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Autore: endif    25/10/2009    11 recensioni
“«Edward…» non mi accorgo neppure di avere sussurrato il suo nome, ma forse l’ho fatto perché lo vedo girarsi verso di me come a rallentatore. Il tempo si cristallizza qui, in questa stanza, in questo momento, restando sospeso a mezz’aria.
Sgrano gli occhi a dismisura quando capisco chi è tra le sue braccia.
No. Non può essere.”
Piccolo spoiler per questa nuova fic, il seguito di My New Moon. Ci saranno tante sorprese, nuove situazioni da affrontare per i nostri protagonisti. Un E/B passionale e coinvolgente.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun libro/film
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Change' Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
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CAP.9

BELLA
«Non immaginavo che avessi una passione per la moda …» dico sorridendo ad Helèna che fa svolazzare una pila di fogli sotto il mio naso.
Sono dei bozzetti di abbinamenti di abiti. Servono per il suo progetto. Ognuno di noi deve sviluppare una sua idea personale.
«Bhè, non è una vera e propria passione, diciamo che si tratta di una intensa attrazione. Ma non posso certo competere con te! Vesti così … alla moda, sei sempre impeccabile … » dice lei arrossendo alle sue stesse parole.
La guardo come se avesse appena pronunciato una bestemmia.
Io impeccabile.
La ragazza deve certamente soffrire di qualche rara malattia agli occhi. Non c’è altra spiegazione.
O vuole essere solo gentile.
«Io … non è come sembra …  mia … sorella è l’esperta in famiglia» balbetto queste parole quasi a volermi giustificare.
«Bella, guarda che era un complimento. Non ti devi scusare se sei ben vestita» mi dice lei ammiccando con ovvietà. «Non vuoi proprio darci un’occhiata? Avrei davvero bisogno di un consiglio da una persona con il tuo gu …» si interrompe al mio sguardo esasperato, ma poi continua imperterrita:«con il gusto di tua sorella. Magari uno di questi giorni potresti presentarmela» finisce speranzosa.
«Sì, magari uno di questi … giorni.» penso ad Alice. Sarebbe davvero felice di poter finalmente mettere sotto torchio un essere consenziente.
Un ragazzo dall’aria trasandata si avvicina frettolosamente. E’ l’ora di punta, il Tandem è stracolmo. Come sempre Helèna è riuscita ad intrufolarsi perché conosce un po’ tutti al campus, e, in più, il suo ragazzo, Paul, racimola qualcosa qui servendo ai tavoli.
E’ lui che sta zigzagando verso l’ingresso per raggiungerci.
« Uff! Ciao ragazze!» ci saluta con il respiro corto e stampa un bacio fugace sulla guancia ad Helèna.
«Ciao Paul» rispondo io.
Helèna, invece,  lo afferra per una manica e lo tira un po’ verso di sé:«Ehi furfante, dì un po’, ci hai tenuto il tavolino?» lo apostrofa minacciosamente e contemporaneamente gli lancia uno sguardo languido da vero pesce innamorato.
«Come richiesto mademoiselle» e fa un leggero inchino scherzoso.
Lo scambio di battute tra i due è rapido, ma neanche ad un osservatore superficiale sfuggirebbe l’intesa che c’è tra loro.
Con una morsa allo stomaco ripenso all’ultima conversazione avuta con Edward.
Stamattina, a colazione.
“«Buongiorno» io.
«Buongiorno» lui appoggiato a braccia conserte al piano della cucina con il bacino.
«Alice?» io
«In garage» lui.
«A dopo» si raddrizza ed esce veloce.
«Ciao» dico rivolta al vuoto lasciato dietro di lui.”
Due persone estremamente civili.
Helèna mi trascina con sé mentre si aggrappa al suo ragazzo con la mano.
Paul segue il corso di legge qui a Dartmouth. A vederlo non gli si darebbe neanche un dollaro in mano: un cespuglio indefinito di ricci bruni e ribelli,  una camicia a quadroni messa sopra un jeans che sembra aver visto giorni migliori, è il ritratto del giovane squattrinato. In realtà la sua è una delle famiglie più benestanti della Virginia, con una tradizione  secolare di figure giuridiche: padre avvocato, madre notaio, nonno, bis e tris-nonno giudici di contea.
Lo sguardo che lancia alla sua fidanzata rivela, tuttavia, la sua natura orgogliosa, combattiva e determinata.
Sembra un rapace.
Accetta che la sua famiglia lo mantenga agli studi, ma non approfitta nemmeno di un centesimo di più. Il resto delle sue necessità viene soddisfatto solo grazie al suo lavoro.
Personalmente mi è stato simpatico da subito.
«Allora ragazze, cosa vi porto?» domanda accompagnandoci a quella che è diventata la nostra postazione ormai da un paio di settimane.
«Per me un caffè corretto» dice Helèna, poi rettifica allo sguardo eloquente del fidanzato «… volevo dire macchiato.»
«Acqua liscia» dico io.
«Arrivano subito» e scompare rapido.
Ci sediamo dopo esserci liberate dei cappotti.
Helèna si guarda intorno alla ricerca di qualche volto conosciuto. Ne trova parecchi. Saluta molti con un cenno della mano.
Io resto in silenzio.
Non ho voglia di guardarmi intorno.
Non c’è nulla che mi interessi vedere. O meglio, nessuno.
Paul ci porta le nostre ordinazioni.
La mia amica sorseggia il suo caffè e fa una smorfia di disgusto: «E’ un casino avere un fidanzato salutista». Saetta con lo sguardo ancora un po’ in giro, passandomi sopra con gli occhi un paio di volte. Si ferma quindi dopo l’ennesima occhiata di finto disinteresse: «Nottataccia?» mi chiede ammiccando.
Annuisco bevendo un sorso d’acqua.
E’ sempre una pessima notte quella che inizia senza Edward al mio fianco. E’ un po’ che viene in camera nostra solo quando è sicuro che stia dormendo. Lo so perché solo in quel momento il mio corpo si rilassa e riesco a scivolare in un sonno inquieto.
Solo quando sento la sua presenza.
La mattina non lo trovo più al mio fianco. E’ sempre in casa, so che è a portata d’orecchio, ma non lo incrocio mai. Eppure lo sento sempre vicino.
Andiamo insieme all’università solo quando gli orari dei corsi combaciano. Negli altri giorni in genere vado con Alice.
E la cosa mi disturba anche se non lo do a vedere. Come Edward anche lei non ha lezione. Tuttavia non ho mai replicato. Io non impongo mai la mia presenza a nessuno.
«A che ora c’è la riunione?» mi chiede  la mia amica deponendo la tazzina nel piattino.
«Alle due» rispondo telegrafica, gli occhi nel bicchiere «Salvo impedimenti» ripeto le parole che Jensen ha pronunciato in aula qualche giorno fa.
Un attimo di silenzio.
«Non credo che ce ne saranno.» la voce della mia amica è sicura.
Alzo gli occhi e seguo la direzione del suo sguardo, fisso alle mie spalle.
Eric Jensen è seduto a qualche tavolino di distanza, da solo, davanti ad un portatile acceso. Le sue dita accarezzano veloci la tastiera. Sembra molto impegnato.
Mi volto subito.
Sprofondo nella mia sedia come se volessi scomparire. La sala è strapiena. E’ più che plausibile che non ci abbia viste.
Dio, fa che non ci abbia viste. Supplico mentalmente.
Dopotutto non siamo nel suo studio. Che motivo ci sarebbe per avvicinarci? Questi sono i nostri rispettivi momenti liberi e nessun interesse professionale può disturbarli.
Helèna non demorde. Ha una venerazione per quello che definisce “il genio dell’economia”.
Sembra una fan sfegatata al cospetto del suo idolo.
Comincia ad agitarsi tutta.
Di conseguenza inizia a sproloquiare.
«Ma l’hai visto?» comincia ed io mi preparo perché so che questo è solo l’inizio di una lunga serie di domande tanto pleonastiche quanto fastidiose.
«Lo vedo, è a tre metri!» dico un po’ seccata.
«Ma chissà perché è qui …» si domanda con fare investigativo.
«Magari per … pranzare?!» suggerisco sullo stesso stile.
Lei non sembra cogliere l’ironia nelle mie parole.
«Già, già» annuisce distrattamente.
Accolgo il silenzio che scende tra di noi con una punta di terrore.
Helèna sta pensando.
E’ di certo il preludio a sventure future.
«Vuoi sapere cosa penso?» prorompe in fine come se avesse deciso di non trattenersi più.
Sarebbe inutile dirle di no. Mi limito a guardarla di sfuggita da sopra il bicchiere bagnando giusto le labbra e impegnandole in qualcosa che non sia una risposta.
«Penso che sperasse di incontrare qualcuno.» dice trionfante.
Punto gli occhi sul suo viso, i suoi sono rivolti altrove.
La conversazione rischia di prendere una brutta piega, anzi no.
Una pessima piega.
Depongo con lentezza il bicchiere sul tavolo seguendo attentamente con lo sguardo tutto il movimento della mia mano.
«Può darsi» mi impongo di dire tranquillamente.
«Allora» mi raddrizzo sulla sedia e passo una mano tra i capelli «che ne dici di iniziare? L’ultima volta avevamo individuato l’utente, adesso credo che sia importante valutare i materiali e i costi di produzione» parlo mentre armeggio nella mia borsa alla ricerca degli appunti.
Da Helèna non proviene alcun commento.
La cosa non mi conforta affatto.
Le lancio un’occhiata saettante. Scorgo l’accenno di un sorriso sulle sue labbra. Riporto il mio sguardo su di lei e lo mantengo.
«Te, ad esempio» conclude imperterrita.
«Scusa?» ovviamente ho capito perfettamente. Cerco di prendere tempo per trovare un modo di liquidare con grazia la questione.
«Non fingere di non capire» inclina il capo di lato, i suoi occhi si fanno attenti «anche un cieco vedrebbe che gli piaci».
«Non dire sciocchezze. Il suo interesse è solo professionale, e non dissimile da quello che ha per voi altri.» Anche alle mie orecchie la mia voce sembra incerta.
«Tu gli piaci» continua imperterrita con un tono soave.
«Helèna basta. Tu dimentichi che sono una donna sposata …» finisco riducendo il tono ad un sussurro.
I suoi occhi si spalancano innocenti: «Niente affatto. Ho detto che gli piaci, non che lo ricambi. O, forse, vorresti?»
Strabuzzo gli occhi e divento rossa per mancanza di ossigeno. Ma dove è finita la timidezza della mia amica?
«Bella, guarda che sto solo scherzando!» prorompe in una risata alla mia espressione scandalizzata.
«Vorrei ben dire …» soggiungo abbozzando anche io un sorrisetto.
«Sì, ma solo per quanto ti riguarda. La mia idea su di lui non cambia. Fossi io in te …» non finisce la frase e la guardo inebetita.
«Ok, ok. La pianto» sospira e si gira a prendere la sua cartellina.
Trascorriamo una decina di minuti tra calcoli percentuali e indagini di mercato.
Sono persa a raffrontare i risultati dei pronostici di vendita di alcune delle più quotate aziende produttrici di giocattoli che mi rendo conto in ritardo della distrazione della mia amica.
Ha appoggiato il mento sul palmo della mano, il gomito puntato sul piano del tavolino. Gli occhi sono rivolti nella direzione sbagliata. Non sono sul mio viso, ma spaziano oltre le mie spalle.
Ci risiamo.
Sta pensando.
Di nuovo.
Alzo gli occhi al cielo. Adesso ricominciamo con le sue supposizioni assurde.
Sto quasi per spazientirmi quando accadono tre cose contemporaneamente: Helèna parla, la mia borsa scivola dallo schienale della sedia a terra, il cellulare inizia a squillare.
«Però, sarebbe interessante fare un piccolo esperimento …» dice lei sovrappensiero, mentre io mi chino a raccogliere la borsa e a frugarci dentro alla ricerca del telefonino.
«Che esperimento?» le chiedo con la testa ancora in basso, quasi ficcata nella borsa enorme.
Ma quando mi deciderò a non portarmi dietro tutta la casa come le lumache?
Non sento alcuna risposta dalla mia amica e ripeto con voce più decisa:«Che esperimento?».
Eccolo finalmente! Cellulare malefico. Ha smesso di squillare.
Lo apro per vedere il messaggio della chiamata persa.
Alice.
Aggrotto le sopracciglia e mi rialzo distendendomi sulla schienale della sedia.
La mia visuale periferica è troppo libera e non dovrebbe dato che di fronte a me c’è la mia amica.
Alzo gli occhi dal display. Mi correggo.
C’era la mia amica.
Resto a guardare il suo posto libero con la bocca semiaperta.
Ma dove …?
Il cellulare comincia a squillarmi tra le mani.
Leggo nuovamente il nome di Alice e pigio sul tasto della risposta.
«Pronto» dico.
«Bella, non agitarti. Edward …» comincia a dire lei.
L’accostamento dei due termini – agitarsi ed Edward - è un cerino messo su una fiamma ardente:«Cosa? COSA ALICE?» la voce mi esce stridula.
«La mia visione … incompleta … lui ha …» Alice parla velocemente e non riesco a seguirla.
«Ali, Ali non ti seguo. Parla più piano» mi sforzo di concentrarmi, di mantenere la calma.
E’ successo qualcosa ad Edward. Penso con calma innaturale.
La testa prende a girarmi velocemente e poggio la fronte su una mano per fermare il vortice.
«Avviati all’auto. Subito» dice con l’urgenza nella voce.
Lo stomaco mi si rivolta, sento il sapore della bile nella bocca. Deglutisco per soffocare la sensazione di nausea.
E’ successo qualcosa ad Edward.
La mia mente ripete questa frase senza tregua. Ho paura a pronunciarla ad alta voce, ma devo farlo.
Con uno sforzo incredibile per non urlare, inchiodata alla sedia, con la sola forza di reggere il cellulare tra le dita soffio appena tra le labbra:«E’ successo qualcosa ad Edward»
«No, no.» la sua voce sembra sorpresa che io abbia pensato a questa eventualità.
Non riesco a parlare, ma so che Alice sente il mio respiro: «Bella fidati di me. Alzati e vattene da lì. ADESSO»
Vedo con la coda dell’occhio un movimento davanti a me. Non ci presto attenzione, la mia mente va per conto suo.
Si è ferito, magari cacciando.
Si è schiantato contro un muro mentre guidava quella sua maledetta auto.
Oppure … oppure ha attaccato qualche umano …
Getto alla rinfusa gli appunti nella borsa. Si piegano e sgualciscono mentre li spingo dentro e cerco di richiudere la zip con una mano. Nell’altra ancora il cellulare.
Penso.
Penso imponendomi di reagire, di alzarmi, di lasciare tutto e correre da lui. La paura ed il desiderio di sapere si mescolano nel mio corpo.
La prima genera immagini di mio marito disteso a terra, agonizzante e sofferente. E’ un veleno acido che scorre lentamente nelle vene e corrode tutto ciò con cui viene a contatto. Mi inchioda alla sedia, mi blocca i movimenti, mi fa compiere gesti inutili solo per ritardare il momento della scoperta.
Il secondo mi acuisce i sensi. Tutto sembra più vivido, i rumori sembrano più forti, gli odori più penetranti, i gesti sono più veloci.
Mi ricordo di Alice. E’ ancora al telefono.
Lo riavvicino all’orecchio e faccio per alzarmi.
Mi immobilizzo vedendo la persona in piedi, di fronte a me.
«Bella, Jensen si avvicinerà al tuo tavolo. Edward l’ha visto nella mia mente e credo che stia venendo lì» le parole di Alice rimbalzano contro il mio orecchio.
«E’ troppo tardi» sussurro al telefono.
Chiudo la comunicazione e alzo il viso verso quello sorridente ed allegro di Eric Jensen, pronta ad affrontarlo.  

 
NOTA DELL’AUTRICE: Vi prego di perdonare il mio ritardo, ma come giustificazione posso solo dirvi che non ho dovuto scrivere un solo capitolo, ma tre. Purtroppo, anche se avevo pronto questo non ho potuto postare perché i due successivi sono strettamente legati e non volevo rompere il vaso se poi non potevo più ricostruirne i cocci, non so se mi spiego …
SteTom: Grazie davvero dei tuoi complimenti, anche per quanto riguarda “Una sera, per caso”. Sì, mi piacerebbe continuarla, ma non lo farò subito perchè quando scrivo mi ci dedico molto e non riesco a farlo “divisa” in due. Sei stata davvero stoica a rifilarti tutti i miei capitoli in così pochi giorni, ma sono contenta che ha i notato dei miglioramenti dai primi scritti ad oggi. Effettivamente sia lo stile che la parte interpretativa hanno subito dei cambiamenti sostanziali … Grazie ancora e continua a darmi il tuo parere, ci conto! Saluti *_*
tsukinoshippo: Tesoro, ti giuro che sei stata nei miei pensieri per tutti questi giorni che non ho potuto postare!! Grazie davvero per il tuo commento al capitolo precedente, ho apprezzato molto come hai analizzato i punti di vista di entrambi: obiettiva e sincera. In effetti hanno ragione entrambi, ed è proprio questo che volevo far notare. E’ possibile trovare un punto d’incontro? Sì, te lo dico io. Ma non sarà semplice, anzi penso che a volte sia necessario ferirsi per poter far emergere realmente i sentimenti e le emozioni più profonde. Non è facile scrivere di queste cose, di momenti brutti. Ma io credo che la strada per il paradiso passi proprio per l’inferno. Grazie tsuki, e a presto. *_*
rodney: Ciao Simo! E sì, non parlano! Ma penso che sia più che logico.
A volte ci si può sentire stupidi ad esternare le proprie paure, i propri dubbi. A volte semplicemente non sembra necessario, non sembra così nocivo il silenzio, anzi può apparire addirittura confortante! Come te che l’hai già vissuto … sai anche che è facile, poi, poter dire qualcosa di cui ci si può pentire…! STOP Baci
keska: Grazie gioia! Spero che il seguito ti piaccia ancora, stiamo per scendere giù in picchiata!!! Che ne pensi delle musiche che ho scelto finora? La tua scelta dell’ultimo capitolo è stata molto carina …! Leggendo il capitolo con il suggerimento musicale l’atmosfera non sembra più … magica?!!! Baci baci baci
00Stella00: Uè piccolì, certo che hai individuato l’indizio!!!! Purtroppo non ho potuto aggiornare più velocemente di così e ti giuro che mi dispiace sapere che sei rimasta appesa al pc in attesa di aggiornamenti che non arrivavano. Vorrei farvi stare in casa con me e farvi vedere come ogni attimo libero lo trascorra scrivendo e anche quelli occupati li passo a pensare, pensare … il mio portatile è acceso dalla mattina alle sei fino a sera inoltrata. Come per molti di noi, però, gli impegni della giornata spesso mi sommergono. Ti prometto che i prossimi capitoli (per lo meno gli altri due ) arriveranno presto! Baci  

L'insegna del Tandem cafè. Il suo interno così come l'ho immaginato io.
Un ringraziamento particolare va a chi ha letto, a chi ha commentato (anche in privato) e a chi ha inserito questa e le altre mie storie tra i preferiti/seguiti. Per “Una sera, per caso …” un grazie speciale, di cuore.

E sì, credo che la continuerò, ma solo dopo aver finito questa.
Baci
M.Luisa


   
 
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