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Autore: Hermione Weasley e Nightmare    21/08/2005    9 recensioni
"E anche se tutto andava male, anche se non vedeva più la luce da tanto tempo… lei avrebbe continuato a vivere. Non avevano importanza quelle mani profane sul suo corpo. Non avevano importanza le sue lacrime quando entravano selvaggiamente in lei. Non avevano importanza le parole di quell’uomo che con quelle frasi voleva piegarla al suo volere. No, non si sarebbe piegata."
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ron Weasley | Coppie: Ron/Hermione
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Dedico questo capitolo a Maria che nonostante tutto mi vuole ancora bene.

 

Eccomi!

Dopo mesi e mesi di silenzio, il mio cervellino bacato ha deciso di continuare quello che non era stato ancora proseguito. Molti mi hanno chiesto con ansia questo capitolo, sia con le recensioni (graditissime) che con le varie mail che ho avuto il piacere di ricevere (molto gradite anche quelle). E allora mi sono detto: come posso non accontentarli?

Non posso!

E allora la mia mente malata a partorito questo capitolo. Un capitolo intenso, profondo (giudizio non mio, ovviamente… non sono così patetico) e che ha una certa dose di sentimentalismo straziante, avvolgente… avvincente in fin dei conti.

Spero che possa piacervi…

Ron si trova di nuovo a contatto con la sua “piccola”, vedremo cosa riuscirà a fare.

 

Non mi resta che augurarvi…

 

Buona lettura.

 

Avvertenza:  questa ff non è giunta al suo termine. Mancano ancora vari capitoli e credo che non finirà così presto come qualcuno può aver frainteso. Temo, piuttosto, che dobbiate sopportarci ancora un po’! Spero che la cosa possa farvi piacere!

Nightmare

 

SIAMO ANCORA NOI

Piccola mia…

E anche se il tempo e le distanze ci hanno diviso, io non mi scorderò mai di te, piccola mia. […]

 

9° Capitolo

Piccola mia…

 

*** *** ***

Are you gone and into someone new?
I needed somewhere to hang my head
Without your noose
You gave me something that I didn't have
But had no use
I was too weak to give in
Too strong to lose
My heart is under arrest again
But I break loose
My head is giving me life or death
But I can't choose
I swear I'll never give in
I refuse

 

Sei andata alla ricerca di qualcosa di nuovo?

Avevo bisogno di un posto

Dove appendere la mia testa

Senza il tuo laccio

Mi hai dato qualcosa che non avevo

Ma non aveva utilità

Era troppo debole per reggere

Troppo forte per perdere

Il mio cuore si è arrestato di nuovo

Ma sto rompendo la libertà

La mia testa mi sta dando vita o morte

Giuro che non mi arrenderò mai

Mi rifiuto

 

(Best of you – Foo Fighters)

 

*** *** ***

20 Febbraio. Mattino. Ore 10.56

Infermeria.

“Sei viva…”

 

Lacrime. Lacrime amare che scendono su un profilo ben disegnato. Piccoli frammenti di un’anima che non conosce pace, che non chiede altro che riposo. Una voce insistente dentro la testa, insopportabilmente veritiera, che conduce al tormento e al ricordo.

 

Lo specchio di una situazione che non si sarebbe dovuta creare. Un incubo. Puro. Dai tratti sospesi e innocenti, come il cadere di una foglia d’inverno. Voci che si susseguono e parole che non vengono dette.

 

Confusione. Per quello che è accaduto e per tutto quello che succederà.

Rabbia. Per il sentire lento di una sensazione fastidiosa, l’acuirsi di un sentimento leggero e pericoloso: la sensazione terribile di sentirsi sporca.

 

Hermione… Sei viva… Tre parole che, per il gusto di rivalsa d’ogni soggetto umano, l’hanno lentamente portata sul cammino della ragione. Ha rivisto la luce. Luce. Nei suoi occhi chiari, azzurri quanto un cielo e riflessi di stupore misto ad incredulità. Li ha visti e non ha retto.

 

E’ viva. Sì lo è… ma è come se non lo fosse. Ha un qualcosa dentro che non le permette di respirare. Una biglia incastrata nell’esofago che non si muove né in una direzione né in un’altra; un magone che le attanaglia il petto e che la schiaccia, fastidiosamente.

 

Si guarda intorno e anche se ogni cosa sembra normale, in quello stanzino che potrebbe tranquillamente essere confuso per un’infermeria, lei non vede altro che ripudio o sporcizia attorno alla sua persona copiosamente in lacrime. È sporca. Abietta. Arcadicamente e socialmente insulsa. Uno straccio nero e consunto, troppe volte usato per puro divertimento e adesso incapace di ritrovare brillantezza. Lei è sporca. Lo ha sentito, per la prima volta così chiaramente, in quel momento. Quando ha capito che la persona che avrebbe dovuto uccidere era anche la sola che aveva mai aspettato e amato; quando aveva visto quella catenella oscillare brevemente davanti a lei, richiamandola nel mondo dei vivi; quando si era specchiata in quel torrente d’emozioni che poi erano i suoi occhi… ancora… per una volta ancora.

 

E lì – sì, proprio in quell’attimo, aveva capito… avrebbe preferito morire che essere vista in quello stato. Avrebbe dato qualsiasi cosa, adesso, per ritrovarsi in quella cella angusta e fredda, in attesa del suo torturatore del giorno.

 

Ma non c’era più tempo. Non ora.

 

E allora che fare? Piangere. Piangere. Piangere fino allo sfinimento dei sensi, fino alla perdita della ragione. Versare lacrime fino a quando quel nodo stretto alla gola non si fosse allentato.

 

Vedere i suoi occhi adesso potrebbe essere l’ultima cosa che potrebbe sopportare.

 

Per ora, non le resta che piangere.

 

Di nuovo.

 

20 Febbraio. Mattino. Ore 11.12

Quartier generale. Settore ricovero e infermeria.

 

Passi.

Passi che risuonano in un corridoio buio e oscuro. Passi pesanti, ben calcati sul marmo chiaro, impressi in un momento di grande foga ed eccessiva impulsività. L’uomo che si fa avanti alla luce di un sole sbiadito, filtrato appena da un’ampia finestra rettangolare, ha sul volto un’espressione che rasenta l’incredulità. I suoi capelli, rossi come il fuoco che gli arde dentro, oscillano in maniera vistosa nell’incedere della sua andatura irregolare. I suoi occhi blu, dietro le lenti d’occhiali spessi, sono vividi… quasi maniacali. Attenti ad ogni piccolo particolare.

 

L’uomo è inquieto. Sente una sensazione opprimente schiacciargli il petto. Le viscere si contorcono dentro di lui. Il suo respiro è affannato, e un sudore perlaceo contorna il suo corpo.

 

Semplicemente Ronald Weasley, colui che è sempre stato capace – o quasi – di affrontare ogni situazione inesplicabile e pericolosa, non è pronto a fronteggiare quello che gli si prospetta davanti. Diciamolo pure con tranquillità… Ronald Weasley ha paura.

 

Ma non è un sentimento ingiustificato, badate bene… è solo la reazione di un uomo che aveva perso tutto, ogni scopo della vita, e che prontamente è stato sbalzato in qualcosa che definire più grande di lui risulterebbe persino riduttivo. Semplicemente non riesce a crederci.

 

Anni.

Anni passati cercando e non trovando. Anni passati a vedere la speranza che si affievoliva sempre di più e che ogni cosa non potesse essere d’aiuto. Quanto tempo, in quelle fredde e spietate notti, aveva concentrato le sue energie nella sua direzione… ma non era servito a nulla. Solo mesi trascorsi in una leggera e nostalgica apatia, convincendosi progressivamente alla resa finale…

 

Hermione… sei viva…

 

Le sue parole gli sembrano ancora prive d’alcun senso, d’alcun rigor di logica. Sembrano soltanto le ansiose speranze, ritrovate chissà dove, di un sogno troppo bello per essere anche solo minimente preso in considerazione. Come può essere ancora viva dopo tutto questo tempo?

 

Viva. Sì…

I suoi occhi, che nei suoi incubi lo angosciavano, che la notte lo torturavano, lo avevano guardato ancora una volta, una volta ancora… e cosa aveva visto dietro di essi, lui che nient’altro avrebbe voluto guardare?

 

Paura. Rimorso. Tristezza.

 

E anche tanta, tanta sofferenza… aveva scontrato nei suoi occhi color del cielo, i suoi, e lo aveva implorato con lo sguardo.

 

Salvami…

 

Sì, era questo quel che era riuscito a vedere. Aveva visto, quando lei non avrebbe voluto, e aveva scorto in quell’anima distrutta da chissà quali mostri, la sua richiesta d’aiuto. Disperata, oltre ogni dire. Oltre ogni modo.

 

E lui se l’era trovata tra le braccia. Svenuta. Come un angelo straziato, privo delle ali per spiccare il volo e imprigionato da fiamme alte e aggressive, riposto tra le sue braccia che a stento riuscivano a sostenerlo. Era riuscito a rivederla, quando con tutto il cuore sapeva che non sarebbe mai successo, e adesso… non sapeva cosa fare.

 

Le persone cambiano.

 

I rapporti finiscono.

 

E se lei non avesse più voluto saperne di lui? Cosa era diventata? Cosa le avevano fatto?

 

Salvami…

 

Cosa poteva spingere una persona come lei a diventare quello che era?

Un’assassina. Terribile. Crudele. Una persona che negli ultimi mesi aveva spezzato qualcosa come trenta vite – insulsi e sporchi contrabbandieri, d’accordo – ma pur sempre trenta anime che erano volate in cielo.

 

Cosa ti hanno fatto piccola mia?

 

E ancora… una sensazione che opprime i suoi sensi. Il lieve sentore di trovarsi sporco. Inadeguato. Avrebbe dovuto salvarla da tutto questo, rendere i suoi giorni difficili degni di uno scopo, e renderla felice, anche solo per poco. E invece cosa aveva fatto?

 

Aveva mollato. Si era arreso anche per lei. Aveva smesso di pensarla, di cercarla…. Aveva iniziato a dimenticarla.

 

E lei era viva.

In sua attesa…

 

Passi…

Passi pesanti e afflitti che calcano il pavimento. Deve vederla. Deve spiegare.

 

Non sarà facile.

 

Ma ci riuscirà.

20 Febbraio. Mattino. Ore 11.13.

Infermeria. Piano inferiore.

 

Non ce la faccio più.

La testa mi sta scoppiando. Sento indistintamente dei rumori provenire da fuori, ma tutto quanto mi sembra ovattato, inesplicabilmente ridotto, di fronte alle fitte che a poco a poco mi stanno perforando il cervello.

 

L’aria è abbastanza fresca e la stanza, contrariamente a quello che ci si potrebbe aspettare, è parecchio illuminata. Ma nonostante questo, come se fosse possibile il contrario, sento il corpo irrigidirsi ogni secondo di più. I nervi sono tesi e il respiro lievemente irregolare.

 

Dove mi trovo? chiedo flebilmente più a me stessa che ad un qualcosa d’immaginario. Sono stata adagiata su un letto morbido, dalle candide lenzuola di lino, e i vari macchinari che monitorano il mio stato, farebbero presagire ad una piccola quanto atipica sala d’infermeria. Il soffitto è alto e spazioso. Un neon arrugginito espande il calore della luce tutt’intorno e un piccolo ragno poco sviluppato cammina sopra di esso tessendo le sue esili tele.

 

Comincio a sentirmi male. Una grande e incontrollabile voglia di vomitare mi sale fino allo stomaco, ma in qualche maniera – o meglio, in qualche modo – sembra voler restare tutto sospeso dentro di me. Asciugo, con fare frettoloso e per nulla aggraziato, i miei occhi con un lembo sgualcito della mia maglia. Li vedo riflessi chiaramente nel piccolo specchio posto davanti a me… sono stanchi e arrossati. Il frutto di troppo stress, troppe emozioni, e troppe notti insonni…

 

Scuoto debolmente la testa. Mi rendo conto che è una mossa sbagliata perché subito piccoli cristalli di luce iniziano a baluginare davanti alla mia faccia, congiungendosi a fitte di dolore di media intensità. Sono a pezzi…

 

Vorrei solo poter fuggire… o morire, se proprio lo desiderano le conseguenze. Ma sono talmente stanca, sfinita – con le forze che sembrano essermi state prosciugate per magia – che non riuscirei a fare né una cosa né l’altra.

 

Morire a questo punto diventa molto faticoso, oltre che fastidioso. O meglio, anche solo muovere un braccio per fare qualsiasi cosa mi sembra, al momento, molto proibitivo. Quindi non mi resta che restare qui, in attesa… con il nodo e il groppo alla gola che non si vogliono decidere di liberarmi, con il cauto presentimento che qualcosa debba andare storto… come se la situazione potesse ancora peggiorare.

 

Cerco di non pensare a quello che succederà… ma le immagini delle ultime ore mi passano davanti agli occhi come flash indistinti, foto ricordo macabre e insensate, non lasciandomi alcuna possibilità d’uscita. Mi vedo nell’atto di uccidere uomini, ridere con fare noncurante sui loro corpi straziati dalla mia furia; vedo quello che sono diventata con il tempo, per una legge ingiusta che non esiste; vedo lui e tutto quello che potrebbe pensare adesso di me…

 

Non ce la faccio più.

 

Sarebbe più giusto se non dovessi mai più rivederlo. Essere sbattuta ad Azkaban, prigioniera di me stessa e dei dissennatori, finendo i miei giorni rivedendo l’orrore nel suo viso e l’incredulità nei suoi specchi di verità. Sarebbe più giusto… ma non è propriamente, e sicuramente, la strada che quegli aguzzini che stanno la fuori decideranno di prendere. O meglio, non subito…

 

Prima, forse, m’interrogheranno. Mi prenderanno informazioni con la tortura e mi lasceranno a marcire in una cella maleodorante. E poi, quando non gli sarò più d’alcun aiuto, mi uccideranno… come io avrei fatto con loro. E tutto sarà finito.

 

Per sempre.

 

Ma una vocina interna, fastidiosa oltre ogni dire, si fa campo – a poco a poco – dentro la mia mente lucida d’efferata assassina.

 

Lui non lo permetterà…

 

E sentendola mi viene quasi da ridire. Nessuno lo obbliga ad occuparsi di me. Forse ha già lasciato il caso a qualcun altro, ritenendolo una seccatura insulsa, non degna della sua attenzione. Forse non si preoccuperà neppure di sapere se verrò uccisa o meno, e sicuramente non assisterà al mio funerale, tra le macerie di una prigione immaginaria.

 

Lui non lo permetterà.

Che idea insensata. Non pensavo che la mia testa potesse partorire qualcosa di così incredibilmente folle. Lui ha visto quello che sono diventata. Lui ha scorto, dietro i miei vestiti di pluri-omicida, tutto lo sporco che sì è annidato dentro di me. Non baratterà la sua integrità morale per un rifiuto della società.

 

Non lo farà…

 

Ma non sapeva… di quanto si stava sbagliando.

 

20 Febbraio. Mattino inoltrato. 11.34

Settore ricovero e infermeria. Piano attiguo.

 

Devo sbrigarmi.

 

Sento il cuore pompare a mille sotto lo scomodo tessuto di raso della camicia. Non sono in queste condizioni perché sto correndo, o semplicemente non mi sto sforzando a livello fisico in modo così clamoroso. Sento solo che il sangue viaggia a velocità raddoppiata – se è in qualche modo possibile – nelle mie vene e ogni sforzo, perché di sforzo si tratta, che faccio per tentare di calmarmi, al momento, risulta soltanto come qualcosa di terribilmente vano e fuori luogo. Sono decisamente sotto pressione.

 

Fuggevolmente mi passa davanti l’immagine di me stesso, svenuto a causa di problemi cardiaci, e con la faccia rivolta a terra, grondante di bava e sudore. Vedo accorrere medici che fanno referti inspiegabili, decantando ai mille venti la mia morte, mentre con giusto spirito d’iniziativa vedo la mia figura tastarsi amorevolmente le parti basse, in segno di scongiuro. Sento nell’aria il peso di qualcosa. Il peso che si aggrava, passo dopo passo, sul mio corpo scolpito ma non per quest’evenienza. Il peso del senso di colpa.

 

Insopportabilmente reale.

 

Mi fermo un attimo e appoggio una mano sul freddo muro alla mia destra. Valuto le mie possibilità e calcolo le varie conseguenze. A dire il vero non sono mai stato bravo in questo. Io sono sempre stato un impulsivo. Conoscevo una sola persona che riusciva a farlo con grande maestria e quella persona è a pochi metri da me, dopo tanto tempo. Cerco di regolarizzare il battito ma mi rendo conto che un’impresa disperata.

 

Mi asciugo il sudore della faccia con una mano e volgo la mia direzione in avanti, cercando di ragionare. Davanti a me, come nei più cupi film babbani dell’orrore, un corridoio lunghissimo e sinistro. Perché cavolo l’hanno costruita così questa base? si chiede il mio ego moralmente in disaccordo.

 

Una lunga passeggiata per giungere alla fine. M’incammino con quella che definirei noncuranza forzata, ma sicuro di fare la cosa migliore per il mio stato mentale.

 

In fondo… una porta.

Scura.

Nera.

Simbolo onirico del mio animo travagliato.

Una maniglia. Grigia. Spessa. Motivo di confusione nel cervello. Perdita progressiva della ragione. Un filo che ti lega ad un mondo alla tua antitesi.

 

Mi avvicino con circospezione a quel luogo di sacralità mistica; il confine visibile, tangibile, di un mondo ben demarcato ma comunque in conflitto con l’esterno.

 

La sicurezza che scivola dalle mie mani.

 

Al di là di quella porta tutto potrebbe accadere. Qualsiasi cosa. E propriamente non è una sensazione molto rassicurante.

 

Appoggio l’orecchio sulla fredda e liscia porta di metallo. Non un suono viene da dentro. Non un grido. Non un alito di vento. Niente.

 

Le mani sudano ad un ritmo incontrollabile.

 

   « Cazzo »

Impreco sottovoce, non potendo fare altro…

Davanti le immagini di noi due, a Hogwarts. Un passato felice… lontano. Il suo volto che mi esplode nitido nella mente.

 

Mi faccio coraggio. Il momento è giunto.

 

Apro leggermente l’ultimo ostacolo che mi separa da lei. Il cuore pulsa dentro di me. La vista si snebbia.

 

Guardo dentro quella stanza luminosa e vengo accecato parzialmente dalla luce che è racchiusa dentro di essa.

 

Il letto è vuoto. Disfatto dal suo occupante in un passato vicinissimo e la brocca d’acqua, posta leggermente sul comodino alla sinistra, è ancora piena fino alla metà. Il mio sguardo percorre frenetico tutta la stanza e poi… si ferma.

 

Lei è lì. Appoggiata con le braccia al balcone della finestra attigua. Il viso rivolto chissà dove, i capelli boccolosi che svolazzano tristemente con il carezzare del vento. Non sì è accorta di me. Lo posso percepire dai suoi nervi distesi e dal suo sguardo, che non vedo, ma che immagino perso nel vuoto.

 

    « Hermione… »

 

Si volta precipitosamente verso di me e i suoi pozzi d’acqua contaminata si specchiano di nuovo, per una volta ancora, nei miei. Il suo corpo è un tremito sommesso e straziante, i suoi nervi s’incrinano… il suo volto è prossimo alle lacrime.

 

Un lampo. Un lampo d’odio e ribrezzo solca le sue gote arrossate. Mi da nuovamente le spalle e con voce flebile, quasi in preghiera, mi dice:

 

   « Vattene via  »

 

Incasso un colpo che non avrei voluto incassare. Mi faccio più vicino e la posso sentire chiaramente singhiozzare tra le mani.

 

Cosa ti hanno fatto piccola mia?

 

La raggiungo sul piccolo balconcino. È molto piccolo e stretto. Ci entriamo con difficoltà a mala pena in due… Lei non si volta verso di me. La sento piangere dietro alle mani con rabbiosa e determinata disperazione. Mi fa male vederla così.

 

Cerco di trovare un contatto. Anche misero.

 

Pongo la mano in avanti, intenzionato ad accarezzarle i capelli come facevo una volta.

 

La reazione è qualcosa d’incredibile e inaspettato. Come una furia piomba su di me e mi scaraventa a terra. Sotto indistintamente qualcosa andare in frantumi, ma non mi cura di cosa possa essere. Lei è sopra di me, le lacrime che le sgorgano piene dalla faccia, che continua a darmi pugni rabbiosi, senza controllo…

 

   « NON TOCCARMI! » grida con tutto il fiato che ha in corpo.

 

Le blocco le mani con le mie, ben più forti e sviluppate, e inverto la posizione, schiacciandola sotto di me. La vedo, una tigre incattivita a chiunque che cerca di divincolarsi, e il nodo al petto si allenta un po’

 

Salvami…

 

   « Sfogati su di me se vuoi… ne hai tutto il diritto… » riesco a dire con la maggior dolcezza possibile.

 

Lei è un fiume in piena che va fatto sfogare. Calmare. Quietare.

 

   « DOV’ERI TU QUANDO AVEVO BISOGNO DI TE? DOV’ERI? E’ STATO FACILE SCORDARSI DI ME, VERO? LURIDO FIGLIO DI PUTTANA! »

 

Un mare d’imprecazioni che si scagliano su di me come mille colpi al volto. Vacillo ma non mollo la presa. Devo aiutarla. A qualunque costo…

 

   « COSA CAZZO VUOI DA ME? TORNATENE DALLA TUA MOGLIETTINA CHE SICURMENTE TI STARA ASPETTANDO! LASCIAMI IN PACE »

 

Ogni grido è come una pugnalata al cuore. Sento che la mia presa si fa via via sempre meno serrata. Lei continua a piangere. Ad urlare.

 

Cosa ti hanno fatto piccola mia?

 

   « Non sono sposato… non avrei potuto… in ogni caso… » mi esce detto, quasi a voler chiarire la cosa di meno importanza

 

La sento rilassarsi appena sotto di me. Le lacrime si aggiungono alle lacrime, ma il tono con cui mi parla e più spento. Flebile.

 

   « E perché non  avresti potuto? » mi chiede in un sussurro

 

E le parole mi escono dette tutte di un fiato.

 

   « Perché io non mi sono mai scordato di te… Mai… ti ho cercato ‘Mione, davvero. Con tutto me stesso. In tutti questi anni mi sono detto che eri ancora viva, che mi stavi aspettando... ma poi la speranza si è affievolita. Sei diventata un ricordo… » adesso le lacrime iniziano a solcare anche il mio viso, deturpandolo ma rendendolo comunque sereno   « … un ricordo bellissimo che iniziava a sfuggirmi dalle mani. Ma adesso sei qui. Sei viva. Non importa cosa, dove, come… sei viva… mi basta questo. »

 

E come se fosse la cosa più semplice di questo mondo, la attraggo a me con tutta la forza. La abbraccio. Le bacio tutto il collo e tutto il viso.

 

E lei piange. E ride.

 

Sento il nodo che stringeva il mio petto sciogliersi come neve al sole.

 

Restiamo così, distrutti e sfiniti da tanto dolore, abbracciati l’uno all’altro, su quel freddo pavimento d’infermeria. Non so quanto tempo stiamo così, uniti dalle nostre speranze e dalle nostre debolezze, in lacrime e con il cuore che pompa a mille.

 

Ma so che in questo momento non importa veramente niente.

 

Un pezzo di me stesso, il più importante, è ritornato al suo possessore. Adesso non resta che guardare avanti, con ottimismo se possibile.

 

Ti sento staccarti brevemente da me. Mi guardi negli occhi, pieni di gioia e di pianto.

 

Mi sorridi e io mi ricordo quanto bello fosse stato il tuo sorriso.

 

   « Cosa siamo adesso? » mi chiedi con voce piccola, inaspettatamente…

 

Ti guardo. E non posso che sorridere a mia volta.

 

Potrei dire molto. Che sei la mia sola ragione di vita, che non posso vivere senza di te… potrei dire che tu sei la mia metà mancante. Ma sarebbe fuori luogo…

 

E così, allo scoccare di un mezzogiorno strano ma comunque intenso, dalle mie labbra nasce la cosa più spontanea da dire:

 

   « Siamo ancora noi… non scordartelo mai… ».

 

Mi auguro che questo capitolo sia stato gradito, anche se come al solito non è nulla di che…

Ringrazio tutti quello che hanno commentato in precedenza e quelli che commenteranno e leggeranno ora. Un grazie speciale va a tutte le persone che mi hanno sollecitato ad andare avanti, richiedendo espressamente questo capitolo.

 

Vi adoro!

 

Lascio lo scettro a te, Sere! Cerca di fare un buon lavoro!

 

Nightmare

 

Iniziative: è stato aperto da un po’ di tempo un carinissimo forum di Harry Potter. Abbiamo un gioco di ruolo, lo smistamento, e ogni settimana chi troverà la soluzione all'indovinello che l'Amministratore propone vincerà avatars, gift e animazioni riguardanti chiaramente Hp! Abbiamo bisogno di nuovi iscritti per salire nella Top 100! Quindi, perché non ci fate un salto? Ci farebbe davvero molto piacere.

 

Harry Potter Forum

 

È stato aperto da pochi mesi anche un altro forum! Non che io condivida i principi morali di questo sito, ma visto che è stato creato da 3 delle mie più care amiche, mi sembrava giusto segnalarlo!

Solo per chi odia, disprezza, ritiene indegna di ruolo di attrice… Emma Watson!

 

Anti-Emma Forum

 

Per coloro che volessero contattarmi, per parlare del forum o di qualsiasi altra cosa, accludo il mio indirizzo e-mail e il mio indirizzo MSN:

 

godhands89@yahoo.it

nightmare899@hotmail.it

 

 

Harry Potter e la Stella di luce

Il richiamo del mare

Sono diverso…

L’attimo prima del volo…

Behind Blue Eyes

Lettera dall’inferno

Siamo ancora noi ( al nick Hermione Weasley e Nightmare)

 

E quindi mi trovo qui, a pubblicizzare i miei lavori! Per coloro che non avessero ancora letto queste storie, e per coloro che vogliono leggere qualcos’altro scritto da me, eccovi sopra indicati i titoli delle mie fanfiction.

Per maggiori comodità andate sul mio account, se volete leggerle!

 

E ricordate una recensione, è sempre gradita… ^_^

 

Vedete quella scritta blu? Quella in basso? Bene, cliccate e recensite!

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