Dedico
questo capitolo a Maria che nonostante tutto mi vuole ancora bene.
Eccomi!
Dopo mesi e mesi di
silenzio, il mio cervellino bacato ha deciso di continuare quello che non era
stato ancora proseguito. Molti mi hanno chiesto con ansia questo capitolo, sia
con le recensioni (graditissime) che con le varie mail
che ho avuto il piacere di ricevere (molto gradite anche quelle).
E allora mi sono detto: come posso non
accontentarli?
Non posso!
E
allora la mia mente malata a partorito questo capitolo. Un capitolo intenso,
profondo (giudizio non mio, ovviamente… non sono così patetico) e che ha una
certa dose di sentimentalismo straziante, avvolgente… avvincente in fin dei
conti.
Spero che possa
piacervi…
Ron si trova di
nuovo a contatto con la sua “piccola”, vedremo cosa riuscirà a fare.
Non mi resta che
augurarvi…
Buona lettura.
Avvertenza: questa
ff non è giunta al suo termine. Mancano ancora vari capitoli e credo che non
finirà così presto come qualcuno può aver frainteso. Temo, piuttosto, che
dobbiate sopportarci ancora un po’! Spero che la cosa possa farvi piacere!
Nightmare
SIAMO ANCORA NOI
Piccola mia…
E
anche se il tempo e le distanze ci hanno diviso, io non mi scorderò mai di te,
piccola mia. […]
9°
Capitolo
Piccola mia…
*** ***
***
Are you
gone and into someone new?
I needed somewhere to hang my head
Without your noose
You gave me something that I didn't have
But had no use
I was too weak to give in
Too strong to lose
My heart is under arrest again
But I break loose
My head is giving me life or death
But I can't choose
I swear I'll never give in
I refuse
Sei andata
alla ricerca di qualcosa di nuovo?
Avevo bisogno di un
posto
Dove
appendere la mia testa
Senza il tuo laccio
Mi hai dato
qualcosa che non avevo
Ma
non aveva utilità
Era troppo debole
per reggere
Troppo forte per
perdere
Il mio cuore si è
arrestato di nuovo
Ma
sto rompendo la libertà
La mia testa mi sta
dando vita o morte
Giuro che non mi
arrenderò mai
Mi rifiuto
(Best
of you – Foo Fighters)
*** ***
***
20
Febbraio.
Mattino. Ore 10.56
Infermeria.
“Sei viva…”
Lacrime. Lacrime
amare che scendono su un profilo ben disegnato. Piccoli frammenti di un’anima
che non conosce pace, che non chiede altro che riposo. Una voce insistente
dentro la testa, insopportabilmente veritiera, che conduce al tormento e al
ricordo.
Lo specchio di una
situazione che non si sarebbe dovuta creare. Un incubo. Puro. Dai tratti
sospesi e innocenti, come il cadere di una foglia d’inverno. Voci che si
susseguono e parole che non vengono dette.
Confusione. Per
quello che è accaduto e per tutto quello che succederà.
Rabbia. Per il
sentire lento di una sensazione fastidiosa, l’acuirsi di un sentimento leggero
e pericoloso: la sensazione terribile di sentirsi sporca.
Hermione… Sei viva…
Tre parole che, per il gusto di rivalsa d’ogni soggetto umano, l’hanno
lentamente portata sul cammino della ragione. Ha rivisto la luce. Luce. Nei
suoi occhi chiari, azzurri quanto un cielo e riflessi di stupore misto ad
incredulità. Li ha visti e non ha retto.
E’ viva. Sì lo è…
ma è come se non lo fosse. Ha un qualcosa dentro che non le permette di
respirare. Una biglia incastrata nell’esofago che non si muove né in una
direzione né in un’altra; un magone che le attanaglia il petto e che la
schiaccia, fastidiosamente.
Si guarda intorno e
anche se ogni cosa sembra normale, in quello stanzino che potrebbe
tranquillamente essere confuso per un’infermeria, lei non vede altro che
ripudio o sporcizia attorno alla sua persona copiosamente in lacrime. È
sporca. Abietta. Arcadicamente e socialmente insulsa. Uno straccio nero e
consunto, troppe volte usato per puro divertimento e adesso incapace di
ritrovare brillantezza. Lei è sporca. Lo ha sentito, per la prima volta così
chiaramente, in quel momento. Quando ha capito che la persona che avrebbe
dovuto uccidere era anche la sola che aveva mai aspettato e amato; quando
aveva visto quella catenella oscillare brevemente davanti a lei, richiamandola
nel mondo dei vivi; quando si era specchiata in quel torrente d’emozioni che
poi erano i suoi occhi… ancora… per una volta ancora.
E lì – sì, proprio
in quell’attimo, aveva capito… avrebbe preferito morire che essere vista in
quello stato. Avrebbe dato qualsiasi cosa, adesso, per ritrovarsi in quella
cella angusta e fredda, in attesa del suo torturatore del giorno.
Ma non c’era più
tempo. Non ora.
E allora che fare?
Piangere. Piangere. Piangere fino allo sfinimento dei sensi, fino alla perdita
della ragione. Versare lacrime fino a quando quel nodo stretto alla gola non
si fosse allentato.
Vedere i suoi occhi
adesso potrebbe essere l’ultima cosa che potrebbe sopportare.
Per ora, non
le resta che piangere.
Di nuovo.
20 Febbraio.
Mattino. Ore 11.12
Quartier generale.
Settore ricovero e infermeria.
Passi.
Passi che risuonano
in un corridoio buio e oscuro. Passi pesanti, ben calcati sul marmo chiaro,
impressi in un momento di grande foga ed eccessiva impulsività. L’uomo che si
fa avanti alla luce di un sole sbiadito, filtrato appena da un’ampia finestra
rettangolare, ha sul volto un’espressione che rasenta l’incredulità. I suoi
capelli, rossi come il fuoco che gli arde dentro, oscillano in maniera vistosa
nell’incedere della sua andatura irregolare. I suoi occhi blu, dietro le lenti
d’occhiali spessi, sono vividi… quasi maniacali. Attenti ad ogni piccolo
particolare.
L’uomo è inquieto.
Sente una sensazione opprimente schiacciargli il petto. Le viscere si
contorcono dentro di lui. Il suo respiro è affannato, e un sudore perlaceo
contorna il suo corpo.
Semplicemente
Ronald Weasley, colui che è sempre stato capace – o quasi – di affrontare ogni
situazione inesplicabile e pericolosa, non è pronto a fronteggiare quello che
gli si prospetta davanti. Diciamolo pure con tranquillità… Ronald Weasley ha
paura.
Ma non è un
sentimento ingiustificato, badate bene… è solo la reazione di un uomo che
aveva perso tutto, ogni scopo della vita, e che prontamente è stato sbalzato
in qualcosa che definire più grande di lui risulterebbe persino riduttivo.
Semplicemente non riesce a crederci.
Anni.
Anni passati
cercando e non trovando. Anni passati a vedere la speranza che si affievoliva
sempre di più e che ogni cosa non potesse essere d’aiuto. Quanto tempo, in
quelle fredde e spietate notti, aveva concentrato le sue energie nella sua
direzione… ma non era servito a nulla. Solo mesi trascorsi in una leggera e
nostalgica apatia, convincendosi progressivamente alla resa finale…
Hermione… sei viva…
Le sue parole gli
sembrano ancora prive d’alcun senso, d’alcun rigor di logica. Sembrano
soltanto le ansiose speranze, ritrovate chissà dove, di un sogno troppo bello
per essere anche solo minimente preso in considerazione. Come può essere
ancora viva dopo tutto questo tempo?
Viva. Sì…
I suoi occhi, che
nei suoi incubi lo angosciavano, che la notte lo torturavano, lo avevano
guardato ancora una volta, una volta ancora… e cosa aveva visto dietro di
essi, lui che nient’altro avrebbe voluto guardare?
Paura. Rimorso.
Tristezza.
E anche tanta,
tanta sofferenza… aveva scontrato nei suoi occhi color del cielo, i suoi, e lo
aveva implorato con lo sguardo.
Salvami…
Sì, era questo quel
che era riuscito a vedere. Aveva visto, quando lei non avrebbe voluto, e aveva
scorto in quell’anima distrutta da chissà quali mostri, la sua richiesta
d’aiuto. Disperata, oltre ogni dire. Oltre ogni modo.
E lui se l’era
trovata tra le braccia. Svenuta. Come un angelo straziato, privo delle ali per
spiccare il volo e imprigionato da fiamme alte e aggressive, riposto tra le
sue braccia che a stento riuscivano a sostenerlo. Era riuscito a rivederla,
quando con tutto il cuore sapeva che non sarebbe mai successo, e adesso… non
sapeva cosa fare.
Le persone
cambiano.
I rapporti
finiscono.
E se lei non avesse
più voluto saperne di lui? Cosa era diventata? Cosa le avevano fatto?
Salvami…
Cosa poteva
spingere una persona come lei a diventare quello che era?
Un’assassina.
Terribile. Crudele. Una persona che negli ultimi mesi aveva spezzato qualcosa
come trenta vite – insulsi e sporchi contrabbandieri, d’accordo – ma pur
sempre trenta anime che erano volate in cielo.
Cosa ti hanno fatto
piccola mia?
E ancora… una
sensazione che opprime i suoi sensi. Il lieve sentore di trovarsi sporco.
Inadeguato. Avrebbe dovuto salvarla da tutto questo, rendere i suoi giorni
difficili degni di uno scopo, e renderla felice, anche solo per poco. E invece
cosa aveva fatto?
Aveva mollato. Si
era arreso anche per lei. Aveva smesso di pensarla, di cercarla…. Aveva
iniziato a dimenticarla.
E lei era viva.
In sua attesa…
Passi…
Passi pesanti e
afflitti che calcano il pavimento. Deve vederla. Deve spiegare.
Non sarà facile.
Ma ci riuscirà.
20 Febbraio.
Mattino. Ore 11.13.
Infermeria. Piano
inferiore.
Non ce la faccio
più.
La testa mi sta
scoppiando. Sento indistintamente dei rumori provenire da fuori, ma tutto
quanto mi sembra ovattato, inesplicabilmente ridotto, di fronte alle fitte che
a poco a poco mi stanno perforando il cervello.
L’aria è abbastanza
fresca e la stanza, contrariamente a quello che ci si potrebbe aspettare, è
parecchio illuminata. Ma nonostante questo, come se fosse possibile il
contrario, sento il corpo irrigidirsi ogni secondo di più. I nervi sono tesi e
il respiro lievemente irregolare.
Dove mi trovo?
chiedo flebilmente più a me stessa che ad un qualcosa d’immaginario. Sono
stata adagiata su un letto morbido, dalle candide lenzuola di lino, e i vari
macchinari che monitorano il mio stato, farebbero presagire ad una piccola
quanto atipica sala d’infermeria. Il soffitto è alto e spazioso. Un neon
arrugginito espande il calore della luce tutt’intorno e un piccolo ragno poco
sviluppato cammina sopra di esso tessendo le sue esili tele.
Comincio a sentirmi
male. Una grande e incontrollabile voglia di vomitare mi sale fino allo
stomaco, ma in qualche maniera – o meglio, in qualche modo – sembra voler
restare tutto sospeso dentro di me. Asciugo, con fare frettoloso e per nulla
aggraziato, i miei occhi con un lembo sgualcito della mia maglia. Li vedo
riflessi chiaramente nel piccolo specchio posto davanti a me… sono stanchi e
arrossati. Il frutto di troppo stress, troppe emozioni, e troppe notti
insonni…
Scuoto debolmente
la testa. Mi rendo conto che è una mossa sbagliata perché subito piccoli
cristalli di luce iniziano a baluginare davanti alla mia faccia,
congiungendosi a fitte di dolore di media intensità. Sono a pezzi…
Vorrei solo poter
fuggire… o morire, se proprio lo desiderano le conseguenze. Ma sono talmente
stanca, sfinita – con le forze che sembrano essermi state prosciugate per
magia – che non riuscirei a fare né una cosa né l’altra.
Morire a questo
punto diventa molto faticoso, oltre che fastidioso. O meglio, anche solo
muovere un braccio per fare qualsiasi cosa mi sembra, al momento, molto
proibitivo. Quindi non mi resta che restare qui, in attesa… con il nodo e il
groppo alla gola che non si vogliono decidere di liberarmi, con il cauto
presentimento che qualcosa debba andare storto… come se la situazione potesse
ancora peggiorare.
Cerco di non
pensare a quello che succederà… ma le immagini delle ultime ore mi passano
davanti agli occhi come flash indistinti, foto ricordo macabre e insensate,
non lasciandomi alcuna possibilità d’uscita. Mi vedo nell’atto di uccidere
uomini, ridere con fare noncurante sui loro corpi straziati dalla mia furia;
vedo quello che sono diventata con il tempo, per una legge ingiusta che non
esiste; vedo lui e tutto quello che potrebbe pensare adesso di me…
Non ce la faccio
più.
Sarebbe più giusto
se non dovessi mai più rivederlo. Essere sbattuta ad Azkaban, prigioniera di
me stessa e dei dissennatori, finendo i miei giorni rivedendo l’orrore nel suo
viso e l’incredulità nei suoi specchi di verità. Sarebbe più giusto… ma non è
propriamente, e sicuramente, la strada che quegli aguzzini che stanno la fuori
decideranno di prendere. O meglio, non subito…
Prima, forse,
m’interrogheranno. Mi prenderanno informazioni con la tortura e mi lasceranno
a marcire in una cella maleodorante. E poi, quando non gli sarò più d’alcun
aiuto, mi uccideranno… come io avrei fatto con loro. E tutto sarà finito.
Per sempre.
Ma una vocina
interna, fastidiosa oltre ogni dire, si fa campo – a poco a poco – dentro la
mia mente lucida d’efferata assassina.
Lui non lo
permetterà…
E sentendola mi
viene quasi da ridire. Nessuno lo obbliga ad occuparsi di me. Forse ha già
lasciato il caso a qualcun altro, ritenendolo una seccatura insulsa, non degna
della sua attenzione. Forse non si preoccuperà neppure di sapere se verrò
uccisa o meno, e sicuramente non assisterà al mio funerale, tra le macerie di
una prigione immaginaria.
Lui non lo
permetterà.
Che idea insensata.
Non pensavo che la mia testa potesse partorire qualcosa di così
incredibilmente folle. Lui ha visto quello che sono diventata. Lui ha scorto,
dietro i miei vestiti di pluri-omicida, tutto lo sporco che sì è annidato
dentro di me. Non baratterà la sua integrità morale per un rifiuto della
società.
Non lo farà…
Ma non sapeva… di
quanto si stava sbagliando.
20 Febbraio.
Mattino inoltrato. 11.34
Settore ricovero e
infermeria. Piano attiguo.
Devo sbrigarmi.
Sento il cuore
pompare a mille sotto lo scomodo tessuto di raso della camicia. Non sono in
queste condizioni perché sto correndo, o semplicemente non mi sto sforzando a
livello fisico in modo così clamoroso. Sento solo che il sangue viaggia a
velocità raddoppiata – se è in qualche modo possibile – nelle mie vene e ogni
sforzo, perché di sforzo si tratta, che faccio per tentare di calmarmi, al
momento, risulta soltanto come qualcosa di terribilmente vano e fuori luogo.
Sono decisamente sotto pressione.
Fuggevolmente mi
passa davanti l’immagine di me stesso, svenuto a causa di problemi cardiaci, e
con la faccia rivolta a terra, grondante di bava e sudore. Vedo accorrere
medici che fanno referti inspiegabili, decantando ai mille venti la mia morte,
mentre con giusto spirito d’iniziativa vedo la mia figura tastarsi
amorevolmente le parti basse, in segno di scongiuro. Sento nell’aria il peso
di qualcosa. Il peso che si aggrava, passo dopo passo, sul mio corpo scolpito
ma non per quest’evenienza. Il peso del senso di colpa.
Insopportabilmente
reale.
Mi fermo un attimo
e appoggio una mano sul freddo muro alla mia destra. Valuto le mie possibilità
e calcolo le varie conseguenze. A dire il vero non sono mai stato bravo in
questo. Io sono sempre stato un impulsivo. Conoscevo una sola persona che
riusciva a farlo con grande maestria e quella persona è a pochi metri da me,
dopo tanto tempo. Cerco di regolarizzare il battito ma mi rendo conto che
un’impresa disperata.
Mi asciugo il
sudore della faccia con una mano e volgo la mia direzione in avanti, cercando
di ragionare. Davanti a me, come nei più cupi film babbani dell’orrore, un
corridoio lunghissimo e sinistro. Perché cavolo l’hanno costruita così questa
base? si chiede il mio ego moralmente in disaccordo.
Una lunga
passeggiata per giungere alla fine. M’incammino con quella che definirei
noncuranza forzata, ma sicuro di fare la cosa migliore per il mio stato
mentale.
In fondo… una
porta.
Scura.
Nera.
Simbolo onirico del
mio animo travagliato.
Una maniglia.
Grigia. Spessa. Motivo di confusione nel cervello. Perdita progressiva della
ragione. Un filo che ti lega ad un mondo alla tua antitesi.
Mi avvicino con
circospezione a quel luogo di sacralità mistica; il confine visibile,
tangibile, di un mondo ben demarcato ma comunque in conflitto con l’esterno.
La sicurezza che
scivola dalle mie mani.
Al di là di quella
porta tutto potrebbe accadere. Qualsiasi cosa. E propriamente non è una
sensazione molto rassicurante.
Appoggio l’orecchio
sulla fredda e liscia porta di metallo. Non un suono viene da dentro. Non un
grido. Non un alito di vento. Niente.
Le mani sudano ad
un ritmo incontrollabile.
«
Cazzo
»
Impreco sottovoce, non potendo fare altro…
Davanti le immagini di noi due, a Hogwarts. Un passato felice… lontano. Il suo
volto che mi esplode nitido nella mente.
Mi faccio coraggio. Il momento è giunto.
Apro leggermente l’ultimo ostacolo che mi separa da lei. Il cuore pulsa dentro
di me. La vista si snebbia.
Guardo dentro quella stanza luminosa e vengo accecato parzialmente dalla luce
che è racchiusa dentro di essa.
Il letto è vuoto. Disfatto dal suo occupante in un passato vicinissimo e la
brocca d’acqua, posta leggermente sul comodino alla sinistra, è ancora piena
fino alla metà. Il mio sguardo percorre frenetico tutta la stanza e poi… si
ferma.
Lei
è lì. Appoggiata con le braccia al balcone della finestra attigua. Il viso
rivolto chissà dove, i capelli boccolosi che svolazzano tristemente con il
carezzare del vento. Non sì è accorta di me. Lo posso percepire dai suoi nervi
distesi e dal suo sguardo, che non vedo, ma che immagino perso nel vuoto.
«
Hermione…
»
Si volta precipitosamente verso di me e i suoi pozzi d’acqua contaminata si
specchiano di nuovo, per una volta ancora, nei miei. Il suo corpo è un tremito
sommesso e straziante, i suoi nervi s’incrinano… il suo volto è prossimo alle
lacrime.
Un lampo. Un lampo d’odio e ribrezzo solca le sue gote arrossate. Mi da
nuovamente le spalle e con voce flebile, quasi in preghiera, mi dice:
«
Vattene via »
Incasso un colpo che non avrei voluto incassare. Mi faccio più vicino e la
posso sentire chiaramente singhiozzare tra le mani.
Cosa ti hanno fatto piccola mia?
La raggiungo sul piccolo balconcino. È molto piccolo e stretto. Ci entriamo
con difficoltà a mala pena in due… Lei non si volta verso di me. La sento
piangere dietro alle mani con rabbiosa e determinata disperazione. Mi fa male
vederla così.
Cerco di trovare un contatto. Anche misero.
Pongo la mano in avanti, intenzionato ad accarezzarle i capelli come facevo
una volta.
La reazione è qualcosa d’incredibile e inaspettato. Come una furia piomba su
di me e mi scaraventa a terra. Sotto indistintamente qualcosa andare in
frantumi, ma non mi cura di cosa possa essere. Lei è sopra di me, le lacrime
che le sgorgano piene dalla faccia, che continua a darmi pugni rabbiosi, senza
controllo…
«
NON TOCCARMI!
»
grida con tutto il
fiato che ha in corpo.
Le blocco le mani con le mie, ben più forti e sviluppate, e inverto la
posizione, schiacciandola sotto di me. La vedo, una tigre incattivita a
chiunque che cerca di divincolarsi, e il nodo al petto si allenta un po’
Salvami…
«
Sfogati su di me se
vuoi… ne hai tutto il diritto…
» riesco a
dire con la maggior dolcezza possibile.
Lei è un fiume in piena che va fatto sfogare. Calmare. Quietare.
«
DOV’ERI TU QUANDO AVEVO BISOGNO DI TE? DOV’ERI? E’
STATO FACILE SCORDARSI DI ME, VERO? LURIDO FIGLIO DI PUTTANA!
»
Un mare d’imprecazioni che si scagliano su di me come mille colpi al volto.
Vacillo ma non mollo la presa. Devo aiutarla. A qualunque costo…
«
COSA CAZZO VUOI DA ME? TORNATENE DALLA TUA MOGLIETTINA CHE SICURMENTE TI STARA
ASPETTANDO! LASCIAMI IN PACE
»
Ogni grido è come una pugnalata al cuore. Sento che la mia presa si fa via via
sempre meno serrata. Lei continua a piangere. Ad urlare.
Cosa ti hanno fatto piccola mia?
«
Non sono sposato… non avrei potuto… in ogni caso…
»
mi esce detto, quasi a voler chiarire la cosa di meno importanza
La sento rilassarsi appena sotto di me. Le lacrime si aggiungono alle lacrime,
ma il tono con cui mi parla e più spento. Flebile.
«
E perché non avresti potuto?
»
mi chiede in un sussurro
E le parole mi escono dette tutte di un fiato.
«
Perché io non mi sono mai scordato di te… Mai… ti ho cercato ‘Mione, davvero.
Con tutto me stesso. In tutti questi anni mi sono detto che eri ancora viva,
che mi stavi aspettando... ma poi la speranza si è affievolita. Sei diventata
un ricordo… »
adesso le lacrime iniziano a solcare anche il mio viso, deturpandolo ma
rendendolo comunque sereno «
… un ricordo bellissimo che iniziava a sfuggirmi dalle mani. Ma adesso sei
qui. Sei viva. Non importa cosa, dove, come… sei viva… mi basta questo.
»
E come se fosse la cosa più semplice di questo mondo, la attraggo a me con
tutta la forza. La abbraccio. Le bacio tutto il collo e tutto il viso.
E lei piange. E ride.
Sento il nodo che stringeva il mio petto sciogliersi come neve al sole.
Restiamo così, distrutti e sfiniti da tanto dolore, abbracciati l’uno
all’altro, su quel freddo pavimento d’infermeria. Non so quanto tempo stiamo
così, uniti dalle nostre speranze e dalle nostre debolezze, in lacrime e con
il cuore che pompa a mille.
Ma so che in questo momento non importa veramente niente.
Un pezzo di me stesso, il più importante, è ritornato al suo possessore.
Adesso non resta che guardare avanti, con ottimismo se possibile.
Ti sento staccarti brevemente da me. Mi guardi negli occhi, pieni di gioia e
di pianto.
Mi sorridi e io mi ricordo quanto bello fosse stato il tuo sorriso.
«
Cosa siamo adesso? »
mi chiedi con voce piccola, inaspettatamente…
Ti guardo. E non posso che sorridere a mia volta.
Potrei dire molto. Che sei la mia sola ragione di vita, che non posso vivere
senza di te… potrei dire che tu sei la mia metà mancante. Ma sarebbe fuori
luogo…
E così, allo scoccare di un mezzogiorno strano ma comunque intenso, dalle mie
labbra nasce la cosa più spontanea da dire:
«
Siamo ancora noi… non scordartelo mai…
».
Mi auguro che questo
capitolo sia stato gradito, anche se come al solito
non è nulla di che…
Ringrazio tutti
quello che hanno commentato in precedenza e quelli che commenteranno e
leggeranno ora. Un grazie speciale va a tutte le
persone che mi hanno sollecitato ad andare avanti, richiedendo espressamente
questo capitolo.
Vi adoro!
Lascio lo scettro a
te, Sere! Cerca di fare un buon lavoro!
Nightmare
Iniziative: è
stato aperto da un po’ di tempo un carinissimo forum di Harry Potter. Abbiamo
un gioco di ruolo, lo smistamento, e ogni settimana chi troverà la soluzione
all'indovinello che l'Amministratore propone vincerà avatars, gift e
animazioni riguardanti chiaramente Hp! Abbiamo bisogno di nuovi iscritti per
salire nella Top 100! Quindi,
perché non ci fate un salto? Ci farebbe davvero molto piacere.
Harry Potter Forum
È stato aperto
da pochi mesi anche un altro forum! Non che io condivida
i principi morali di questo sito, ma visto che è stato creato da 3 delle mie
più care amiche, mi sembrava giusto segnalarlo!
Solo per chi
odia, disprezza, ritiene indegna di ruolo di
attrice… Emma Watson!
Anti-Emma Forum
Per coloro che
volessero contattarmi, per parlare del forum o di
qualsiasi altra cosa, accludo il mio indirizzo e-mail e il mio indirizzo MSN:
godhands89@yahoo.it
nightmare899@hotmail.it
Harry
Potter e la Stella di luce
Il
richiamo del mare
Sono
diverso…
L’attimo
prima
del volo…
Behind
Blue Eyes
Lettera
dall’inferno
Siamo
ancora noi ( al nick Hermione Weasley e Nightmare)
E
quindi mi trovo qui, a pubblicizzare i miei lavori! Per coloro che non
avessero ancora letto queste storie, e per coloro che
vogliono leggere qualcos’altro scritto da me, eccovi sopra indicati i
titoli delle mie fanfiction.
Per maggiori comodità
andate sul mio account, se volete leggerle!
E ricordate una
recensione, è sempre gradita… ^_^
Vedete quella scritta blu? Quella in basso? Bene, cliccate e recensite!
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