Come sei veramente
Restless heart syndrome
4 – Epilogo (See the light)
Come
previsto, venni dimesso alle sei di pomeriggio di un assolato
mercoledì di fine giugno, dopo quarantadue giorni di ospedale. Ormai
mi ero ristabilito, e soffrivo solo di
emicranie una volta o due alla settimana, occasionalmente accompagnate
disturbi visivi e formicolii al braccio sinistro; il dottor
Kowalski però mi aveva assicurato che, col tempo, la frequenza
degli
attacchi si sarebbe diradata ulteriormente. La cicatrice sulla nuca era
invisibile, nascosta dai capelli, le costole quasi a posto, e anche le
tumefazioni e le escoriazioni sul viso erano in via di guarigione:
quello che mi aveva detto C.J. sembrava essere la
verità, con tempo e pazienza - una qualità che purtroppo
mi manca - la mia faccia sarebbe tornata quella di
prima. Avevo perso
qualche chilo, e i jeans mi stavano un
pò troppo larghi: ma mentre mi stringevo in vita la
cintura, Ennis mi assicurò che ero lo stesso un
gran bel pezzo di maschio.
"Ennis!"
esclamai, sorpreso, infilandomi la t-shirt nei jeans: Ennis non faceva
mai battute di quel tipo fuori dal ranch. "Se ti sente qualcuno..."
"Siamo solo noi due, in questa stanza", ribatté lui, con un sorriso furbo.
"Anzi..."
mi prese la faccia fra le mani e mi stampò un bacio sulle
labbra.
"Ehi, ma che ti prende?" domandai, allibito.
"Sono felice che tu torni a casa", rispose lui.
"Sarà."
Ennis continuò a comportarsi in modo strano: ormai lo conoscevo troppo bene e mi accorgevo subito se c'era qualcosa
che non andava. Era come in attesa di dire o fare qualcosa
che temeva: provai a domandargli cos'avesse, e la risposta fu la
solita, era contento che io tornassi a casa, così decisi di
smettere di tormentarlo, ben sapendo che, presto o tardi, mi avrebbe
confessato il motivo del suo disagio.
Credetti di avere capito cosa lo teneva sulle spine quando, appena
arrivati a casa, venni accolto da C.J., Tommy, Don e tutti gli operai,
nonché gli Hamilton al completo, che sotto il portico di fronte
mi avevano organizzato un piccolo party di bentornato con birra e
spumante californiano a fiumi.
Invece, le sorprese non erano ancora terminate, poiché Ennis,
una volta in camera, mi ordinò di fare la valigia: il giorno
dopo avremmo lasciato C.J. dagli zii e saremmo partiti per un week-end,
noi due soli.
"Ennis, ma..." obiettai, sbalordito. L'idea di una vacanza da solo con
Ennis mi allettava parecchio, dopo i lunghi giorni trascorsi in
ospedale, ma mi sembrava incredibile che fosse proprio lui a propormelo.
"Da quando hai smesso di fare rodei, non ci siamo mai presi una pausa
dal lavoro", spiegò Ennis. "Credo che ce lo meritiamo, no?"
"Credo proprio di sì", convenni. "Ma dove avresti intenzione di andare?"
"Indovina."
Non riuscii a indovinare: non avrei mai potuto immaginare che Ennis
aveva deciso di tornare proprio sulla Brokeback, nel luogo dove ci
eravamo conosciuti e innamorati.
E invece, fu proprio là che tornammo, e mi accorsi con stupore
che niente era cambiato da allora: c'erano anche due greggi di
pecore che pascolavano, accompagnati entrambi da un paio di
giovanissimi cowboys - non fosse stato troppo vecchio, avremmo
potuto trovarci davanti persino Joe Aguirre. Piantammo la nostra
canadese
poco distante dal luogo in cui, ventuno anni prima, avevamo organizzato
il campo base, e trascorremmo i nostri quattro giorni di vacanza
facendo lunghe cavalcate per la
montagna, nuotando nel fiume e prendendo il sole; una volta
provammo anche a pescare, sebbene con scarsi risultati. Come ho
già detto, la pazienza non è una delle mie migliori
qualità, e dopo tre quarti d'ora mi stufai di stare ad aspettare
invano che qualcosa abboccasse e domandai ad Ennis, seduto accanto a
me: "Senti, non è che ti andrebbe di fare qualcosa di più
interessante?"
"Tipo?" fece Ennis.
Io abbandonai la canna da pesca, gli tolsi la sua dalle mani e la posai
vicino alla mia, poi mi sedetti a cavalcioni sul suo grembo, iniziando
a sbottonargli la camicia e baciandolo sul collo, dove so che lo
fa impazzire.
"Accidenti", disse Ennis, armeggiando con la fibbia della mia
cintura. "Per essere un convalescente, mi sembri piuttosto in
forma."
"Sono un cowboy da rodeo", dissi, sornione, passando a baciarlo sul viso.
"Fammi vedere quello che sai fare, allora..."
Fu bello; non trovo altro aggettivo per descriverlo. Era
un pò come il viaggio di nozze che non avevamo mai fatto, a
coronamento del matrimonio che non avevamo mai potuto celebrare. Eravamo
solo noi due, proprio come tanti anni prima, ma senza l'incubo delle
pecore da sorvegliare, senza l'incubo che tutto sarebbe finito quando
fossimo scesi. Non era più solo un affare fra di noi, che
sarebbe iniziato e finito su quella montagna: eravamo rimasti insieme
e, contro ogni aspettativa, anche nostra, eravamo riusciti a costruire
una casa, una famiglia, una vita, che per quanto dura, non avrei
scambiato con quella di nessun altro.
La notte del sabato, l'ultima che avremmo trascorso lì, dopo
cena, ci sedemmo davanti al fuoco, in silenzio. Il cielo era color
indaco, terso e senza nubi, e le stelle brillavano più che
mai.
"Jack, io..." esordì Ennis, a un tratto. "Devo dirti una cosa."
"Spara", feci.
"Sì, però", Ennis esitava, lo sguardo basso. "Promettimi
che mi ascolterai senza interrompermi. Non è facile, per me."
Quella strana richiesta mi stava inquietando, tuttavia risposi: "Okay."
"Io... devo chiederti scusa."
Aggrottai le sopracciglia: cosa c'era che non andava, adesso, dopo quei tre giorni assolutamente fantastici?
"In tutti questi anni", seguitò Ennis, "Non ho fatto altro che tirarmi delle paranoie, e
romperti l'anima con tutte le mie fissazioni."
Non mi sarei mai aspettato un discorso del
genere da lui, ed ero del tutto
impreparato. "Ennis..." mi sfuggì.
"Avresti dovuto
mandarmi
a quel paese
un migliaio di volte", proseguì lui, "E invece sei rimasto con me, hai continuato
ad amarmi... e devi amarmi proprio tanto per riuscire a sopportarmi."
"Ehi, smettila", tentai di
tranquillizzarlo, alla malora la promessa di non parlare. "Già il
solo fatto che sei rimasto con me, e che sei ancora
qui dopo tutto quello che ci è successo in tutti questi anni,
per me
significa moltissimo. Lo so che per te non è stato facile, ma
lo hai fatto lo stesso."
"Ma non è abbastanza", fece lui. "Io... voglio che tu sia felice
davvero, Jack. D'ora in poi, voglio... vorrei riuscire a
dimostrarti che ti amo, e che farei di tutto per renderti felice." Infilò la mano nella
tasca del giubbotto e mi
cacciò una piccola scatola nera sotto gli occhi. "Questo è per te."
Presi la scatola. Una scatola tanto piccola poteva contenere solo
un anello... o magari due. Ma cancellai quel pensiero dalla mente, era
impossibile che Ennis fosse arrivato a tanto, anche se ero stato in fin
di vita, anche se mi aveva portato sulla Brokeback e mi stava facendo quello strano discorso.
"Aprilo, dai", Ennis sembrava un ragazzino imbranato. Adoro quando fa
così, mi fa troppa tenerezza. "Spero... spero che ti piacciano."
Io aprii la scatola. In risalto con l'interno di velluto nero, i due anelli, due fedi in
oro bianco battuto con uno zaffiro al centro di ciascuna, luccicavano al bagliore del fuoco, e il mio cuore
saltò un battito. Chiusi gli occhi
un secondo, quando li riaprii gli anelli erano ancora lì, nella
scatola, la scatola nella mia mano. Non era un sogno, era tutto reale.
Aprii la bocca, ma non riuscii a parlare. Sollevai lo sguardo verso Ennis.
"Dovrebbe essere della tua misura", disse Ennis, rosso in faccia, con un sorriso. "Se non lo è, si può adattare."
Io guardai gli anelli, guardai
Ennis, poi guardai di nuovo gli anelli. Proprio, non
riuscivo a spiccicare verbo.
"Che c'è, non ti piacciono?" domandò lui. "E' stata C.J. ad aiutarmi a sceglierli."
Mi coprii la bocca con una mano, rendendomi conto di avere gli occhi
lucidi. "Sono... sono bellissimi", balbettai. "Ennis, non dovevi... se
non ti sentivi, non avresti dovuto..."
"Non c'è bisogno di un anello per sentirsi legati alla persona che si ama", disse Ennis, sorridendo.
"L'ho detto a C.J. quando mi ha chiesto perché non portavamo le fedi", gli ricordai.
"E io concordo pienamente", disse lui. "Ma tu un anello lo desideravi."
"Sono uno stupido romantico e sognatore, lo sai."
"Mi piaci così, piccolo", disse Ennis, e mi arruffò i
capelli. "E scusami per non
avertelo comprato prima." esitò. "A dire la verità, devi
ringraziare C.J.. Era da un pò che ci stavo pensando, ma senza
di lei non avrei mai trovato il coraggio. Quella ragazzina...
nostra figlia... mi ha fatto capire tante cose. Soprattutto, che devo
iniziare ad avere il
coraggio delle mie scelte."
"Facile a dirsi", ribattei.
"Lo so. Però se ce la fai tu, e se ce la fa lei... io devo almeno provarci." Ennis sospirò. "E'
brutto rimpiangere qualcosa perché non hai avuto il coraggio di
provare a farla."
"Grazie, Ennis",
dissi semplicemente. "Ti voglio bene. Tanto."
"Io ti amo", rispose Ennis. Mi prese la mano sinistra, mi infilò l'anello
all'anulare. "Mi sembra che ti vada alla perfezione",
commentò. "C.J. ha deciso la misura, e ha proprio l'occhio clinico."
Mi guardai la mano
sinistra, con gli occhi ormai pieni di lacrime. "E'... bellissimo."
Ennis sorrise, mi batté una spalla: "Allora, mi infili l'anello anche tu, o devo fare da solo?"
Mi asciugai gli occhi, presi l'anello dalla mano di Ennis e
notai l'incisione all'interno. "Ennis e Jack", lessi. "Cinque
febbraio 1967." guardai Ennis, con un sorriso: "Come sei riuscito
a chiedere a qualcuno di incidere una roba del genere?"
"Questo fattelo raccontare da C.J.", rispose Ennis, più
imbarazzato che mai. "Mi ha accompagnato in gioielleria, a Edgerton... e lo
ammetto, è stata tutta da ridere. Se non ci fosse stata lei,
sarei uscito senza riuscire a comprare niente. Quei due poveri
gioiellieri ci
ricorderanno per tutta la vita."
"Lo immagino", ghignai. Conoscevo Ennis e le sue reazioni come le mie
tasche: aveva potuto decidere di comprare due anelli, ma sapevo
benissimo che, all'atto pratico di andare a comprarli e comunicare al
gioielliere i nomi e la data da incidere, avrebbe avuto non poche
difficoltà. "Allora..." presi la mano di Ennis e gli infilai l'anello
all'anulare. "Ti sta proprio
bene."
Lui si guardò la mano. "Già", convenne. "Credevo peggio."
Nota: eh bè... FINE. Quello che succede dopo l'ultima battuta di
Ennis, lo lascio immaginare a voi... mi scuso, ma le lemon non sono il
mio forte.
Credits: "Restless heart syndrome" e "See the light" sono
canzoni dei Green Day, entrambe tratte dall'ultimo album "21st
Century Breakdown". Come sono poco originale... ma sono affezionatissima
a questo cd, che considero la colonna sonora ideale per questo
racconto. A ogni capitolo ho addirittura associato una canzone: forse
sono malata, ma i Green Day mi piacciono troppo!
Disclaimer: I personaggi di Jack Twist, di Ennis del Mar e dei suoi
fratelli, di Cassie Cartwright e di Joe Aguirre, appartengono ad Annie Proulx.
Se qualcuno riconoscesse nella mia storia idee che ritiene di sua
proprietà, mi creda se gli dico che non l’ho fatto
apposta, e spero non si offenda.
Infine, preciso che questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
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