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Autore: endif    14/10/2009    8 recensioni
“«Edward…» non mi accorgo neppure di avere sussurrato il suo nome, ma forse l’ho fatto perché lo vedo girarsi verso di me come a rallentatore. Il tempo si cristallizza qui, in questa stanza, in questo momento, restando sospeso a mezz’aria.
Sgrano gli occhi a dismisura quando capisco chi è tra le sue braccia.
No. Non può essere.”
Piccolo spoiler per questa nuova fic, il seguito di My New Moon. Ci saranno tante sorprese, nuove situazioni da affrontare per i nostri protagonisti. Un E/B passionale e coinvolgente.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
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- Questa storia fa parte della serie 'Change' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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CAP. 6

BELLA
Cammino per il lungo corridoio alla volta dell’edificio dove sono ubicati gli studi dei professori. Al mio fianco Helèna parla instancabilmente accompagnando le parole con gesti nervosi delle mani. Normalmente la mia amica è timida, riservata, riflessiva. Ora è agitata, euforica.
« … chissà perché, mi chiedo. Tu che idea ti sei fatta?» le sue parole emergono dal marasma di tutte le altre.
Se l’ansia a lei fa questo effetto, a me fa il contrario.
Silenzio.
Faccio spallucce e contemporaneamente inarco un sopracciglio scuotendo la testa come a dire “non ne ho proprio idea”.
«Vabbè, tanto fra poco lo sapremo. Dunque … vediamo …» si ferma in un grande androne e comincia a scorrere con l’indice una tabella rettangolare in cui sono indicati i nomi di tutti i professori.
«Flenning, Holmes … mmm Jensen! Quarto piano, Dipartimento di Economia.» ammicca compiaciuta e preme un bottoncino di plastica trasparente sul muro. Osservo la lucina rossa che lo illumina e deglutisco.
«Sono proprio curiosa. Di certo avrà a che fare con i compiti della settimana scorsa …» Helèna si dondola sui piedi con le braccia tese in grembo a reggere i suoi libri e guarda davanti a sé .
Quando si gira verso di me con un sorriso a cercare conferma, il sorriso le muore lentamente sul viso.
«Bella, ma ti senti bene? Sei pallida come un lenzuolo …» mi chiede preoccupata immobilizzandosi immediatamente.
«Io … si … io non … scusami, ma non … non posso salire in ascensore.» le dico con gli occhi puntati sulle porte ancora chiuse.
«Non fa niente, tranquilla. Prendiamo le scale.» dice con un gran sorriso. Subito mi sento più calma. Il cuore ritorna al suo ritmo fisiologico in un batter d’occhio.
Annuisco con un cenno del capo e sorrido di rimando alla mia amica.
Cominciamo a salire e noto Helèna sbirciarmi ogni tanto quando voltiamo per prendere la rampa di scale successiva.
Forse teme che possa svenire.
Sorrido più decisa e dico con tono leggero:« I luoghi chiusi e stretti mi danno un po’ di noia, non è una vera claustrofobia, ma cerco di evitare comunque.»
Annuisce con il capo. «Ti capisco. Anche mia sorella ha questa cosa dei posti piccoli. Dice sempre che quando sarà il momento vuole essere cremata e vuole che le sue ceneri siano lanciate dal Gran Canyon. Dice che deve prendere aria.» la sua voce e la sua espressione sono serie.
Un silenzio imbarazzante scende fra di noi.
Aggrotto le sopracciglia e la guardo perplessa di sottecchi. Anche lei mi guarda di rimando di sbieco e, quando i nostri sguardi si incrociano, scoppiamo a ridere contemporaneamente.
Continuiamo a salire, fino a quando non troviamo dinnanzi a noi la targa sul muro che indica il quarto piano e il nome del Dipartimento.
Capiamo subito quale è la stanza in cui dobbiamo recarci, perché fuori , seduti su delle poltrone, ci sono altri quattro studenti. Tre ragazzi ed una ragazza. Il resto del lungo corridoio è quasi deserto.
Ci avviciniamo rallentando l’andatura, fino a fermarci in piedi vicine a loro.
«Salve!» fa Helèna alzando una mano trattenendo il gomito vicino al busto. Sembra una specie di “Augh” indiano.
«Ciao» risponde un ragazzone dai tratti neo latini e dall’aria simpatica.
Gli altri due fanno un cenno del capo nella nostra direzione, la ragazza ci fissa con freddezza senza accennare il minimo segno di saluto.
«Anche voi per la riunione segreta?» fa quello che ci ha salutate strizzando l’occhio in direzione della stanza.
«Mmm già» risponde Helèna con aria tesa. La faccenda della “riunione segreta” deve averla turbata. «Qualcuno ha idea di cosa voglia da noi?» sussurra piano facendo scorrere lo sguardo anche sugli altri tre.
Vedo le teste dei ragazzi scuotersi piano. La ragazza rimane immobile ma, dopo uno sguardo tanto rapido quanto superficiale verso le nostre figure, ha distolto gli occhi per posarli su un punto indefinito davanti a sé. Deve essere l’anima della compagnia, non c’è dubbio …
Sento intanto che Helèna si è presentata e lo stesso fanno gli altri.
Non ho seguito le presentazioni, ma quando tutti si voltano interrogativi verso di me mi schiarisco la gola e dico con un sussurro: «Ehm … io sono Bella.» Il ragazzone che ci ha parlato all’inizio si sbraccia in avanti e con la manona grossa tesa verso di me dice:« Qua la mano Bella, io sono Francisco, lui è Charlie, Vik e lei è Mia» strizza l’occhio alla tipa gelida che si volta dall’altro lato e così facendo fa chiaramente capire che non ha gradito il gioco di parole. Ricambio i cenni di cortesia con un sorrisetto.
Nello stesso momento si apre la porta dello studio del professore e sentiamo un frettoloso: «Prego prego accomodatevi»
Entriamo tutti ed io mi tengo alla coda della fila. Adocchio Francisco, che ha la stazza più grossa di tutti e mi sposto lentamente dietro di lui. Sono quasi completamente coperta dalla sua schiena. Per fortuna.
In un’aula con quattrocento anime non è difficile mimetizzarsi, ma in una stanza con sette è praticamente impossibile.
«Allora … ci siete tutti?» chiede Jensen.
«Sì sì.» è Francisco che si guarda intorno come cercando qualcosa. O qualcuno. Poi, torcendo il busto all’indietro mi scorge rannicchiata alle sue spalle. «Oh, scusami Bella, non mi ero accorto di coprirti» e, da grande gentiluomo, mi prende per un braccio portandomi avanti a lui che già si trovava in pole-position.
Mi ritrovo a fissare quelle due iridi azzurro cielo per la seconda volta a una distanza ravvicinata.
Vedo chiaramente nascere la sorpresa e lo stupore dalla dilatazione dei suoi occhi. E’ evidente che ricorda perfettamente chi sono e le circostanze del nostro primo incontro. Per fortuna lo è solo per me, ci mancano solo delle occhiate curiose da parte dei miei colleghi di corso …
Distolgo subito lo sguardo e lo pianto a terra, sui miei stivali.
«Bene. Molto bene.» la sua voce senza il microfono che serve ai professori per farsi sentire in aula è calda, vellutata, non più metallica.
Mi sposto a disagio da un piede all’altro. Questa situazione non mi piace neanche un po’ …
«Signori, poggiate pure i vostri cappotti su quella poltrona lì in fondo e accomodatevi.» Facciamo come ci dice, e mi sento i suoi occhi addosso per tutto il tempo in cui raggiungo la poltrona, deposito il mio chiodo e i guanti, e mi accomodo su un divanetto a due posti. Immediatamente cerco Helèna con lo sguardo, sta ridendo con Francisco per qualcosa che ha detto quest’ultimo. Mi accorgo solo in questo momento che il posto al mio fianco viene occupato dal ragazzo di nome Vik. Mi stringo un po’ anche se non ce n’è bisogno, lo spazio del divano è più che sufficiente per entrambi. Mi lancia un’occhiata chiaramente di apprezzamento e mi maledico silenziosamente per non essermi cambiata stamane prima di uscire. Il mio abbigliamento è comodo per andare in moto, ma potrebbe essere scambiato per aggressivo in circostanze diverse. Me l’ha fatto notare stamane Helèna quando ci siamo incontrate. La mattina arriva sempre prima di me, vivendo nel dormitorio del campus, e mi tiene il posto. Appena mi ha vista mi ha accolta con un “Caspita!” e poi ha soggiunto che non sembravo io vestita in quel modo. Al momento ho sorvolato, indecisa se considerarlo o meno un complimento. Adesso, però, mi pongo il problema perché sono costretta ad un’interazione ravvicinata con altri individui.
Il mio forte.
Prendo un bel respiro e decido di volgere tutta la mia attenzione alle parole del professore. Dopotutto è per questo che siamo qui.
«Vi starete chiedendo il motivo della vostra convocazione. Come forse alcuni di voi sapranno già, questo è il mio primo anno di insegnamento a Dartmouth. Con l’assegnamento della cattedra, mi è stato conferito anche il ruolo di responsabile del Tuck’s Center for Digital Strategies, un centro di eccellenza di rilevanza internazionale.» Vedo con la coda dell’occhi annuire diverse teste.
Mi muovo a disagio sul divano, vergognandomi di non essere minimamente informata della cosa.
«Quest’anno il Centro ha ottenuto dei finanziamenti ridotti. Tale decisione è stata motivata con la scusa che i progetti stanziati erano sostanzialmente irrealizzabili ed eccessivamente costosi. Voci di corridoio mormorano che con ogni probabilità questo Centro verrà chiuso entro l’anno in corso.» la voce di Jensen si interrompe con gravità, un mormorio di sorpresa si alza dai miei ben informati colleghi.
Francisco che sembra essere quello più toccato dalla cosa dice accorato: «Ma come è possibile? Dartmouth è rinomata nel mondo proprio per Centri come questo. Vanta il primato per il lancio sul mercato mondiale di una lista lunghissima di prodotti informatici e digitali. E’ un Centro del tutto imparziale, non corrotto dalle dinamiche del mercato e dai giochi di potere …» la sua voce si va facendo sempre più flebile, fino a bloccarsi come se il ragazzo fosse stato colto da una rivelazione. Rimane a bocca socchiusa guardando il professore, il quale durante tutta la sua filippica lo fissa con un sorriso che via via si fa sempre più definito.
«Per l’appunto.» dice Jensen.
Un silenzio imbarazzato scende nella stanza. Di cose come questa se ne sentono tutti i giorni, ma parlarne apertamente rischia di essere pericoloso.
Mi faccio piccola piccola sul mio divanetto. Mi sento del tutto esclusa dal discorso che verte su argomenti più grandi di me.
Helèna si spinge all’infuori con le braccia posate sulle ginocchia.
«E’ abbastanza chiaro professore, ma, perdoni la mia schiettezza, noi in tutto ciò che c’entriamo?!»la mia amica è perplessa. Lo siamo in realtà un po’ tutti.
Jensen ci fissa uno ad uno negli occhi, poi si lascia andare contro lo schienale della poltrona e dice con un sorriso: «Ragazzi, fino ad adesso nessuno è mai riuscito a spuntarla con me. Non è assolutamente un caso che i miei incarichi durino così poco. Voi, miei cari signori, sarete il mio asso nella manica»


JASPER

«Posso esserle d’aiuto?» un misto di cortesia e curiosità proviene dalla giovane in piedi di fronte a me.
Ricambio il sorriso gentile e con un cenno della mano indico al lato della poltrona su cui sono seduto: «No, grazie. Aspetto una persona»
Accavallo una gamba con studiata noncuranza e sento che la ragazza è ancora titubante, ma anche naturalmente attratta dalla mia figura.
Oggi non ho alcuna intenzione di giocare.
Prendo un libro dalla tracolla  e comincio a sfogliarlo con attenzione. Con la coda dell’occhio la vedo ritirarsi nella stanza dalla quale è uscita  e torno a concentrarmi sulle sensazioni che animano il gruppo di persone che occupa lo studio del prof. Jensen, tre stanze più in là. Alice mi ha detto esattamente dove mi sarei dovuto sedere ed io non le ho domandato spiegazioni. Conoscendola, non mi ci sarebbe voluto tanto per scoprirne il motivo. Anche da qui riesco con chiarezza a percepire le voci, ma è dalle emozioni che mi piombano addosso che ricevo il maggior numero di informazioni.
Ci sono fermento, euforia, determinazione ed impazienza.
Sensazioni che mi giungono confuse, accavallate. E’ la difficoltà che incontro quando manca il contatto visivo con il soggetto.
All’interno dello studio si discute di un progetto che mi sembra abbia a che fare con innovazione e giocattoli … ma non ci ho prestato molta attenzione. Per lo più mi sono concentrato su Bella.
E’ stata bravissima. In più di un’occasione è riuscita a dominare le sue emozioni. In effetti, il mio zampino c’era solo una volta e per un attimo brevissimo, quando era in attesa con la sua amica nei pressi dell’ascensore.
Poi, l’ho lasciata nello studio del tale Jensen e sono andato a lezione.
La ragazza di prima esce nuovamente dalla stanza. Cambio leggermente la mia posizione sulla poltrona e continuo nello scorrimento del libro aperto a caso e poggiato sulla gamba.
La riunione  a cui Bella ha partecipato sta volgendo al termine.
Alice mi ha detto che sarebbe finita alle dodici e diciassette. Un’occhiata rapida all’orologio sul muro mi dice che mancano solo pochi minuti.
Affino l’udito.
«Benissimo. Leggete questo razionale e cominciate a buttare giù qualche idea. Per qualsiasi dubbio, problema o consiglio rivolgetevi pure a me in qualunque momento. E’ tutto per adesso.» E’ la voce del professore che sta congedando gli studenti.
La porta dello studio si apre. Alcuni ragazzi cominciano ad uscire ed a camminare nella mia direzione.
L’istinto mi dice di rimanere dove sono.
Nel momento in cui mi passano davanti, sento le loro emozioni distintamente. Nel complesso sono … entusiasti.
Mi stupisco di non vedere ancora Bella. Fuori dallo studio un ragazzo biondino si sistema i lacci delle scarpe.
Acuisco tutti i sensi.
«Signorina Swan … Isabella, aspetti un attimo.» è il professore. Non c’è alcuna emozione negativa in lui, ma piuttosto … interesse, curiosità, e sì, mi arriva chiaramente anche l’attrazione fisica.
Le emozioni di Bella mi sono familiari, non ho alcuna difficoltà a distinguerle. E’ dubbiosa, indecisa. Alberga in lei una forte sensazione di inadeguatezza e ammirazione nei confronti del suo interlocutore. Ma è anche profondamente in soggezione.
« Mi … mi dica professor Jensen» dalla sua voce traspare tutto l’imbarazzo che prova.
«Il suo scritto mi ha molto colpito, Isabella. Lei è in una forte conflittualità con se stessa e dimostra una scarsa fiducia nelle sue capacità, pur evidenziando un certo interesse per la materia. Perdoni la mia sfacciataggine, ma mi ha incuriosito molto.» il professore fa una breve pausa.
La ritrosia di Bella lo affascina.
«Che senso ha intraprendere un cammino se non ha intenzione di percorrerlo fino in fondo?» la voce del professore si è fatta accorata.
«Io non … non capisco … che intende dire.» Bella si sente alle strette, è in difficoltà.
«Credo, invece che lo sappia. Lei non terminerà l’università. E’ come se sentisse che sulla sua testa è posata una spada di Damocle. Lei attende l’inevitabile.» Jensen si ferma improvvisamente, pentito.
Bella tace, ma è turbata.
«Mi perdoni, forse sono stato troppo irruente. Spero, tuttavia, di riuscire a farle cambiare idea.» e detto ciò la congeda.
Bella esce dallo studio ancora sovrappensiero chiudendosi la porta alle spalle. Non si accorge del tipo che le si piazza davanti, il ragazzo che stava aggiustandosi le scarpe.
Le sta bloccando il passaggio.
«Ah Vik. Scusa non ti avevo visto.» dice lei e cerca di aggirarlo.
Ma lui non sembra pensarla allo stesso modo. Poggia un braccio teso al lato del viso di Bella con fare brusco e le dice: «Ti aspettavo, dolcezza. Andiamo a farci un giro, ti và?». Le afferra un polso e la strattona verso di sé.
Percepisco lussuria e aggressività nelle emozioni e nella voce di Vik.
Bella è pietrificata.
Mi alzo immediatamente e in due falcate mi posiziono alle spalle del ragazzo.
«Hai sbagliato persona.» gli dico con voce pacata.
«Schioda stronzo, non sono affari tuoi» dice Vik senza nemmeno girarsi e continuando a guardare Bella.
«Jasper!» esclama lei riconoscendo la mia voce e cercando di passare sotto il suo braccio.
«Non farti pregare, tesoro. Il tuo amichetto può aspettare il suo turno. Mi hai provocato per tutto il tempo …» la voce del tipo comincia a diventare viscida e mentre cerca di bloccare il movimento di Bella gli metto una mano sul braccio.
«Lasciala» gli ordino.
«Fammi capire, ma chi cazzo sei, il guardiano del ces…» comincia a dire Vik con voce alterata iniziando a voltarsi. Si blocca non appena mi vede con chiarezza. Mi lancia un’occhiata e fa un passo indietro: «… la sua guardia del corpo?» finisce con voce decisamente più contenuta, lasciando andare giù il braccio e permettendo a Bella di sgattaiolare alle mie spalle.
«Ci sei andato vicino. Sono suo fratello.» gli dico in tono sinistro «E tu sei una persona fortunata» penso ad Edward e a cosa gli avrebbe fatto se ci fosse stato lui al mio posto. Accentuo leggermente la presa sul braccio del malcapitato Vik e gli dico con voce carezzevole: «Ti consiglio di non avvicinarti mai più a lei. MAI PIU’. Sono stato chiaro?»
«Cer … certo, chiarissimo.» il tipo ha incassato la testa nelle spalle e fa per andarsene, ma io non mollo la presa: «Stai dimenticando qualcosa … » e con un cenno del capo indico Bella alle mie spalle.
«S … si , scu … scusa Bella» balbetta Vik prima di prendere il volo verso lidi più sicuri.
Mi volto e trovo gli occhi di lei su di me, fissi e spalancati.
Modulo il suo turbamento quel tanto che basta a rasserenarla.
I suoi occhi incontrano i miei e mormora un flebile grazie.
La osservo un attimo. Poi con sorriso le chiedo: «Pronta per tornare a casa?»
Annuisce con il capo e ci avviamo al parcheggio.
Camminiamo in silenzio. Nonostante la mia influenza su di lei la sento tesa.
«Non hai motivo di essere ancora preoccupata, quel tipo ti lascerà in pace.  Cosa ti turba?» le chiedo cercando di essere delicato.
Scuote la testa ma resta in silenzio.
«Pensi che Edward possa preoccuparsi se scopre qualcosa?» le suggerisco pacatamente.
Abbassa gli occhi sul cemento. «Anche» dice laconica.
Colpita. Annuisco lentamente.
«Ti hanno turbato le parole di Jensen?» le domando sempre con la massima tranquillità.
Non risponde. Colpita e affondata.
«Bella, non c’è alcuna spada di Damocle sulla tua testa. Tu sei una persona libera. Puoi scegliere tu, quando e come. E, soprattutto, se.» Non è necessario essere più precisi, ha capito perfettamente che mi riferisco alla sua trasformazione.
Le sue emozioni sono un altalenarsi di certezza, determinazione, e di confusione, senso di colpa.
Un po’ troppo per una persona sola.
Siamo arrivati, dunque mi fermo. Bella è persa nei suoi pensieri, non si è resa conto che non dobbiamo continuare più a camminare.
«Ehi, ma vuoi arrivare a casa a piedi?» le chiedo ironico.
Si ferma, si gira e balbetta uno:«Ops, scusa. Già siamo arrivati all’aut … JASPER!!! Hai preso la moto nuova!!!!» il suo entusiasmo mi investe come un’onda anomala e spazza in un attimo tutta la negatività che l’avvolgeva prima.
Sorrido.
La passione di Bella per le moto è quasi pari alla mia.
Gira intorno alla moto con lo sguardo di una bambina in un negozio di giocattoli il giorno di Natale. Le mancano le parole.
Salgo a cavalcioni sulla mia Ninja ZX 6R nera e le porgo un casco dello stesso colore. Lo afferra e lo indossa con rapidità. L’aiuto a montare in sella e aspetto che si sistemi bene mentre comincio ad accendere il motore.
Rimango un attimo in attesa. Il rombo del motore mi penetra nel cervello e accelero un po’ a fermo per farlo riscaldare.
«Che suono meraviglioso!» esclama gioiosa alzando la voce per coprire il rumore del motore.
«Pronta?» le chiedo.
Sento che annuisce con il capo. Si aggrappa alla mia giubbotto con forza.
Sa bene che rischia di volare via …
E un secondo dopo schizziamo via per le strade, veloci come fulmini.


NOTA DELL’AUTRICE: Finalmente il mio computer-prodigo è ritornato all’ovile!!!
“Nun ce frega na mazza, quando aggiorni?” direte voi …
Bhè, il prossimo cappy è quasi pronto …
Comunque, ecco la favolosa moto di Jasper, la Ninja ZX 6R

Keska: Grazie sempre per il tuo sostegno e per il tuo commento. E’ un onore per me riceverlo da un’autrice come te… Baci 
Arual93: Hai ragione, Edward si fa un sacco di pippe mentali, ma non è che forse le sue non sono proprio paranoie, ma piuttosto … premonizioni? E’ vero che ho detto che la storia sarà a lieto fine (spero…), ma non ho mai detto che sarà indolore!!!
Grazie per ogni singola visita alla mia storia.
Grazie per i commenti che mi lasciate e per quelli che lascerete.
Ok, mi ritiro per deliberare. Abbiate fede, non mi abbandonate!!!
Alla prossima follia 
Baci M.Luisa


   
 
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