CAP.9
BELLA
«Non immaginavo che avessi una passione per la moda
…» dico sorridendo ad Helèna che fa
svolazzare una pila di fogli sotto il mio naso.
Sono dei bozzetti di abbinamenti di abiti. Servono per il suo progetto.
Ognuno di noi deve sviluppare una sua idea personale.
«Bhè, non è una vera e propria
passione, diciamo che si tratta di una intensa attrazione. Ma non posso
certo competere con te! Vesti così … alla moda,
sei sempre impeccabile … » dice lei arrossendo
alle sue stesse parole.
La guardo come se avesse appena pronunciato una bestemmia.
Io impeccabile.
La ragazza deve certamente soffrire di qualche rara malattia agli
occhi. Non c’è altra spiegazione.
O vuole essere solo gentile.
«Io … non è come sembra
… mia … sorella è
l’esperta in famiglia» balbetto queste parole quasi
a volermi giustificare.
«Bella, guarda che era un complimento. Non ti devi scusare se
sei ben vestita» mi dice lei ammiccando con
ovvietà. «Non vuoi proprio darci
un’occhiata? Avrei davvero bisogno di un consiglio da una
persona con il tuo gu …» si interrompe al mio
sguardo esasperato, ma poi continua imperterrita:«con il
gusto di tua sorella. Magari uno di questi giorni potresti
presentarmela» finisce speranzosa.
«Sì, magari uno di questi …
giorni.» penso ad Alice. Sarebbe davvero felice di poter
finalmente mettere sotto torchio un essere consenziente.
Un ragazzo dall’aria trasandata si avvicina frettolosamente.
E’ l’ora di punta, il Tandem è
stracolmo. Come sempre Helèna è riuscita ad
intrufolarsi perché conosce un po’ tutti al
campus, e, in più, il suo ragazzo, Paul, racimola qualcosa
qui servendo ai tavoli.
E’ lui che sta zigzagando verso l’ingresso per
raggiungerci.
« Uff! Ciao ragazze!» ci saluta con il respiro
corto e stampa un bacio fugace sulla guancia ad Helèna.
«Ciao Paul» rispondo io.
Helèna, invece, lo afferra per una manica e lo
tira un po’ verso di sé:«Ehi furfante,
dì un po’, ci hai tenuto il tavolino?»
lo apostrofa minacciosamente e contemporaneamente gli lancia uno
sguardo languido da vero pesce innamorato.
«Come richiesto mademoiselle»
e fa un leggero inchino scherzoso.
Lo scambio di battute tra i due è rapido, ma neanche ad un
osservatore superficiale sfuggirebbe l’intesa che
c’è tra loro.
Con una morsa allo stomaco ripenso all’ultima conversazione
avuta con Edward.
Stamattina, a colazione.
“«Buongiorno»
io.
«Buongiorno»
lui appoggiato a braccia conserte al piano della cucina con il bacino.
«Alice?»
io
«In
garage» lui.
«A
dopo» si raddrizza ed esce veloce.
«Ciao»
dico rivolta al vuoto lasciato dietro di lui.”
Due persone estremamente civili.
Helèna mi trascina con sé mentre si aggrappa al
suo ragazzo con la mano.
Paul segue il corso di legge qui a Dartmouth. A vederlo non gli si
darebbe neanche un dollaro in mano: un cespuglio indefinito di ricci
bruni e ribelli, una camicia a quadroni messa sopra un jeans
che sembra aver visto giorni migliori, è il ritratto del
giovane squattrinato. In realtà la sua è una
delle famiglie più benestanti della Virginia, con una
tradizione secolare di figure giuridiche: padre avvocato,
madre notaio, nonno, bis e tris-nonno giudici di contea.
Lo sguardo che lancia alla sua fidanzata rivela, tuttavia, la sua
natura orgogliosa, combattiva e determinata.
Sembra un rapace.
Accetta che la sua famiglia lo mantenga agli studi, ma non approfitta
nemmeno di un centesimo di più. Il resto delle sue
necessità viene soddisfatto solo grazie al suo lavoro.
Personalmente mi è stato simpatico da subito.
«Allora ragazze, cosa vi porto?» domanda
accompagnandoci a quella che è diventata la nostra
postazione ormai da un paio di settimane.
«Per me un caffè corretto» dice
Helèna, poi rettifica allo sguardo eloquente del fidanzato
«… volevo dire macchiato.»
«Acqua liscia» dico io.
«Arrivano subito» e scompare rapido.
Ci sediamo dopo esserci liberate dei cappotti.
Helèna si guarda intorno alla ricerca di qualche volto
conosciuto. Ne trova parecchi. Saluta molti con un cenno della mano.
Io resto in silenzio.
Non ho voglia di guardarmi intorno.
Non c’è nulla che mi interessi vedere. O meglio,
nessuno.
Paul ci porta le nostre ordinazioni.
La mia amica sorseggia il suo caffè e fa una smorfia di
disgusto: «E’ un casino avere un fidanzato
salutista». Saetta con lo sguardo ancora un po’ in
giro, passandomi sopra con gli occhi un paio di volte. Si ferma quindi
dopo l’ennesima occhiata di finto disinteresse:
«Nottataccia?» mi chiede ammiccando.
Annuisco bevendo un sorso d’acqua.
E’ sempre una pessima notte quella che inizia senza Edward al
mio fianco. E’ un po’ che viene in camera nostra
solo quando è sicuro che stia dormendo. Lo so
perché solo in quel momento il mio corpo si rilassa e riesco
a scivolare in un sonno inquieto.
Solo quando sento la sua presenza.
La mattina non lo trovo più al mio fianco. E’
sempre in casa, so che è a portata d’orecchio, ma
non lo incrocio mai. Eppure lo sento sempre vicino.
Andiamo insieme all’università solo quando gli
orari dei corsi combaciano. Negli altri giorni in genere vado con Alice.
E la cosa mi disturba anche se non lo do a vedere. Come Edward anche
lei non ha lezione. Tuttavia non ho mai replicato. Io non impongo mai
la mia presenza a nessuno.
«A che ora c’è la riunione?»
mi chiede la mia amica deponendo la tazzina nel piattino.
«Alle due» rispondo telegrafica, gli occhi nel
bicchiere «Salvo impedimenti» ripeto le parole che
Jensen ha pronunciato in aula qualche giorno fa.
Un attimo di silenzio.
«Non credo che ce ne saranno.» la voce della mia
amica è sicura.
Alzo gli occhi e seguo la direzione del suo sguardo, fisso alle mie
spalle.
Eric Jensen è seduto a qualche tavolino di distanza, da
solo, davanti ad un portatile acceso. Le sue dita accarezzano veloci la
tastiera. Sembra molto impegnato.
Mi volto subito.
Sprofondo nella mia sedia come se volessi scomparire. La sala
è strapiena. E’ più che plausibile che
non ci abbia viste.
Dio, fa che non ci abbia
viste. Supplico mentalmente.
Dopotutto non siamo nel suo studio. Che motivo ci sarebbe per
avvicinarci? Questi sono i nostri rispettivi momenti liberi e nessun
interesse professionale può disturbarli.
Helèna non demorde. Ha una venerazione per quello che
definisce “il genio dell’economia”.
Sembra una fan sfegatata al cospetto del suo idolo.
Comincia ad agitarsi tutta.
Di conseguenza inizia a sproloquiare.
«Ma l’hai visto?» comincia ed io mi
preparo perché so che questo è solo
l’inizio di una lunga serie di domande tanto pleonastiche
quanto fastidiose.
«Lo vedo, è a tre metri!» dico un
po’ seccata.
«Ma chissà perché è qui
…» si domanda con fare investigativo.
«Magari per … pranzare?!» suggerisco
sullo stesso stile.
Lei non sembra cogliere l’ironia nelle mie parole.
«Già, già» annuisce
distrattamente.
Accolgo il silenzio che scende tra di noi con una punta di terrore.
Helèna sta pensando.
E’ di certo il preludio a sventure future.
«Vuoi sapere cosa penso?» prorompe in fine come se
avesse deciso di non trattenersi più.
Sarebbe inutile dirle di no. Mi limito a guardarla di sfuggita da sopra
il bicchiere bagnando giusto le labbra e impegnandole in qualcosa che
non sia una risposta.
«Penso che sperasse di incontrare qualcuno.» dice
trionfante.
Punto gli occhi sul suo viso, i suoi sono rivolti altrove.
La conversazione rischia di prendere una brutta piega, anzi no.
Una pessima piega.
Depongo con lentezza il bicchiere sul tavolo seguendo attentamente con
lo sguardo tutto il movimento della mia mano.
«Può darsi» mi impongo di dire
tranquillamente.
«Allora» mi raddrizzo sulla sedia e passo una mano
tra i capelli «che ne dici di iniziare? L’ultima
volta avevamo individuato l’utente, adesso credo che sia
importante valutare i materiali e i costi di produzione»
parlo mentre armeggio nella mia borsa alla ricerca degli appunti.
Da Helèna non proviene alcun commento.
La cosa non mi conforta affatto.
Le lancio un’occhiata saettante. Scorgo l’accenno
di un sorriso sulle sue labbra. Riporto il mio sguardo su di lei e lo
mantengo.
«Te, ad esempio» conclude imperterrita.
«Scusa?» ovviamente ho capito perfettamente. Cerco
di prendere tempo per trovare un modo di liquidare con grazia la
questione.
«Non fingere di non capire» inclina il capo di
lato, i suoi occhi si fanno attenti «anche un cieco vedrebbe
che gli piaci».
«Non dire sciocchezze. Il suo interesse è solo
professionale, e non dissimile da quello che ha per voi
altri.» Anche alle mie orecchie la mia voce sembra incerta.
«Tu gli piaci» continua imperterrita con un tono
soave.
«Helèna basta. Tu dimentichi che sono una donna
sposata …» finisco riducendo il tono ad un
sussurro.
I suoi occhi si spalancano innocenti: «Niente affatto. Ho
detto che gli piaci, non che lo ricambi. O, forse, vorresti?»
Strabuzzo gli occhi e divento rossa per mancanza di ossigeno. Ma dove
è finita la timidezza della mia amica?
«Bella, guarda che sto solo scherzando!» prorompe
in una risata alla mia espressione scandalizzata.
«Vorrei ben dire …» soggiungo abbozzando
anche io un sorrisetto.
«Sì, ma solo per quanto ti riguarda. La mia idea
su di lui non cambia. Fossi io in te …» non
finisce la frase e la guardo inebetita.
«Ok, ok. La pianto» sospira e si gira a prendere la
sua cartellina.
Trascorriamo una decina di minuti tra calcoli percentuali e indagini di
mercato.
Sono persa a raffrontare i risultati dei pronostici di vendita di
alcune delle più quotate aziende produttrici di giocattoli
che mi rendo conto in ritardo della distrazione della mia amica.
Ha appoggiato il mento sul palmo della mano, il gomito puntato sul
piano del tavolino. Gli occhi sono rivolti nella direzione sbagliata.
Non sono sul mio viso, ma spaziano oltre le mie spalle.
Ci risiamo.
Sta pensando.
Di nuovo.
Alzo gli occhi al cielo. Adesso ricominciamo con le sue supposizioni
assurde.
Sto quasi per spazientirmi quando accadono tre cose contemporaneamente:
Helèna parla, la mia borsa scivola dallo schienale della
sedia a terra, il cellulare inizia a squillare.
«Però, sarebbe interessante fare un piccolo
esperimento …» dice lei sovrappensiero, mentre io
mi chino a raccogliere la borsa e a frugarci dentro alla ricerca del
telefonino.
«Che esperimento?» le chiedo con la testa ancora in
basso, quasi ficcata nella borsa enorme.
Ma quando mi deciderò a non portarmi dietro tutta la casa
come le lumache?
Non sento alcuna risposta dalla mia amica e ripeto con voce
più decisa:«Che esperimento?».
Eccolo finalmente! Cellulare malefico. Ha smesso di squillare.
Lo apro per vedere il messaggio della chiamata persa.
Alice.
Aggrotto le sopracciglia e mi rialzo distendendomi sulla schienale
della sedia.
La mia visuale periferica è troppo libera e non dovrebbe
dato che di fronte a me c’è la mia amica.
Alzo gli occhi dal display. Mi correggo.
C’era la mia amica.
Resto a guardare il suo posto libero con la bocca semiaperta.
Ma dove …?
Il cellulare comincia a squillarmi tra le mani.
Leggo nuovamente il nome di Alice e pigio sul tasto della risposta.
«Pronto» dico.
«Bella, non
agitarti. Edward …» comincia a dire
lei.
L’accostamento dei due termini – agitarsi ed Edward
- è un cerino messo su una fiamma ardente:«Cosa?
COSA ALICE?» la voce mi esce stridula.
«La mia
visione … incompleta … lui ha
…» Alice parla velocemente e non
riesco a seguirla.
«Ali, Ali non ti seguo. Parla più piano»
mi sforzo di concentrarmi, di mantenere la calma.
E’ successo
qualcosa ad Edward. Penso con calma innaturale.
La testa prende a girarmi velocemente e poggio la fronte su una mano
per fermare il vortice.
«Avviati
all’auto. Subito» dice con
l’urgenza nella voce.
Lo stomaco mi si rivolta, sento il sapore della bile nella bocca.
Deglutisco per soffocare la sensazione di nausea.
E’ successo
qualcosa ad Edward.
La mia mente ripete questa frase senza tregua. Ho paura a pronunciarla
ad alta voce, ma devo farlo.
Con uno sforzo incredibile per non urlare, inchiodata alla sedia, con
la sola forza di reggere il cellulare tra le dita soffio appena tra le
labbra:«E’ successo qualcosa ad Edward»
«No,
no.» la sua voce sembra sorpresa che io abbia
pensato a questa eventualità.
Non riesco a parlare, ma so che Alice sente il mio respiro: «Bella fidati di me.
Alzati e vattene da lì. ADESSO»
Vedo con la coda dell’occhio un movimento davanti a me. Non
ci presto attenzione, la mia mente va per conto suo.
Si è ferito,
magari cacciando.
Si è
schiantato contro un muro mentre guidava quella sua maledetta auto.
Oppure …
oppure ha attaccato qualche umano …
Getto alla rinfusa gli appunti nella borsa. Si piegano e sgualciscono
mentre li spingo dentro e cerco di richiudere la zip con una mano.
Nell’altra ancora il cellulare.
Penso.
Penso imponendomi di reagire, di alzarmi, di lasciare tutto e correre
da lui. La paura ed il desiderio di sapere si mescolano nel mio corpo.
La prima genera immagini di mio marito disteso a terra, agonizzante e
sofferente. E’ un veleno acido che scorre lentamente nelle
vene e corrode tutto ciò con cui viene a contatto. Mi
inchioda alla sedia, mi blocca i movimenti, mi fa compiere gesti
inutili solo per ritardare il momento della scoperta.
Il secondo mi acuisce i sensi. Tutto sembra più vivido, i
rumori sembrano più forti, gli odori più
penetranti, i gesti sono più veloci.
Mi ricordo di Alice. E’ ancora al telefono.
Lo riavvicino all’orecchio e faccio per alzarmi.
Mi immobilizzo vedendo la persona in piedi, di fronte a me.
«Bella, Jensen
si avvicinerà al tuo tavolo. Edward l’ha visto
nella mia mente e credo che stia venendo lì»
le parole di Alice rimbalzano contro il mio orecchio.
«E’ troppo tardi» sussurro al telefono.
Chiudo la comunicazione e alzo il viso verso quello sorridente ed
allegro di Eric Jensen, pronta ad affrontarlo.
NOTA
DELL’AUTRICE: Vi prego di perdonare il mio ritardo, ma come
giustificazione posso solo dirvi che non ho dovuto scrivere un solo
capitolo, ma tre. Purtroppo, anche se avevo pronto questo non ho potuto
postare perché i due successivi sono strettamente legati e
non volevo rompere il vaso se poi non potevo più
ricostruirne i cocci, non so se mi spiego …
SteTom:
Grazie davvero dei tuoi complimenti, anche per quanto riguarda
“Una sera, per caso”. Sì, mi piacerebbe
continuarla, ma non lo farò subito perchè quando
scrivo mi ci dedico molto e non riesco a farlo
“divisa” in due. Sei stata davvero stoica a
rifilarti tutti i miei capitoli in così pochi giorni, ma
sono contenta che ha i notato dei miglioramenti dai primi scritti ad
oggi. Effettivamente sia lo stile che la parte interpretativa hanno
subito dei cambiamenti sostanziali … Grazie ancora e
continua a darmi il tuo parere, ci conto! Saluti *_*
tsukinoshippo:
Tesoro, ti giuro che sei stata nei miei pensieri per tutti questi
giorni che non ho potuto postare!! Grazie davvero per il tuo commento
al capitolo precedente, ho apprezzato molto come hai analizzato i punti
di vista di entrambi: obiettiva e sincera. In effetti hanno ragione
entrambi, ed è proprio questo che volevo far notare.
E’ possibile trovare un punto d’incontro?
Sì, te lo dico io. Ma non sarà semplice, anzi
penso che a volte sia necessario ferirsi per poter far emergere
realmente i sentimenti e le emozioni più profonde. Non
è facile scrivere di queste cose, di momenti brutti. Ma io
credo che la strada per il paradiso passi proprio per
l’inferno. Grazie tsuki, e a presto. *_*
rodney: Ciao
Simo! E sì, non parlano! Ma penso che sia più che
logico.
A volte ci si
può sentire stupidi ad esternare le proprie paure, i propri
dubbi. A volte semplicemente non sembra necessario, non sembra
così nocivo il silenzio, anzi può apparire
addirittura confortante! Come te che l’hai già
vissuto … sai anche che è facile, poi, poter dire
qualcosa di cui ci si può pentire…! STOP Baci
keska: Grazie
gioia! Spero che il seguito ti piaccia ancora, stiamo per scendere
giù in picchiata!!! Che ne pensi delle musiche che ho scelto
finora? La tua scelta dell’ultimo capitolo è stata
molto carina …! Leggendo il capitolo con il suggerimento
musicale l’atmosfera non sembra più …
magica?!!! Baci baci baci
00Stella00:
Uè piccolì, certo che hai individuato
l’indizio!!!! Purtroppo non ho potuto aggiornare
più velocemente di così e ti giuro che mi
dispiace sapere che sei rimasta appesa al pc in attesa di aggiornamenti
che non arrivavano. Vorrei farvi stare in casa con me e farvi vedere
come ogni attimo libero lo trascorra scrivendo e anche quelli occupati
li passo a pensare, pensare … il mio portatile è
acceso dalla mattina alle sei fino a sera inoltrata. Come per molti di
noi, però, gli impegni della giornata spesso mi sommergono.
Ti prometto che i prossimi capitoli (per lo meno gli altri due )
arriveranno presto! Baci
L'insegna del Tandem cafè.
Il suo interno
così come l'ho immaginato io.
Un ringraziamento particolare va a chi ha letto, a chi ha commentato
(anche in privato) e a chi ha inserito questa e le altre mie storie tra
i preferiti/seguiti. Per “Una sera, per caso
…” un grazie speciale, di cuore.
E sì, credo
che la continuerò, ma solo dopo aver finito questa.
Baci
M.Luisa
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