CAP. 6
BELLA
Cammino
per il lungo corridoio alla volta dell’edificio dove sono
ubicati gli studi dei professori. Al mio fianco Helèna parla
instancabilmente accompagnando le parole con gesti nervosi delle mani.
Normalmente la mia amica è timida, riservata, riflessiva.
Ora è agitata, euforica.
«
… chissà perché, mi chiedo. Tu che
idea ti sei fatta?» le sue parole emergono dal marasma di
tutte le altre.
Se
l’ansia a lei fa questo effetto, a me fa il contrario.
Silenzio.
Faccio
spallucce e contemporaneamente inarco un sopracciglio scuotendo la
testa come a dire “non ne ho proprio idea”.
«Vabbè,
tanto fra poco lo sapremo. Dunque … vediamo
…» si ferma in un grande androne e comincia a
scorrere con l’indice una tabella rettangolare in cui sono
indicati i nomi di tutti i professori.
«Flenning,
Holmes … mmm Jensen! Quarto piano, Dipartimento di
Economia.» ammicca compiaciuta e preme un bottoncino di
plastica trasparente sul muro. Osservo la lucina rossa che lo illumina
e deglutisco.
«Sono
proprio curiosa. Di certo avrà a che fare con i compiti
della settimana scorsa …» Helèna si
dondola sui piedi con le braccia tese in grembo a reggere i suoi libri
e guarda davanti a sé .
Quando
si gira verso di me con un sorriso a cercare conferma, il sorriso le
muore lentamente sul viso.
«Bella,
ma ti senti bene? Sei pallida come un lenzuolo …»
mi chiede preoccupata immobilizzandosi immediatamente.
«Io
… si … io non … scusami, ma non
… non posso salire in ascensore.» le dico con gli
occhi puntati sulle porte ancora chiuse.
«Non
fa niente, tranquilla. Prendiamo le scale.» dice con un gran
sorriso. Subito mi sento più calma. Il cuore ritorna al suo
ritmo fisiologico in un batter d’occhio.
Annuisco
con un cenno del capo e sorrido di rimando alla mia amica.
Cominciamo
a salire e noto Helèna sbirciarmi ogni tanto quando voltiamo
per prendere la rampa di scale successiva.
Forse
teme che possa svenire.
Sorrido
più decisa e dico con tono leggero:« I luoghi
chiusi e stretti mi danno un po’ di noia, non è
una vera claustrofobia, ma cerco di evitare comunque.»
Annuisce
con il capo. «Ti capisco. Anche mia sorella ha questa cosa
dei posti piccoli. Dice sempre che quando sarà il momento
vuole essere cremata e vuole che le sue ceneri siano lanciate dal Gran
Canyon. Dice che deve prendere aria.» la sua voce e la sua
espressione sono serie.
Un
silenzio imbarazzante scende fra di noi.
Aggrotto
le sopracciglia e la guardo perplessa di sottecchi. Anche lei mi guarda
di rimando di sbieco e, quando i nostri sguardi si incrociano,
scoppiamo a ridere contemporaneamente.
Continuiamo
a salire, fino a quando non troviamo dinnanzi a noi la targa sul muro
che indica il quarto piano e il nome del Dipartimento.
Capiamo
subito quale è la stanza in cui dobbiamo recarci,
perché fuori , seduti su delle poltrone, ci sono altri
quattro studenti. Tre ragazzi ed una ragazza. Il resto del lungo
corridoio è quasi deserto.
Ci
avviciniamo rallentando l’andatura, fino a fermarci in piedi
vicine a loro.
«Salve!»
fa Helèna alzando una mano trattenendo il gomito vicino al
busto. Sembra una specie di “Augh” indiano.
«Ciao»
risponde un ragazzone dai tratti neo latini e dall’aria
simpatica.
Gli
altri due fanno un cenno del capo nella nostra direzione, la ragazza ci
fissa con freddezza senza accennare il minimo segno di saluto.
«Anche
voi per la riunione segreta?» fa quello che ci ha salutate
strizzando l’occhio in direzione della stanza.
«Mmm
già» risponde Helèna con aria tesa. La
faccenda della “riunione segreta” deve averla
turbata. «Qualcuno ha idea di cosa voglia da noi?»
sussurra piano facendo scorrere lo sguardo anche sugli altri tre.
Vedo
le teste dei ragazzi scuotersi piano. La ragazza rimane immobile ma,
dopo uno sguardo tanto rapido quanto superficiale verso le nostre
figure, ha distolto gli occhi per posarli su un punto indefinito
davanti a sé. Deve essere l’anima della compagnia,
non c’è dubbio …
Sento
intanto che Helèna si è presentata e lo stesso
fanno gli altri.
Non
ho seguito le presentazioni, ma quando tutti si voltano interrogativi
verso di me mi schiarisco la gola e dico con un sussurro:
«Ehm … io sono Bella.» Il ragazzone che
ci ha parlato all’inizio si sbraccia in avanti e con la
manona grossa tesa verso di me dice:« Qua la mano Bella, io
sono Francisco, lui è Charlie, Vik e lei è
Mia» strizza l’occhio alla tipa gelida che si volta
dall’altro lato e così facendo fa chiaramente
capire che non ha gradito il gioco di parole. Ricambio i cenni di
cortesia con un sorrisetto.
Nello
stesso momento si apre la porta dello studio del professore e sentiamo
un frettoloso: «Prego prego accomodatevi»
Entriamo
tutti ed io mi tengo alla coda della fila. Adocchio Francisco, che ha
la stazza più grossa di tutti e mi sposto lentamente dietro
di lui. Sono quasi completamente coperta dalla sua schiena. Per
fortuna.
In
un’aula con quattrocento anime non è difficile
mimetizzarsi, ma in una stanza con sette è praticamente
impossibile.
«Allora
… ci siete tutti?» chiede Jensen.
«Sì
sì.» è Francisco che si guarda intorno
come cercando qualcosa. O qualcuno. Poi, torcendo il busto
all’indietro mi scorge rannicchiata alle sue spalle.
«Oh, scusami Bella, non mi ero accorto di coprirti»
e, da grande gentiluomo, mi prende per un braccio portandomi avanti a
lui che già si trovava in pole-position.
Mi
ritrovo a fissare quelle due iridi azzurro cielo per la seconda volta a
una distanza ravvicinata.
Vedo
chiaramente nascere la sorpresa e lo stupore dalla dilatazione dei suoi
occhi. E’ evidente che ricorda perfettamente chi sono e le
circostanze del nostro primo incontro. Per fortuna lo è solo
per me, ci mancano solo delle occhiate curiose da parte dei miei
colleghi di corso …
Distolgo
subito lo sguardo e lo pianto a terra, sui miei stivali.
«Bene.
Molto bene.» la sua voce senza il microfono che serve ai
professori per farsi sentire in aula è calda, vellutata, non
più metallica.
Mi
sposto a disagio da un piede all’altro. Questa situazione non
mi piace neanche un po’ …
«Signori,
poggiate pure i vostri cappotti su quella poltrona lì in
fondo e accomodatevi.» Facciamo come ci dice, e mi sento i
suoi occhi addosso per tutto il tempo in cui raggiungo la poltrona,
deposito il mio chiodo e i guanti, e mi accomodo su un divanetto a due
posti. Immediatamente cerco Helèna con lo sguardo, sta
ridendo con Francisco per qualcosa che ha detto quest’ultimo.
Mi accorgo solo in questo momento che il posto al mio fianco viene
occupato dal ragazzo di nome Vik. Mi stringo un po’ anche se
non ce n’è bisogno, lo spazio del divano
è più che sufficiente per entrambi. Mi lancia
un’occhiata chiaramente di apprezzamento e mi maledico
silenziosamente per non essermi cambiata stamane prima di uscire. Il
mio abbigliamento è comodo per andare in moto, ma potrebbe
essere scambiato per aggressivo in circostanze diverse. Me
l’ha fatto notare stamane Helèna quando ci siamo
incontrate. La mattina arriva sempre prima di me, vivendo nel
dormitorio del campus, e mi tiene il posto. Appena mi ha vista mi ha
accolta con un “Caspita!” e poi ha soggiunto che
non sembravo io vestita in quel modo. Al momento ho sorvolato, indecisa
se considerarlo o meno un complimento. Adesso, però, mi
pongo il problema perché sono costretta ad
un’interazione ravvicinata con altri individui.
Il
mio forte.
Prendo
un bel respiro e decido di volgere tutta la mia attenzione alle parole
del professore. Dopotutto è per questo che siamo qui.
«Vi
starete chiedendo il motivo della vostra convocazione. Come forse
alcuni di voi sapranno già, questo è il mio primo
anno di insegnamento a Dartmouth. Con l’assegnamento della
cattedra, mi è stato conferito anche il ruolo di
responsabile del Tuck’s Center for Digital Strategies, un
centro di eccellenza di rilevanza internazionale.» Vedo con
la coda dell’occhi annuire diverse teste.
Mi
muovo a disagio sul divano, vergognandomi di non essere minimamente
informata della cosa.
«Quest’anno
il Centro ha ottenuto dei finanziamenti ridotti. Tale decisione
è stata motivata con la scusa che i progetti stanziati erano
sostanzialmente irrealizzabili ed eccessivamente costosi. Voci di
corridoio mormorano che con ogni probabilità questo Centro
verrà chiuso entro l’anno in corso.» la
voce di Jensen si interrompe con gravità, un mormorio di
sorpresa si alza dai miei ben informati colleghi.
Francisco
che sembra essere quello più toccato dalla cosa dice
accorato: «Ma come è possibile? Dartmouth
è rinomata nel mondo proprio per Centri come questo. Vanta
il primato per il lancio sul mercato mondiale di una lista lunghissima
di prodotti informatici e digitali. E’ un Centro del tutto
imparziale, non corrotto dalle dinamiche del mercato e dai giochi di
potere …» la sua voce si va facendo sempre
più flebile, fino a bloccarsi come se il ragazzo fosse stato
colto da una rivelazione. Rimane a bocca socchiusa guardando il
professore, il quale durante tutta la sua filippica lo fissa con un
sorriso che via via si fa sempre più definito.
«Per
l’appunto.» dice Jensen.
Un
silenzio imbarazzato scende nella stanza. Di cose come questa se ne
sentono tutti i giorni, ma parlarne apertamente rischia di essere
pericoloso.
Mi
faccio piccola piccola sul mio divanetto. Mi sento del tutto esclusa
dal discorso che verte su argomenti più grandi di me.
Helèna
si spinge all’infuori con le braccia posate sulle ginocchia.
«E’
abbastanza chiaro professore, ma, perdoni la mia schiettezza, noi in
tutto ciò che c’entriamo?!»la mia amica
è perplessa. Lo siamo in realtà un po’
tutti.
Jensen
ci fissa uno ad uno negli occhi, poi si lascia andare contro lo
schienale della poltrona e dice con un sorriso: «Ragazzi,
fino ad adesso nessuno è mai riuscito a spuntarla con me.
Non è assolutamente un caso che i miei incarichi durino
così poco. Voi, miei cari signori, sarete il mio asso nella
manica»
JASPER
«Posso
esserle d’aiuto?» un misto di cortesia e
curiosità proviene dalla giovane in piedi di fronte a me.
Ricambio
il sorriso gentile e con un cenno della mano indico al lato della
poltrona su cui sono seduto: «No, grazie. Aspetto una
persona»
Accavallo
una gamba con studiata noncuranza e sento che la ragazza è
ancora titubante, ma anche naturalmente attratta dalla mia figura.
Oggi
non ho alcuna intenzione di giocare.
Prendo
un libro dalla tracolla e comincio a sfogliarlo con
attenzione. Con la coda dell’occhio la vedo ritirarsi nella
stanza dalla quale è uscita e torno a concentrarmi
sulle sensazioni che animano il gruppo di persone che occupa lo studio
del prof. Jensen, tre stanze più in là. Alice mi
ha detto esattamente dove mi sarei dovuto sedere ed io non le ho
domandato spiegazioni. Conoscendola, non mi ci sarebbe voluto tanto per
scoprirne il motivo. Anche da qui riesco con chiarezza a percepire le
voci, ma è dalle emozioni che mi piombano addosso che ricevo
il maggior numero di informazioni.
Ci
sono fermento, euforia, determinazione ed impazienza.
Sensazioni
che mi giungono confuse, accavallate. E’ la
difficoltà che incontro quando manca il contatto visivo con
il soggetto.
All’interno
dello studio si discute di un progetto che mi sembra abbia a che fare
con innovazione e giocattoli … ma non ci ho prestato molta
attenzione. Per lo più mi sono concentrato su Bella.
E’
stata bravissima. In più di un’occasione
è riuscita a dominare le sue emozioni. In effetti, il mio
zampino c’era solo una volta e per un attimo brevissimo,
quando era in attesa con la sua amica nei pressi
dell’ascensore.
Poi,
l’ho lasciata nello studio del tale Jensen e sono andato a
lezione.
La
ragazza di prima esce nuovamente dalla stanza. Cambio leggermente la
mia posizione sulla poltrona e continuo nello scorrimento del libro
aperto a caso e poggiato sulla gamba.
La
riunione a cui Bella ha partecipato sta volgendo al termine.
Alice
mi ha detto che sarebbe finita alle dodici e diciassette.
Un’occhiata rapida all’orologio sul muro mi dice
che mancano solo pochi minuti.
Affino
l’udito.
«Benissimo.
Leggete questo razionale e cominciate a buttare giù qualche
idea. Per qualsiasi dubbio, problema o consiglio rivolgetevi pure a me
in qualunque momento. E’ tutto per adesso.»
E’ la voce del professore che sta congedando gli studenti.
La
porta dello studio si apre. Alcuni ragazzi cominciano ad uscire ed a
camminare nella mia direzione.
L’istinto
mi dice di rimanere dove sono.
Nel
momento in cui mi passano davanti, sento le loro emozioni
distintamente. Nel complesso sono … entusiasti.
Mi
stupisco di non vedere ancora Bella. Fuori dallo studio un ragazzo
biondino si sistema i lacci delle scarpe.
Acuisco
tutti i sensi.
«Signorina
Swan … Isabella, aspetti un attimo.» è
il professore. Non c’è alcuna emozione negativa in
lui, ma piuttosto … interesse, curiosità, e
sì, mi arriva chiaramente anche l’attrazione
fisica.
Le
emozioni di Bella mi sono familiari, non ho alcuna
difficoltà a distinguerle. E’ dubbiosa, indecisa.
Alberga in lei una forte sensazione di inadeguatezza e ammirazione nei
confronti del suo interlocutore. Ma è anche profondamente in
soggezione.
«
Mi … mi dica professor Jensen» dalla sua voce
traspare tutto l’imbarazzo che prova.
«Il
suo scritto mi ha molto colpito, Isabella. Lei è in una
forte conflittualità con se stessa e dimostra una scarsa
fiducia nelle sue capacità, pur evidenziando un certo
interesse per la materia. Perdoni la mia sfacciataggine, ma mi ha
incuriosito molto.» il professore fa una breve pausa.
La
ritrosia di Bella lo affascina.
«Che
senso ha intraprendere un cammino se non ha intenzione di percorrerlo
fino in fondo?» la voce del professore si è fatta
accorata.
«Io
non … non capisco … che intende dire.»
Bella si sente alle strette, è in difficoltà.
«Credo,
invece che lo sappia. Lei non terminerà
l’università. E’ come se sentisse che
sulla sua testa è posata una spada di Damocle. Lei attende
l’inevitabile.» Jensen si ferma improvvisamente,
pentito.
Bella
tace, ma è turbata.
«Mi
perdoni, forse sono stato troppo irruente. Spero, tuttavia, di riuscire
a farle cambiare idea.» e detto ciò la congeda.
Bella
esce dallo studio ancora sovrappensiero chiudendosi la porta alle
spalle. Non si accorge del tipo che le si piazza davanti, il ragazzo
che stava aggiustandosi le scarpe.
Le
sta bloccando il passaggio.
«Ah
Vik. Scusa non ti avevo visto.» dice lei e cerca di aggirarlo.
Ma
lui non sembra pensarla allo stesso modo. Poggia un braccio teso al
lato del viso di Bella con fare brusco e le dice: «Ti
aspettavo, dolcezza. Andiamo a farci un giro, ti
và?». Le afferra un polso e la strattona verso di
sé.
Percepisco
lussuria e aggressività nelle emozioni e nella voce di Vik.
Bella
è pietrificata.
Mi
alzo immediatamente e in due falcate mi posiziono alle spalle del
ragazzo.
«Hai
sbagliato persona.» gli dico con voce pacata.
«Schioda
stronzo, non sono affari tuoi» dice Vik senza nemmeno girarsi
e continuando a guardare Bella.
«Jasper!»
esclama lei riconoscendo la mia voce e cercando di passare sotto il suo
braccio.
«Non
farti pregare, tesoro. Il tuo amichetto può aspettare il suo
turno. Mi hai provocato per tutto il tempo …» la
voce del tipo comincia a diventare viscida e mentre cerca di bloccare
il movimento di Bella gli metto una mano sul braccio.
«Lasciala»
gli ordino.
«Fammi
capire, ma chi cazzo sei, il guardiano del ces…»
comincia a dire Vik con voce alterata iniziando a voltarsi. Si blocca
non appena mi vede con chiarezza. Mi lancia un’occhiata e fa
un passo indietro: «… la sua guardia del
corpo?» finisce con voce decisamente più
contenuta, lasciando andare giù il braccio e permettendo a
Bella di sgattaiolare alle mie spalle.
«Ci
sei andato vicino. Sono suo fratello.» gli dico in tono
sinistro «E tu sei una persona fortunata» penso ad
Edward e a cosa gli avrebbe fatto se ci fosse stato lui al mio posto.
Accentuo leggermente la presa sul braccio del malcapitato Vik e gli
dico con voce carezzevole: «Ti consiglio di non avvicinarti
mai più a lei. MAI PIU’. Sono stato
chiaro?»
«Cer
… certo, chiarissimo.» il tipo ha incassato la
testa nelle spalle e fa per andarsene, ma io non mollo la presa:
«Stai dimenticando qualcosa … » e con un
cenno del capo indico Bella alle mie spalle.
«S
… si , scu … scusa Bella» balbetta Vik
prima di prendere il volo verso lidi più sicuri.
Mi
volto e trovo gli occhi di lei su di me, fissi e spalancati.
Modulo
il suo turbamento quel tanto che basta a rasserenarla.
I
suoi occhi incontrano i miei e mormora un flebile grazie.
La
osservo un attimo. Poi con sorriso le chiedo: «Pronta per
tornare a casa?»
Annuisce
con il capo e ci avviamo al parcheggio.
Camminiamo
in silenzio. Nonostante la mia influenza su di lei la sento tesa.
«Non
hai motivo di essere ancora preoccupata, quel tipo ti
lascerà in pace. Cosa ti turba?» le
chiedo cercando di essere delicato.
Scuote
la testa ma resta in silenzio.
«Pensi
che Edward possa preoccuparsi se scopre qualcosa?» le
suggerisco pacatamente.
Abbassa
gli occhi sul cemento. «Anche» dice laconica.
Colpita.
Annuisco lentamente.
«Ti
hanno turbato le parole di Jensen?» le domando sempre con la
massima tranquillità.
Non
risponde. Colpita e affondata.
«Bella,
non c’è alcuna spada di Damocle sulla tua testa.
Tu sei una persona libera. Puoi scegliere tu, quando e come. E,
soprattutto, se.» Non è necessario essere
più precisi, ha capito perfettamente che mi riferisco alla
sua trasformazione.
Le
sue emozioni sono un altalenarsi di certezza, determinazione, e di
confusione, senso di colpa.
Un
po’ troppo per una persona sola.
Siamo
arrivati, dunque mi fermo. Bella è persa nei suoi pensieri,
non si è resa conto che non dobbiamo continuare
più a camminare.
«Ehi,
ma vuoi arrivare a casa a piedi?» le chiedo ironico.
Si
ferma, si gira e balbetta uno:«Ops, scusa. Già
siamo arrivati all’aut … JASPER!!! Hai preso la
moto nuova!!!!» il suo entusiasmo mi investe come
un’onda anomala e spazza in un attimo tutta la
negatività che l’avvolgeva prima.
Sorrido.
La
passione di Bella per le moto è quasi pari alla mia.
Gira
intorno alla moto con lo sguardo di una bambina in un negozio di
giocattoli il giorno di Natale. Le mancano le parole.
Salgo
a cavalcioni sulla mia Ninja ZX 6R nera e le porgo un casco dello
stesso colore. Lo afferra e lo indossa con rapidità.
L’aiuto a montare in sella e aspetto che si sistemi bene
mentre comincio ad accendere il motore.
Rimango
un attimo in attesa. Il rombo del motore mi penetra nel cervello e
accelero un po’ a fermo per farlo riscaldare.
«Che
suono meraviglioso!» esclama gioiosa alzando la voce per
coprire il rumore del motore.
«Pronta?»
le chiedo.
Sento
che annuisce con il capo. Si aggrappa alla mia giubbotto con forza.
Sa
bene che rischia di volare via …
E
un secondo dopo schizziamo via per le strade, veloci come fulmini.
NOTA
DELL’AUTRICE: Finalmente il mio computer-prodigo è
ritornato all’ovile!!!
“Nun ce frega
na mazza, quando aggiorni?” direte voi …
Bhè, il
prossimo cappy è quasi pronto …
Comunque, ecco la
favolosa moto di Jasper, la Ninja
ZX 6R
Keska:
Grazie sempre per il tuo sostegno e per il tuo commento. E’
un onore per me riceverlo da un’autrice come te…
Baci
Arual93: Hai
ragione, Edward si fa un sacco di pippe mentali, ma non è
che forse le sue non sono proprio paranoie, ma piuttosto …
premonizioni? E’ vero che ho detto che la storia
sarà a lieto fine (spero…), ma non ho mai detto
che sarà indolore!!!
Grazie per ogni singola
visita alla mia storia.
Grazie per i commenti che
mi lasciate e per quelli che lascerete.
Ok, mi ritiro per
deliberare. Abbiate fede, non mi abbandonate!!!
Alla prossima
follia
Baci M.Luisa
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