Di
riflesso
LONDRA,
DIPARTIMENTO AUROR
“Signore,
desiderano vederla.” Ron Weasley si rivolse educatamente al suo
superiore senza mostrare la confidenza che dodici anni di
frequentazione avevano creato.
James
alzò appena gli occhi dal fascicolo, domandando chi fosse a chiedere
di lui.
“Claire
Minus.” riuscì a dire Ron a voce così bassa da essere quasi
inudibile. Sapeva cosa quel cognome significasse per la famiglia di
Harry.
L'espressione
di James cambiò immediatamente, divenendo scura.
“Vai
a chiamare Sirius, dovunque lui sia deve essere qui ora. ” ordinò
James, sbattendo le carte sulla scrivania di mogano.
Ron
scattò immediatamente.
“Ron-
aggiunse James, con un tono decisamente più amichevole e un mezzo
sorriso- falla entrare.”
Si
mise le mani dietro la schiena ed inspirò, passeggiando per la
stanza.
Perchè
mai la madre di Peter era venuta a far visita a lui? Voleva forse
implorare che lui usasse tutta la autorità della sua posizione per
evitare al figlio il Bacio del Dissennatore?
Se
anche avesse potuto evitarlo, l'avrebbe fatto? Sì, quello l'avrebbe
fatto.
Ma
poteva davvero fare qualcosa lui o spettava tutto al Wizengamot?
Mentre
pensava, vide Claire Minus entrare a piccoli passi nel suo studio.
Ricordava
una donnetta rubiconda, con i capelli biondo miele e un sorriso
disponibile. Gli si presentava davanti una signora di circa
settant'anni, smagrita, pallida e rugosa. Stanca, in una sola parola.
Per
un momento soltanto pensò che si trovava davanti alla madre di colui
che aveva scelto deliberatamente di ucciderlo. Per un altro istante
pensò che fosse solo una donna di settant'anni.
Guardandola
negli occhi ed indicandole la poltroncina però, pensò solo che
fosse colei che più di tutti aveva sofferto.
“Grazie
per avermi ricevuto, James.” gli disse, accennando un mezzo
sorriso.
James
annuì e le chiese se gradisse una tazza di tè, lei rifiutò.
James,
a mani in tasca, perlustrava l'intera stanza percorrendola
interamente.
“Stai
aspettando forse Sirius, James?” chiese acutamente la signora
Minus. Se li ricordava, James e Sirius. Uniti, più che uniti.
“Non
volevo imbarazzarla.” si scusò James, sedendosi di fronte a lei.
“Ne
sono sicura. E capisco se vuoi aspettare Sirius. So benissimo cosa la
mia visita possa smuovere in te.”asserì, senza far caso alle scuse
borbottate di James.
Claire
Minus volle aspettare che Sirius Black facesse il suo roboante
ingresso nell'ufficio di James Potter prima di spiegare che cosa la
portasse lì.
Attese
che Sirius smettesse di ringhiare e prendesse silenziosamente posto
alla sua sinistra.
“Prego,
signora Minus.” James la invitò a parlare.
Claire
Minus raccontò di come le fosse stato comunicato che il Wizengamot
intendeva processare suo figlio per la strage di Quethiock sulla base
di nuove prove emerse.
Sirius
faticò a tacere e rimase zitto solo in seguito alla brutale occhiata
che gli rivolse James: terrorizzare ed insultare la madre di Peter
non avrebbe portato a nulla.
“Lo
sappiamo, signora, queste prove sono giunte anche in ufficio. Ho
controllato personalmente i registri.” disse James.
“E
lo credete colpevole? Ho parlato con lui e mi assicura di non avere
niente a che fare con Quethiock...” stava dicendo la donna, senza
farsi intimorire dagli sguardi pressanti dei due uomini a cui suo
figlio aveva rovinato la vita.
Claire
Minus non giustificava suo figlio Peter per quello che aveva scelto
di fare. A prescindere dalla sua decisione di farsi Mangiamorte, lui
aveva tradito a sangue freddo i suoi amici, condannandoli a morte.
No,
Claire Minus non poteva comprenderlo. Poteva soltanto, a distanza di
anni, cercare di stargli vicino, nonostante tutto e garantirgli
giustizia.
“Suo
figlio era un Mangiamorte, signora. Mi spiace ricordarglielo e anche
quasi ammazzato Lily e James...” grugnì Sirius.
“Sirius,
per favore. Falla parlare, almeno.” lo zittì James.
“No,
James. Sirius ha ragione. Mio figlio vi ha consegnati a
Voi-Sapete-Chi. A sangue freddo. Sarà anche stato terrorizzato, avrà
anche avuto paura e per questo ha scelto di unirsi a loro, ma quando
gli è stato proposto di essere il vostro Custode Segreto ha
accettato. Più che consapevole di quello che stava per fare, io
credo. Non lo si può giustificare più tanto e non è mia intenzione
farlo. Chiedo solo che sia fatta giustizia anche in questo caso:
Peter dice di non essere coinvolto. E io gli credo. Ho scelto di
farlo. Non gli ho parlato per anni, è stato difficile per me
iniziare ad andarlo a trovare ad Azkaban... questa volta ho scelto di
credergli. Ho visto la disperazione nei suoi occhi al solo sentire
parlare del Bacio. E' il mio unico figlio, non so se perderlo mi
aiuterebbe a farmi una ragione di tutto quello che è successo.”
fece una pausa. James pensò a quello a cui pensava spesso negli
ultimi giorni.
L'idea
di un uomo, di un essere umano, di una persona che era stata sua
amica privata della sua anima.
Sirius
invece, riflettè sul fatto che quel vigliacco di Peter, con o
senz'anima, avrebbe passato il resto della sua misera vita a chiedere
pietà, senza farsi carico delle sue responsabilità.
“Vorrei-
riprese- Vorrei che voi indagaste e cercaste prove a sostegno della
sua innocenza. So che vi chiedo una cosa molto impegnativa,
soprattutto per via di quello che è successo e capirò se rifiutate.
Ma vi prego, fatelo in nome della Giustizia. E' l'unica cosa a cui
posso appellarmi.”concluse, guardando negli occhi sia James che
Sirius.
Nessuno
parlò.
Sirius
si alzò per primo.
Quella
donna, nonostante tutto, amava ancora suo figlio. Era naturale che
fosse così, disse.
“Le
faremo sapere.” promise James indicandole la porta.
“Non
posso promettere nulla.” precisò.
“Lo
so- annuì Claire Minus- E sono anche consapevole di quello che vi ho
chiesto.” disse, accompagnando la porta.
James
si buttò sulla poltrona e Sirius lo guardò, da in piedi.
“Che
pensi di fare, James?”
“Non
ne ho idea.” rispose, stanco.
MORTON-ON-SWALE
Daniel
osservava le espressioni corrucciate di Jacob, mentre le sue dita si
infilavano tra le pieghe delle corde della chitarra. Le falangi
chiare e sottili di Jacob non presentavano nessuno dei tanti calli
che Dan aveva pronosticato e sperimentato sulla propria pelle.
Il
suono emesso dallo strumento era stentato, a singhiozzi e singulti.
Era chiaro che Jacob non si fosse esercitato.
Dan
non disse niente e lasciò che terminasse l'esercizio che gli aveva
affidato.
“Ok-
disse, quando Jacob posò la chitarra e si voltò a guardarlo in
attesa del giudizio- direi che per oggi può bastare.” sospirò.
Avrebbe voluto insultare quel ragazzino che sembrava solo fargli
perdere tempo, considerando che non si esercitava. Stava per farlo,
quando incontrò gli occhi speranzosi di Jacob e, allora, si chinò
per terra e tirò via dalla custodia della sua chitarra dei fogli
scritti a metà o impiastricciati d'inchiostro infilandoseli in una
tasca dello zaino.
“Direi
che ora vado.” aggiunse.
“La
chitarra.” gli ricordò Jacob, alzandosi dal letto.
“Tienila
tu.” si sforzò di sorridere Dan. “Ho visto che non ti sei
esercitato, forse non hai nemmeno una chitarra. Tienila tu. Io ora ho
l'elettrica.”
Jacob
si vergognò moltissimo. Non aveva provveduto all'acquisto di una
chitarra perchè suo padre sosteneva che fosse il caso di aspettare
ancora qualche tempo, per testare il reale interesse che lui aveva
per lo strumento. Razionalmente il ragionamento non faceva una grinza
e Jacob si era trovato a dare ragione al genitore, ora che si trovava
davanti a Dan, però, non poteva non vergognarsi e criticare la sua
scelta.
“Perchè
lo fai?” balbettò Jacob, mostrando enorme sorpresa nei suoi
occhioni azzurri.
Dan
alzò le spalle.
“Perchè
mi va, suppongo.” Jacob era l'opposto di lui, in tutto e per tutto.
Era tanto metodico quanto lui era confusionario, ma c'era qualcosa
che gli suggeriva che aiutare quel ragazzino avrebbe aiutato anche
lui.
“Grazie.”
“Figurati.”
Dan fece per ruotare la maniglia della porta.
“Dan...
erano canzoni tue quei fogli che ti sei portato via?” chiese Jacob
senza un filo di indecisione o di titubanza.
“Sì.
Lo erano.” confermò Dan, senza voltarsi.
“Le
hai fatte sentire a qualcuno?” chiese ancora Jacob
“No.
In realtà no.” confessò Dan, chiedendosi perchè aveva scelto di
rispondere alle domande di un completo estraneo.
“Perchè?
Intendo dire, dovresti farlo.” suggerì Jacob.
“Non
credo di essere abbastanza bravo. E comunque, sono solo le
sciocchezze di un adolescente arrabbiato, come direbbe mia nonna se
fosse viva.” Dan la buttò sul ridere e si scompigliò i capelli.
“Credo
che tu non sia più un adolescente e non credo nemmeno che tu sia
arrabbiato, Dan. O almeno, non puoi ricevere conferme se non le fai
sentire a qualcuno che non sia tu. Magari ti diranno che sei solo un
quasi ventenne deluso.” osservò Jacob innocentemente, spiazzando
del tutto Dan che si ritrovò a guardarlo allibito.
“O
magari che sono solo un illuso e che devo crescere.” Dan scosse la
testa ed affondò un piede nella moquette del corridoio.
“Non
credo.” concluse Jacob, chiudendogli la porta in faccia con un
enorme sorriso.
PORTOBELLO
ROAD, NOTTING HILL, LONDRA
Harry
si Smaterializzò in un vicolo cieco e stretto che separava casa sua
da Portobello Road.
Gli
piaceva abitare da quelle parti. Erano a Londra, la capitale piena di
opportunità e di tutti i servizi possibili ed immaginabili, ma
abitavano in una zona tranquilla, fatta di casette tutte uguali, dai
portoni colorati che davano all'intera via, sulla quale si
affacciavano strane botteghe come quell' Alice presente su ogni guida
turistica esistente, un 'aria completamente paesana.
Non
c'era mai troppa confusione o troppo traffico, salvo nel giorno del
famoso mercato di Portobello Road, che i londinesi ormai conoscevano
a memoria e che i turisti prendevano d'assalto.
Lui
e Ginny non avevano voluto rendere la casa invisibile ai Babbani, no,
l'avevano voluta lì, bella, confortevole e visibile, in quel suo
azzurro pastello che così ben si armonizzava con il violetto e il
senape delle due villette che la circondavano. La Squadra Magica
Speciale aveva solo dovuto occuparsi di insonorizzare le pareti e di
rendere il più possibile casuali e invisibili gli strani fenomeni
che, per forza di cosa, si verificavano in una casa abitata da maghi.
Lancelot
Boyle, che guidava il reparto della Squadra Magica Speciale venuta ad
occuparsi dei lavori, aveva avuto i suoi diverbi con Harry proprio a
proposito del fatto che i neo-coniugi Potter non volevano nascondere
la casa. Dopo infinite discussioni aveva concluso dicendo che,
qualora ci fossero stati problemi con i Babbani, qualora avessero
violato lo Statuto di Segretezza, lui non voleva saperne più niente.
Harry
infilò la chiave nella toppa e salutò con un sorriso Bob Cleever,
il suo vicino di casa, appena trasferitosi a Londra dalle Midlands
per amore e carriera.
“Ginny,
sono a casa!” urlò appendendo il mantello all'attaccapanni con un
lancio degno del miglior Cacciatore.
Era
solo ottobre, ma tirava già aria e, come al solito, pioveva. Certo,
non era niente che un inglese mezzo scozzese come lui, temprato al
clima britannico non fosse in grado di sopportare con un leggero
mantello sopra alla camicia di cotone.
“Arrivo
Harry!” urlò Ginny. Dalla cucina provenivano già gli odori della
cena di quella sera, ma le parole di Ginny arrivavano dal piano di
sopra.
Non
si stava allenando in quei giorni, si sentiva poco bene e quindi
aveva rinunciato al ritiro con la squadra.
Di
fatto le cose non andavano diversamente da come andavano prima che si
sposassero, semplicemente Harry aveva pensato (ora si rendeva conto
che era impossibile oltre che sciocco aver pensato una cosa simile)
che sposandosi avrebbero cambiato le loro abitudini, vedendosi,
magari, di più.
Ma
era impossibile che ciò accadesse se entrambi passavano gran parte
della giornata fuori casa e, nel caso di Ginny, stando via anche per
tre giorni.
Non
ne avevano mai parlato direttamente, in realtà, anche se era un
disagio che era senza dubbio presente da entrambe le parti. Ginny non
pareva intenzionata a rinunciare alla carriera che si era
faticosamente guadagnata ed Harry non le chiedeva di farlo. Perchè
poi? Se non avesse giocato, cosa avrebbe fatto Ginny? La casalinga
disperata? No, non faceva decisamente per lei stare a casa a pulire e
cucinare tutto il giorno.
Sarebbe
impazzita. Chiunque sarebbe impazzito. Ne avrebbe risentito anche il
loro rapporto, se lei avesse rinunciato a tutto per stare a casa.
Comunque,
e di quello ne avevano parlato un sacco di volte, la carriera dello
sportivo era breve, brevissima. Ginny aveva ventidue anni, poteva
giocare ad alti livelli per, al massimo, un'altra decina d'anni,
dopodichè sarebbe stata messa da parte dalla sua stessa squadra, se
non avesse scelto lei stessa di reinventarsi una professione, pur
all'interno del mondo del Quidditch.
Aveva
senso, quindi, che lei rinunciasse a giocare a Quidditch per poter
passare più tempo a casa?
No,
non aveva alcun senso. Si amavano e, nonostante le difficoltà, una
soluzione l'avevano trovata.
Erano
ancora così giovani! E avevano ancora così tanto tempo davanti, non
aveva alcun senso affrettare le cose.
Harry
si buttò sul divano, meditabondo.
Quello
che era successo in ufficio, l'arrivo della madre di Minus, le
espressioni scure sui volti di suo padre e di Sirius... era strano
che il passato, quel passato, tornasse ad avvolgerli ancora vent'anni
dopo.
Era
strano che tutto continuasse a portare là, dove tutto era cambiato.
Non
erano affari suoi, non doveva entrarcene. Sirius era stato chiaro e
suo padre altrettanto.
Era
una questione che doveva toccare lui, Beth e Dan solo di riflesso.
Non dovevano avere nulla da temere e nulla di cui preoccuparsi. Non
spettava a loro indagare sul passato, non spettava a loro cercare di
risolverlo, non spettava a loro vivere in quel passato.
Harry
aveva ribadito che, qualsiasi cosa avesse potuto fare l'avrebbe
fatta. Aveva forse più diritto lui ad indagare sui quei fatti che
non un qualsiasi altro Auror del Dipartimento. Suo padre l'aveva
ringraziato e gli aveva detto che gli avrebbe fatto sapere, era suo
diritto sapere, ma che, per il momento, se ne sarebbero occupati lui
e Sirius.
Non
sapeva quale decisione avesse preso suo padre, non sapeva cosa
sarebbe successo, cosa avrebbero scoperto... semplicemente, Harry,
era arrivato ad una conclusione amara.
“Ehi,
buonasera! Tutto bene?” Ginny era scesa dalle scale, voleva subito
parlare con Harry di una cosa importantissima. Una cosa che l'aveva
portata a sperimentare tutte le emozioni possibili in un pomeriggio,
passando dall'euforia alla disperazione.
Poi
però aveva visto l'espressione assente di Harry e si era
insospettita, decidendo di rimandare qualsiasi sua notizia.
“E'
stata una giornata strana, in ufficio.” rispose.
“Vuoi
parlarne?” gli chiese, sedendosi al suo fianco su quell'enorme di
divano che Fred e George avevano insisto per regalare agli sposini.
Harry
annuì. Non poteva tenerle nascosto nulla, non per sempre, almeno.
Erano una famiglia.
Così
raccontò. Raccontò tutto dal principio. Raccontò della guerra,
raccontò di come fossero emerse nuove prove sulla strage di
Quethiock, raccontò di come Minus apparisse coinvolto e di come sua
madre sostenesse la sua innocenza, chiedendo a James e Sirius di
indagare, di provarla.
“E'
strano, Ginny. Sono anch'io impantanato nel passato, tanto quanto lo
sono loro, eppure è un passato che non mi appartiene, che non sento
mio, che non può essere mio. Eppure sono lì, bloccato a quel 31
Ottobre 1981 così come lo sono loro. Quel che è peggio, è che ho
realizzato di essere sempre stato bloccato a quel 31 Ottobre. Per
tutti questi anni la mia famiglia, la famiglia di Sirius, Remus...
tutti quanti siamo rimasti ancora lì, ancora a quel 31 Ottobre. Ho
la sensazione che, se non si va a fondo di questa vicenda, resteremo
lì per sempre. Ma come dare torto a mio padre e a Sirius se vogliono
semplicemente dimenticare, lasciarlo lì a marcire? Ci ha venduti a
Voldemort. Ha venduto il suo migliore amico e la sua famiglia a
Voldemort, a sangue freddo!” esclamò Harry
“Harry...”
provò ad intervenire Ginny.
“No,
aspetta, lasciami finire... quel che vorrei dire è che il punto
della questione è che questa storia mi riguarda e non mi riguarda,
capisci? E' un passato più loro che mio. E io non so che posizione
prendere o cosa fare. Voglio uscirne, voglio uscire da questi
ricordi che non sono miei, ma che allo stesso tempo lo sono.”
terminò Harry in un sospiro, con una mano a giocare con gli
occhiali.
“Harry...
io, per quel che può valere, credo che sia ovvia la tua confusione.
Questa storia riguarda il passato della tua famiglia, il tuo passato,
ma soprattutto riguarda l'amicizia tra i tuoi genitori, tra Sirius,
Remus e Peter Minus. Riguarda te, ma solo di riflesso. E non devi
sentirti egoista perchè non ti senti coinvolto fino in fondo. Credo
che sia giusto così, in un certo senso. Vedi, la guerra è finita da
così tanto ormai che, sebbene più o meno tutti quanti abbiano perso
qualcuno, se non lo si è conosciuto lo si pensa in modo distaccato.
Io perso i miei zii, i fratelli di mia madre, Gideon e Fabian, lo
sai... e vedi, mia madre soffre ancora, soffre tantissimo ancora
adesso ed è giusto che sia così, in un certo senso, però io non li
ho mai conosciuti. Ne ho solo sentito parlare dai racconti dei miei
genitori o da Charlie e Bill, che li hanno conosciuti abbastanza per
potersene ricordare. Percy era troppo piccolo e io, Fred, George e
Ron siamo nati dopo.
Per
anni mi sono sentita in un certo senso in colpa per non averli
conosciuti o per non avere loro ricordi o, soprattutto, per non
soffrire come vedevo soffrire mia madre. Poi ho parlato con Charlie
che mi ha detto che non devo farmene una colpa, non è colpa mia. Non
devo vivere nel passato, in un passato che è sì mio, ma che non mi
riguarda fino in fondo. Non li devo dimenticare, ma non devo nemmeno
farmi condizionare la vita da questo presunto dolore mai provato.
Capisci che intendo dire? E' giusto che tu abbia in memoria la storia
dei tuoi genitori, ma quella notte del 31 Ottobre riguarda sì te, la
tua famiglia e la Profezia che era stata fatta, ma questo è passato.
E' passato, capisci Harry? E' passato e questo sì è un passato che
ti riguarda. Ti riguarda il fatto che i tuoi genitori, che Sirius e
Remus avessero come unico scopo quello di proteggere te. Quello che è
successo con Peter Minus riguarda anche te, ma riguarda soprattutto
loro. E non devi sentirti in colpa perchè non partecipi
completamente a questo loro momento di smarrimento. Capisci cosa
intendo dire?” Ginny aveva parlato per un paio di minuti abbondanti
e Harry aveva notato che spesso il suo sguardo presente si faceva
assente.
“Credo
che tu abbia ragione. Non fa una grinza quello che dici. E in effetti
è così che mi sento. Spero di riuscire a recuperare un equilibrio e
a rispettare qualsiasi decisione mio padre scelga di prendere.”
disse Harry, chiedendosi, ancora una volta, dove avrebbe portato
James e Sirius quella brutta storia.
“Nessuno
ti chiede di accettare tutto e subito. Ci si arriva col tempo.”
osservò Ginny, in un sorriso comprensivo.
“Grazie.”
“Sono
tua moglie e sono qui per questo.” rispose, prendendogli le mani.
Harry
la strinse e le posò un bacio tra i capelli rossi.
“C'è
una cosa che vorrei dirti, Harry James Potter.” annunciò Ginny
dopo un po'. Fremeva al pensiero di dirglielo.
Harry
la guardò, aggrottando le sopracciglia.
“Sono
incinta.” confessò Ginny, senza mezzi giri di parole. Ma con un
sorriso che andava da una guancia all'altra.
Aveva
sempre pensato che Harry sarebbe stato il primo a saperlo. Si era
sempre immaginata così la scena e, invece, come spesso capita nella
vita. Era andata diversamente.
Luna
si era presentata a casa sua nel pomeriggio e Ginny, che stava
sperimentando emozioni troppo diverse per non essere comunicate,
dovette dirglielo.
Era
contenta che a saperlo fosse stata Luna, in verità. Lei non aveva
fatto commenti, non si era lasciata prendere dall'ansia. L'aveva solo
abbracciata e aveva sorriso.
Hermione,
al posto suo, avrebbe iniziato a fare programmi, a cercare
informazioni nei suoi libri, a cercare di controllare la situazione e
Ginny era contenta che a saperlo per prima fosse Luna, lei che non
aveva detto niente, ma aveva dato una splendida dimostrazione
d'amicizia.
Harry
non disse niente.
“Sono
incinta Harry, hai capito?” ripetè Ginny, venendo presa dallo
sconforto. Non avevano mai parlato di bambini. Erano così giovani!
“E'
la notizia migliore che potessi darmi.” sussurrò appena Harry,
guardandola estasiato.
“Cambieranno
tante cose d'ora in avanti.” osservò Ginny.
“Le
affronteremo come abbiamo sempre fatto.” disse sicuro Harry.
“E'
così che si fa dopotutto, no? Passato, presente e futuro.” disse
Ginny, accarezzandosi la pancia ancora piatta.
Harry
posò la destra su quella della moglie e sorrise.
Passato.
Il 31 Ottobre era passato. Presente, lui e Ginny. Futuro, quel
bambino che doveva ancora nascere.
Perchè
in fondo, andava bene così.
GODRIC'S
HOLLOW
Lily
si svegliò di colpo dopo un sogno piuttosto strano ed agitato. Aprì
di scatto gli occhi e toccò le lenzuola, il cuscino, il materasso,
come per assicurarsi di essere a casa, nel suo letto.
Si
passò una mano tra i capelli, come a volersi scrollare via di dosso
quella sensazione orribile, e si ributtò sul cuscino, accorgendosi,
mentre si accovacciava verso destra, di non avere il corpo di James
al suo fianco.
“James?”
mugugnò al nulla, tastando il materasso vuoto. Controllò l'ora
sulla sua sveglia: le 02.45.
Riguardò
ancora una volta il materasso vuoto del letto disfatto. James si era
alzato.
Scalza
uscì dal letto e scese le scale, sbirciando dallo stipite del
salotto il marito che teneva lo sguardo fisso sulla parete di fronte.
“Che
cosa c'è, James?” gli chiese a bassa voce. Lui alzò appena la
testa, apparendole insicuro come noi mai.
Lily
prese cautamente posto al suo fianco, intrecciando le sue mani in
quelle del marito.
“Io
ti appoggio, James. Devi andare fino in fondo. Non importa quello che
scoprirai.”
James
annuì.
“Lo
so. E' che una parte di me non sopporta tutto questo, Lily. Non
sopporto di dover scagionare una persona che ha cercato di uccidere
me e la mia famiglia. Credo, credo francamente che sia troppo.”
soffiò James, allibito.
“E
se non lo facessi? Se scegliessi di lasciare tutto com'è e
condannare a morte un innocente?” incalzò Lily.
“Peter
Minus non è innocente.” osservò James.
“Lo
so. Non lo è. Ma in questo caso potrebbe esserlo. Nessuno ti critica
per quello che pensi, James. E' normale. Ci ha consegnato a Voldemort
a sangue freddo! Ci fidavamo di lui! Ma... pensa a quello che hai
costruito in questi anni, alla nostra famiglia, ai nostri figli... il
loro padre deve essere corretto.” Lily cercava di farlo riflettere,
di esporle il suo punto di vista, ben consapevole che solo James
potesse scegliere.
“Ho
avuto paura, Lily. Ho avuto paura, paura di perdervi paura di non
essere in grado di proteggervi ... Mi fidavo di lui. Non so se ci
riuscirò. Ho rischiato troppo.” sussurrò James, prendendosi la
testa tra le mani.
Lily,
vedendolo rannicchiarsi a quel modo, rivisse le notti di vent'anni
prima quando, svegliandosi di colpo senza avere James al suo fianco,
lo trovava solo e disperato sul pianerottolo o sul divano.
Stava
lì, a guardarlo, senza avere il coraggio di fare alcunchè, senza
abbracciarlo, senza dirgli che sarebbe andato tutto bene, che ne
sarebbero usciti. No, Lily ritornava in camera e piangeva,
silenziosamente, sino a quando James non tornava al suo posto.
Adesso,
però, non era più spaventata. Con gentilezza, scostò le mani di
James dal suo viso, liberandoglielo.
“James,
lo so. Lo so che hai avuto paura. Lo so che spesso venivi qui la
notte per startene da solo, per gettare quella maschera di sicurezza
che indossavi per proteggere me. Lo so. Scegli tu. Devi scegliere tu
cosa fare, io ti sosterrò in ogni caso perchè so che prenderai la
decisione giusta.
Sei
troppo Giusto ed Onesto per poter scegliere qualsiasi altra strada.
Non chiedermi come lo so, lo so e basta.” la voce le tremava, ma
era le sue intenzioni erano decise come non mai.
Sapeva,
sapeva che James avrebbe preso la decisione migliore.
Sapeva,
sentiva sin da quando il marito ne aveva parlato che, nonostante
tutti i suoi tentennamenti, dentro di sé, James aveva già deciso.
Sapeva che sarebbe andato fino in fondo.
James
alzò la testa e confuse il suo sguardo in quello smeraldino della
moglie con un certezza: Lily aveva sempre saputo.
Scusatemi
per il ritardo più abnorme del solito, ma è stato davvero un mese
impegnativo.
Forse
questo capitolo vi appare confusionario, ma del resto, capitano
sempre tante cose diverse tutte insieme nella vita, non credete?
Spero
di risentirvi presto.
Alohomora:
come sai ognuno dei nuovi personaggi che ho creato sta prendendo la
sua strada e il suo spazio ed a volte fermarli è davvero difficile!
Bisognerebbe scrivere pagine e pagine su di loro!
Su
James... come vedi qui è un uomo tormentato, ma mi piace pensare che
lui e Lily non abbiano mai voluto crescere i loro figli in un clima
d'odio o intolleranza. Mi piace pensare che, nonostante quello che è
successo, abbiano spronato i figli a cercare sempre il bene nelle
persone.
Padfoot_07:
sì, James vorrebbe la Gisutizia sopra ogni cosa, anche se spesso, è
difficile far combaciare i nostri personali sentimenti con la
Giustizia. Come vedi, sono successe tante cose, in questo capitolo!
Deviljina:
il muro delle incertezze di Dan sta crollando perchè avere a che
fare con Jacob lo mette con le spalle al muro. Jacob è diverso da
lui. E' molto più maturo di quanto non fosse lui a dodici anni e, in
un certo senso, tutto questo lo imbarazza. E' come se si sentisse in
dovere di giustificarsi davanti a Jacob, capisci? Che sia quello che
gli ci vuole per capire da che parte vuole andare? Forse...
ginny_:
ho scelto di inserire Minus perchè credo che serva un “chiarimento”
tra lui e i suoi vecchi amici. Chiariranno ben poco, forse, ma in
questa situazione Sirius, James e Remus sono costretti a a fare i
conti col passato e, forse, a metterci per sempre una pietra sopra.
Potter92:
tra Dan e Beth le cose si risolveranno tra un bel po'! Sia in quanto
a capitoli, sia in quanto a tempi di stesura, che sono lunghissimi
per me. Continua a seguire!
PrincessMarauders:
Mary e Lucas scommetto che ci tedieranno ancora un po'. Io credo che
Lucas le sia fondamentalmente affezionato anche se, diciamocelo, un
po' gli fa comodo averla. Mary... non so se è realmente affezionata
a Lucas o a quello che lui rappresenta, forse solo a quello che lui
rappresenta. Per Dan e Beth ci vorrà ancora parecchio, entrambi
hanno cose da sistemare!
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