cui abbiamo parlato oggi, vero?» chiede Link prima di uscire.
Kagan, che è già carponi sul pavimento a inseguire suo figlio, volta appena il capo sulla spalla per guardarlo. «A essere sincero, io racconto sempre tutto a mia moglie.»
Link comincia a nutrire il fondato dubbio che questo maledetto capovillaggio si stia divertendo un mondo a farlo impazzire. «Sai cosa intendo.»
«Davvero?» chiede Kagan alzandosi per guardare verso di lui. «Stranissimo. Non mi viene in mente niente.»
«Voglio dire» sibila Link, che sta cominciando a pentirsi d’essere uscito di casa un’ora fa e soprattutto di essere venuto qui. «Non lo dirai a Revali, vero?»
«Tranquillo» ribatte Kagan tornando a distendersi sul pavimento per raggiungere suo figlio che gattona via ridendo. «Non intendo fare il lavoro sporco al posto tuo e dire io a tuo marito che sei innamorato di lui. Prima o poi dovrai farlo tu.»
«Non sono…» protesta Link a mezza voce, ma Kagan si limita a guardarlo al di sopra della propria spalla come a sfidarlo a terminare la frase. Link decide di lasciar perdere ed esce senza sentirsene troppo convinto.
Per colmo di umiliazione, Kagan attende che abbia già attraversato la soglia per richiamarlo. «Ehi, Link. Non è che stai dimenticando qualcosa?»
Link rientra in casa sentendosi piuttosto confuso. Kagan sta indicando qualcosa su un tavolino con aria divertita.
«So che per te essere innamorato è un’esperienza nuova, ma potresti almeno fare finta di essere davvero venuto qui per quella lettera anziché per parlarmi di tuo marito, ti pare?»
Link afferra la lettera con le guance che gli bruciano. «Non ho mai detto di essere innamorato» dice stavolta.
«Davvero?» ribatte Kagan. «Da noi si dice che quando dimentichi le cose, o sei vecchio oppure sei innamorato. Mi rammenti quanti anni hai?»
Link decide di imboccare diplomaticamente la porta senza rispondere.
 
Ieri sera lui e Revali non hanno parlato oltre di quanto è successo: tutto sommato va bene così. Hanno cenato ai due lati del braciere, quasi senza guardarsi, e sono rimasti seduti in silenzio di fronte alle braci che si affievolivano, attorno al fuoco fin oltre l’ora d dormire, facendo finta che quello che era accaduto tra di loro non significasse niente perché nessuno dei due voleva affrontare oltre l’argomento per timore di guardarlo direttamente: dalle finestre schermate da tende e arazzi provenivano musiche e canti della festa di matrimonio che proseguiva, del tutto ignara di loro. Per un po’ è stato come fingere di non esistere: Revali s’è rimesso a lavorare al suo arco, metodicamente, come tutto quello che fa, e Link ha seguito i suoi gesti cogli occhi finché non s’è sentito appisolare, stranamente rilassato nel calore del fuoco. Revali lo guardava di tanto in tanto al di sopra del braciere.
«Dovresti dormire» gli ha detto sul tardi.
«Anche tu dovresti» ha ribattuto Link riscuotendosi dal sonno, e Revali ha sorriso solamente e ha risposto: «A me ci penso io. Tu vai a dormire.»
È stato gentile, certo; di una gentilezza un po’ assente, distante, perché non voleva parlare di quello che era successo e che lo mortificava troppo. Link non ha insistito: neanche lui voleva parlarne perché non avrebbe saputo che altro dire.
Non può evitarlo in eterno. Non intende neppure parlargli di quanto è venuto fuori nella sua conversazione con Kagan, naturalmente; ma che sia ora o stasera, prima o poi dovrà rivedere Revali e affrontare l’imbarazzo e la strana cortese distanza che quello che è successo porta con sé. Perciò Link torna a casa, getta sopra tutti i suoi vestiti il mantello più pesante che ha, infila la lettera in una delle sue bisacce e parte per il Volodromo.
Revali si sta allenando. Deve aver finito il suo nuovo arco, stanotte, e lo sta mettendo alla prova: ha gli occhi esausti, pesantemente cerchiati di scuro, e sta mirando ai bersagli disseminati sulla rupe del Volodromo come se dovesse far scontar loro tutti i peccati del creato. Che, a giudicare dal numero di frecce che Link coglie a colpo d’occhio senza riuscire a contarle, devono essere davvero tanti e particolarmente gravi.
Nel dubbio che Revali abbia qualche peccato da far scontare anche a lui, Link si ferma prudentemente a qualche metro di distanza a osservarlo librarsi nell’aria senza interromperlo.
Revali s’interrompe solo quando scopre la faretra vuota sollevando l’ala dietro di sé, ed è in quel momento che si accorge della sua presenza. Non se l’era aspettato: rimane interdetto per un istante, ma solleva ugualmente il mento in segno di saluto.
«Sei venuto» dice soltanto tornando ad abbassarsi verso terra. Sembra un po’ meno arrabbiato di pochi istanti fa, mentre volava.
«La cosa ti sorprende?» ribatte Link sorridendo mentre piega la paravela.
«A essere sincero, sì» risponde Revali. «Pensavo che ti fossi scoraggiato, l’altro giorno.» La verità, di cui sono consapevoli entrambi, è che Revali pensava che non sarebbe venuto per tutt’altro motivo; ma ancora, come ieri sera, nessuno dei due quella verità si sente di dirla ad alta voce; è troppo scomoda, imbarazzante, e porrebbe tra di loro qualcosa che nella loro situazione attuale non possono permettersi di affrontare.
«Vieni qui» aggiunge allora Revali facendogli cenno di avvicinarsi. Più per la sorpresa di sentirgli dir così che per altro, Link avanza verso di lui: Revali dà un’occhiata al di sopra della sua spalla e gli porge il suo arco. Link ne rimane talmente stupito che non tende neppure la mano per prenderlo. «Ah, bene… hai la faretra. Voglio vedere se era il tuo arco a essere il problema l’altro giorno. Prova questo. Beh?» chiede stupito porgendogli l’arco con più insistenza.
«Questo è il tuo arco Aquila» obietta Link scrutandolo con sospetto.
«Non ti sfugge niente come al solito» osserva Revali. «Senti, tu hai tutto il giorno? Perché io no, quindi muoviti.»
Link aggrotta la fronte. «Tu non permetti a nessuno di toccare il tuo arco. Ti ho visto minacciare di far degradare un soldato semplice solo per avertelo porto.» È vero che l’ha lasciato tenere ai bambini, la sera che sono arrivati al borgo; ma i bambini non contano, e non solo perché non sono neppure in grado di tenderlo, ma soprattutto perché Revali ha un debole per loro che non ammetterà mai.
«Davvero? Può essere» risponde Revali come se la cosa non avesse la minima rilevanza. «Allora immagino che me lo avesse porto senza prima chiedermi il permesso.»
«Non si possono neanche degradare i soldati semplici, tra l’altro. È implicito nel verbo stesso. Eri veramente arrabbiato.»
Revali gira gli occhi al cielo. «Ma senti. Ti rivelerò un segreto: non mi interessa cosa succede ai soldati semplici. Vuoi imparare a tirare come si deve oppure no?»
Link prova il forte impulso di fargli notare che come si deve, all’interno di questa conversazione, ha assunto minacciosamente il significato di come lui, ma decide di trattenersi, anche se ha la sensazione che l’unico tra i due che si stia sforzando di non litigare ogni santo giorno di questo matrimonio sia lui; comunque, va bene così. C’è tutta una parte della sua mente che non riesce a non ripensare a quello che ha detto Kagan: che forse, esattamente come lui non ha avuto molto tempo per pensare ai suoi sentimenti, quel tempo non è stato concesso neppure a Revali, e che s’è trovato coinvolto, esattamente come lui, in questa situazione che li avviluppa entrambi un po’ troppo da vicino senza possibilità di districarsene per guardarsi a vicenda né dentro. Lascia perdere. Si sfila di dosso le bisacce e lo scudo e prende in mano l’arco con la cautela che userebbe a un oggetto sacro. Revali si colloca alle sue spalle per osservarlo tirare; Link preferirebbe quasi che si allontanasse un po’ di più: dopo aver parlato con Kagan, per ignorare la vicinanza del suo petto dietro di sé deve sforzarsi un tantino più di prima. Si concentra sui bersagli per non lasciarsene distrarre.
Gli dispiace quasi che quell’arco non sia pensato per la sua statura e la sua struttura fisica. È l’arco più equilibrato, insieme maneggevole e potente, che gli sia mai capitato di provare: Revali osserva in silenzio i suoi movimenti mentre prende la mira e tira senza commentare, pensierosamente. Quando Link torna a porgergli l’arco dopo aver scoccato una decina di frecce, lo riprende con lentezza dalle sue mani come se ancora stesse riflettendo.
«È perfetto» gli dice Link onestamente, perché è quanto di meno possa dire dopo averlo provato. Ora gli è chiaro perché tutti al borgo parlano degli archi di Revali come della massima vetta raggiungibile dal loro artigianato.
Revali accenna quasi un sorriso. «Lo so già, ma grazie comunque. Quindi era davvero il tuo arco a fare schifo» aggiunge. «Tu non saresti così male a tirare.»
«Se questo è un tentativo di ricambiare il mio complimento, non sono sicuro che ti sia venuto bene» risponde Link senza offendersene troppo, perché probabilmente per Revali quello è davvero un complimento e dunque va preso per quello che è.
«È una constatazione» risponde Revali. «Il che prova comunque che avevo ragione io e che tu non sei irrecuperabile. Vuoi provare ancora ad allenarti con me?»
 L’altro giorno è stata un’esperienza terrificante e frustrante ai limiti dell’umiliazione e Link non ha mai desiderato tanto ucciderlo come in quel momento; gli viene quasi da ridere a quella proposta, perché anche Revali dovrebbe essersi reso conto che quell’allenamento non può portare da nessuna parte: si trattiene dal farlo, perché d’improvviso realizza che Revali ci sta provando esattamente come lui, seppure in modo diverso, a far funzionare le cose tra di loro; e forse questo è l’unico modo che conosca, insegnargli a tirare come lui. Che Revali lo ha salvato e adesso sta condividendo con lui tutto quello che possiede; non può farci nulla se tutto quello che possiede, esattamente come lui, sono i suoi allenamenti estenuanti e l’obbligo di difendere la sua gente: è quello che ha, e glielo sta offrendo. Non lo sta tenendo lontano da sé, quali che siano i suoi motivi. Anche questo non era tenuto a farlo.
«Metà giornata» propone.
Revali sembra trovare la sua risposta inaspettata ed egualmente divertente. «Spiegati.»
Link scrolla le spalle. «Per metà giornata io seguirò il tuo allenamento e per metà giornata tu seguirai il mio. Ci stai?»
Revali non risponde subito. Se la prende comoda: inizia a recuperare le frecce dai numerosi bersagli, dandogli le spalle; Link sente dalla sua silenziosa concentrazione che sta riflettendo.
Quando torna verso di lui, Revali gli porge le sue frecce e risponde: «Le giornate stanno diventando troppo corte. Un giorno a testa. Ci stai?»
Sembra ragionevole. Link prende le frecce che gli porge, è come stringersi la mano.
 
A sera, quando tornano a casa, c’è una piccola sorpresa. Di fronte all’ingresso sono posati dei curiosi pannelli rettangolari: Link ne solleva uno. Non ha mai visto niente del genere: è una leggera intelaiatura di legno su cui sono stati tesi enormi rettangoli di stoffa pesante cucita a maglie molto spesse, tutti di fantasie e colori diversi.
«Ah, ottimo» commenta Revali. A giudicare dalla sua voce, per lui non si tratta affatto di una sorpresa. «Domani dobbiamo tornare dal Volodromo un po’ più presto del solito, allora. Preferirei montarli con la luce.»
«Che cosa sono?» chiede Link esaminandolo tra le mani.
«Beh, mi sembra evidente.» Poiché deve trasparire dal suo sguardo che per lui tanto evidente non è, Revali sospira teatralmente per la sua ignoranza entrando in casa. «Pannelli per le finestre. Sono rimuovibili, così da non rinunciare del tutto alla luce, ma sono costruiti in modo da avere una sorta di camera d’aria all’interno, così da essere il più isolanti possibile. Non hai mai sperimentato gli inverni in questa zona, ma immagino che tu non ci tenga troppo a congelarti quel tuo culo secco, no?»
 Link ha sufficienti domande da fare da lasciar correre il riferimento al suo culo secco per qualche minuto. «Quindi sono… pannelli per isolare la casa dal freddo?»
«Esattamente come ho detto, sì.»
«E sono comparsi dal niente mentre ci allenavamo?»
«Sì. Crescono spontaneamente» risponde Revali. È una vera fortuna che il pannello che Link ha in mano sia troppo poco maneggevole per scagliarglielo addosso, ma Revali pare intuire quest’intenzione dal suo sguardo, perché si decide a spiegare. «Ieri durante il matrimonio sono andato a chiederli in prestito a degli amici che ormai hanno figli grandi e non ne hanno più bisogno. Sono stati gentili a portarceli già oggi.»
Probabilmente a Revali sembra d’esser stato chiaro, ma è solo una sua impressione. Link lo fissa senza capire per un po’, aspettandosi che a quelle parole ne facciano seguito altre più illuminanti; ma, poiché non arrivano, è costretto a indagare. «Mi sfugge il collegamento coi figli grandi.»
«Beh, non sono cose che usiamo abitualmente. Il freddo non ci dà fastidio come a voi» spiega Revali. «Se ci farai caso, nei prossimi giorni, vedrai che quasi nessuno li ha. Di solito li monta chi ha figli piccoli o spose in attesa. Puoi decidere a quale delle due categorie assimilarti, se ti fa piacere.»
«Un piacere indescrivibile» commenta Link, ma evita di mettersi a discutere, per una volta. Anche questo Revali non era tenuto a farlo: si è preoccupato che non abbia freddo. «Grazie, Revali. Davvero.»
Revali si stringe nelle spalle senza guardarlo. «Bah, non è niente di che. Non avrebbe avuto molto senso salvarti dal patibolo per farti morire assiderato quassù, no?»
No, probabilmente no.
Dopo cena, quando s’infila nell’amaca intiepidita da uno scaldaletto pieno di braci, Link si decide finalmente ad aprire la grossa busta che gli ha dato Kagan questa mattina. Gli spiovono in grembo vari fogli, tutti scritti in grafie diverse: Link cerca con lo sguardo quello di Mazli. È indirizzato a Revali, tecnicamente, perciò Link si schiarisce la voce.
«Ho scordato di dirti che Mazli ha mandato una lettera ed è riuscito a inviarci qualcosa anche da Impa e gli altri. Questa mattina sono andato a prenderla da Kagan. Sul biglietto di Mazli c’è il tuo nome. Vuoi leggerlo tu?»
Dall’altro lato della casa, appoggiato come al solito contro il muro, Revali si è rimesso al lavoro, come ogni sera. Non alza neppure lo sguardo su di lui. «Leggilo pure tu. Mazli sa che siamo sposati. Quello che è mio è tuo, eccetera.»
«Bastava dire che non ti interessa.» Link scorre rapidamente il biglietto con gli occhi: non dice nulla d’interessante. L’ambasciatore si limita ad augurarsi che stiano bene, che Kagan li abbia accolti come si deve e a informarli che non ha ricevuto ulteriori domande né visite da parte dei generali dell’esercito; per quanto ne sa, il suo congedo forzato permane tuttora. «Non scrive niente di nuovo, comunque. Ma non hai finito il tuo nuovo arco stanotte?» chiede mettendo da parte il biglietto.
«Certo che l’ho finito. Te l’ho fatto provare.»
Non è che Link sia poi eccessivamente interessato all’attività di artigianato di Revali, ma parlare così, dai due lati della casa, divisi dal fuoco, è stranamente rilassante. Ha qualcosa di domestico e confortante che non ricorda d’aver mai provato prima, persino quando discutono. Scorre gli altri fogli che ha in grembo: Pruna e Rovely gli hanno mandato appunti e schemi di alcune armi ancestrali che stanno sperimentando. Si sofferma a esaminare il disegno di un’armatura sotto cui Pruna ha annotato nella sua graziosa grafia piena di ghirigori: Con questa sembreresti un guardiano anche tu! Sbrigati a tornare. Devi provare un sacco di invenzioni! «E ne inizi subito un altro?»
Revali s’interrompe per un momento. «Lavorare mi rilassa. Qualcun altro ha scritto qualcosa di interessante?»
«Per ora no.» Per un po’, Link continua a leggere in silenzio: anche Zelda ha trovato il tempo di scrivergli, ma, forse per timore che la sua lettera potesse cadere in mani sbagliate malgrado l’immunità diplomatica che protegge la corrispondenza privata di un ambasciatore, ha evitato di scrivere alcunché di compromettente. Parla perlopiù dei suoi continui allenamenti, delle sue sfiancanti preghiere, e lo rassicura sul fatto che è al sicuro e protetta anche senza di lui. Perdona mio padre, c’è scritto soltanto in fondo alla lettera. Si accorgerà di aver sbagliato, più prima che poi. Non perdonarlo per lui né per me, perché nessuno di noi lo merita; ma per Hyrule.
La lettera più lunga è quella di Impa. La prima data che riporta, in realtà, è di pochissimi giorni successiva a quella del processo; ma ha continuato a scriverla a pezzi, per giorni e settimane, tornandovi sopra ogni volta che aveva un momento libero, nell’attesa di trovare qualcuno diretto al Borgo dei Rito cui affidarla per fargliela portare: anche spedire la posta, con l’avvicinarsi della Calamità, sta diventando sempre più difficile. Io e l’ambasciatore Mazli stiamo diventando sempre più amici, scrive a un certo punto, o per meglio dire lui viene spesso da me in preda alle sue crisi d’ansia. Credo che trovi la mia presenza rassicurante, per chissà quale motivo. Forse chiederò a lui quando pensa di scrivere al vostro capovillaggio per allegare questa lettera alla sua: non penso che me lo rifiuterà. Mi vede come se fossi la sua unica complice in una sorta di sanguinoso delitto che abbiamo commesso insieme. Il che, dal punto di vista di Mazli, è esattamente quello che è successo, considera Link sorridendo; ma la lettera continua per diverse altre pagine, forse perché Impa attendeva che Mazli si decidesse a spedire qualcosa a casa per porle termine.
Novità! C’è scritto nell’ultimo paragrafo. Urbosa ha scritto per avvisare che gli Yiga sono in subbuglio: sospetta qualcosa. Partiremo all’inizio del mese per raggiungerla sulle montagne per verificare la situazione e sferrare loro un attacco. La principessa, inoltre, deve recarsi a pregare nel Canyon di Tanagar: uniremo le due occasioni di viaggio. questo significa che dovremo comunque avvicinarci molto al Borgo dei Rito tra poche settimane. La principessa ha proposto che allunghiamo di un giorno il tragitto per venire a ringraziare personalmente il capovillaggio dei Rito di averti accolto: credo che voglia semplicemente vederti. So che non riuscirai mai a rispondere prima che partiamo anche se tu dovessi trovare qualcuno che viene verso la capitale, ma spero almeno che questa lettera ti raggiunga prima di noi.
Link interrompe la lettura per darne notizia a Revali: la novità pare destare un certo interesse persino in lui.
«La principessa vorrà accertarsi che io non ti abbia maltrattato troppo» commenta con un sorriso tornando al lavoro. «Molto bene. Avvisiamo Kagan, domattina. Vorrà prepararsi a riceverla.»
«Cerca di non attaccare lei e la sua scorta anche stavolta, piuttosto» risponde Link tornando a leggere. «Rischia di diventare un’abitudine.»
«Farò del mio meglio. Ci sarà anche Mipha?»
«Non penso. Urbosa è nella Cittadella, quindi forse i Campioni sono tornati…» Link s’interrompe bruscamente alzando gli occhi dalla lettera. Si è appena reso conto di qualcosa. «Perché Mipha?»
Revali solleva un pezzo di legno in direzione del braciere per osservarlo in controluce. «Così. Per chiedere.»
«Ma perché specificamente Mipha di tutti i Campioni?»
Revali sospira posando il legno per terra. D’improvviso sembra a disagio. «Andiamo, Link… lo sai il perché. Non farmelo dire ad alta voce.»
«Non è che, per caso, sei geloso anche di lei?»
È la prima volta che parlano di nuovo di quello che è successo ieri, anche se indirettamente: la domanda si sfilaccia tra di loro nell’aria della stanza come fumo. Per un attimo Link teme che Revali non risponda; ma poi, a bassa voce, fissandolo negli occhi al di sopra del fuoco, Revali dice a bassa voce: «È lei che è gelosa di me, Link. È troppo buona per ammetterlo mai, e sappiamo entrambi che non dirà mai niente… ma io so che quel giorno, quando ho detto che ti avrei sposato io, le ho dato un grande dolore.»
«Oh» mormora Link. Torna a distendersi con un braccio sotto la nuca, sfogliando la lettera di Impa per avere qualcosa da guardare che non sia Revali, e domanda: «Quindi suppongo che sia proprio evidente, se lo sai anche tu.»
«Lo dici come se io fossi talmente privo di empatia da non essere in grado di accorgermi dei sentimenti dei miei compagni» osserva Revali, ma non c’è amarezza nella sua voce. «Che Mipha è innamorata di te? Penso di non dirti niente di nuovo, Link. Certo che è evidente.»
«Che cosa ne pensi?»
Non l’ha mai chiesto a nessuno; lui e Impa ne hanno parlato a mezze parole soltanto, scambiandosi accenni e commenti fuggevoli durante le notti infinite degli accampamenti e delle veglie notturne; per il resto ha sempre fatto finta di non sapere, perché fingere d’ignorare era più semplice che ammettere ad alta voce la sua indifferenza.
«Penso che la cosa non mi riguarda.»
«Davvero? Perché mi pare che sia stato tu a menzionare Mipha, non io.»
Dall’altro lato della stanza proviene un sospiro. «Pensavo solo che sarebbe indelicato sbandierarle in faccia la nostra felicità coniugale, Link. Tutto qui. La cosa forse ti sorprenderà, ma persino io sono in grado di provare sentimenti di compassione e simpatia per qualcuno.»
Non è questa la cosa che lo sorprende, a dire il vero. Link si tira a sedere di scatto nell’oscillare dell’amaca. «Abbiamo una felicità coniugale?» chiede, perché quella notizia gli giunge totalmente nuova e gli viene da chiedersi dov’è che ha trascorso le prime settimane del suo matrimonio. «E perché io non me ne sono accorto?»
«Scemo» lo rimbecca Revali. «Sai cosa intendo. E poi, tecnicamente sto adornando casa mia come farei se tu fossi la mia sposa in dolce attesa per proteggerti dal freddo. Quindi evita di lamentarti e accontentati. Hai deciso se ti senti più affine alle spose incinte o ai bambini piccoli, a proposito?»
Link decide che considererà questa domanda come retorica e si ritiene dunque esentato dal rispondere. Torna a distendersi sull’amaca che ancora oscilla pigramente nel buio. La questione delle spose incinte gli ronza in testa per un po’.
«Voi Rito fate le uova?»
Il silenzio che segue a questa domanda è talmente lungo che Link teme che Revali non abbia sentito. Quando solleva il capo per cercare il suo sguardo nell’oscurità, i suoi occhi sono enormi e spalancati al di là del fuoco.
«Non ci sei andato a scuola?» esala Revali come se lo avesse mortalmente offeso.
Il che non è poi una grossa novità, visto che questo dannato Rito riesce a essere teatrale ai limiti dell’inverosimile, perciò Link risponde con sincerità senza darsi troppo peso della sua reazione. «A dire il vero no. Ho sempre seguito mio padre negli accampamenti da che ho memoria. Quindi?»
«Beh, è già un miracolo che tu sappia scrivere, allora» borbotta Revali rimettendosi al lavoro, ancora piuttosto scandalizzato. Non è ancora del tutto convinto di non essere stato offeso.
«Ho detto negli accampamenti, non tra i cinghiali.»
«A giudicare dalla tua ignoranza, il risultato sarebbe stato lo stesso» conclude Revali. «Comunque, ovviamente sì. Perché questo improvviso interesse? Vuoi partorirmi il mio primogenito maschio?»
Se glielo chiedessero, Link non saprebbe spiegare perché trova quest’immagine subitaneamente divertente. Forse è l’idea del primogenito maschio, altisonante come tutto quello che fa questo dannato Rito. «Vuoi dare avvio a una dinastia?»
Revali ride. «Questa non sarebbe una cattiva idea, ma non credo che sarei molto tagliato per i bambini, anche se quelli degli altri mi piacciono. E poi, ci ho rinunciato tanto tempo fa.»
«Come mai?»
Cala il silenzio, per l’ennesima volta. Stavolta, però, Link non si solleva per guardarlo. Qualcosa nella diversa qualità di quel silenzio gli dice che è meglio parlarsi senza vedersi, per adesso.
«Perché, visti i miei gusti in fatto di partner…» È molto raro per Revali non terminare una frase. Le sue parole sfumano nell’incertezza per un momento, poi si spengono; la sua voce assume un tono diverso quando riprende. «È strano, sai. Mi ero fatto l’idea che anche per te valesse lo stesso.»
Link si sente la bocca stranamente asciutta quando si rende conto che, ben celata in quell’insinuazione, c’è una domanda che non trova parole. Si schiarisce la voce. «Sempre parlando di gusti in fatti di partner, intendi.»
«Si capisce.»
«Beh, allora…» Non è che Link davvero ci abbia mai pensato: su questo Kagan ha ragione, pensa. Non ha mai neppure concesso a se stesso d’interrogarsi su chi gli piacesse, o su chi o cosa volesse al suo fianco, perché ciascuna di queste domande sarebbe stata come sottrarre tempo ed energie al compito che il destino gli ha assegnato, a Hyrule, a Zelda, alla Spada che esorcizza il male; perché non ha mai neppure pensato di poter avere del tempo da dedicare a qualcuno al suo fianco, soprattutto; e ora d’improvviso si ritrova a cercare quella risposta dentro di sé senza aver mai neppure saputo che quella risposta ci fosse o che fosse importante cercarla. Si schiarisce la voce, di nuovo. «Forse vale lo stesso anche per me.»
«Bene» risponde Revali. «Sono contento che ci siamo chiariti.»
«Anch’io» risponde Link girandosi dall’altra parte nell’amaca. «Buonanotte.»
Nessuno dei due reputa necessario sottolineare il fatto che fino a quel momento non era stata sollevata alcuna questione che necessitasse d’essere chiarita. 
 
In queste settimane sono stata presa da un furor scribendi tremendo: mi fermo al volo ad aggiungere, in fondo a questo capitoletto, i miei ringraziamenti ad An13Uta e a LeVicomteDeBragelonne per aver recensito o messo tra le preferite questa storia: grazie, davvero, di cuore.
Spero che possiate leggere questo capitolo nel pieno dei festeggiamenti di Pasqua, tra una fetta di colomba e un pezzo di uovo di cioccolata!
   
 
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