Epilogo
breaking all the rules, figuring it
out
Amore, amore illogico, amore disperato
lo vedi sto piangendo, ma io ti ho
perdonato
Sana cammina per la via principale di Tokyo, fermandosi ogni tanto
a guardare qualche vetrina per poi procedere dritta per la sua strada.
L'aria fresca le accarezza le guance, e quel poco di sole che c'è basta
per scaldarla fino alle ossa, dandole un piacevole assaggio dell'estate
che sta per cominciare. Ha ventinove anni, adesso, porta i capelli
lunghi sciolti sulle spalle e un briciolo di trucco in più, le dà
un'aria più matura e adulta. E' cresciuta? Forse, sotto alcuni punti di
vista potrebbe esserlo. La raggiunge un uomo sulla trentina e le dà un
tenero bacio sulla guancia, sta per accompagnarla a prendere
l’aperitivo, l’hanno fatto spesso negli ultimi due anni. Oggi è un
giorno importante, lui ha appena scritto una nuova parte che sembra
fatta apposta per lei. Già, non ve l'ho detto? E' un'attrice, adesso.
E' iniziato tutto per gioco, con un incontro casuale in un bar, una
lunga chiacchierata e un provino fatto quasi per scherzo. E poi è
andata, la sua vita ha preso una piega completamente inaspettata. Ha
lasciato l'università per il palcoscenico, si è trasferita nella
capitale, ha chiuso a chiave in un baule tutti quei ricordi che erano
diventati troppo ingombranti e li ha buttati in cantina, per fare
spazio a una vita che voleva continuare a correre, anche se lei aveva
le gambe spezzate. Così, come le aveva consigliato anni prima una
vecchia signora in quella stessa città, si è fatta forza, ha preso un
po' di colla e si è rimessa in piedi. All'inizio scricchiolava un po',
adesso è come nuova. L'uomo accanto le sorride affabilmente mentre le
racconta le grandi cose che ha in serbo per lei durante la sua prossima
rappresentazione. E' un giovane regista occidentale, approdato sulle
coste dell'arcipelago per esplorare nuove frontiere quando non era che
un ragazzino, e innamoratosi del cinema giapponese così violentemente
che non era più stato in grado di andarsene. Le vuole un gran bene,
professionalmente parlando sono cresciuti insieme. La ama, forse? No,
non in quel modo. Il suo cuore appartiene a un cabarettista
squattrinato e orgoglioso, che non ne vuole sapere di farsi aiutare a
sfondare, ma gli si dona senza riserve ed è pronto a condividere con
lui la sua esistenza. Sana sorride sinceramente nell'osservare il suo
interlocutore, e la felicità che traspare da ogni sua singola parola
non può che essere contagiosa. La conversazione è interrotta dal suono
della porta che viene aperta e lei si gira distrattamente, non sa che
il sorriso sulle sue labbra verrà immediatamente cancellato. Il regista
continua a parlare, ma lei non lo ascolta più. E' entrato nel locale un
ragazzo biondo accompagnato da una donna più matura, che tiene per mano
un bambino.
E lei, proprio come una quindicenne, sente il mondo girare di
colpo più velocemente. E lui, proprio come un uomo, non sembra
accorgersi di nulla.
Non si siede da nessuna parte ma va dritto al bancone, ordina un
Negroni sbagliato per sé, un Campari per la donna e un succo di frutta
per il bimbo. I suoi occhi, un tempo nascosti da un ciuffo forse troppo
lungo, si guardano ora intorno con aria curiosa, e l'espressione sul
suo viso è.. rilassata. Così diversa da come la ricordava.. Nei ricordi
di Sana quello sguardo è costantemente attraversato da ombre, anche
mentre sognava, anche mentre lei lo amava. Le sue labbra non si
piegano più in una smorfia imbronciata di fronte alle attenzioni della
sua interlocutrice, non ha più l'atteggiamento scocciato di chi
vorrebbe essere da un'altra parte. Ha un'aria rispettabile, adesso, e
Sana continua a guardarlo, affascinata dalla sicurezza con cui si muove
all'interno della conversazione. E' cambiato, non c'è dubbio. Non si
può certo dire che sia diventato un chiacchierone, ma qua e là gli
spunta un sorriso. Pensa, forse con un po' di amaro in bocca, che
certamente quella donna accanto a lui deve avere qualcosa di speciale.
Torna velocemente a prestare attenzione al regista seduto di
fronte a lei, accorgendosi che ha smesso di parlare e la sta osservando.
- C'è qualcosa che non va? Ti vedo un po' distratta. -
Gli direbbe una bugia, se non sapesse che ogni bravo regista
conosce le sue stelle meglio degli angoli di casa propria.
- In effetti sono un po' stanca... Forse mi conviene andare a casa.
-
- Vuoi che ti accompagni? -
- No, non ti preoccupare, mi farà bene stare un po' da sola. -
Ed è sincera, ha solo bisogno di stare da sola. Posa un bacio
sulla guancia dell'uomo che le siede di fronte ed esce dal bar.
Stavolta è lei a non accorgersi di uno sguardo nascosto anche senza
l'aiuto del ciuffo, e di un cuore che non ci ha messo poi tanto a
riconoscerla. E a scoprire che, dopo tutto questo tempo, perde ancora
dei battiti alla sola vista di una capigliatura rossiccia.
Non gli importa della donna che sorseggia placida il suo Campari,
perché Tokyo è una città enorme, e se una persona - quella persona - ti passa davanti,
hai il novantanove per cento di probabilità di non incontrarla più.
Quindi al diavolo qualsiasi cosa stia facendo in quel momento - già,
cosa stava facendo? - si alza e rincorre un sogno che una volta faceva
spesso, ma che non lo tormenta più da tanto. La vede tra la folla
indaffarata del sabato pomeriggio, vorrebbe chiamarla, ma dalla sua
gola non esce che un gemito strozzato. Così la rincorre e la afferra
per un braccio, sperando in cuor suo di aver sbagliato persona. Lei si
gira, forse intimorita, e lo guarda. All'inizio ha gli occhi
spalancati, poi il respiro torna regolare. E lui si sente mancare la
terra sotto i piedi, e allora si accorge che no, non ha affatto
sbagliato persona. E sono passati nove anni ed ha ancora impressa a
fuoco nella mente l'espressione che aveva quella notte piovosa. Se lo
ricorda come se fosse ieri, si ricorda persino il rumore della porta
che sbatteva, ma non era abbastanza forte da coprire il suono di
qualcosa che nemmeno sapeva di avere ma già si stava frantumando sul
pavimento. Di quello che è successo dopo, invece, di come si sia
trovato al punto in cui è ora, non si ricorda più niente. C'è lei, e il
cuore impazzisce, e non riesce a riconoscere da quale orizzonte
provenga la luce, e gli tremano gambe, e vorrebbe parlare senza saper
bene in realtà cosa dire.
Così, come spesso era stato, è lei a iniziare.
- Ciao, Akito. - sorride, come sempre.
- Che cosa ci fai qui? - lui no, come sempre.
- Ci vivo, adesso. Anche vedere te è sempre un piacere. E' un po'
che non capita, eh? -
Lui soffoca in gola una risata amara. Sta cercando di conversare,
non ha perso quella brutta abitudine.
- Già... -
Silenzio. Avete presente quei meravigliosi silenzi, che uno non
sente il bisogno di riempire con stronzate buttate lì a caso, perché
sono perfetti così come sono? Ecco, non è questo il caso.
- Ti va di bere qualcosa? – domanda lui.
- Di nuovo? Siamo appena usciti da un bar. – afferma lei convinta.
- Allora mi avevi visto! Sospettavo mi avessi ignorato di
proposito. -
Lei avvampa, nel notare che lui possiede ancora la capacità di
metterla a disagio come nessun'altra persona.
- Io.. -
- Da un'altra parte. Andiamo a bere qualcosa da un'altra parte.
Vuoi? -
Vorrebbe dileguarsi, ma equivarrebbe a una dichiarazione di
sconfitta. Sarebbe come ammettere che non importa quanta strada abbia
fatto, quanti palcoscenici abbia calcato e quanti letti ancora caldi
abbia abbandonato, perché di fatto il suo cuore non si è aggiustato.
Così si atteggia a indifferente. E si ritrova di nuovo seduta al
tavolino di un bar, faccia a faccia con uno dei suoi ricordi più
dolorosi. Ma adesso è una donna, sa perfettamente come gestire la
situazione. Parlano del più e del meno per quasi due ore, non le sembra
neanche vero. C'è solo un nome che non viene mai fuori, nessuno ne ha
voglia. Scopre che è diventato un allenatore di karate, e che grazie
allo sport ha imparato a indirizzare altrove tutta quella rabbia che
sembrava tenerlo in vita. Con l'Hayama dei suoi ricordi non
sarebbe mai riuscita a tenere una conversazione tanto lunga, senza
dubbio sarebbero finiti troppo presto per fare altro. Chissà se dopo
aver fatto l'amore con quella che ormai ipotizza essere sua moglie la
stringe forte come stringeva lei, chissà se la bacia con la stessa
urgenza e la lascia andare con la stessa difficoltà... E chissà se fa
ancora quelle cose con le dita...
- Kurata, la smetti di fare pensieri sconci su di me e provi a
starmi a sentire? -
Argh, sgamata. Questo non è cambiato. Si scuote repentinamente
dalla trance in cui è caduta e arrossisce con violenza.
- Ma che dici, Hayama! E' un po' che mi è passata. -
- Ah, quindi lo ammetti. -
- Che cosa? -
- Che hai passato un sacco di tempo a fare pensieri sconci su di
me. -
Sempre il solito presuntuoso! Non potendo diventare più rossa di
quanto già non sia, cerca di rispondergli per le rime.
- Certo, nei tuoi sogni! -
- Oh sì, questo è sicuro. -
Pensava di non poter avvampare ulteriormente? Errato. Come ogni
pronostico quando lui è nei paraggi, miseramente errato.
- Io sono cresciuta, ma tu sei sempre il solito impertinente! -
Sembra seria, ma in realtà non ci crede nemmeno lei.
- E tu la solita finta ingenua! -
- Cosa vuoi insinuare, maledetto-
Ed è un attimo prima che entrambi scoppino a ridere. E'
sorprendente facile parlarsi di nuovo come se nulla fosse successo, e
battibeccare ancora per le stesse stronzate per cui avrebbero
battibeccato nove anni prima.
Poi lei si ferma, è tornata pensierosa.
- C'è qualcosa che non va? - domanda lui.
- No, è la tua risata.. Una volta non la sentivo spesso. E' bello.
Strano, ma bello. -
Adesso è il suo turno di essere in imbarazzo. Ebbene sì, anche il
grande Akito Hayama è capace di umane sensazioni, o almeno così sembra.
- Una volta non avevo molti motivi per cui ridere. –
Pausa, silenzio, aria pesante.
Poi riprende.
- Sono felice che qualcuno te li abbia dati. - Sorride nel
pronunciare la frase, ma è il sorriso più amaro che abbia mai fatto.
Non è vero che è felice, non è vero per niente. Come la brava ragazzina
egoista che è non può fare a meno di pensare al male che fa vederlo
sereno grazie a qualcuno che non è lei, che non era riuscita a essere
lei.
- Non è quello che pensi... - lui cerca di spiegarsi, ma lei non
gli permette di continuare.
- Tranquillo, non mi devi nessuna spiegazione. Non devi
giustificarti adesso, come non dovevi giustificarti allora. -
E’ confuso, non capisce dove lei voglia andare a parare. A questo
punto sembra chiaro a entrambi che l'atmosfera rilassata di poco prima
è andata completamente a farsi benedire, perché l'aria adesso ha
l'insopportabile odore della memoria.
- Che cosa stai dicendo? –
- Senti, Akito, ormai è inutile raccontarsi bugie. Sono
sopravvissuta allora, credi che abbia intenzione di farla finita adesso
solo perché stai rivangando l’argomento? – sorride nervosamente ironica.
- Continuo a non capire di cosa stai parlando. –
- Certo che sei strano forte! Allora mi sembravi essere stato,
come dire... piuttosto chiaro, nell’illustrarmi cosa volevi. O meglio,
cosa non volevi. –
E improvvisamente capisce, flash di quella notte gli ingombrano la
mente. Qualcosa nella sua testa gli urla di parlare e dirle la verità,
e, proprio come allora, sente lo stomaco contorcersi. E, di nuovo come
allora, dalla sua bocca non esce un solo suono.
- Comunque non importa, tu sei cambiato, io sono cambiata, e siamo
tutti e due finalmente felici. Non so nemmeno perché ne stiamo
parlando. – aggiunge, per evitare di scavare ancora più a fondo
nell’argomento.
- Le persone non cambiano, Sana, cambiano solo le circostanze
nelle quali esse si trovano ad agire. –
- Non è vero, la tua espressione è diversa, tu sei diverso. Non
hai più l’aria spaesata di una volta di fronte a una conversazione
civile. –
- Non siamo mai stati bravi a fare conversazioni civili, noi due.
– commenta lui, non capendo esattamente i ragionamenti della sua
interlocutrice.
- Forse hai ragione. –
- Tu invece non sei cambiata per niente, hai ancora la maledetta
abitudine di parlare di argomenti scomodi. –
- Qualsiasi argomento che riguardi noi due è scomodo, Akito! – lei
non riesce a trattenersi, e lui ammutolisce. Gli capita spesso, di
fronte alla verità.
- Hai ragione. Forse allora dovremmo semplicemente smettere di
parlare. –
- Giusta osservazione. –
Dopo qualche minuto, è di nuovo lei a rompere il silenzio.
- Si è fatto tardi, credo sia meglio che vada. –
- Aspetta, Kurata lascia almeno che ti paghi il conto. –
-Tsu, che cos'hai visto? - domanda una ragazza minuta e castana
con la frangia tirata indietro perché non le cada sugli occhi. Si è
fermata di colpo notando l'assenza del suo fidanzato, e si volta per
trovarlo immobile a fissare la vetrina di un bar.
- Un fantasma. - è la sua lapidaria risposta, prima che la
raggiunga e riprenda a camminare al suo fianco.
***
E
se amor ch'a nullo amato, amore, amore mio perdona
in questa notte fredda mi basta
una parola
Quando escono, è già buio. Sana è ansiosa di abbandonare un
incontro che non poteva essere altro che un campo di battaglia e fa per
dirigersi verso casa, quando la sua voce, da dietro, la raggiunge.
- Credi che per me sia stato facile? –
Resta immobile, non si vuole girare, non vuole nemmeno sapere di
cosa sta parlando. Vuole solo andarsene, ma i piedi, maledetti
traditori, restano incollati al suolo.
- Credi che per me sia stato facile, eh, Sana? Rispondimi! –
- Akito, davvero non è il caso di riprende-
- Non è stato facile per niente! – urla lui, non curandosi del
fatto che lei gli dia le spalle. – Anzi, se proprio vuoi saperlo, è
stato uno stramaledettissimo incubo! Ogni volta che te ne andavi, ogni
volta che mi svegliavo e sapevo che tu non c’eri perché eri tornata da
lui... e non importa quanto forte cercassi di stringerti, trovavi sempre
il modo per sgusciare via! –
Lei sente gli occhi pizzicare e le lacrime che lottano per uscire,
ma si ripromette di ricacciarle indietro e si volta.
- Perché? –
- Perché cosa, perché te ne andavi? Perché ogni volta sbagliavo e
non riuscivo a smettere di farlo? –
- Perché me lo stai dicendo ora? – Sana trema, adesso. Non è mai
stata brava a reggere tante emozioni e, sì, in questo momento sono
davvero troppe. Rabbia, rancore, dolore.
- Cos’avrei dovuto fare, secondo te? Chiederti di lasciare il mio
migliore amico? –
- Sì... no... Akito, non lo so! Se tu mi avessi detto che... se tu me
l’avessi detto, avremmo potuto trovare un modo! – e quando è troppo è
troppo, le lacrime prendono a scenderle incontrollatamente dagli occhi
e a bagnarle le guance.
- Trovare un modo? Sana, non pensarlo neanche. –
- Ma non posso farne a meno! Tu ripiombi qui, dopo nove anni,
riesci ancora a sconvolgermi l’esistenza, e poi pretendi che faccia
finta di niente. – Fa una pausa, il respiro affannato per le urla di
poco prima. – Ma d’altra parte, cosa mi aspettavo? E’ la tua
specialità. Costringi le persone a mettersi in gioco, per poi lasciarle
lì, da sole, con i loro sentimenti in mano e nessuno straccio di posto
dove buttarli. Spero tu ti sia divertito, almeno per uno dei due ne
sarà valsa la pena. –
Così facendo si volta di nuovo, e parte con passo spedito verso
casa. In realtà la direzione è quella sbagliata, ma va bene, purché la
porti lontano da lì.
Fermo sulla strada è rimasto un ragazzo, troppo terrorizzato per
esprimere i suoi sentimenti e troppo caparbio per lasciarla andare.
Così, dopo i primi attimi di paralisi, scatta in avanti e le afferra il
braccio.
- Sana, aspetta – anche lui respira a fatica, ma non è per nulla
sicuro che la colpa sia imputabile alla breve corsa.
- Cosa vuoi di nuo- non riesce a finire la frase perché le labbra
di lui sulle sue le mozzano il respiro. Inizialmente cerca di
scostarsi, ma lui le tiene forte il viso con le mani e non le permette
di muoversi. Così non può fare altro che schiudere la bocca e
concedergli l’accesso. La sensazione familiare della sua lingua che la
accarezza la colpisce così forte che è costretta a tenersi a lui per
non crollare a terra, le ginocchia hanno smesso da un po’ di adempiere
la loro funzione. Da quando l’ha visto entrare nel bar qualche ora
prima, probabilmente. Dopo un tempo indefinito lo spirito di
sopravvivenza prende il sopravvento e si staccano entrambi, in cerca di
ossigeno.
- Perché l’hai fatto? – Stavolta non è difficile intuire il motivo
del fiato corto.
- Stai zitta – le soffia sulle labbra prima di riprenderne il
possesso. Se potesse la prenderebbe qui, ora, in mezzo a una strada,
persino troppo presto perché tutti i bambini se ne siano andati a
dormire. E, se proprio volete saperlo, lei non sembra avere alcuna
intenzione di lamentarsi. O meglio, è piena di buone intenzioni, giura
che è l’ultima carezza, l’ultimo respiro che si fa rubare. Poi proprio
quando sta raccogliendo le forze necessarie per staccarsi, lui la
stringe più forte e allora lei proprio non ce la fa a lasciarlo andare.
Poi le si para davanti agli occhi un viso di donna, e la rabbia può ciò
che il cervello non aveva potuto. Si scuote violentemente
dall’abbraccio e recupera la distanza di sicurezza, quella minima
perché non abbia di nuovo voglia di saltargli addosso.
- Akito, basta! –
- Che ti è preso? – chiede sbigottito e anche un po’ scocciato.
Non sembra essere per niente felice del suo repentino cambio di umore.
- Che accidenti è preso a te! Non possiamo, non possiamo, non
possiamo. –
- Non mi sembra che questo ti abbia mai fermata, prima d’ora. –
- Beh, mi ferma adesso. – lo secca subito, desiderosa di chiudere
la conversazione. – Ora, se non ti dispiace, me ne vado a casa. Sul
serio, questa volta. –
Ma, come al solito lui è di un parere diverso.
- Dove abiti? –
- Non credi che sia abbastanza grande da tornare a casa da sola? –
- Dove abiti? – domanda nuovamente lui. Testardo come al solito,
ha totalmente ignorato la sua obiezione.
Lei vorrebbe dirgli che non è davvero il caso e che questi
convenevoli sulle sue labbra suonano come un insulto, ma infine opta
per cogliere l’occasione e bearsi ancora un po’ della sua presenza.
Così, in silenzio, si arrende e si avvia al suo appartamento
permettendogli di camminarle accanto. In fondo, che male può fare? Solo
qualche attimo in più.
Ora si trovano entrambi davanti a un portone blu notte, l’unico di
tutta la strada. Lei giocherella un po’ con le chiavi, in un ultimo
vano tentativo di rimandare l’inevitabile addio, anche se di pochi
secondi. Poi, prende l’iniziativa e apre la porta.
- Sono arrivata, grazie mille della scorta. Sei libero di tornare
a casa, ora. –
Di nuovo, come se lei non avesse mai neanche aperto bocca.
- Ti sei sistemata bene, vedo. Mi fa piacere. –
Stavolta, però, lei non è disposta a lasciar correre.
- Akito, che cosa ci fai qui? –
- Ti ho accompagnata, mi sembra. Sarebbe stato rude da parte mia
permettere che una ragazza tornasse a casa da sola. –
- Da quando ti preoccupi della buona educazione? –
- Non sei l’unica ad avere vissuto in questi anni, sai? – dice
amaramente, ma ancora più amaro è il suono alle orecchie della ragazza.
No, certo che no.
- Credo che dovresti andare. –
Non lo guarda, fa già troppo male.
Lui sembra intenzionato a darle ascolto e starsene in silenzio,
una buona volta, quando improvvisamente parla.
- Chiedimi di restare. –
E’ una domanda, una richiesta, una supplica. E Sana si chiede
perché per lei sia così facile smettere di respirare.
- Akito... –
- Ti prego, Sana. Ne ho bisogno. –
Ma non sono le paroline magiche da lui pronunciate a far crollare
le sue difese, sono quelle che non ha detto ma che le sono comunque
arrivate forti e chiare. Sana, ti
prego, per l’ultima volta. Così cede. Lo trascina dentro per il
collo della camicia e lo bacia. Perché anche lei ne ha bisogno, per
andare avanti, per ricucire quel graffio nella memoria. Solo un’ultima
notte.
Akito richiude violentemente la porta dietro di sé prima di
assalirla. Non gli interessa di non avere la minima idea di dove si
trovi la stanza da letto, ha aspettato troppo per badare a questi
particolari. Avvista un divano appena svoltato l’angolo del salotto, e
senza smettere un solo secondo di baciarla la spinge sopra per poi
sdraiarsi completamente su di lei.
- Cazzo, Sana, mi sei mancata così tanto... –
Non riesce a credere di aver vissuto tutto quel tempo senza di
lei, senza le sue piccole mani che lo accarezzano ovunque, senza i suoi
sospiri che gli pulsano nelle vene. Ora è quasi completamente nuda
sotto di lui, e si chiede come il tempo possa averla mantenuta così
dannatamente bella, e come lui possa volerla ancora in quel modo. Ma
esisteva davvero, prima di rincontrarla in quel bar?
- Anche tu mi sei mancato... – riesce a mugolare tra un bacio e
l’altro.
Ed è così bello riaverla tra le sue dita che non può aspettare un
minuto di più prima di entrare in lei, e perdersi in lei, tra quei
gemiti che pensava appartenessero ormai solo ai suoi sogni più segreti
ma non per questo meno ricorrenti. Nota con piacere che i loro corpi
s’incastrano ancora così bene che, anche da vicino, non riesce proprio
di distinguere tra l’uno e l’altro. Come se non fossero due anime ma
una sola, che è tornata a bruciare prepotente e devastante come mai.
- Ho paura... di non essere più in grado di lasciarti andare. – Lo
dice, ma è solo un sussurro che lei, spiazzata dal raggiungimento del
piacere estremo, non distingue dagli altri gemiti. Vengono così,
insieme, e insieme si abbandonano a Morfeo.
Purtroppo, come ogni cosa, anche la notte ha una fine. Non importa
che le persone siano pronte o meno, il mattino arriva comunque e la sua
luce è sempre così forte che le tenebre non hanno altra scelta che
lasciargli posto. Akito sente il calore dell’alba colpirgli la fronte,
cerca di fare mente locale, e la soddisfazione della notte prima lascia
posto a un malsano terrore. Così si gira violentemente facendo
svegliare di colpo la persona accoccolata al suo fianco.
- Ehi... che è successo? – la voce è impastata dal sonno, ma non
per questo suona meno deliziosa alle orecchie del ragazzo biondo.
Finalmente il suo cuore torna al battito regolare.
- Che buffo, per un attimo ho pensato che... ho pensato che te ne
saresti andata.
Ho avuto un orrendo déjà vu. – aggiunge con un pizzico di
vergogna.
La donna con i capelli rossi ride divertita.
- Akito, siamo a casa mia. E’ chiaro che aspetto che tu te ne vada
da solo. –
Lui non capisce se stia o meno scherzando, in fondo con lei non si
sa mai. Inoltre, non è che abbia mai avuto tutto ‘sto senso
dell’umorismo.
- Vuoi che me ne vada? –
Adesso anche lei smette di sorridere.
- Tu te ne vuoi andare? -
Ed ecco che l’atmosfera si fa così tesa che si potrebbe tagliare
con un coltello. Di fronte al silenzio del suo interlocutore, la
ragazza si alza dal letto e comincia a raccattare vestiti sparsi qua e
là. Anche questo ha l’orribile sapore di una scena già vista.
- Che fai, raccogli i vestiti in casa tua? –
- Raccolgo i tuoi
vestiti in casa mia. Che domanda stupida che ti ho fatto, in fondo tu
hai un posto dove tornare. –
Lui la guarda perplesso, non capisce come possano essere passati
pochi minuti dalla fine di una delle notti più belle che riesce a
ricordare e stia già andando tutto a rotoli. Ancora una volta, non
capisce dove, di preciso,
abbia sbagliato.
- Sana, potresti per piacere smetterla di usare stupidi giri di
parole e dirmi qual è il cazzo di problema? –
E’ alterato, odia non riuscire a controllare le sue reazioni.
- Il cazzo di problema è che tu non dovresti essere qui! Hai una
donna a casa, persino un bambino! E’ mai possibile che non abbiamo
imparato niente dal massacro in cui siamo finiti nove anni fa? –
- Una donna? Un bambino? Che cosa stai dicendo? –
- In caso tu te lo fossi dimenticato, ho mentito al mio ragazzo
per mesi. Non è che io non sappia riconoscere una stronzata quando me
la trovo davanti. Mi ricordo benissimo che ieri sera non eri solo al
bar. –
- Parli di Sachi? Per tua informazione, è sposata! –
- Come se questo abbia mai fatto la minima differenza, per te! –
ride amara.
Silenzio. Troppi riferimenti a qualcosa che si preferirebbe aver
dimenticato in troppo poco tempo.
- E’ la mia allenatrice di karate. -
La frase cade nel vuoto. Entrambi si guardano senza fiatare, poi
lei riprende.
- E’.. è.. la tua allenatrice di karate? –
Lui annuisce.
- Comunque, non ha nessuna importanza. –
Lei sta per ribattere qualcosa, ma lui non le permette di
continuare.
- Non ha importanza perché, anche se portassi un anello al dito,
non sarei mai stato capace di non baciarti. Esattamente come non sono
capace di non farlo ora. –
Detto fatto, si tuffa prepotentemente sulle sue labbra ancora
secche per gli urli di poco prima. Stavolta, però, lei si allontana con
violenza.
- La vuoi smettere? –
- Smettila tu di essere così acida! L’ultima volta che mi sono
aggiornato, ossia, fammi pensare... qualche ora fa, non ti dispiaceva
affatto essere baciata. –
- Non sono acida, sei tu che sei impossibile! Io cerco di parlarti
seriamente e tu non fai il minimo sforzo per capirmi! –
- Mi sforzo di capirti, Sana. Mi sono sforzato per nove anni di
capire che cazzo ti fosse passato in quella testolina rossa che ti
ritrovi, e non sono venuto a capo di niente. Perciò te lo chiedo ora, e
sarò diretto. Che cosa vuoi, Sana? Che cosa vuoi da me? –
- Da te? Che cosa voglio io
da te? L’ultima volta che mi sono aggiornata, ossia, fammi pensare...
qualche ora fa, eri tu a implorarmi di farti entrare. – dice lei
scimmiottando il suo commento di poco prima. – Cosa vuoi da me,
Akito? –
Lo guarda fisso in quegli occhi castani che pensava di non essere
più capace di leggere, e invece adesso ci vede solo paura. Paura e
conflitto, come se si mordesse a sangue la lingua per non dire qualcosa
che da troppo tempo minaccia di venir fuori.
- Tutto. –
La voce del biondo è calma, non tormentata come si aspettava di
sentirla. E la sua risposta è lapidaria, ma almeno questo se lo
aspettava. Beh, forse non proprio così lapidaria.
- Come, prego? –
- Ho detto che voglio tutto. Non te ne accorgi, Sana, non lo
capisci? Voglio ogni singola parte di te. Del tuo corpo, del tuo cuore,
della tua testa... della tua fottuta anima! –
Sana si prende un attimo di pausa. Non tanto, giusto il tempo di
ricordarsi come si fa a prendere ossigeno.
- A-akito, io... non so cosa dire. –
Lui stringe i pugni, tanto da sentire le unghie conficcarsi nel
palmo della mano. Poi prende fiato e parla, sperando di riuscire a non
gridare.
- Non sai cosa dire? –
- Io... -
- Non sai cosa dire, ho capito. Va bene. –
Fa per andarsene, poi si ferma e si volta a guardarla.
- Dimmi solo una cosa. Stanotte, è stato tutto un gioco? Farmi
credere che tu... che noi... è stato il tuo modo di prenderti la tua
cazzo di rivincita? –
Rancore, rancore, rancore che si mescola ai brandelli di un cuore
che nonostante tutto riesce ancora a rompersi.
- Ma come ti viene in mente? Non ti farei mai una cosa simile! –
- E allora perché? Perché non vuoi darci una possibilità? –
- Perché tu non ce l’hai data? –
- E, allora, vedi che andiamo a parare sempre nello stesso punto?
Cazzo, Sana! Io sono qui, che provo ad aprirmi come non ho mai fatto in
vita mia, e ti sto dicendo che ti amo. Adesso, non nove anni fa, anche se
probabilmente era così anche allora. Ti sto dicendo che ti amo, e tu
non sai fare altro che pensare a quello che è successo o non è successo
un secolo fa! –
L’ha detto. Sana si chiede se il suo cuore battesse davvero anche
un secondo prima.
- Tu... tu mi ami? –
Adesso, quello stupido cuore, le è finito sulle labbra.
- Sì, che diamine! –
Respiro affannato.
- E vuoi stare con me? –
- No, mi diverto solo a dichiararmi alle persone e a umiliarmi per
sport. Che accidenti ci sto a fare qui, secondo te? –
Anche l’orologio scientifico più preciso del mondo non
sarebbe in grado di calcolare il tempo impiegato da Sana per
scoppiare in lacrime e gettare le braccia al collo del ragazzo che le
si trova di fronte. Akito è sorpreso, poi si abitua al calore del corpo
della ragazza che avvolge il suo e la stringe a sua volta. E la bacia,
giusto perché è qualche minuto che non lo fa e ne sente già la
mancanza. Rimangono abbracciati per un lunghissimo attimo, poi lei si
scosta.
- Sei uno stupido! – dice, ma stavolta tra le lacrime spunta anche
un sorriso. Anche lui sorride, anche se vorrebbe non farlo.
- Già, deve essere questo il motivo per cui mi sono innamorato di
te – seconda ammissione nel giro di pochi minuti. Dannazione, si è già
trasformato in una specie di rammollito sentimentale. Maledetta Sana.
Lei ridacchia, prima di aggiungere, serena come non lo era da
tutta la vita – Ma ne sei proprio sicuro? No, perché i pronostici sono
disastrosi. –
Anche lui ride. Accidenti, adesso sta diventando persino gioviale.
- Che intendi? –
- Beh, ci siamo rincontrati solo ieri pomeriggio e ho già
desiderato di ucciderti almeno cinque volte. Per non parlare di
stamattina! Ogni nostra scopata finisce con un litigio.–
- E ogni nostro litigio con una scopata, io dico che siamo fatti
per stare insieme. – risponde, prima di riprendere a baciarla e
domandarsi com’è riuscito a stare tutto quel tempo senza farlo.
Ehilà, eccomi!
Sì, sì, lo so che non ci credete. Non ci credo nemmeno io xD Questo
epilogo è stato un parto. Nel senso che ho cominciato a scriverlo
qualcosa come otto mesi fa per poi cestinare la bozza così tante volte
che se dovessi raccoglierle tutte dovrei dividerle in volumi. Sono
soddisfatta? Chiaramente no, e perdonatemi se non soddisfa neanche voi,
ma con la totale assenza di ispirazione di cui vi ho parlato non sono
riuscita a fare di meglio xD In realtà la mia pigrizia mi pregava di
lasciare l'opera incompleta, poi però ho letto tutti i vostri
meravigliosi commenti alle mie patetiche scuse e allora ho deciso che
ve lo dovevo. Poi forse è venuto così tragicamente e si sposa così male
con il resto della storia che avreste preferito non leggerlo mai, in
tal caso liberissime di ignorarlo e far finta di nulla ^^ Come dice il
sottotitolo, ho cambiato le regole, ho cambiato focalizzazione e punto
di vista, ho cambiato tutto, ma era l'unico modo che avevo di scrivere
ancora qualcosa su questi
Akito e Sana.. cosa ne pensate? avrei potuto fare di meglio, però sono
contenta di chiudere finalmente una ff che ho iniziato quando avevo 16
anni e un modo quasi completamente diverso di vedere le cose, spero la
differenza tra l'inizio e la fine non si noti troppo. Mi spiace solo
che questo sia l'ultimo ringraziamento, perchè siete le lettrici più
meravigliose del mondo, conoscendomi senza il vostro supporto sarei
ferma ancora al terzo capitolo xD GRAZIE di cuore, ragazze, a chi
recensisce dal primo capitolo e a chi ha recensito una volta sola,
siete l'orgoglio anche di un'autrice sconclusionata come me! Mi
inchino, perchè questa storia è anche un po' vostra e vi meritavate un
finale decente. A presto, magari ^^
un abbraccio stretto stretto e pieno di riconoscenza,
chia
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