Questo è
Questo
è, come annunciato, l'ultimo capitolo. So che ci sono dei punti rimasti un po'
in sospeso, ma questa storia era nata per parlare del ritorno di Milo al
Santuario e dell'inizio di un suo percorso di guarigione dal dolore. Spero
comunque che questa ff vi sia piaciuta e che apprezzerete questo logorroioco
finale. Aspetto i vostri commenti. Grazie con anticipo.
Baci
Sara
~
7 ~
Era passata quasi
una settimana dall’arrivo di Milo al Santuario; come ordinato da Arles, il
cavaliere era rimasto ad Atene, nell’attesa di nuove disposizioni del
Sacerdote, che erano ben presto arrivate. Il giorno successivo sarebbe partito,
ma c’erano ancora alcune cose da fare.
Non vedeva Camus da
quella mattina nella Biblioteca, quasi quattro giorni prima; l’amico si era
allontanato dal Grande Tempio. Era andato da Elettra, molto probabilmente. O
chissà dove, date le sue recenti inclinazioni allo sfarfallamento…
Scorpio si chiedeva
come un rapporto d’amore, era da sottolineare d’amore, potesse arrivare a
diventare così complicato e contorto da essere causa di sofferenza. Milo si
disse che era perché a Camus non era mai capitato di perderlo un amore, nessuno
glielo aveva mai strappato e, anche dopo i suoi tradimenti, c’era da
scommetterci, era stato perdonato. Almeno all’apparenza. La Divina Elettra non
gli era mai sembrata una donna in vena di rassegnazione, a Camus doveva essere
costato caro il pentimento. Sorrise di sbieco, pensandoci.
Ricordava benissimo
il suo primo incontro con la figlia di Nikolais. Lui e Melissa non riuscivano
mai a stare un po’ insieme, potevano solo scambiarsi delle lettere segrete,
grazie ad un metodo del bibliotecario: la ragazza prendeva un libro, ne leggeva
una parte e lo riconsegnava con la lettera dentro, il giorno dopo Nikolais si
preoccupava di restituirglielo accompagnato dalla risposta di Milo. Fu così che
Melissa gli fece sapere che avrebbe passato un paio di giorni al Tempio di Zeus,
dove sarebbero stati liberi di passare del tempo insieme. Presi accordi con
Camus, la raggiunse lì… e conobbe la Gran Sacerdotessa.
Quella prima
impressione gli sarebbe rimasta stampata per sempre nella mente. Non sembrava
per niente greca, prima di tutto. Era alta, molto alta, e bionda, molto bionda.
Con una pelle talmente chiara da sembrare quasi nordica, come nordico era il suo
sguardo, e i suoi occhi erano di un turchese scuro, ma trasparente, quasi
irreale. E rammentava che non gli piacque il suo atteggiamento: troppo
altezzosa, distaccata, fredda, con quelle mani grandi e crudeli, dalla perfetta
manicure.
Le domande che gli
fece poi… una sola parola, irritanti. Sapeva d’averle risposto con arroganza
e scarsa educazione, sotto lo sguardo stranamente divertito di Camus.
Ma ciò che
ricordava meglio era il momento in cui quella donna, finalmente, alzò gli occhi
su di lui, trapassandolo, e poi sorrise soddisfatta. “Mi piaci.” Gli disse,
con quella voce che non sapevi bene se era antipatica o sensuale. In
quell’istante Milo aveva intravisto qualcosa nei suoi occhi.
L’ombra di un
dolore, una sofferenza antica e radicata, e più di questo… un potere che
andava al di là della straordinaria energia del suo cosmo saettante… era
latente e ancestrale e lui non lo capì.
Nemmeno ora lo
capiva, gli ci sarebbero voluti ancora un paio d’anni prima di afferrare il
segreto di quella forza creatrice e distruttiva allo stesso tempo, prima di
comprendere quel potere tutto femminile di essere madre, figlia, amica, amante,
compagna allo stesso tempo (*). Capace di riempire un mondo. Capace di riempire
un vuoto.
Ma in questo
momento, mentre saliva le scale verso l’undicesima casa, Milo era lontanissimo
dal considerare Elettra una donna avvicinabile, era più un simbolo, una specie
di autorità lontana che, presa da improvvisa magnanimità, gli aveva concesso i
pochi momenti felici insieme a Melissa. Non riusciva a pensare la Sacerdotessa
lontana dal suo trono o con un atteggiamento meno algido. Aveva come
l’impressione che farci l’amore fosse un po’ come trombarsi un
distributore di ghiaccioli, per questo la chiamava Vulva di Pietra. Anche se, a
ben dire, a Camus piacevano molto i ghiaccioli… Brrr, Milo odiava il freddo!
Mancavano pochi
gradini per raggiungere la casa di Acquarius, ma Scorpio si fermò, accorgendosi
della persona che lo fissava con un sorriso beffardo dall’ombra del colonnato.
Camus fece un passo
avanti, scendendo il primo gradino, per fermarsi nel piccolo spiazzo dove
finivano le scale di raccordo con la decima casa. Indossava un lungo caftano
color porpora e, a giudicare da come gli aderiva al corpo a causa de vento, solo
quello. Il suo modo di vestire era sempre stato bizzarro, ma che ora avesse
anche smesso di portare le mutande…
Milo lo squadrò
perplesso, alzando un sopracciglio, per poi sorridere in quel suo modo tipico,
ironico, sensuale e misterioso allo stesso tempo. Altra caratteristiche che
l’amico gli invidiava.
“Sei sparito.”
Affermò Milo, grattandosi l’addome; per farlo sollevò la canottiera,
svelando che i jeans gli andavano un po’ larghi in vita, calando sui fianchi
scolpiti.
“Avevo cose da
fare.” Rispose laconico Camus, slacciando le braccia; il caftano aveva
un’ampia apertura sul davanti, che mostrava il petto liscio e muscoloso del
cavaliere.
Si sedettero
entrambi sulle scale. Camus si accorse che Milo, con quella canottiera nera e
quei jeans sdruciti, i capelli lunghi, sembrava proprio una rockstar. Sì, gli
mancava solo un cicchino tra le labbra e la chitarra elettrica… Sorrise,
tornando a guardare avanti.
“Mi spieghi perché
ti sei vestito come una vecchia checca francese?” Gli chiese però l’amico,
facendolo voltare.
“Perché?”
Replicò lui, sfoderando l’ironia. “Non mi trovi sexy?”
Scorpio gli lanciò
un’occhiata disincantata. “Senti, la tua bella troverà anche eccitante che
vai in giro con il canarino fuori dalla gabbia, ma onestamente sono altre le
cose che trovo sexy.” Gli rispose infine; Camus lo fissò per un attimo, poi
scoppiò a ridere, seguito subito da Milo.
“Com’è andato
il colloquio con Arles?” Domandò Acquarius qualche minuto dopo.
“Hm…
inquietante…” Rispose Milo, alzando gli occhi al cielo.
“Decisamente.”
Confermò l’altro, che doveva esserci passato prima di lui. “Hai visto le
armature?”
“Sì.” Annuì
Scorpio. “E tu, sapevi di Virgo e Gemini?”
“Ho incontrato
Shaka, giorni fa.” Raccontò Camus. “Tanto perbenino, con quei suoi bei
capelli da Barbie Kamasutra…” Aggiunse acido.
Scorpio ridacchiò,
ma tornò subito serio. “E Gemini? Non sapevo avesse un custode.”
“Non so dirti
molto.” Fu costretto a rispondere l’amico. “Anni fa, ai tempi della mia
investitura, forse prima, avevo sentito parlare di un cavaliere, un certo Saga,
ma poi non ho saputo più nulla.”
“Che sia sempre
lui?” Mormorò pensoso Milo, fissando il nulla.
“Non mi riguarda,
comunque.” Glissò bruscamente Camus. “Dimmi di te.” Incitò poi.
“Beh, il Gran
Sacerdote mi aveva affidato il simpatico compito di sterminare i Cavalieri di
Bronzo e riportare in Grecia la Sacra Armatura di Sagittarius, ma il prode Ioria
di Leo me l’ha soffiato da sotto il naso.” Dichiarò Scorpio, con tono
pomposo e sarcastico.
Camus l’osservò
per un momento, poi sorrise. “Non sembri poi così dispiaciuto.” Ipotizzò.
Milo fece
un’alzata di sopracciglia. “Non molto, alla fine.” Rispose quindi,
stringendosi nelle spalle. “Se non fosse per l’atteggiamento di Ioria, che
se ne va in giro a fare proclami, col petto gonfio, come se fosse il re della
savana!” Sbottò poi.
“Certo che dici a
me… ma voi due non vi siete proprio mai presi.” Commentò Camus. “Se non
mi sbaglio fu proprio a causa di una lite con lui che finisti a fare
l’assistente in biblioteca…”
“E lo domandi?!
Mi ci portasti tu a calci nel sedere!” L’interruppe l’amico; risero di
nuovo. “Ad ogni modo…” Riprese Scorpio. “…siamo troppo diversi, io e
Ioria, lui prende le cose maledettamente sul serio, io non l’ho mai fatto, però…
in un certo senso lo ammiro, per la sua coerenza, il coraggio, lo spirito di
sacrificio, non so se sarei stato capace di fare quel che ha fatto lui…”
Ammise serio.
“È solo un
ragazzino stupido.” Sentenziò Camus, facendo voltare Milo. “Non si può
vivere col paraocchi, ci sbatterà il muso prima o poi.”
“A cosa
alludi?” Chiese l’altro. “Lui e Elettra…”
“Lascia stare.”
L’interruppe con un gesto. “È una faccenda in cui non voglio entrare, quei
due sono fermi nelle loro posizioni come fossero in trincea, un giorno sapremo
chi ha ragione e qualcuno dovrà chiedere perdono, ma fino ad allora è bene che
si scannino tra di se.”
Milo
ritenne meglio far cadere l’argomento, sapeva che i rapporti, diciamo così, «familiari»
tra Elettra e Ioria non erano esattamente idilliaci, poiché i due la pensavano
in modo opposto: lui era sempre rimasto fedele al Santuario ed al Gran
Sacerdote, mentre lei… beh, lei non nascondeva certo come la pensava.
“Ho
avuto un altro incarico, comunque.” Affermò quindi; Camus si girò verso di
lui, incuriosito.
“Di
che si tratta?” Gli domandò.
Milo
si alzò. “Devo recarmi all’isola di Andromeda e scoprire il motivo per cui
Albione non ha ancora giurato fedeltà ad Arles.”
Camus
si mise a sua volta in piedi. “Conosco Albione, è una brava persona, avrà
certamente una plausibile spiegazione per il suo comportamento.” Affermò.
“Non
dubito.” Ribatté Milo, mani sui fianchi e leggermente piegato in avanti.
“Sarò diplomatico.” Aggiunse, quindi alzò gli occhi, incrociando quelli
seri dell’amico.
"E
se la diplomazia non dovesse funzionare, quali provvedimenti sei autorizzato a
prendere?" Chiese retorico Acquarius.
Scorpio
lo fissò per un attimo, poi abbassò gli occhi sbuffando. “Andiamo Camus, lo
sai… lo sai come vanno queste cose…” Rispose poi, tentando di alleggerire
il tono.
Il
cavaliere dell’undicesima casa preferì non indagare ulteriormente
l’argomento, sapeva che le risposte non gli sarebbero piaciute, anche se
capiva che loro erano cavalieri e agivano in nome di un’autorità che, al
momento, non era possibile contestare. Si spostò di qualche passo, posando una
mano contro la superficie liscia di una delle anfore che ornavano la cima delle
scale; il vento, fattosi all’improvviso più intenso, fece aderire la stoffa
sottile al suo corpo slanciato.
“Quando
te ne vai?” Domandò all’amico.
“Partiamo
all’alba.” Rispose Milo.
“Partite?!”
Esclamò sorpreso girandosi. “Chi viene con te?” Domandò quindi.
“Aphrodite
di Pisces.” Affermò Scorpio, dopo una lieve titubanza.
Camus
si voltò del tutto, spalancando gli occhi stupito, poi gli si formò sulle
labbra un sorrisetto perfido e ironico. “Aphrodite… beh, amico mio,
assicurati di avere in valigia un bel paio di mutande di ghisa!”
“È
la prima cosa che ho fatto!” Esclamò Milo. “Ma non è giusto che me lo
faccia notare tu, che te ne vai in giro coi lombi al vento!” Aggiunse
divertito; si scambiarono uno sguardo obliquo, poi scoppiarono a ridere.
“Oh,
non rompere i coglioni, mi davano fastidio!” Sbottò Camus, mentre ancora
ridevano.
Quando
l’ilarità terminò rimasero lì, in piedi, senza dire nulla, fianco a fianco.
Acquarius aveva scherzato, ma in realtà era turbato dalla notizia che Aphrodite
avrebbe accompagnato Milo. Due cavalieri d’oro erano decisamente troppi per
una missione diplomatica. Pisces era
un fedelissimo di Arles e che Albione avesse addestrato uno dei cavalieri di
bronzo non era un mistero. Troppe coincidenze allarmanti, c’era da tenere
dritte le antenne.
“Bene…”
Fece Milo, risvegliandolo dai suoi pensieri, lo guardò. “…ora devo andare,
ho lasciato un paio di cose in sospeso e vorrei risolvere prima di partire.”
Camus annuì fissandolo.
Scorpio
scese un paio di gradini, poi però si girò di nuovo verso l’amico, come se
avesse dimenticato qualcosa; Camus lo guardò perplesso, con espressione
interrogativa. Il ragazzo risalì in fretta le scale e abbracciò d’impeto
l’altro cavaliere. Fu un gesto istintivo, qualcosa che sentiva di dover fare,
prima di partire, per dimostrare che, nonostante fossero molto diversi e spesso
la pensassero in modo opposto, la loro amicizia restava. Un punto fermo nelle
vite di entrambi. Un legame profondo e vero per chi, come loro, non aveva mai
avuto una vera famiglia.
Acquarius,
dopo un primo istante di sorpresa e imbarazzo, sorrise e poi rispose
all’abbraccio dell’amico, stringendolo a se e dandogli lievi pacche sulla
schiena. Capiva e condivideva i suoi sentimenti. I legami creati dal cuore che
diventano più forti degli ormai smarriti legami del sangue. Milo era come un
fratello e come tale lui lo amava.
Lo
strinse appena un po’ di più, ma solo un attimo dopo, svelto come era nato,
l’abbraccio cessò e Scorpio si allontanò veloce, cominciando a scendere le
scale senza guardarlo. Certo, non è che ci fosse bisogno di tante parole, i
gesti avevano già detto tutto…
“Milo.”
Lo fermò però l’altro; lui si bloccò sulle scale, poi si girò piano. Ah, ecco perché scappava, ha gli occhi lucidi… si disse Camus.
“Volevo solo dirti di tenere gli occhi aperti, non mi fido di Aphrodite.”
Gli suggerì serio, guardandolo negl’occhi.
L’amico
annuì. “Lo farò.” Rispose quindi. “Grazie Camus.” Aggiunse poi, con un
ultimo sguardo e s’incamminò giù per le scale. E Acquarius sapeva che quel
grazie non era per il consiglio.
C’era
veramente qualcosa che Milo aveva lasciato in sospeso. Per cinque anni. Fatti
d’interminabili giorni passati a fare finta che non fosse successo nulla, che
le persone coinvolte non fossero esistite. E di molti altri giorni, altrettanto
interminabili, passati sul fondo della più cupa disperazione, tra alcool e
sigarette, a sfiorare il pensiero che sì, farla finita non sarebbe stato poi
così male.
Giorni
in cui il mondo era bello solo perché esisteva e anche se eri triste valeva la
pena vivere. Altri in cui la vita era semplicemente come la scaletta del
pollaio: corta e piena di merda. Particolarmente nel suo caso. Attimi in cui gli
sembrava di stare quasi bene, alternati ad altri dove stava tanto male da
vomitare. E non perché aveva bevuto troppo. Quelle volte era meglio calarsi un
Valium e stare rincoglionito per un paio di giorni, almeno non pensava.
E
tutto questo a causa di una ragazza e della sua storia. Melissa era una
ragazzina minuta, molto magra, con lunghi capelli color miele e due occhi troppo
grandi. Li vedeva come se fosse ora, di un blu cupo, ma luminosi come una notte
stellata. Era un piccolo angelo, fragile e dolce. Avrebbe avuto bisogno di
qualcuno che la salvasse. Se soltanto lui ne avesse avuta la forza.
Ma
Milo aveva solo diciassette anni a quel tempo. Era un giovane cavaliere che non
aveva ancora ben capito i doveri e i limiti del suo ruolo. Troppo immaturo per
comprendere che la vera tragedia non è gridata, ma si consuma in silenzio,
all’improvviso, quando meno te lo aspetti. (*)
Così
era successo. Melissa, schiacciata da anni di vessazioni, dolore e violenze,
aveva compiuto l’unico gesto che poteva veramente liberarla. Si era uccisa.
Nonostante tutto l’amore di Milo, l’affetto e la comprensione di Elettra, il
sostegno di una sorella più forte.
Il
cuore del giovane cavaliere di Scorpio si era fermato quel giorno e anche se poi
era ripartito, non aveva avuto più la forza di un tempo. Il dolore lo aveva
lasciato quasi stordito, nella sua potenza. La rabbia lo aveva accecato e reso
quasi un assassino. Ma, infine, ciò che aveva preso il sopravvento era stato il
senso di colpa.
Lui
era un cavaliere e non era stato capace di comprendere l’orrore in cui viveva
Melissa e salvarla, portandola lontano. Era stato incapace di prendere in mano
le loro vite e dare una svolta nuova. La sua giovane età non era un
giustificazione. La volontà di lei di tenerlo allo scuro ancora meno. Per anni
si era roso in queste considerazioni, preso negli alti e bassi delle sue crisi
depressive.
Le
cose, però, ultimamente erano un po’ cambiate. Crescendo aveva capito meglio.
Si sentiva ancora in colpa, ma comprendeva che il destino e la mente degli
uomini erano territori oscuri. Aveva compreso che, probabilmente, portare
lontano Melissa non avrebbe risolto i suoi problemi, che l’aspettavano anni di
terapia per uscirne. Che lui, in ogni caso, restava un cavaliere di Atena e il
suo dovere l’avrebbe prima o poi riportato al Santuario. Come era davvero
successo, infine.
Forse
il dolore era una crudele prova degli Dei per mettere i mortali davanti alla
loro fallibile natura umana. Forse Melissa era davvero una creatura del cielo e,
se era così, questo cattivo mondo non era il suo posto. Solo nei giardini
dell’Elisio sarebbe stata libera e felice. Questi pensieri non lo confortavano
dal dolore, che comunque era nel suo cuore, ma almeno poteva sperare che lo
sguardo amorevole della fanciulla lo proteggesse nelle battaglie che avrebbe
dovuto affrontare.
Si tolse il casco e
lo poggiò sulla sella della moto che aveva usato per arrivare fin lì. Il
panorama era talmente bello da togliere il fiato.
La costa si
frastagliava in alte scogliere particolarmente candide, spoglie d’alberi, ma
coperte da erba verde. Il cielo era di un azzurro cristallino, che si rifletteva
nell’acqua verde e blu del mare calmo. I gabbiani sfioravano le onde,
gridando, nel vento dolce. C’era profumo di salsedine, misto a quello
inebriante degli arbusti cresciuti tra le rocce.
Milo camminò
attraverso l’incerto sentiero che risaliva una scogliera. Quel posto aveva
certamente un’importanza particolare. Lui e Melissa c’erano stati alcune
volte e la ragazza se n’era innamorata. Aveva lasciato scritto che era il
luogo in cui voleva riposare e così era stato.
Il suo desiderio,
in realtà, era rimasto un segreto condiviso da solo tre persone, perché
Melissa doveva essere sepolta nella cripta del Santuario, un onore concesso a
pochi; dopo la sua morte, però, Milo aveva trovato la sua lettera d’addio,
dove la ragazza esprimeva la volontà di essere tumulata sulla scogliera, non in
un posto buio e freddo. E a chi poteva chiedere aiuto, il cavaliere di Scorpio,
se non al suo migliore amico e all’unica persona che aveva dimostrato di amare
Melissa? Camus, pur non del tutto d’accordo, lo aiutò a trafugare il corpo,
mentre Elettra si occupava della tomba. Furono loro tre gli unici ad assistere
alla tumulazione e, al di fuori della ristretta cerchia, solo Ofelia, la sorella
di Melissa, fu informata del luogo di sepoltura.
La sparizione del
corpo della ragazza era tutt’ora uno dei misteri meglio custoditi del
Santuario. E solo gli Dei sapevano quanti segreti celassero quelle mura.
Il padre di
Melissa, un capitano delle guardie del Santuario, e i suoi due figli, rozzi e
viscidi soldati di truppa, avevano tentato di accusarlo, rendendosi conto ben
presto che un cavaliere di quella casta era intoccabile e anche che gli
conveniva stargli lontano. Scorpio, infatti, quando aveva saputo i particolari
della vicenda di Melissa, era partito deciso a fare strage dei membri maschi
della famiglia; solo Camus era riuscito a riportarlo alla ragione, con le
maniere forti.
Erano stati giorni
strani quelli. Passati addosso come se fossero stati guardati dal di fuori. Con
la rabbia che lo riempiva di energia negativa, per poi lasciarlo in balia di una
disperazione tanto forte da privarlo di qualsiasi forza, anche quella di
sollevare una mano.
In seguito aveva
vissuto un periodo di apatia quasi totale, finché Nikolais non lo convinse che
l’unico modo per ritrovarsi era allontanarsi da tutto.
Lo aveva fatto. Era
andato nel deserto, aveva vissuto per un anno insieme ai beduini; poi il
Mediterraneo, esplorato in ogni angolo per quasi due anni. Si era perso molte
volte. Nei profumi estranianti dei suk maghrebini, nelle acque cristalline della
Croazia, nei vicoli di Istanbul, nelle voci estranee sui traghetti. In notti
lunghe e dolorose, dove l’unico rumore era quello dei suoi singhiozzi. Poi
Milos lo aveva accolto. Il luogo dove aveva conquistato l’armatura, con le sue
case bianche, il profumo di limoni, le campane lontane, i riti dei pescatori.
C’era una strana pace irreale sull’isola, sembrava quasi artefatta, come lo
era l’apparente tranquillità di Scorpio, però gli aveva fatto bene.
Ora tornava su
quella scogliera con il dolore sempre nel cuore, ma consapevole che, qualunque
cosa fosse successo, la sua vita era andata avanti comunque, che lo desiderasse
oppure no.
Vide
la tomba. In un punto dove
l’erba si faceva più fitta e verde sorgeva una piccola lapide di semplice
marmo bianco. Nessun nome, nessuna data. Solo il simbolo dello Scorpione, una
specie di M con la coda, scolpita al centro.
Si avvicinò, con
già un groppo alla gola e gli occhi lucidi. La tomba era curata, l’erba
tagliata, il marmo pulito. Il piccolo roseto che la circondava era ben tenuto e
cominciavano a spuntare piccoli boccioli di rose gialle, le preferite di
Melissa. Era stato proprio Milo a piantarlo, il giorno del funerale.
Si stupì, ad ogni
modo, di trovare quell’ordine. Era segno che qualcuno accudiva con devozione
la tomba e non lo avrebbe creduto. Chi poteva mai essere? Sapeva che Ofelia
viveva al nord, quindi era improbabile che fosse lei. Camus non era certo il
tipo che… ma sì, non poteva che essere la Divina Elettra a farlo. Era la
soluzione più logica, pensandoci. Al ritorno sarebbe andato a ringraziarla di
persona. Ora aveva altro cui pensare.
Si chinò
sull’erba, ma la sua mente era già altrove, non vedeva più il mare e il
cielo. Solo gli occhi di Melissa. I loro giorni insieme. Il primo sguardo che si
scambiarono, la prima carezza… il primo bacio. E quando decisero di fare
l’amore, inesperti entrambi e un po’ imbarazzati. Il corpo di lei, fragile e
magro… e quei lividi, c’era sempre una buona scusa. “Sono proprio
imbranata!” Diceva; ma essere picchiati non è come colpire per sbaglio uno
spigolo, i segni sono diversi. Le raccomandazioni così inutili di Milo, che non
sapeva, no, non poteva capire. La consapevolezza arresa di Melissa, convinta che
al peggio di un essere umano non ci fosse mai fine. Una giovane vita talmente
privata di speranza da non riuscire a vedere neanche il riflesso di un futuro
migliore. Una morte improvvisa, che aveva colto di sorpresa solo chi non aveva
intuito la disperazione della ragazza.
Milo lo aveva
fatto. Sentiva la disperazione in lei, nonostante lo avesse voluto tenere
lontano da quel lato della sua vita. C’era qualcosa d’irrimediabilmente
spezzato in Melissa e quando era morta, Milo aveva capito la propria impotenza,
perché anche se lui l’aveva amata, non era stato in suo potere salvarla.
Questo aveva alimentato il suo senso di colpa nel corso di quegli anni trascorsi
a tormentarsi.
Era passato molto
tempo, adesso, e altro ne sarebbe dovuto passare, prima che lui guarisse, che
potesse rinascere denudato dagli sbagli e dai peccati, pronto a danzare sulla
tomba della sua vecchia anima. (*) Non aveva perso la speranza, la ricostruzione
era lunga e dolorosa, ma non si sarebbe arreso.
Si asciugò il viso
bagnato dalle lacrime e sorrise appena, come se avesse davanti Melissa che gli
diceva di non piangere, poi si sporse verso la lapide e scavò alla sua base. Un
bocciolo più grande degli altri, già pronto a fiorire, lambiva il marmo. La
ricerca fu breve, ricordava perfettamente di averlo messo lì prima di partire,
cinque anni prima.
Era un medaglione
di forma ovale attaccato ad una catenina d’oro. Una cornice di oro rosso
formava una specie di stella a molte punte al cui interno spiccava il simbolo
dello Scorpione. Milo, da quando aveva memoria, lo aveva sempre posseduto; forse
era l’unico collegamento con la sua vera famiglia, ma non c’erano conferme.
Un tempo lo aveva donato a Melissa, ma lei non aveva potuto indossarlo, così
aveva continuato a portarlo lui. Rappresentava, ad ogni modo, il legame tra loro
due, per questo, quando Scorpio era partito, lo aveva lasciato lì. La garanzia
del suo ritorno ed un modo per continuare comunque a starle vicino.
Il ragazzo risistemò
la terra smossa, poi si alzò. Aprì il pugno e pulì la superficie dorata del
gioiello, che brillò al sole, quindi se lo mise al collo; il metallo freddo gli
trasmise un brivido familiare. Abbassò di nuovo gli occhi sulla lapide.
“Sono tornato,
hai visto Melissa?” Mormorò cercando di trattenere le lacrime. “Non ti
lascerò mai più sola così a lungo.” Continuò con voce tremante. “Sto
ancora male, a volte, sai… ma non ti preoccupare, io… ce la farò…”
Sospirò e sfiorò la lapide con la punta delle dita; quindi si asciugò le
ultime lacrime prima che gli scendessero dagli occhi, poi riprese il sentiero in
discesa.
La lunga strada
della salvezza. Sarebbe riuscito a percorrerla completamente solo quando avesse
compreso che, ormai, l’unico da salvare era lui stesso. Aveva speranza nel
cuore e questa era già una vittoria. Forse avrebbe avuto bisogno anche di
aiuto, se solo avesse trovato la persona adatta. Il futuro lo spaventava ancora,
con le sue incertezze, ma avrebbe vissuto giorno per giorno tutto ciò che gli
era riservato. Le battaglie. I dubbi. Le scelte. I sentimenti. Poi un mattino si
sarebbe svegliato, forse con qualcuno accanto, o forse no, e la paura sarebbe
scomparsa.
Sì,
sarà una mattina di sole… si disse il cavaliere, poi sorrise al cielo,
dove vedeva l’immagine sorridente di Melissa, e lei scomparve dolcemente, nel
vento.
If
there's a light up ahead well brother I don't know
But I got this fever burnin' in my soul
So let's take the good times as they go
And I'll meet you further on up the road
(Further
on (up the road) – Bruce Springsteen)
FINE
NOTE:
-
(*) anche questa riflessione è tratta da Camilleri, “La voce del
violino”.
-
(*) quest’idea della tragedia silenziosa (che condivido in pieno) me
l’ha data un libro di Andrea Camilleri che ho letto quest’estate “La luna
di carta”, che consiglio come tutti i romanzi dell’autore siciliano.
-
(*) non pensate che all’improvviso mi sia data alla filosofia, ho solo
rielaborato un concetto che mi piaceva, espresso nei versi di una canzone che
amo. Li riporto per
correttezza: “Tonight I'm gonna get birth naked and bury my old soul / And
dance on its grave” (Long time coming – Bruce Springsteen). Tutto il
testo sarebbe da citare, cmq… ^__-
-
Further on… questa canzone era perfetta per chiudere la storia, perché
come quasi tutte quelle dello zio Bruce è piena di speranza, nonostante tutto,
e voglio dargliene di speranza, al nostro Milo.
E ora, finite le
cose serie, si apre lo spazio dello SFOGO MALUPINO!
1.
Lo ammetto, l’idea di un figone con addosso solo un leggero caftano è
una dei miei pensieri erotici ricorrenti. Che ci volete fare, sono malata…
2.
Scorpio rockstar è un classico, ormai, ma non ho potuto fare a meno del
mio sguardo ma malupino… lo vedete anche voi il suo pancino? L’addominale
tirato? L’ombelico? O_O E via, sono andata definitivamente…
3.
Infine non posso che ribadire il mio amore per Milo, che mi conquistò al
primo sguardo del primo episodio in cui appare ed è sempre rimasto il mio
cavaliere preferito. Del resto non è possibile fare altrimenti, davanti a
cotanto splendore! Sbavatrici del mondo uniamoci!
Bene, asciugandomi
l’ultima goccia di saliva, vi saluto e ringrazio e spero di rifarmi viva
presto in questa sezione, altrimenti a presto sulla pagina degli autori!
Un saluto
grandissimo a tutti!
CrazyCow
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