Evvivaaaaa!!!
Il quarto capitoloooo.
Sono
stata particolarmente lenta. Perdono, fedeli lettori.
ç___ç
Any
way ora beccatevi il capitolo che parla di Hecks. Un soggetto...
uhmm... non saprei definirlo in verità. Starà a
voi dirmi come lo tovate.
Arigato
Gosaimasu a hacky87, Emmaps3 e Elli.
Potrei
morire senza i vostri comenti!!!! Mi fate andare avanti con la storia.
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Dedicata
alla mia Acquazzone.
1.
Il
mare non mi piace.
È
salato, pieno di pesci
puzzolenti, alghe morte e spazzatura.
Bella
merda.
“Effy!
Avanti vieni con noi!”
Urla una mia compagna di classe, che si chiama Giulia e che ha i
capelli rossi
come me, ma ricci e un po’ stopposi.
Faccio
segno di no con la testa,
reggendo la mia sigaretta con il labbro incurvato in un sorriso
strafottente.
Giulia
si stringe nelle spalle un
po’ dispiaciuta e raggiunge le altre ragazze sul bagno
asciuga.
Bah.
Cosa
ci trovino queste ragazze in
me proprio non lo capisco.
Non
parlo molto, mi limito ad
ascoltare i loro discorsi frivoli e insulsi e la maggior parte del
tempo penso
a quanto sia sfigata la mia misera esistenza.
Mi
sdraio nella sabbia,
continuando a fumare.
Il
cielo è blu cobalto e
nonostante il vento non c’è nemmeno una nuvola.
Il
sole è di fuoco e brucia gli
occhi e la pelle.
“Who
loves the sun…”
Aspiro
il fumo, senza pensieri.
Cosa
che non mi succede da molto
tempo.
E
in quel momento mi arriva una
pallonata.
Dritta
sullo stomaco.
BAM.
Un
flash di luce mi annebbia i
sensi.
“Ma
porca…”
Mi
tiro su di scatto, facendo
cadere la sigaretta ormai quasi finita a terra.
I
capelli mi scivolano sul viso
spinti dal vento e mi sembra quasi di trovarmi in un vortice di fuoco.
Intravedo
dei ragazzi che si
avvicinano.
“Oh
cazzo… ehi tipa!”
Scosto
le ciocche di capelli dal
viso, alzandomi barcollante.
“Ma
che diavolo state facendo,
idioti!”
Ah
beh, ci mancava proprio lui.
Il
ragazzaccio mi fissa divertito
e spalleggiato da alcuni amici.
Indossano
tutti il costume da bagno
e sono sudati come dei cavalli
schiumanti dopo una corsa.
Raccolgo
la sigaretta, furente,
ma ormai è tutta insabbiata e fuori uso.
“Cazzo!”
Il
biondino sorride, in modo
tremendamente irritante.
“Ehi,
tipa, scusa. Ci è scappata
la palla.”
Lo
fisso disgustata, quasi avesse
bestemmiato.
“Ottimo.
Potevate farla scappare
da un’altra parte,non trovate?”
Un
tipo moro dai capelli fin
troppo lunghi sghignazza.
Si,
si, ridi finché puoi.
Poi
voglio vedere come fai senza
denti, razza di imbecille.
Il
ragazzaccio recupera la palla
da volleyball e la infila sotto il suo braccio destro.
Guarda
la riva in lontananza.
“Stai
con Ludovica?”
Sobbalzo.
“Che
te ne frega?”
Fissa
le mie compagne con gli
occhi socchiusi per la luce del sole.
“Sei
sua amica?”
Un
nodo molto stretto si scioglie
nel mio stomaco.
Si
volta verso di me,
perfidamente sorridente.
Non
gli rispondo.
“
Sciò.” Sibilo.
Li
scaccio con una mano e mi
chino a prendere dallo zaino il “preistorico” ( uno
di quei Nokia
antichissimi…), che vibra con insistenza.
“Max!”
Sussurro
allegramente sorpresa,
leggendo il nome sul display.
L’amico
moro di Riccardi mi
afferra per un braccio, facendomi seriamente male.
“Cristo
Santo, che cazzo fai?”
Mi
fissa, incazzato.
“Ehi,
non sei la padrona della
spiaggia, stronza. Abbassa la cresta.”
Mi
spinge a terra, facendomi
doppiamente male.
Il
ragazzaccio e l’amico ridono.
Questi
figli di…
Ehi,
Eff, ricordati cosa diceva
il Senpai: “Non usare la violenza su chi la utilizza con
facilità e senza
pensare.”
Sorrido.
Mi
alzo, afferro lo zaino e mi
incammino verso il marciapiede per tornare a casa.
“Ehi,
stronza! Dove cazzo vai?!”
I
tre mi seguono.
Oh
fly, lasciatemi in pace! Non
voglio massacrarvi di botte…
“Come
ti chiami?” Chiede il
ragazzaccio, affiancandomi.
“Io
sono Hecks.” Aggiunge.
Sorride,
mi afferra per un
fianco.
Dall’altro
lato si affianca il
moro. “Io sono Up.”
C’è
anche l’altro biondo, che
rimane zitto accanto a questo “Up”.
Che
nomi hanno questi esseri?
Tolgo
bruscamente la mano di
“Hecks” dal mio fianco e cammino più
velocemente.
“Tornatevene
alla spiaggia, và.”
Borbotto.
Il
moro mi prende di nuovo il
braccio con forza.
“Stai
usando di nuovo un brutto
tono, stronza. Rilassati. Vogliamo solo fare amicizia.”
Fa
male.
Mi
fermo, fisso il moro negli
occhi.
Hecks
sorride, l’altro biondo no.
Mi
divincolo con forza.
Controllati,
Eff, sono degli
idioti montati.
“Lasciatemi
stare, per favore.”
“Vedi?
Impari già.” Sorride
soddisfatto il moro.
Mi
lascia il braccio.
Riprendo
a camminare.
Hecks
si affianca di nuovo a me,
mentre io affretto il passo.
“Vogliamo
solo sapere il tuo
nome.”
Afferro
il “preistorico”,
ignorandoli, con le mani tremanti per la rabbia.
Il
messaggio di Max: Sono sotto casa tua. Ti
aspetto, piccola
combattente. J
“Non
ci stai ascoltando.”
Che
stress.
Mi
giro di colpo e sembrano tutti
e tre sorpresi.
“Sentite,
idioti montati che non
siete altro, non voglio usare la violenza contro di voi
perché la monotonia
della mia vita di merda vita prevede risse sanguinose per cause
inutili, quindi
lasciatemi stare, ok?”
Mi
guardano increduli.
Scoppiano
a ridere.
“Come
ci hai chiamati?”
Guardo
il ragazzaccio negli occhi
e accetto la sfida che mi pone con lo sguardo.
“Idioti.”
Il
moro strine i pugni.
“Montati”
L’amico biondo
digrigna i denti.
Hecks
lascia cadere la palla sul
marciapiede e si avvicina con cattive intenzioni
nell’andatura e
nell’espressione.
Mi
afferra il viso con violenza;
le narici dilatate per l’irritazione.
“Sporca
puttana, chiedi scusa.”
Lo
guardo.
Non
vale la pena alzare un solo
dito su questo ragazzo.
“Sei
un idiota montato.”
Sorride.
Con
il pollice mi accarezza la
guancia che tiene stretta nel suo palmo.
“Puttana”
Sussurra.
Lo
schiaffo arriva rapido e quasi
indolore, rispetto ai colpi con cui sono stata temprata durante le
lezioni con
il Senpai.
Riesce
comunque a farmi vedere le
stelle e barcollo indietro, sentendo un fischio insistente e acuto
nelle
orecchie.
“Hecks,
l’hai schiaffeggiata un
po’ troppo forte. È pur sempre una
donna.”
È
l’amico biondo.
Il
ragazzaccio lo ignora.
Torno
a fissarlo con lucidità.
“Chiedi
scusa.” Ripete, con la
voce dura.
Respiro
profondamente e mi volto
verso la strada di casa.
‘Fanculo,
se provi a toccarmi di
nuovo ti massacro di botte.
Sento
la sua mano quasi sfiorare
la mia, ma…
“EFF!”
È
un grido. Tutti i passanti, già
attirati dalla scena di poco prima, si girano verso il proprietario di
quella
voce, ancora più turbati.
Mio
padre mi raggiunge con passo
deciso, indossando la solita giacca di pelle e dei bermuda color verde
foresta,
un cappellino da baseball calato sui capelli castani e degli scarponi
da
militare.
La
mano di Hecks si abbassa
automaticamente e il moro perde la sua espressione strafottente,
indossandone
una da ragazzo simpatico e alla mano.
Papà
fissa me, la mia guancia
vistosamente rossa e poi posa il suo sguardo sul ragazzaccio.
L’espressione
di mio padre
diventa maligna.
“Hecks.
Vedo che hai conosciuto
mia figlia.”
Hecks
sembra sorpreso.
Mi
guarda con due occhi nuovi e
l’amico biondo sembra parecchio turbato.
Mio
padre mi affianca, poggiando
una delle sue mani callose sulla mia spalla.
Ecco,
brutti stronzi,
pigliatevela in culo.
“Come
te la passi, eh Simon? Era
da un po’ che non ti vedevo.” Sogghigna Hecks,
incrociando le mani sul petto e
lanciandomi un’occhiata perfida.
Mio
padre sorride. “Sto bene. E
lo sai anche tu.”
Up
si gratta la testa
imbarazzato. “Hecks, non credi che sia l’ora di
andare?”
Riccardi
gli lancia un’occhiata
di fastidio, per poi tornare a squadrare mio padre.
“Recentemente
ho parlato papà,
sai? Dice di non essere molto soddisfatto…”
Mio
padre si avvicina con
violenza al biondastro, facendolo saltare indietro di un passo per lo
spavento.
“Senti,
piccolo bastardo, non me
ne fotte un cazzo di quello che dice tuo padre, chiaro?”
Hecks
deglutisce, con le vene del
collo vibranti dalla rabbia.
“E
comunque, posso assicurarti
che è ben più che soddisfatto.”
Up
mette una mano sulla spalla di
Hecks. “Andiamo, amico. Sai com’è finita
l’ultima volta.”
Hecks
si divincola dalla stretta
del moro. “Lasciami.”
Si
voltano tutti e
tre, per tornare alla spiaggia.
“Prova
a schiaffeggiare di nuovo
mia figlia che ti infilo un ravanello nel culo.”
Mio
padre ha gli occhi fin troppo
seri.
Hecks
si volta furente,
fissandomi negli occhi.
Non
mi muovo di un centimetro e
sorrido.
“Non
mi piacciono i ravanelli.”
Un borbottio confuso che mio padre non ascolta nemmeno
In
un attimo sono scomparsi
dietro il muretto che porta al mare e sul marciapiede
c’è di nuovo silenzio.
Mio
padre sorride,bonariamente,
come se non fosse successo nulla.
“Bene!”
Si
stiracchia, dandomi una pacca
sula spalla.
“Scusa,
Eff, ma non posso tornare
a casa con te. Devo fare una commissione importante.”
Annuisco
comprensiva.
“A
che ora sarai a casa?” Chiedo,
sperando di non dovergli dire nulla riguardo a Max.
“Devo
andare fuori città.
Possibile che torni persino domani pomeriggio.”
Sgrano
gli occhi, sorpresa.
“Ah.”
Dico solamente.
Mi
guarda e si accinge a darmi un
abbraccio un po’ goffo.
Si
imbarazza in pubblico, e
difatti si guarda intorno un po’ rosso in viso.
Si
cala meglio il cappellino sul
viso.
“Non
preoccuparti. Per ogni cosa
chiamami.”
Sorrido.
“A domani allora.”
Mi
fa ciaociao con la mano e si
dirige nella direzione opposta, già pronto per partire senza
nemmeno una
valigia..
Mentre
cammino verso casa ho come
una sensazione strana che mi pervade fin alle radici dei capelli.
La
sensazione che la situazione
sia cambiata.
Mi
prude forte la nuca e questo è
un segno più che evidente che qualcosa di problematico mi
attende.
Forse
ora, forse domani.
Non
capisco bene.
Mi
giro, infastidita, ma sulla
strada non c’è proprio nessuno.
Deserto.
Affretto
il passo verso casa.
2.
“Qual
è il punto?” Chiese Sin.
Lo
fissai dal mio metro e
ottantacinque di statura, continuando a fumare il purino e fissando il
mare dal
cornicione del tetto.
“Il
punto,” dissi “ è che non può
permettersi di giocare con me.”
Mi
sedetti, incazzato
Up
si strinse nelle spalle,
fissando il soffitto sdraiato sulle tegole.
“Capirai.
Pensavo che ormai
avessi capito che lui non scherza.”
Strinsi
la mano a pugno, cercando
di non eccedere nei movimenti impacciati dal fumo per paura di cadere.
“Beh,
il fatto è che invece lui
scherza. Scherza sempre. Mi prende per il culo pensando di essere
divertente.
Nonostante tutto quello che c’è dietro le nostre
famiglie lui continua a
scherzare.”
Sin
sorrise, togliendosi i ciuffi
biondi dagli occhi.
“Tu
non centri granché con gli
affari suoi e di tuo padre.”
Risi
amaramente. “E li chiami
ancora affari?”
Mi
beccai un’occhiata
indispettita dal mio migliore amico: “Chiamali favori, se
preferisci.” Sibilò
Sin.
Up
si alzò, barcollando
leggermente fino al cornicione e sedendosi affianco a me.
“Hecks,
secondo me non dovresti
partire in quarta e dare battaglia a Simon per la millesima
volta.”
Lanciai
il purino, consumato fino
al filtro, lontano nel buio e sogghignai.
“Contro
Simon?”
Gli
occhi annebbiati dal fumo di
Sin e Up si fecero di colpo più attenti, attirati come un
magnete dal mio tono
bellico e squallidamente, devo ammetterlo, infimo.
Imbracciai
i miei compari
volgendo lo sguardo all’orizzonte lontano.
“Amici
miei, voi non avete capito
un emerito cazzo.”
Up
si scostò
“E
leva sto braccio, frocio di
merda!”
Lo
ignorai, focalizzandomi sulla
reazione del biondo.
Rimase
a guardarmi, in modo interrogativo.
Nemmeno
il brillante Sin aveva
capito?
Rafforzai
la stretta attorno al suo
collo, mentre lui continuava a fumare imperterrito.
“Vedete,
ho allargato i miei
orizzonti. Cambiato strategia.”
Up
inarcò un sopracciglio ridendo
sguaiatamente.
“Strategia?”
Gli
diedi uno scappellotto.
“Esattamente.”
“Continuo
a non capire.” Borbottò
Sin, allontanando il mio braccio con un movimento fluido.
Sorrisi
elegantemente,
sollevandomi in piedi.
“Vedete,
ho come il vago sospetto
che il nostro caro Simon abbia una corazza fin troppo spessa per essere
colpita
o a malapena scheggiata nel modo rozzo che abbiamo sempre
usato.”
Up
mi guardò un po’ perso.
“Ma,”
continuai “la sua armatura
ha un accessorio indispensabile, come dire, di vitale importanza, senza
il quale,
sarebbe decisamente vulnerabile.”
Up
aggrottò la fronte. “Continuo
a non capire.” Disse.
Mi
incamminai lungo il cornicione
in perfetto equilibrio.
“Consideratela…
che so… come
Excalibur. Come avrebbe fatto Artù senza?”
Up
si illuminò all’improvviso e
ghignò perfidamente.
Sin
curvò le labbra in una
smorfia divertita.
“Parli
della ragazza dai capelli
di fuoco, vero?”
Sorrisi.
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