CAP.15
EDWARD - The Fray
- How To Save A Life
“Si prega di controllare attentamente l’esattezza
dei dati forniti e di procedere con la conferma”
Evito di rileggere inutilmente e clicco su CONFIRM.
Qualche secondo di attesa.
Poi appare la schermata con il resoconto delle operazioni effettuate e
lo specchietto riassuntivo con la ricevuta da conservare.
La salvo insieme a tutte le altre: voli di prima classe, alberghi di
lusso, visita dei luoghi più suggestivi.
Che meraviglia internet! E’ praticamente possibile fare
qualsiasi cosa con un computer ed una carta di credito.
Certo, per andare proprio sul sicuro con coincidenze e
disponibilità avrei potuto affidarmi ad Alice, ma, momenti
di buio a parte, voglio che questa cosa sia solo mia.
Mia e di Bella.
E voglio la sorpresa, l’imprevisto.
Voglio che questo non sia solo un viaggio, ma sia un percorso da fare
insieme, io e lei. Un modo per riscoprirsi, per riavvicinarsi, per
capirsi.
Ne abbiamo un dannato bisogno.
E se per caso dovesse capitare che uno dei nostri voli accumuli del
ritardo, tanto meglio: non è arrivare a destinazione la cosa
che mi interessa di più. Ma è tutto il tempo che
trascorrerò con Bella.
In ogni situazione, in ogni circostanza. Anche in quelle che non
avevamo messo in conto di dover affrontare. Ma lo faremo insieme.
Decideremo insieme, senza avere già la soluzione a portata
di mano.
Cosa le và di fare e cosa no, cosa desidera e cosa, invece,
non le interessa affatto …
Voglio che si senta libera di scegliere secondo le sue inclinazioni. Io
mi limiterò a proporle tutte le migliori alternative
esistenti, gli angoli più suggestivi della città
di Parigi, gli scorci paesaggistici più deliziosi della
costa orientale francese.
Ovviamente niente giri per turisti … conosco talmente bene
le nostre mete da sapere persino ciò che sfugge agli stessi français.
Mi allungo con la schiena sulla poltrona su cui sono seduto ed incrocio
le mani dietro la testa.
Ci farà bene allontanarci un po’ da tutto.
Bella si distrarrà, si allontanerà anche da
Rosalie. Non mi è sfuggito il modo in cui l’ha
evitata in questi giorni. E neanche alla stessa Rose.
Ieri, all’ennesimo abbandono di Bella della stanza in cui
Rose entrava, mia sorella si è bloccata di botto e mi ha
chiesto con i suoi pensieri cosa aveva fatto qualcosa di sbagliato.
Mi si è stretto lo stomaco in una morsa.
Rose non è mai stata molto espansiva nei confronti di mia
moglie, non è un segreto, ma neanche apertamente ostile.
Almeno ultimamente …
La Francia le piacerà. Ne sono certo. Il connubio perfetto
di romanticismo ed eleganza, di atmosfere suggestive e di grazia trova
la sua espressione più alta proprio lì.
Antibes, la
meravigliosa Antibes
dove “Tout
rayonne, tout fleurit, tout chante" -
“tutto splende, tutto fiorisce, tutto canta"-, con i suoi
ristorantini, i negozi, i mercatini multicolore.
Grasse,
antica, caratteristica. Con le tipiche botteghe d’arte
profumiera, il dedalo di viuzze strette e pittoresche in cui le
fragranze odorose si mescolano tra loro creando sfumature uniche e
preziose.
E poi, la capitale, i suoi luoghi più conosciuti, ma
soprattutto quelli meno noti: i giardini segreti a cui il turismo
tradizionale non ha accesso, il Cour
de Rohan, Parc
du Turlure con quella deliziosa cascata …
Ma, un momento … Grasse
…
Stringo lo sguardo cominciando a far lavorare la mente velocemente.
Chissà se …
Mi raddrizzo sulla sedia e comincio a muovere le dita sulla tastiera
del computer.
Immediatamente si apre la pagina che cerco.
In pochi secondi trovo ciò che mi interessa. Afferro il
cellulare e compongo il numero di telefono indicato.
…
«Fragonard,
bonjour. Est-ce que je peux l'aider?»
- Fragonard, buongiorno. Posso aiutarla?- Una delicata voce femminile
risponde dall’altro capo del telefono.
«Oui. Monsieur Colbert, s'il vous plaît»
- Sì. Monsieur Colbert, per piacere -rispondo rapidamente.
«Qui le
désire?» - Chi lo desidera?
Un sorriso si viene formando pian piano sul mio viso.
«Le docteur Carlisle Cullen» - Il dottor Carlisle
Cullen - dico pronto.
«Campe en
ligne, merci.» - Attenda in linea, grazie.-
Parte una musichetta in sottofondo e mi preparo per recitare questa
breve scenetta. Mio padre non se la prenderà per questa
innocua bugia.
Monsieur Colbert
è il più importante profumiere di Gresse. Conobbe
Carlisle quando questi era in Francia per un master in medicina alla Sorbonne.
Parliamo di circa sessanta anni fa. Mentre ero in giro per il mondo
alla ricerca di una mia identità, Carlisle e Monsieur
intessevano un profondo rapporto di amicizia. Al tempo Carlisle era un
giovane e brillante medico desideroso di approfondire la propria
cultura, mentre Monsieur
era un modesto profumiere di bottega che aveva ereditato la piccola
attività della famiglia. Si occupava di piccole ordinazioni,
pochi prodotti di eccellente qualità lavorando sodo per un
misero guadagno. Consultò Carlisle per il Morbo di Dupuytren
alla mano destra e mio padre lo curò con pazienza e
diligenza senza mai riscuotere il proprio onorario. Ricordo di averlo
sempre sentito parlare di Monsieur
come di un artista, un genio dell’arte profumiera e nel
contempo una persona di spiccata modestia ed umiltà. Un uomo
che, nella sua semplicità, nascondeva una tenacia ed una
testardaggine unici.
Mio padre ne rimase affascinato.
Si persero di vista quando Carlisle si trasferì in America.
Qualche tempo dopo sapemmo che aveva rilevato la famosa Fragonard e
l’aveva riportata al suo antico splendore. Di lì a
poco, un pacco voluminoso venne recapitato a nome di Madame Cullen.
Tra le veline ed il polistirolo, ne uscì una boccetta
minuscola.
Dentro, uno dei profumi più sublimi che abbia mai sentito in
quasi cento anni.
Nel biglietto che l’accompagnava, un’unica parola
vergata con una grafia svolazzante e delicata: Merci.
La musica si interrompe all’improvviso e la voce della
centralinista la sostituisce prontamente: «Docteur Cullen, Monsieur en
ligne.» - Dottor Cullen, Monsieur in linea.-
Sento chiaramente il clic del passaggio della linea telefonica.
Poi, silenzio.
«Allô»
- Pronto - una voce bassa, roca, risponde
dall’altro capo.
«Monsieur» dico imitando alla perfezione la voce di
mio padre, rendendola nel contempo leggermente più
strascicata, più appesantita … più
vecchia.
«Carlisle! Che
piacere sentirti, mon chéri!» dice e
dal tono capisco che l’entusiasmo è autentico.
Bene. Sorrido.
Una sola frase mi è bastata per capire come condurre la
conversazione.
Si ricorda di noi, si danno del tu ed è così
cortese da tralasciare la madrelingua a beneficio dell’idioma
del suo interlocutore.
«Il piacere è tutto mio
Emìle» dico «Ne è passato di
tempo» aggiungo cercando di sondare la sua
lucidità mentale.
Dovrebbe essere intorno all’ottantina. Un po’ tanti
di anni per un umano.
«Mon Dieu!
Direi proprio di sì, sono passati sessanta anni
più o meno, giusto? Ormai siamo due vecchietti …»
dice ripassando a me la battuta.
«Eh già» confermo sorridendo
all’idea di un incontro attuale tra i “due
vecchietti”. Vedendo Carlisle ad Emìle, come
minimo, sarebbero scoppiate le coronarie.
Passiamo qualche minuto a discorrere amabilmente. Monsieur Colbert
deve essere un vecchietto molto coriaceo. E’ più
che lucido per la sua età, pronto nelle risposte, educato e
di una gentilezza infinita.
Si informa sulla salute di Madame
Esme e dei “nostri” figli.
Mi congratulo con lui per il successo ottenuto e lui liquida la
questione con eleganza, definendola una”fortunata serie di
coincidenze”.
So perfettamente che qui la fortuna non c'entra nulla. Monsiuer
è un tipo che ha sofferto, ha lavorato sodo ed è
rimasto, tuttavia, modesto e privo di boria.
E’ poi è un genio.
Si attarda nella conversazione, ma non chiede direttamente il motivo
della mia telefonata. Ad un certo punto capisco che è venuto
il momento di dirglielo ed il mio tono cambia impercettibilmente.
«Emìle, non vorrei sembrarti indelicato, ma vorrei
chiederti un piacere.» dico tastando il terreno.
«Diable! Vuoi
scherzare Carlisle? Consideralo come già fatto.»
risponde quasi scandalizzato.
Sorrido impercettibilmente:«Ecco … mio nipote e
sua moglie verranno in Francia per una vacanza e lui vorrebbe chiederti
una grande cortesia. Sa che sei l’unico a poter realizzare
ciò che desidera.»
«Bon. Passamelo»
dice impaziente.
Faccio scivolare il telefono nell’altra mano, attendo due
secondi: «Monsieur Colbert, sono Edward Cullen. Mio nonno mi
ha molto parlato di lei. E’ un onore poterlo fare
personalmente» uso la mia voce con naturalezza e non
c’è traccia di menzogna nelle mie parole.
«Sottises,
ragazzo. L’onore è mio. Tuo nonno non è
una persona comune.» Ed in effetti non ha idea
di quanto siano vere queste parole. «Ti prego, dimmi cosa posso fare
per te.»
Mi appoggio allo schienale della poltrona e mi prendo un attimo per
pensare alle parole giuste per esprimere ciò che voglio.
«Solo quello che sa fare meglio, Monsieur»
dico infine con tono sicuro.
BELLA Ingrid
Michaelson-The Chain
Cammino nervosamente da un lato all’altro della
camera da letto.
Raggiungo la finestra, guardo fuori. Mi giro e raggiungo la porta.
Saranno più o meno dieci minuti che lo faccio.
Forse spero che miracolosamente accada qualcosa che mi illumini, che mi
suggerisca come affrontare con Edward il discorso del mio trasferimento
al campus.
Helèna è stata determinante nel convincermi. La
sua coinquilina Shirly abbandonerà domani il suo posto nella
stanza poiché ha deciso di convivere con il suo fidanzato.
“L’ottima idea” consiste nel fatto che
dovrei sostituirla per questo mese, in modo che la mia amica abbia
tutto il tempo di cercare un’altra coinquilina fissa senza
che la direttrice del dormitorio le affibbi una da elenco, della quale
Helèna non sa nulla e che, quindi, potrebbe riservare
qualche sgradita sorpresa.
D’altro canto io continuerei a lavorare al mio progetto e
avrei la comodità di dividere la stanza con qualcuno che
già conosco. E che conosce anche Edward.
E, poi, si tratta solo di un mese, diamine!
Passa in fretta.
Ma chi vuoi prendere in
giro,Bella. Nemmeno un’ora passa in fretta se Edward non
è vicino a te … La mia vocina.
Cara. Sempre sincera quanto inopportuna.
Sono stata così indomita da aver fatto passare quasi tutta
la settimana senza avere il coraggio di dar voce ai miei pensieri.
Incrocio le braccia al petto e percorro nuovamente la stanza in tutta
la sua lunghezza.
Edward, mi trasferisco
…
E no, no … non va bene. Sembra che vado via definitivamente.
Mi fermo in mezzo alla stanza ed agito la mano per aria in circolo,
cercando l’ispirazione.
Edward, i miei impegni
nel corso di economia richiedono il mio allontanamento …
No, no! Ma che dico! Neanche fossi Paul Krugman.
Scuoto la testa afflitta.
Mi ripeto per l’ennesima volta che non posso più
rimandare, che ormai devo affrontare la cosa. Joshua, lo studente di
ingegneria all’ultimo anno che mi affianca nella
realizzazione del lavoro, è rimasto veramente colpito dalle
mie idee. Quando gliele ho esposte con voce titubante, imbarazzata fino
all’inverosimile per timore di dire qualche colossale
stupidaggine di fronte ad una persona della sua esperienza, mi ha
ascoltata in silenzio. Mi ha fatto parlare senza interrompermi neanche
una volta.
Quando in fine ha parlato, ha pronunciato solo una
parola:«Splendido» e negli occhi gli luccicava un
che di diabolico.
A quanto pare anche il Dipartimento di Ingegneria ha qualche conticino
in sospeso con il consiglio direttivo che si occupa dello stanziamento
dei fondi per la realizzazione dei progetti universitari …
Ovviamente è stata Helèna a
“invogliarmi” a contattarlo, ma ciò non
mi ha reso più determinata nella scelta. Anzi. Forse lo sono
ancora meno, forse avrei sperato che mi dicesse che le mie idee non
erano poi così speciali. Forse avrei voluto che questo
scegliesse per me …
Ciò è accaduto due giorni fa.
Da allora Joshua non smette di darmi il tormento.
E’ assillante fino all’inverosimile. Ma non agisce
di persona. Ha compreso bene di dover passare attraverso qualcuno di
più incisivo, di qualcuno che non solo può
agevolmente raggiungermi in qualunque momento, ma che è
anche altrettanto motivato come lui: Helèna.
Il cellulare vibra sulla scrivania.
E’ un messaggio.
Ovviamente è di Helèna.
-Allora glielo hai
detto?- Alzo gli occhi al cielo. Ancora. Non si decide a
darmi pace.
Le rispondo. Non perché ne abbia realmente voglia, ma so che
se non lo faccio questa sarà solo la prima di una lunga
serie di minacce più o meno velate.
-Non ancora. Per favore,
fammi riflettere.- Rileggo. Decido che va bene ed invio.
Poso il telefono dov’era e riprendo a camminare.
Dunque …
Edward c’è una cosa che vorrei dirti …
Eh … non è poi un brutto inizio. Ammicco a me
stessa con il capo.
Non posso entrare troppo
nei particolari, ma con Helèna … noi partecipiamo
ad un lavoro che … che …
Che … ?!! Cosa che?!! Che già da sé ci
spinge a comportarci come dei piccoli 007, in più io, che
notoriamente sono una temeraria, ho deciso di tenerti nascosta la
natura del mio progetto, perché penso che tu possa ficcare
il naso dove non devi e che possa ancora una volta eccellere
lì dove io non faccio che dei passetti traballanti!
Ecco queste sarebbero proprio le parole più opportune!
Il ronzio della vibrazione, del tutto inutile dato che viene percepito
benissimo da tutti anche da Rose che è in garage, mi
raggiunge come un presagio sfortunato.
Afferro il cellulare seccata. Vorrei potermi sfogare su questo piccolo
oggettino fastidioso.
Ancora …!
-J. dice che se non
glielo dici entro oggi viene a casa tua e glielo dice lui. Concordo in
pieno, siamo già per la strada.:)-
Rileggo il messaggio. Decisamente Helèna ha un umorismo
macabro.
Sento bussare alla porta.
Sobbalzo e mi volto terrorizzata. Che quella folle della mia
amica …
Ma che vado a pensare!
Cerco di darmi una calmata e mi dico che la tensione non mi
farà andare proprio da nessuna parte. Men che meno al campus.
«Bella, posso entrare?»
E’ Edward.
«Ehm … sì un … un
attimo» Mi passo una mano nei capelli e mi giro intorno
nervosa.
Tiro un profondo sospiro, alzo di scatto la testa verso la porta e mi
scrollo i capelli all’indietro.
Ok, ci siamo.
Prendo l’aria necessaria per rispondergli, ma il telefono
comincia a vibrarmi nelle mani.
Mi scappa e cade sul tappeto.
Maledizione!
Lo afferro e comincio a pigiare tutti i tasti come una pianista folle.
Vorrei spegnerlo, ma l’indice non ne vuole sapere di
soffermarsi sull’unico tasto utile allo scopo.
«Bella?!» la voce di Edward è
interrogativa. Si starà chiedendo se per caso non mi sono
data al fitness: il respiro affannato, il battito accelerato, dei
rumori sospetti …
«Sì!» erompo decisa con il telefono fra
le mani, leggermente chinata in avanti, con i capelli che mi ricadono
in ciocche scomposte davanti agli occhi cercando invano di scostarmeli
dalla fronte con dei movimenti inconsulti del capo.
Cazzo, e spegniti!
Penso colta dalla smania febbrile di disfarmi di quella che ormai mi
sembra una bomba a mano. L’oggetto mi ricade nuovamente a
terra, ma questa volta la batteria si separa dal resto del telefono.
Perfetto!
Esulto come se la dea fortuna, impietosita, avesse voluto sbendarsi e
guardare finalmente nella mia direzione. Raccolgo i pezzi del telefono
e li getto alla rinfusa nel primo cassetto della scrivania.
Chiudo il cassetto cercando di essere delicata e poi soffio appena
rivolta alla porta: «Entra» mentre in contemporanea
mi scosto dalla scrivania e mi avvicino alla finestra.
Lo osservo incedere con eleganza innata in camera.
E’ … stupendo. Penso con una nota di nostalgia.
Quando poi indossa quei jeans sbiaditi alla perfezione … che
gli sottolineano la potenza delle cosce, la linea asciutta e scolpita
dei fianchi, i glutei sodi … Sbatto ripetutamente le
palpebre e mi do mentalmente della pervertita. Questo non è
assolutamente il momento adatto.
Né di guardarlo come se fosse l’ultimo uomo sulla
Terra, né di fantasticarci su, come se io fossi
l’ultima donna e potessi, quindi, permettermelo.
Devo restare lucida.
Obbligo i miei occhi a puntarsi sul suo viso, che in questo momento mi
sembra la parte più innocua del suo corpo. E, poi,
è come se i suoi occhi fossero … non lo so
… più luminosi, più brillanti?
E’ possibile? Ora che lo guardo meglio vedo anche aleggiargli
sulle labbra una specie di sorrisetto. Gli sorrido di riflesso.
E’ sempre così.
Quando lui è felice, lo sono anche io.
Il suo sguardo è su di me da che ha varcato la soglia di
camera nostra. Mi guarda tranquillo, si muove con lentezza.
Mi si avvicina indolente. Lo seguo con gli occhi come
un’ebete.
Credo anche di avere tutta l’espressione del viso da ebete.
Quando siamo uno di fronte all’altra, poggia le sue mani con
calma sulle mie, abbandonate lungo il corpo.
Sussulto come se avessi preso la scossa. Ho cercato per tanti giorni di
evitare un contatto che adesso che lui lo ricerca con tanta naturalezza
mi sento spiazzata.
Porta lentamente le mie mani alle sue labbra e ne sfiora con
delicatezza prima un dorso e poi l’altro senza staccare gli
occhi dai miei. Ne volta, quindi, i palmi in su e fa la stessa cosa. Si
stacca di qualche centimetro e mi sussurra: «Tutto
ok?»
Il suo respiro gelido si scontra con le mie mani e scivola su a lambire
la pelle più sottile e delicata dei polsi.
Muovo piano la testa una volta verso il basso ed una verso
l’alto.
In silenzio.
Spero che capisca che voglio dire di sì e che non mi sto
sgranchendo l’osso del collo.
Ma come fa a farmi sempre questo effetto?
Sorride con le labbra che mi sfiorano ancora i palmi, gli occhi nei
miei.
Sì, penso. E’ di buon umore. I suoi occhi sono
come l’oro fuso: brillanti e caldi.
Abbassa le sue mani e porta con sé le mie abbandonate nelle
sue. Raddrizza le spalle ed inclina piano la testa di lato. Non molla
la presa su di me, ma credo che abbia capito che sia meglio mettere
qualche centimetro in più fra di noi. Prende però
ad accarezzarmi il dorso delle mani con i pollici e continua a
guardarmi.
Impossibile per me interrompere il contatto sia fisico che visivo.
«Come ti senti oggi?» il suono della sua voce mi
solletica le orecchie. E’ una musica dolcissima. Accompagna
le parole con un semplice sorriso che dalle sue labbra sembra
proiettarsi in tutta la stanza. E’ come se tutto intorno a me
fosse più chiaro, più nitido.
E’ come se insieme a lui fosse entrato anche il sole.
Deglutisco. La lucidità non ha nemmeno provato a farsi
strada nella mia mente.
Bella ti ha chiesto come
stai … E’ una domanda semplice … forza
…
La mia natura umana mi viene per una volta in soccorso. Sono costretta
a sbattere le palpebre e momentaneamente interrompo il contatto visivo.
«Meglio» dico e poi aggiungo «Anzi
proprio bene» Ed è vero. Sono due giorni che mi
sento davvero in forze.
Il suo sorriso si va accentuando.
«Perfetto» mormora «Cosa ti va di fare
oggi? E’ sabato e la giornata è nuvolosa al punto
giusto per fare una bella passeggiata se vuoi …»
Distolgo gli occhi puntandoli in terra.
Come cazzo gli dico che devo fare le valige? E perché oggi
è così … così affettuoso,
di buon umore, così … così
… diverso? Sento vacillare tutta la sicurezza di qualche
giorno fa, o meglio l’incertezza, su quelli che credevo
fossero i suoi attuali desideri. A dirla tutta oggi Edward non sembra
provare “indifferenza” per me, né sembra
essere assorbito da “tutt’altri
pensieri”. Anzi …
In questo momento sembra che per lui esista solo io in tutto
l’universo … ma, è vero.
E’ vero sono una fragile umana, ma il mio udito non
è fragile per niente. Io so cosa ho sentito quando avveniva
la discussione in salotto. Io so cosa Edward ha detto, e so che
è bravo a mentire.
Aggrotto le sopracciglia e lo osservo meglio. Cerco di capire se mi
nasconde qualcosa.
Mmmm qualcosa oggi è successo, e deve essere qualcosa di
davvero positivo. Che Alice abbia avuto qualche visione?
Sto quasi per chiederglielo, quando il suo sguardo cambia
impercettibilmente e si sposta di lato al mio viso. Resta un attimo
così. Poi riporta gli occhi su di me e dice:«Tuo
padre sta per chiamarti. Alice dice che deve chiederti una
cosa»
«Charlie?!» chiedo con gioia.
Annuisce e mi sorride.
«Vai» sussurra «ti aspetto qui».
Gli regalo un sorriso di gratitudine ed esco dalla stanza come un
fulmine.
NOTA
DELL’AUTRICE: Miei cari … in origine
c’era un solo capitolo. Ma era di 25 pagine circa, il che
credo sia improponibile anche per il lettore più accanito.
Vi ho lasciato con il coccolone al cuore … lo so.
Però abbiate fede! Posto tra pochissimi giorni, quindi,
sbrigatevi a mettervi al passo. Se Bella può restare un mese
lontano da Edward (può?!), voi potete restare un paio di
giorni in attesa. Non mi punite, vi prego.
Non risponderò
alle recensioni singolarmente per questo capitolo. Mi riservo di farlo
nel prossimo.
I ringraziamenti sono quindi per TUTTI indistinatamente.
Questi sono capitoli spinosi. Come voi provate disagio nel leggerli, io
lo provo scrivendoli. E dato che sono sull’onda
dell’ispirazione e del sadismo più puro, non posso
immergermi nella vita reale. Credo che mi capiate …
Ritorno a lavorare per
voi … l’influenza credo che mi abbia beccata in
pieno, quindi sono confinata. Ma internet è sempre acceso
…
Fragonard.
Morbo di Dupuytren.
“Tout
rayonne, tout fleurit, tout chante" è una citazione di
Victor Hugo proprio su Antibes.
Saluti a tutti voi.
Baci
M.Luisa
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