CAP.3
BELLA
«Forse
ho scelto il corso sbagliato Alice … non lo so, è
che mi sembra di non capirci niente!» sbotto osservando i
numeri totalmente diversi che leggo tra il libro e il mio notes. In
quest’ultimo c’è lo svolgimento di uno
dei tanti esercizi di statistica su cui sto scervellandomi da un ora e
mezza, sull’altro c’è il risultato. Tra
i due, ovviamente, non c’è la minima assonanza.
«Ma no
che non capisci! E’ semplice. Dovevi applicare il metodo
Holt-Winters stagionale, e non quello classico.» Alice si
è proclamata pazientemente mia insegnante. La osservo mentre
si alza dal letto, viene alla mia scrivania e scribacchia velocemente
sotto il mio scritto. Schiocca la lingua tra i denti, posa la matita e
ritorna ad acciambellarsi sul suo letto.
Sono nella camera
sua e di Jasper.
E’
ampia, luminosa e calda. Alice ha predisposto un angolino in cui ha
sistemato una bella scrivania in mogano affinchè possa
studiare con tranquillità. Osservo ancora gli intarsi dei
cassetti. E’ tirata a lucido, ma si vede che è
usurata. Credo che sia un pezzo di antiquariato. Solo in casa Cullen
poteva capitare di studiare su un pezzo d’epoca.
Sospiro
rassegnata e leggo la bella grafia di Alice sotto i miei scarabocchi
nervosi. In pochi secondi ha riscritto in due passaggi un esercizio per
il quale avevo impiegato due pagine di blocco notes, quaranta minuti
della mia vita e tutta la mia pazienza.
Aggrotto la
fronte e mi volto verso di lei «Alice, io sono stufa
… non ce la faccio più!» Le ore di
studio sono quelle che passo lontano da Edward. E sono quelle
più lunghe. Alice afferma che se c’è
lui nei paraggi non riesco a concentrarmi. Dunque in queste occasioni
lui va a caccia ed io vado incontro all’esaurimento nervoso
studiando in un corso universitario praticamente incomprensibile.
Capisco perché sia il top.
E’ difficile, i professori sono esigenti e le materie sono
varie. Non puoi essere solo bravo in matematica, o in diritto e
passarla liscia. Si spazia dalla statistica alle strategie di marketing
… E la chiave di tutto sta in una sola parola:
versatilità.
Nel primo giorno
di college ho capito che tra la maggior parte degli studenti
c’è una sorta di concorrenza spietata.
Un laureato all’Mba
della Tuck ha un futuro assicurato, e nessuna delle
persone lì presenti è disposta a regalare
quell’occasione ad altri. Con il trascorrere dei giorni ho
visto allievi calpestarsi gli uni con gli altri per poter brillare agli
occhi di un professore, per poter essere riconosciuti tra i tanti, per
poter essere additati come esempi. Il servilismo è tale da
essere disgustoso e molti professori lo incoraggiano:
c’è chi si fa portare in aula la borsa, chi il
caffè, chi gli appunti. C’è addirittura
un professore che sceglie uno studente al giorno da nominare come suo
segretario personale.
Ma per ogni cosa
che ha dei lati negativi, ci sono anche gli aspetti positivi.
E per me
quell’aspetto si chiama Eric Jensen.
“La
prima materia che mi ero trovata a seguire il primo giorno di college
era stata –Fondamenti di economia e statistica- Prof. Collin:
tipo tozzo, bassino con gli occhialini dorati … era stata
antipatia a prima vista. Un po’ per la materia, un
po’ per la persona che evocava in me tristi ricordi (*), durante
l’intervallo ero quasi sul punto di alzarmi ed uscire. Poi,
la ragazza al mio fianco mi aveva rivolto la parola.
«Ehm,
ciao. Io sono Helèna Roberts » aveva detto
timidamente. Avevo risposto altrettanto timidamente: «Bella
Swan» Non c’era una ragione particolare che mi
avesse spinta ad usare il mio cognome da nubile, ma per 19 anni ero
stata Bella Swan.
Avevo
ancora troppa poca confidenza con Bella Cullen da poterla presentare
agli altri senza problemi …
Helèna
mi era risultata subito simpatica e avevamo preso a chiacchierare
mentre andavamo alla toilette, facendo trascorrere quasi tutto
l’intervallo. Avevo così scoperto che viveva nel
dormitorio femminile , che era fidanzata con un certo Paul e che era
originaria del Sussex.
Di
ritorno dalla toilette mi ero fermata in corridoio dinnanzi alla
bacheca degli annunci. Avevo notato delle offerte di lavoro ed ero
intenzionata a rispondere ad alcune di queste, nonostante
già immaginassi la faccia che avrebbe fatto Edward
… Stavo prendendo nota dei numeri di telefono,
quando una voce maschile e un po’ roca richiamò la
mia attenzione: «Scusa, sai indicarmi l’aula magna
per favore?»
Mi
ero trovata a fissare gli occhi più azzurri che avessi mai
visto, in un viso niente affatto lineare, ma anzi un po’
spigoloso e asimmetrico. Il naso era leggermente deviato a sinistra,
come se si fosse scontrato con un pugno o qualcosa del genere, ma
quello che mi colpì fu l’espressione degli occhi:
cordiale, aperta e amichevole. Quel ragazzo dimostrava una trentina
d’anni, era vestito in maniera sportiva e si capiva che era a
disagio, che il suo ambiente naturale era l’aria aperta, non
un’aula universitaria polverosa.
Avevo
indicato la direzione con la mano destra, mentre dalla sinistra la
penna ed il foglietto su cui stavo scrivendo cadevano a terra. Intanto
che mi chinavo per raccoglierle e lo stesso faceva lo sconosciuto,
finimmo per far scontrare le nostre teste e a scusarci
contemporaneamente. Con un sorriso gentile, mi aveva allungato penna e
foglio. Ma all’ultimo secondo mi aveva galantemente preso per
il polso e, fatto un baciamano fulmineo, era andato via. Ero rimasta
così, ferma ed imbambolata per un minuto intero, prima che
la mia nuova amica mi riscuotesse per entrare in aula.
Ed
era lì che avevo rincontrato lo sconosciuto. Uno sconosciuto
che sotto il mio sguardo allibito si era accomodato sulla grande
scrivania dinnanzi alle nostre poltroncine, lasciando andare una gamba
penzoloni mentre con gli occhi ci osservava prendere posto.
Uno sconosciuto che presto non fu più tale, ma che si
presentò come Eric Jensen, professore di Economia gestionale
delle industrie.
Assistere
alla sua lezione si dimostrò illuminante. Con
semplicità e professionalità seppe catturare, in
pochi minuti, l’attenzione di quattrocento paia di occhi ed
infondere l’entusiasmo per la sua materia anche in una
profana come me. Parlava con passione senza usare terminologie
difficili, ma con un carisma ed una proprietà di linguaggio
invidiabili. A fine lezione fece passare dei fogli tra i banchi.
«Vorrei
che ognuno di voi rispondesse alla domanda che gli è
capitata in non più di cinque righe. Mi riconsegnerete il
foglio domani. Grazie per l’attenzione.»Ed aveva
lasciato l’aula. Avevo osservato perplessa il mio foglio. La
mia domanda era: -Perché sono qui?-
Fu
solo grazie al lui se quel giorno decisi che, forse, non era poi tanto
vero che il college non faceva per me. ”
«…
ti va Bella?» la voce di Alice mi riporta alla
realtà.
Scuotendo il capo
mi volto verso di lei che mi guarda con un sorrisino furbo.
«Scusa
Alice. Ero sovrappensiero. Dicevi?» le dico
sbattendo le palpebre.
«Dico
che sei troppo stressata. E che hai bisogno di divertirti. Di
divertirti CON ME. Ecco cosa dico.» ammicca compiaciuta come
se avesse appena dipanato un oscuro mistero.
Divertimento per
Alice equivale solo ad una cosa, una cosa che, invece, a me non
va affatto. Le lancio un’occhiataccia. Lei non
accusa per niente il colpo, anzi alza gli occhi al cielo e comincia a
scuotere la testa.
«Ah no!
Niente storie, niente scuse, niente rifiuti!!» dice facendo
aria con la mano. Dal tono della sua voce direi che oggi non
riuscirò a spuntarla.
« E
quasi dimenticavo …» comincia, ma io la interrompo
subito.
«Lo so,
lo so. SCARPE COMODE!!!!» Finisco io per lei esasperata.
Mi guarda per un
istante con gli occhi vitrei. Poi si riprende e mi regala un sorriso
abbagliante dicendomi: «E’ del tutto irrilevante
… tanto per quello che dobbiamo fare, non ha importanza cosa
calzerai ora!!!»
EDWARD - Winter
song - Sara Bareilles & Ingrid Michaelson
«Ti
prego, dimmi ancora come hai fatto a convincermi a venire
…» Jasper sussurra da sopra la mia spalla, mentre
siamo in fila al botteghino per pagare gli ingressi e ritirare gli
equipaggiamenti. La sua voce è ancora più flebile
dei mormorii che siamo soliti scambiarci in famiglia.
«Caspita
Jazz, non bisbigliarmi all’orecchio come se stessi per
svenire, altrimenti ci prendono per fidanzati!» gli rispondo
alla velocità della luce.
Scusa, scusa … e che
… lo sai, non mi sento a mio agio a stretto contatto con gli
umani … Mi dice allora con i suoi pensieri.
«Ringrazia
tua moglie allora. Lei ha costretto me. Io costringo te. E’
semplice.» Gli dico a denti stretti.
Che diavolo avete da borbottare
voi due? Bella si sta preoccupando. Alice, un cappottino
grigio, sciarpa, guanti e cappellino di lana con tanto di pallina tutti
di colore arancio, richiama la mia attenzione con la parolina magica.
Mi volto verso di loro, che attendono fuori dalla fila di persone
accalcate in cui ci troviamo noi, e stendo le labbra in un sorriso
apparentemente tranquillo. Lo stesso fa Jasper che segue ogni mio
movimento intensamente. In più aggiunge un salutino con la
mano, muovendo le dita come se stesse facendo asciugare lo smalto.
Sembriamo
proprio due innamorati.
Bella sorride a
sua volta poco convinta. La osservo, anche lei infagottata in un
cappotto nero con dei pon-pon bianchi al posto dei bottoni, sciarpa,
cappello e guanti rosa. Come noi non sembra entusiasta della trovata di
Alice, la quale, invece, zampetta al suo fianco come se non riuscisse a
stare ferma. Patologico per un vampiro, per il quale
l’immobilità è
un’inclinazione naturale. Ovviamente non per lei.
Mi ha convinto ad
accompagnarle con due semplici parole. Con quelle paroline magiche con
cui sa che potrebbe farmi fare qualunque cosa: è per Bella.
Non sono stato
lì a chiedermi se era il caso, se era pericoloso o se era
giusto. Era per Bella. Non era necessario aggiungere altro.
«E se
casco?» Jasper mi soffia ancora nell’orecchio.
«Jazz,
sei un vampiro! Come diamine fai a cascare?!!» sibilo verso
di lui cercando di contenere la voce al minimo.
Il ragazzo
davanti a me lancia un’occhiata alle sue spalle, verso di
noi, perplesso.
Lo guardo
freddamente. Si rigira come se avesse preso la scossa.
Intendo se non riesco a
trattenermi, se aggredisco qualcuno … pensa
chiarendo meglio il concetto.
«Per
uno che modula gli stati d’animo, mi sembri un tantino troppo
agitato …» faccio io cominciando a sussurrare come
lui. Me ne accorgo e mi raddrizzo immediatamente, liquidando il
discorso con uno: «Stai tranquillo. Alice ci avrebbe
avvisati.»
Siamo, intanto,
arrivati davanti alla cassa. Una ragazza con una divisa azzurra mi
guarda attenta. Mi preparo, un po’ seccato, a ricevere i suoi
commenti mentali gratuiti e, invece, mi accorgo che i suoi occhi si
fissano sbalorditi su Jasper che fa capolino da dietro la mia spalla.
Deve aver percepito lo stato d’animo della ragazza. Alzo gli
occhi al cielo. Per una volta non mi ritrovo ad essere io
l’oggetto degli apprezzamenti di giovani – ma anche
meno giovani! – donne.
Sfortunatamente,
però, in questo caso.
Perché
se io posso, in qualche modo, nascondere la cosa a Bella, lo stesso non
può fare Jasper con Alice.
Il viso della
cassiera si apre in un sorriso che parte da un orecchio e raggiunge
l’altro, mentre non stacca gli occhi da Jazz.
Cristo, ma questo da dove
è uscito? Mamma quanto è figo … sembra
un leone. Vorrei essere la tua gazzella, bel leone …
I pensieri della giovane stanno pericolosamente degradando.
Mi schiarisco la
voce e cerco di interrompere il contatto visivo tra i due spostandomi
su un piede per coprire Jazz con la mia testa, prima che sia troppo
tardi: «Quattro ingressi, per favore».
La
“gazzella” , che evidentemente ha lo spirito della
giraffa, allunga il collo dal lato opposto a dove
c’è il mio viso e cerca quello di Jazz dietro di
me. Lo trova e sorride di nuovo, questa volta gli fa anche gli occhi
languidi. Non ho bisogno di girarmi per sapere che anche lui ha
accennato un mezzo sorriso. E’ un vampiro, ma è
pur sempre un uomo.
«Smettila!»
dico fra i denti a Jasper, poi, rivolto alla tipa: «Ehm,
signorina …? » cerco di riscuoterla dal torpore in
cui sembra essere caduta. Sbatte le palpebre raddrizzando le spalle e
mi guarda fugacemente: «Sì, sì
certo.»
Quattro?! E’fidanzato,
lo sapevo … magari potrei allungargli il numero di telefono,
chissà potrebbe chiamarmi lo stesso …
La ragazza comincia ad arrampicarsi sugli specchi e non allontana gli
occhi da lui, mentre stacca i ticket . Leggo nella sua mente
l’importo e preparo già la cifra giusta, in modo
che non sia “costretta” ad attardarsi a cercare di
racimolare il resto.
Simpatica la cassiera eh?
Pensa Jazz che non sembra capire di star giocando con il fuoco.
«Sono
quarantatre dollari e ottanta.» E appoggia il mento sul palmo
in attesa, preparandosi a gustare il prossimo minuto divorando mio
fratello con gli occhi. Non si è accorta che le banconote
sono già sotto il suo naso.
«Prego»
faccio io, lievemente infastidito facendo un cenno con una mano verso i
soldi e ritirando i ticket con l’altra. Non mi dà
fastidio la
situazione in sé, ma non mi sento a mio agio sapendo che
Alice è a quattro passi da noi, e che non è
assolutamente una persona convenzionale. Anzi, mi stupisco di non
sentire ancora i suoi pensieri. Brutto segno …
Quando la tipa
abbassa lo sguardo e comincia a raccogliere le banconote, mollo una
bella gomitata al mio caro fratello.
Alla successiva
occhiata della cassiera la scena che si presenta ai suoi occhi
è davvero comica. Jazz è appoggiato alla mia
spalla con un braccio e con l’altro si tiene lo stomaco.
Cerca di mantenere il suo savoir-faire
con un sorriso plastico stampato sul volto, ma se potesse
farlo starebbe sudando freddo.
La ragazza ci
guarda interrogativa, poi, saettando con lo sguardo dall’uno
all’altro chiede: «E’…
è tutto ok?»
«Sì,
non si preoccupi. E’ che siamo un po’ di fretta. Ci
stanno aspettando.» rispondo candidamente.
Annuisce con il
capo, ma non sembra per nulla convinta. «Che
numeri?» chiede.
«36,
38, e due 44» rispondo pronto.
Adesso vi do io una bella
lezione … Riesco a percepire appena questo
pensiero che, evidentemente è sfuggito al controllo di
Alice.
Bruttissimo segno
…
Rapidamente
divido l’ingombro tra me e Jasper e cerco di farmi strada
lontano dalla fila, ma non riesco a fare in fretta come vorrei
perché siamo troppo accalcati. Sento allora la voce di mia
sorella più alta di un’ottava che fa voltare quasi
tutte le teste presenti, ivi compresa quella della cassiera:
«Ehi piccioncini, volete sbrigarvi? A casa avrete tutto il
tempo di dilungarvi in coccole ed effusioni …» e
così dicendo mi libera le mani dall’
equipaggiamento.
Mi metto una mano
tra la fronte e gli occhi e con l’altra afferro il giubbotto
di Jasper trascinandolo con me, prima che Alice ci dia il colpo di
grazia.
Ho appena il
tempo di ascoltare l’ultimo pensiero malinconico della
gazzella: lo sapevo,
dovevano per forza essere dell'altra sponda …
Lancio uno
sguardo infuocato al folletto che ci guarda con aria di sfida e
raggiungo Bella che sta aspettandoci seduta su una delle
tante panche disposte nella sala d’attesa.
Ci prepariamo in
pochi minuti.
In fine,
varchiamo l’ingresso del Polar Rink, una delle piste di
pattinaggio su ghiaccio più grandi d’America.
(*)
liberamente tratto da My New Moon! Spero che chi di dover capisca il
tributo che le ho fatto usando il nome Collin … ma dove sei
finita?!!!
NOTA
DELL’AUTRICE: Allora … scagli la prima pietra chi
è senza peccato! Chi per una volta nella vita non si
è fatta ammaliare dal proprio professore belloccio!!!!
Tranquille, non è una cotta, diciamo che è una
profonda ammirazione … capirete in seguito.
Per
quanto riguarda il cappy, mi dispiace essermi dovuta fermare, ma per il
pattinaggio aspettiamo il prossimo capitolo, altrimenti questo
diventava di 20 pagine. The
Polar Rink esiste (qui,
un'altra immagine) . E’ a NY, che non è
molto distante da Hanover, se si considera anche la guida fuori dai
limiti dei nostri Cullen.
Date
un’occhiata al video del link musicale, ho preso un certo
spunto da lì …!
Vi
devo ringraziare tanto. Grazie per aver inserito questa storia tra
preferiti e seguiti. E grazie per i commenti *-*.
Alla
prossima!!!
M.Luisa
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