3. Kurohitsugi
I
Ciel
Pensare di provare
a toccare una luce per aggrapparvisi, pensò dopo anni il
Conte, sembrava piuttosto un modo per morire. Invece, quando Ciel aveva
visto la luce tagliente era stato certo che se l'avesse raggiunta
sarebbe sopravvissuto.
Non aveva
importanza che gli uomini che l'avevano rinchiuso lì
stessero morendo uno ad uno man mano che quella luce avanzava,
cacciando dal petto quelli che a Ciel sembravano nastri bianchi e
lucenti, pieni di immagini che non pensò neanche per un
istante di guardare. Dopo, quando quei nastri si riavvolgevano, essi
cadevano. Non come era caduto suo padre. La loro caduta somigliava al
sasso che precipitava nel lago, perché quando toccavano
terra era come se nell'aria si dipanassero cerchi concentrici di
energia, e quell'energia Ciel si ritrovò a berla avidamente,
e sapeva di odio. Che importa, si disse per la seconda volta quel
giorno. L'importante era che potesse sostenerlo per condurlo finalmente
alla fonte della luce tagliente.
Ma più
quegli uomini morivano, nutrendolo, più la luce diventava
fioca e i suoi contorni venivano smussati. Non aveva più
l'aspetto di una luce che gli avrebbe lacerato le mani. Allora, prima
che svanisse del tutto, spinse una mano fuori dalla gabbia, sentendo
una delle sbarre premere contro il petto che, esile, riusciva a
fuoriuscire anch'esso. Lì doveva esserci il cuore,
perché le sbarre cominciarono a pulsare, come se ormai la
gabbia fosse parte di se stesso. Come se stesse mettendo radici. Non
poteva permetterlo, perché doveva uscirne per vivere. Spinse
di più, tendendo al massimo anche le dita della mano, e
quando pensò di starsi avvicinando davvero, si accorse che
era la luce a venire più vicina. E lì, tra il
biancore ormai grigio, distinse una figura alta, scura, avvolta da un
suono che da quel momento in poi non l'avrebbe più lasciato.
Una risata.
Uscire dalla gabbia, a quel
punto, era stato un po' come morire per nascere ancora una volta. Il
suo corpo gli era come estraneo e sentiva di non essere più
la stessa persona. Ma questo non lo pensò, si
limitò a sognarlo quando quella figura alta e scura lo prese
tra le braccia per condurlo fuori di lì. E in un angolo
della sua mente, torturata dal buio e distrutta dalla prigionia, la
punta di una luce cercava di districarsi in quel rovo di tenebre. Ma
lui non le avrebbe dato il permesso di uscire.
***
“Sa, Conte, lui è lì che
vi aspetta.”
“Incredibile come possiate
entrare in simbiosi con una bara.”
“Potete anche dargli questo
nome, se preferite, ma il Kurohitsugi non gradirà. E poi,
sarete voi quello che si unirà indissolubilmente ad
esso.”
Uscire da una gabbia per
entrare in un'altra. Ecco, invece, qual era il paradigma dell'esistenza
di Ciel Phantomhive in quell'istante. Dopotutto, era stata una sua
scelta.
L'uomo alto e scuro
era tornato nell'inverno in cui Ciel aveva compiuto dodici anni. Zia
Angelina era al lavoro, nel suo studio medico, e Ciel era rimasto a
casa in compagnia dei soli Tanaka e della governante, Claire.
Era da quando aveva
aperto gli occhi, quella mattina, che sentiva che qualcosa si
avvicinava, qualcosa che l'avrebbe portato via. Ma non aveva mostrato
paura né esitazione, continuando a sorseggiare il suo
tè nel salone della casa.
Comparve quasi dal
nulla, ondeggiante e accompagnato dalla stessa risata che il Conte
sentiva continuamente.
“Stavate aspettando il mio
arrivo. Gentile da parte vostra.”
“Non ho aspettato per
cortesia.”
“Chiaramente. Paura,
dunque?”
Gli occhi
saettarono verso quelli dell'uomo – celati – che
poi avrebbe scoperto chiamarsi Undertaker, un becchino e uno Shinigami.
Uno Shinigami con cui aveva stretto un patto per vivere.
“Rimpiangete la vostra scelta,
Conte?”
“Affatto. Quello che volevo
quella notte è stato esaudito, anche se un disegno
più grande prevedeva accadesse il contrario,
piuttosto.”
“E' sempre divertente sentirvi
parlare attraverso mie citazioni.”
“Quella notte, caro Conte, un
disegno più grande prevedeva accadesse il contrario. I
vostri assassini sarebbero dovuti sopravvivere, mentre voi...”
“Non l'hai fatto per
pietà. Ma per un disegno ancora più
grande.” comprese Ciel, poggiando la tazzina ormai vuota sul
tavolo. E Undertaker rise, sapendo di aver preso una saggia decisione,
quella notte.
“Desiderate che vi esponga
ancora i punti del patto?”
“Osi forse insinuare che potrei
non rispettarlo?”
“No. Voglio semplicemente che in
quel momento siate pronto. Il Kurohitsugi non accetta
esitazioni.”
“Non
esiterò.”
Ma Undertaker lo sapeva
già.
“Sono stato salvato da
te?” fuori dalla gabbia, quella confusione iniziale aveva
reso chiare molte cose. E l'uomo che gli stava di fronte ovviamente gli
aveva salvato la vita per ottenere qualcosa in cambio. Qualcosa che
desiderava fortemente.
“Sono arrivato appena in tempo,
Conte. Se non vi avessi salvato io, non oso immaginare quale
sorta di creatura
avrebbe potuto condannarvi all'inferno.” e Ciel seppe subito
che lo Shinigami
non si riferiva a
quello che sarebbe successo se il sacrificio avesse avuto successo,
quanto più al contrario.
“Cosa vuoi in cambio?”
“Vi sentite in debito?”
“Parla.”
Undertaker sorrise
silenziosamente, un silenzio strano che non era mai appartenuto alle
sue risate. Non erano rumorose, ma neanche così
profondamente silenziose.
“Kurohitsugi.”
rispose.
Un sarcofago oscuro, nero,
sulla cui bellezza Undertaker aveva tessuto lodi, ma che per Ciel
rimaneva pur sempre una bara. Ciò che era importante, al di
là del meraviglioso aspetto del sarcofago, era quello che
sarebbe successo una volta chiuso.
“Sigillato in quella bara in
eterno.”
“Sarcofago, Conte.”
“Suppongo non sia quella la
parte peggiore.”
Il Kurohitsugi avrebbe reso
la morte più eterna di quanto il concetto di morte
già non fosse. Non divorava l'anima, non lasciava che fosse
il corpo a patire le pene come succedeva all'Inferno. Il Sarcofago
Oscuro avrebbe trasferito nel proprietario dello stesso tutto
ciò che Ciel aveva sentito, provato, visto e pensato nella
sua vita, seppur breve. Il mondo al di là di quello, per il
Conte, avrebbe trovato dimora in Undertaker.
No... non gli avrebbe
divorato l'anima, l'avrebbe guardata, scrutata, carezzata, conosciuta e
spogliata di ogni segreto.
“Posso chiedervi, Conte,
perché avete accettato?” una domanda stupida prima
della fine. Questo avrebbe reso più deliziosa l'anima di
Ciel, forse. O non sarebbe cambiato nulla.
Ciel non rispose, tuttavia.
Non ad alta voce. Forse non voleva che quegli uomini, o qualunque cosa
per loro, prendessero la sua vita, anima, corpo. O magari era giusto
che finisse così. Se lo sarebbe domandato in seguito.
“Ricordate il momento in cui
avete desiderato che quegli uomini venissero colpiti dalla mia
falce?”
Ricordava la vendetta, la
marea di crescente oscurità che gli era nata dentro. Ma,
più di quel momento, ricordava...
Non era stato un
vero momento, precisamente posizionato in una cornice di tempo. Quel
desiderio era nato gradualmente, fino a diventare un groviglio di buio
che aveva imprigionato la luce. Quella luce avrebbe dovuto condurlo
alla morte, invece era stato abbastanza forte da far sì che
accadesse il contrario. Già... a volte si illudeva che, in
fondo, avesse fatto tutto lui. Si illudeva, dicendosi che Undertaker
avesse semplicemente approfittato della situazione per incastrarlo,
costringendolo a stringere il patto del Kurohitsugi.
“Ricordo solo il momento in cui
mi sono chiesto il motivo di tale gesto. Escludendo il disegno
più grande, mi sono chiesto perché uno Shinigami
avrebbe dovuto agire in quel modo. Anche la morte è
corrotta?”
II
Undertaker
Quando la voce di
un piano di purificazione del mondo a opera degli Angeli era giunta
alle orecchie degli Shinigami, ai piani alti ci si era immediatamente
chiesti che posizione assumere: neutralità? Correre in aiuto
degli esseri umani e fermare quella follia? Le opinioni erano diverse,
i vantaggi minimi e la possibilità di vincere incerta.
Tuttavia, il compito di occuparsi delle anime degli esseri umani era
sempre spettato agli Shinigami. Perciò, in quel momento,
quale che fosse la loro posizione rispetto al mondo umano e al mondo
angelico non era importante. I loro compiti andavano preservati.
Undertaker, al tempo, trovò quel terreno di gioco
estremamente stimolante. Aveva sempre pensato che tutta la fame
accumulata sotto i cuscini reali avrebbe ben presto spaventato la
regina, sempre che ella ne fosse consapevole.
E aveva riso tanto,
fino a scoppiare, quando s'era reso conto che dopotutto, in tutto quel
gioco pericoloso, gli Angeli si fossero rivelati della stessa pasta dei
Demoni.
Ma se i Demoni
approfittavano della fame bruciante degli uomini, gli Angeli avevano
fatto l'esatto contrario. Prima o poi, quel continuo astenersi avrebbe
corroso l'anima della gente, rendendo più semplice cadere
nel peccato. E la corruzione dell'anima non ha un bell'aspetto
né un buon odore per gli Angeli.
Chiaramente, un piano ben
congegnato come quello, prevedeva che il punto di inizio si rivelasse
facile da intuire, soprattutto se sei uno Shinigami Leggendario e i
tuoi interessi coincidono in maniera diametralmente opposta con quelli
di un Angelo. E anche se lo Shinigami avrebbe dovuto essere
lì dove lo scontro infuriava, come una tempesta, si perse
l'intera battaglia, sapendo perfettamente che ne avrebbe
combattuta un'altra per conto di qualcuno molto più
interessante. Il suo disegno più grande, dopotutto, coincise
con la fine di ogni possibilità di prevalere degli Angeli.
Era Ciel Phantomhive l'obiettivo finale, principale. Ma lui non l'aveva
mai saputo.
La purezza totale si
corrompe più facilmente...
La purezza nasce
già con il germe impiantato.
La purezza senza briglie
dilaga. E poi infetta.
Una delle domande che
Undertaker si era posto in seguito, probabilmente la prima domanda che
si era fatto in tutta la sua lunga esistenza, era perché non
avesse rivelato a Ciel Phantomhive ogni particolare di quel grande
piano, di quell'assassinio.
Eppure bastava che guardasse
nei suoi occhi e capiva che, in fondo, quel ragazzino non credeva
affatto che quella notte di sangue fosse giunta casualmente.
L'ultima delle domande di
Undertaker, invece, era perché il Conte non gli avesse mai
chiesto niente. Ma probabilmente si era posto quegli interrogativi solo
per conoscerne il sapore, sapendo che in verità la risposta
era sempre stata lì.
III
Ancora stelle nere
This is the world you live in
Consumed by lust and love and hate
Restrain and try not to give in
Pray that it's too late
This is the world you live in 5
Una cosa che Ciel
Phantomhive aveva sempre saputo era che quella notte era effettivamente
morto, e non in maniera metaforica o esclusivamente mentale o morale.
Era morto per quei pochi
istanti necessari affinché potesse mordere quelle stelle e
succhiarne l'essenza. E capire.
Per questo aveva
accettato il patto? Undertaker aveva già avuto la sua
morte... La sua anima gli apparteneva di diritto?
Una cosa che Ciel si era
sempre premurato di mantenere nel silenzio era che sapeva.
Ma i suoi occhi erano grandi
abbastanza e inevitabilmente collegati allo Shinigami Leggendario per
il patto stretto che quel silenzio si era trasformato velocemente in
uno sguardo rivelatore. Quella notte, il Conte aveva succhiato
abbastanza conoscenza da sapere che non sarebbe diventato quello che
gli altri volevano diventasse: un cane da guardia della regina, un
sacrificio di purezza, come era stato suo padre, suo nonno e altri
prima di loro. Tutto quello che si era azzardato di desiderare era
stato realizzato quella notte dall'intervento di Undertaker, con la sua
luce tagliente.
Da lì in poi, il
tempo che si era preso era servito solo a rendere più
divertente quel finale. Una sorta di ringraziamento al becchino, forse,
oppure solo istanti in più per tornare al vecchio lago e
riempirlo abbastanza di pietre e sporcarsi le mani, così da
sapere che non sarebbe mai stato abbastanza sporco da eguagliare loro.
Undertaker l'aveva
sempre saputo? Per questo aveva accettato il patto? Lo Shinigami
desiderava lui così com'era, senza contaminare una purezza
già corrotta o purificare una corruzione che è
propria dell'uomo.
Un'altra cosa che il Ciel
bambino e quello adulto avevano sempre serbato nell'anima come il
ricordo peggiore, era l'ultima visione della casa e dei genitori. In
fondo, lui sua madre l'aveva vista.
“Mamma!
Papà!” avrebbe voluto urlare, chiamarli e non
limitarsi a correre per i corridoi del maniero. Avrebbe voluto che la
sua voce li raggiungesse, perché temeva che se non l'avesse
fatto si sarebbero dimenticati di lui.
In quel preciso
istante, mentre correva, vide già l'ombra di una di quelle
stelle e forse iniziò la sua consapevolezza.
Aprì la
porta e vide suo padre cadere, piano, con la mano tesa verso di lui.
Quello che successe dopo, forse, aveva cercato di cancellarlo, oppure
di farlo scorrere velocemente, così velocemente da
apparirgli come una macchia sfocata.
Gli uomini sono
inclini all'inganno...
Ciel aveva ingannato se
stesso.
“E' pronto, Conte?”
Era tempo di scrivere la parole
fine. Era tempo di andare per non tornare, stavolta. Rimase immobile,
al centro della stanza immersa nelle penombra, giusto il tempo che
Undertaker
lo vedesse.
“La morte è
più benevola di quanto si possa immaginare,
Conte.” disse, immaginando facilmente cosa vi fosse nella
mente di Ciel.
Il blu degli occhi
di sua madre... sul volto di suo padre.
La mano tesa verso
di lui, delicata e dolorosa come una promessa d'eternità non
mantenuta. Lo sguardo spento di suo padre mischiato alla vita ancora
appena accennata di sua madre. Lei l'aveva visto, in quel momento. E
lui l'aveva cancellata, immaginandola morta altrove. Invece lei c'era e
nel suo sguardo aveva letto pena e dolore. Un “mi
dispiace”, “perdonami”,
“Ciel...” mai sussurrati, ma scritti nel blu.
… non si era più
guardato allo specchio. Il blu.
Alla fine erano morti
insieme, in un abbraccio perverso e macabro, e lui non li aveva mai
odiati, anche se avrebbe voluto. Tanto, fino a stare male e a soffocare
tra le braccia di zia Angelina, fino a chiedere aiuto a Dio, fino a
temere il fuoco per non ritrovare il blu dello sguardo acceso nella
memoria. Consumato dall'odio, per non essere consumato dall'amore.
Chiuse gli occhi. Era tardi
per pregare e inventarsi paure.
Ormai era tempo di liberare
la luce da quel rovo di tenebra.
IV
Le sensazioni che si provano
quando si è consapevoli di morire volontariamente sono
estremamente forti e chiare.
“Vi tratterò come le
conviene, Conte.” sussurrò Undertaker, osservando
il corpo dell'altro.
Ciel, seduto nel Sarcofago
Nero ma non ancora disteso, ricambiava lo sguardo.
“Non osare dimenticare chi sono,
Shinigami.” disse, afferrando un lembo della sua veste scura.
Undertaker, il viso vicino al suo, sorrise. Ma quella volta il silenzio
non fu così profondo, sapeva solo di verità.
“Non lo
farò.”
Ancora una volta, come era
successo anni prima, Ciel udì il suono del respiro. Ma
questa volta già sapeva, senza bisogno di ascoltarlo, che
non era un sogno. Altrimenti non si sarebbe spiegato le labbra di
Undertaker sulle proprie, seppur per un istante scarso. Si
allontanò subito, giusto il tempo di concedergli il sapore
ancora vitale di quella che sarebbe stata la morte. E poi le dita di
quello che sarebbe diventato presto il suo aldilà, fredde,
cominciarono a premergli sugli occhi ormai chiusi. Lentamente, lo
spingevano giù, adagiandogli il corpo sul fondo del
Sarcofago. Poté vedere quella caduta anche a occhi chiusi,
lenta, fino a quando la testa non incontrò la pietra e tutto
finì.
Non osare farlo... altrimenti,
io stesso dimenticherò chi sono.
FINE
5: Son of Rust, The World you live
in
Note di Bella: Ed eccoci giunti alla fine.
Grazie per aver letto ^-^
signorino: Elizabeth c'era nella
bozza iniziale, insieme a Madame Red in altre scene. E c'erano anche
altre parti, ma ho dovuto tagliare per motivo di spazio. Mi rendo che
avrei potuto lasciare qualcosa, ma in quel momento ho
calcolato male. In ogni caso, mi stai facendo venire voglia di
pubblicare una raccolta di spin-off. Grazie grazie grazie
*cuore*
Bella.
|