Grazie a Dio sono riuscita a finirla! Ora, voi siete
autorizzati a lanciarmi contro ortaggi putrescenti, uova marce, parti di
cadaveri in decomposizione e roba simile. Ne avete tutto il diritto. Quando si
entra in crisi è bruttissimo, io sono stata davvero male perché non riuscivo a
finire questa storia e mi rendo conto di aver, probabilmente, perso i lettori
per strada. Non vi chiedo perdono perché, come dice il Boss, i miei peccati
sono tutto quel che ho; vi chiedo solo d’essere clementi, di leggere e, se
possibile, commentare questo ultimo capitolo.
Grazie di cuore, un bacio
Sara
~ Capitolo 16 ~
Josie si sedette sbuffando davanti a Franny; il locale era
il solito dove pranzavano quasi ogni giorno, ma stavolta l’arredatrice quasi
non riconosceva la sua amica. Si disse che probabilmente era per la mancanza di
Orlando, visto che era assente ormai da quasi tre mesi.
Franny osservò meglio l’amica,
nella luce chiara proveniente dalle vetrate del ristorante: era pallida, poco
truccata e aveva l’aria stanca.
“Che ti succede, passerotta?” Le
chiese con premura; Josie roteò gli occhi e sbuffò di nuovo, poi prese il
bicchiere e bevve un sorso d’acqua.
“Per fortuna qui c’è l’aria
condizionata, non lo sopporto questo caldo!” Sbottò l’altra, tirandosi su i
capelli con un fermaglio cinese.
“Dai, sei sbattuta così per via
del caldo?” Replicò stupita l’amica. “Vivi in California da quasi dieci anni!”
Aggiunse, prendendo il menu.
“Ma non è per quello!” Protestò
infastidita lei. “E’ soltanto che non mi sento bene, è da ieri pomeriggio che
ho la nausea.”
Franny alzò gli occhi e la scrutò
per un attimo, ma il cameriere l’interruppe prima che potesse chiederle
qualsiasi cosa. “Che cosa vi porto?” Domandò il ragazzo.
“Per me un’insalata di gamberi in
salsa rosa, pane francese, una fetta di torta di ciliegie con gelato, caffè e
un succo di pompelmo rosa.” Elencò Franny distrattamente, continuando ad
osservare l’amica.
“Lei?” Fece il ragazzo,
rivolgendosi a Josie.
“Per me solo un sandwich al
prosciutto, senza maionese, e un’acqua tonica.” Rispose mogia.
“Veramente, ma che cosa hai?” Le
chiese Fran, quando il cameriere se ne fu andato, posando il mento su una mano
sollevata.
“Avrò mangiato qualcosa che mi ha
fatto male.” Rispose noncurante Josie. “Domenica, con Scott e Deb, siamo andati
al tailandese…”
“Joss, oggi è mercoledì, se ti
avesse fatto male qualcosa saresti già ricoverata!” Sbottò l’amica.
“Forse hai ragione…” Mormorò lei
perplessa, scrutando fuori della vetrata.
“Hey, non sarai mica incinta?!”
Ipotizzò la donna, spalancando gli occhi; l’amica alzò le sopracciglia,
girandosi sorpresa, decisamente non ci aveva pensato. “Non ho mica detto chissà
che, può succedere.” Aggiunse Fran, stringendosi nelle spalle; Josie non diceva
niente, ma aveva un’espressione pensosa. “Fossi in te, farei un test.” Concluse
l’altra, quando le posarono davanti la sua ordinazione; Josie annuì aggrottando
la fronte.
Orlando tornò in California
all’inizio della seconda settimana di settembre; le foto di lui e Josie
all’aeroporto finirono presto sui giornali, confutando le solite voci di una
crisi del loro matrimonio.
A casa li aspettava una bella
festa di benvenuto, con cibo in abbondanza, musica e palloncini, con tutti gli
amici di sempre, compresi Scott, Deb e Fran; praticamente mancava solo Dominic,
ma era giustificato, giacché le riprese del suo ultimo film lo avevano portato
addirittura in Africa. Nell’occasione festeggiarono anche il compleanno di
Josie, anche se era stato una decina di giorni prima; Orlando le aveva portato
un bel braccialetto di smeraldi, comprato in Europa.
Il clamore cessò solo a tarda
sera, era quasi l’una quando Orlando salutò Scott e Deb, gli ultimi ad
andarsene. L’attore chiuse la porta, inserì l’allarme, quindi si girò verso
l’interno; nessuna traccia della moglie. La cercò in cucina, ma non c’era,
guardò in bagno e nella serra, non era nemmeno lì; evidentemente era salita di
sopra. Salì le scale lentamente, dopo aver spento le luci del piano terra.
“Amore?” Chiamò quando fu sulla
passerella.
“Sono in bagno.” Gli rispose la
voce, stranamente atona, di Josie.
Orlando alzò le sopracciglia
perplesso e so diresse verso sinistra, direttamente alla porta del bagno,
invece di passare dalla stanza da letto; rimase sorpreso nel trovare le luci
spente. Le veneziane erano abbassate, ma la luce della luna che filtrava era
sufficiente per distinguere perfettamente la sagoma della grande vasca da bagno
blu.
“Josie.” Chiamò piano.
“Sono qui.” Rispose lei, da un
punto alla sua destra; Orlando si voltò e vide la donna seduta per terra, vicino
al mobile del lavandino. Aggrottò la fronte incredulo.
“Cosa fai lì?” Le chiese.
“Ti devo dire una cosa, siediti.”
Rispose Josie, indicandogli il water.
“Là?!” Replicò stupito lui.
“Sì, perché?” Ribatté tranquilla
lei.
“Ma… ma non c’è lo sgabello, la sedia…”
Fece Orlando, guardandosi intorno.
“Lascia stare, è una faccenda
veloce.” Tagliò corto la donna. “Siediti e falla finita!” Sbottò poi.
Orlando, rassegnato, chiuse il
coperchio del water e si mise a sedere. “Dimmi.” Fece, allargando le mani.
Josie teneva gli occhi bassi e le
braccia intorno alle ginocchia; lui continuava a fissarla incuriosito, ma lei
non parlava; all’attore venne un orribile sospetto e la guardò preoccupato.
“Non stai per lasciarmi di nuovo,
vero?” Le chiese all’improvviso.
Josie alzò la testa di scatto,
allarmata. “No!” Esclamò. “No, no, per l’amor di Dio!”
“E allora?!” Replicò Orlando
preoccupato.
La donna fece un lungo sospiro.
“Per prima cosa, voglio che tu sappia che questa cosa non era programmata.”
Dichiarò; Orlando si fece ancora più dubbioso. “In fondo, dopo il matrimonio,
non è che eravamo stati più molto attenti…”
“Aspetta un attimo.” L’interruppe
Orlando, alzando una mano; lei lo guardò. “Stai cercando di dirmi che aspetti
un bambino?!” Si era sporto, posando le mani ai lati della tavoletta,
fissandola intensamente; Josie annuì. “Da quanto lo sai?” Le chiese quindi.
“Da circa un mese, sono
all’undicesima settimana.” Rispose lei stringendo poi le labbra.
“Perché non me lo hai detto?”
Riprese l’attore, dopo un attimo di silenzio.
Josie fece una smorfia. “Tanto
non potevi tornare…” Rispose poi, quindi alzò gli occhi su di lui. “Ti
dispiace?”
Orlando si alzò per andare ad
inginocchiarsi davanti alla donna e le prese le mani. “Se mi dispiace?” Fece
serio, poi il suo viso s’illuminò in un grande sorriso. “E’ perfetto!” Solo
allora anche Josie perse l’espressione preoccupata e sorrise, abbracciandolo.
“E’ semplicemente perfetto.” Ripeté lui, stringendola a se.
Si alzarono tenendosi per mano e
si scambiarono un breve bacio, mentre Josie apriva la porta scorrevole che
conduceva in camera.
Prima di entrare nel guardaroba,
però, tornò indietro. “Ti amo.” Disse ad Orlando, avvolgendogli un braccio
intorno al collo.
“Ti amo anch’io.” Rispose allegro
lui. “Però non ti vedo da tanto, bisognerebbe che tu me lo dimostrassi…”
Aggiunse malizioso, sfiorandole il profilo del fianco.
“Dici in maniera… un po’ più
fisica?” Ribatté sensualmente lei al suo orecchio; Orlando annuì con sguardo
furbo. “Allora andiamo di là, lupacchiotto…”
La settimana successiva Josie e
Orlando andarono insieme al controllo periodico; il medico della donna sembrava
il classico padre di una sit-com televisiva, di quelle dove il massimo problema
di una famiglia è scoprire il segreto della salsa da barbecue, però era competente
e gentile.
Guardarono l’ecografia tenendosi
per mano, commossi e orgogliosi del loro bambino, anche se era poco più di un
simpatico sgorbietto che dava ostinato le spalle alla macchina; quando il
dottore gli fece sentire i battiti del cuoricino, Orlando partì per il pianeta
del giubilo, decidendo all’istante di comprarsi uno stetoscopio.
Dopo la visita, al momento di
sedersi per sentire le ultime raccomandazioni, l’uomo era ancora euforico,
teneva la mano della moglie, sorridendo tutto eccitato.
“Allora…” Esordì il medico.
“…abbiamo avuto anche i risultati delle analisi…”
Orlando si rabbuiò, spostando lo
sguardo da Josie al dottore. “Quali analisi?” Fece preoccupato.
“Niente di grave.” Lo rassicurò
Josie.
“La signora soffre di pressione
un po’ alta, perciò abbiamo dovuto fare degli accertamenti.” Precisò il
dottore; l’attore, poco convinto, aggrottò la fronte.
“Mi dica.” Incitò invece Josie,
con un cenno del capo.
“Beh, niente di terribile.”
Affermò il dottore, rivolgendosi a lei. “Solo le consiglio di consultare un
dietologo, per una dieta iposodica adatta ad una donna in gravidanza.”
“Certo.” Annuì lei. “Lo farò
subito.”
“Non dovrà prendere delle
medicine?” Intervenne Orlando, sporgendosi verso la scrivania.
“No!” Rispose sorridendo il
dottore. “Se la signora saprà seguire le indicazioni non ce ne dovrebbe essere
bisogno.” Aggiunse; Josie sorrise al marito, che però restò teso.
“Ha qualche altro consiglio?”
Domandò poi la donna la medico.
“Niente di particolare, per
essere una primipara tardiva lei, Josie, sta anche troppo bene.” Le disse
l’uomo, sotto lo sguardo perplesso di Orlando. “Le rinnovo soltanto le cose che
le ho già detto nelle altre visite: tanto riposo, evitare lo stress e mangiare
bene, per il resto se la cava benissimo.”
“Grazie dottore.” Fece la donna,
alzandosi.
“Grazie.” Rincarò Orlando facendo
altrettanto.
“Ah, un’ultima cosa.” Riprese il
medico, prima che se ne andassero. “Io suggerirei, diciamo dalla diciottesima,
ventesima, settimana, di evitare i contatti intimi.”
Orlando si girò verso di lui con
espressione stupita. “Come?”
“Sì.” Annuì tranquillamente il
medico. “Sarebbe consigliabile, data la situazione, astenersi dall’avere
rapporti.” L’attore lo fissava abbastanza attonito.
“Grazie ancora.” Intervenne
Josie, stringendo la mano al medico, che si era alzato. “Arrivederci.” Lo
salutò, poi prese il marito per un braccio e lo portò via.
Nell’ascensore rimasero in
silenzio per alcuni piani; Josie sapeva che Orlando c’era rimasto male, per
quella storia del sesso, già si vedevano così poco, però era anche sicura che
capiva. Sarebbe stata dura per lui, ma era giusto che anche il padre facesse
dei sacrifici.
“Dici che abbiamo fatto qualcosa
di male, in questi giorni?” Esordì ad un certo punto Orlando, senza guardarla.
“Eh?” Fece Josie, girandosi verso
di lui; il marito alzò gli occhi nei suoi.
“Dico a fare l’amore, nei giorni
scorsi.” Spiegò; ecco, cominciava a farsi le seghe mentali…
Josie sospirò allarmata.
“Orlando, ha detto dalla diciottesima settimana.” Gli ricordò.
“Sì, ma…” Replicò lui, tornando a
guardare la pulsantiera dell’ascensore. “…forse, se cominciamo prima è meglio…”
“Scusa, ma non ho intenzione di
cominciare prima.” Proclamò la donna; scese di nuovo il silenzio, stavano per
arrivare al piano del parcheggio.
“Che cos’è una primipara
tardiva?” Domandò Orlando, poco prima che si aprisse la porta, con lo stesso
tono di un bambino che chiede alla maestra cos’è un ornitorinco.
“Sono io.” Rispose la moglie, lui
la guardò. “Sono le donne che hanno il primo figlio tardi, come me, che ho
trentacinque anni.” Gli spiegò.
“Ah…” Fece solo lui, e la sua
espressione disse a Josie che il tormento era appena cominciato; infatti…
“Oh, ma che fai, guidi?!” Esclamò
Orlando, quando al parcheggio vide Josie salire in macchina al posto di guida;
accorgendosi che lei non rispondeva salì di corsa dal lato passeggero. “Joss!”
Sbottò quindi, esortandola a rispondere; lei sbuffò.
“Certo che guido, è la mia
macchina.” Rispose poi con tono infastidito; lui si era messo a fare le
paranoie, se lo aspettava, ma restava comunque un suo atteggiamento che non
sopportava.
“Io non credo che dovresti.”
Replicò Orlando serio, restando mezzo voltato verso di lei. “E’ stressante e le
cinture di sicurezza possono essere pericolose per chi è nel tuo stato.” Spiegò
poi.
“Sì, possono essere molto più
pericolose non mettendosele proprio!” Ribatté scocciata Josie. “E poi, quante
storie, per neanche mezz’ora di strada!”
“Sì, ma c’è da fare la Highway.”
Precisò lui con un gesto.
“Santo cielo, Orlando, la faccio
tutti i giorni!” Protestò scocciata la donna, mentre si metteva le cinture.
“Ora è diverso.” Affermò
l’attore, continuando a stare girato verso la moglie. “Hai sentito il dottore,
devi evitare lo stress e la fatica.” Continuò solenne.
Josie spalancò gli occhi
allibita. “Sono incinta, non handicappata!” Esclamò quindi, poi mise in moto.
“Io sto benissimo, mi è passata anche la nausea.” Aggiunse, mentre ingranava la
marcia e partiva. “E mettiti la cintura, che poi fanno la multa a me!”
Orlando, grugnendo di
disapprovazione, si accomodò sul sedile e allacciò la cintura di sicurezza.
“Come al solito sei sempre tu che vuoi avere ragione, ma al nostro bambino non
ci pensi? È per la sua salute che devi stare riposata, e anche per la tua.”
Dichiarò poi.
Josie sospirò, mantenendo gli occhi
sulla strada. “Vuoi che non ci pensi? Certo che lo faccio! Ma non credo che
mezz’ora di strada possa creare catastrofi irrimediabili.” Rispose.
“E come fai a saperlo?” Replicò
immediatamente il marito, girandosi verso di lei. “Guarda che può bastare un
piccolo incidente, un tamponamento, un ingorgo sotto il sole, o roba così.”
“Oh, benedetto te!” Esclamò
esasperata la donna. “E’ inutile che fai liste di tragedie…” Proseguì
gesticolando con una mano. “…perché se è per quello sono sufficienti le scale
di casa!”
“Ecco!” Intervenne lui, alzando
l’indice e interrompendola. “A questo proposito, secondo me, sarebbe meglio
creare una camera al piano di sotto…”
La donna si girò a guardarlo con
gli occhi di fuori. “Fai questa cosa, Orlando, e io scappo di nuovo.” Lo
minacciò.
“Ma non puoi fare sempre così, e
che cazzo!” Esclamò l’attore, allargando indignato le mani.
Josie accostò, parcheggiando nel
primo posto disponibile lungo una strada affollata. “Senti, io non ho
intenzione di rinunciare al mio letto, al mio bagno, al mio guardaroba…”
“Sarà solo per un periodo.”
L’interruppe lui. “Ci compriamo uno di quei bei letti anatomico-ortopedici, che
si muovono col telecomando, il maxi schermo c’è già, e costruiamo un guardaroba
nel fondo del corridoio, tanto c’è spazio…” Spiegava tutto con l’aria più
tranquilla del mondo, come se lo vedesse già davanti a se, mentre lei lo
fissava attonita.
“Ti rendi conto, vero, di aver
pianificato i prossimi sei mesi?” Gli domandò incredula.
Orlando la fissò seriamente. “Sì.” Annuì poi. “Ma l’ho
fatto per te, amore mio, questo sarà il periodo più delicato e bello della tua,
della nostra, vita e voglio che lo passi con serenità.”
“E’ molto bello da parte tua,
considerando che hai fatto tutto in meno di dieci minuti...” Commentò sarcastica
Josie, poi la sua espressione s’indurì. “Possibile che, da quando ti conosco,
ogni volta che vorrei prendere qualcosa con calma, tu mi trascini nei vortici
del tuo «entusiasmo»?”
“E’ perché mi ami, Josie.” Proclamò lui, con un’espressione tra il serio
e il divertito.
“Ma vaffanculo!” Sbottò lei, dandogli una spinta, proprio in quel momento
un flash da fuori il parabrezza accecò entrambi.
Quando i loro occhi tornarono a
vedere, e furono scomparsi i cerchi bianchi e viola, si materializzò l’autore
del gesto: un fotografo piuttosto soddisfatto che si allontanava tranquillo.
“Che faccio, esco e gli spacco la
macchina fotografica sulla testa?” Chiese Orlando poco convinto, ma Josie non
gli rispose perché si era messa a ridere, immaginando i titoli dei giornali.
“Ma lascialo stare, dovrà pur
campare!” Gli disse ridendo; lui fece una smorfia sofferta, poi sbuffò,
appoggiandosi allo schienale.
“Certo che dici a me, ma pure tu,
sei matta come un cavallo…” Affermò piano, cercando di non ridere a sua volta.
“Riusciremo mai a concludere una
discussione arrivando a qualcosa?” Fece però Josie, smettendo; Orlando si girò,
trovando i suoi occhi grigi che lo fissavano.
“Temo di no.” Rispose, con un
mezzo sorriso. “Ma tu prometti che ci penserai?” Le chiese poi.
“Vabbene.” Annuì lei, mentre
rimetteva in moto; il tono, però, era quello di uno che ti da ragione tanto per
fare.
Una settimana dopo Josie partì
per la Francia, voleva andare a trovare la madre fin tanto che le era permesso
prendere l’aereo; tornò più o meno dieci giorni dopo: i lavori in casa erano
conclusi, dovevano solo consegnare il letto nuovo. La donna si trasferì a casa
di Franny.
Ad Orlando ci vollero tre giorni,
ed una grossa dose di pazienza, per riportarla a casa, ma riuscì a strapparle
un compromesso: sarebbe salita, lentamente, al piano superiore della loro casa
una volta al giorno, avrebbe fatto tutto il necessario, poi sarebbe di nuovo
scesa dabbasso. E la disputa si appianò.
Così, tra partenze e ritorni,
prime mondiali, passerelle e interviste, le settimane passarono piuttosto
velocemente. Josie frequentò un gruppo per il sostegno della gravidanza (niente
di che, solo riunioni in cui le donne incinte si scambiavano pareri e
consigli), che le fu molto utile; la donna fece anche un corso di preparazione
al parto, quando c’era andava con lei Orlando, altrimenti era degnamente
sostituito da Fran.
Non mancarono le varie paturnie
di ogni gestante: oltre a dover gestire la sua pressione alta, le presero
stranissime voglie, tipo per misteriosi quanto introvabili formaggi francesi, o
gelati dai gusti più fantasiosi, senza contare che si mise ad ascoltare, a
ripetizione, tutti i dischi di Johnny Cash (*).
Orlando, ad un certo punto, preso
dalla disperazione, la supplicò di mettere su qualcosa di diverso, fossero stati
perfino i Village People.
Josie, ad ogni modo, non si fece
mai prendere da eccessive paranoie: faceva i suoi controlli regolari, stava
attenta alla dieta, riposava molto, ma del resto, quando Orlando era in casa,
non le permetteva di muovere letteralmente foglia, infatti, era lui ad
occuparsi anche delle piante.
Era una tiepida sera d’inizio
dicembre, quando Orlando, dopo aver chiuso le tende del lato posteriore della
casa, andò a sedersi sul divano accanto alla moglie; le passò un braccio
intorno alle spalle e lei si appoggiò contro la sua spalla, continuando a
spippolare col telecomando.
“Che si fa?” Domandò l’attore;
non che ci fossero molte possibilità, visto che Josie doveva riposare non
facevano da tempo vita mondana.
Josie non lo guardò, continuando
a cambiare canale. “Non lo so… stasera danno in replica l’episodio del Tenente
Colombo con Johnny Cash…” Suggerì, restando in attesa dell’inevitabile reazione
del marito.
Orlando si scostò di scatto,
spalancando gli occhi, con un’impagabile espressione inorridita, che faceva
assumere una smorfia buffa ai suoi lineamenti. “No, ti prego, ti prego, no,
basta Johnny Cash, ti prego!” Esclamò.
La donna ridacchiò. “Stavo
scherzando!” Replicò, dandogli una piccola spinta; Orlando sospirò di sollievo,
allargando le braccia e rilasciando il capo sulla spalliera del divano. “Che
scemo sei!” Gli fece lei.
L’uomo alzò subito la testa.
“Scemo? No, non sono scemo, sono terrorizzato, questa fissa per il re del
Country mi ucciderà!” Protestò gesticolando. “Qualche suggerimento
alternativo?” Domandò quindi, fissando al moglie.
“Beh…” Rispose lei, guardando
altrove. “…tu potresti permettermi di salire su e farmi un bell’idromassaggio
nella mia vasca…”
“Joss…” Ribatté subito lui,
sedendosi dritto. “…abbiamo l’idromassaggio anche nella doccia, qui sotto, non
vedo perché, l’ultima volta il dottor Merrit…”
“Ohhh, dai!” L’interruppe Josie.
“Non è la stessa cosa, e poi farò piano piano, verrai con me, dai… ci facciamo
un bel bagno insieme, è tanto tempo che…”
“No, ferma.” Le ordinò lui,
sollevando una mano. “Non puoi chiedermelo così! Sono mesi che non… insomma,
cazzo, così me lo ricordi, io sto cercando di essere virtuoso e non pensarci,
ma, porca miseria, tu mi fai questa vocina erotica!” Esclamò agitato, lei lo
fissava sorpresa e divertita, dalla sua espressione soprattutto.
“Scusa…” Azzardò Josie, finito lo
sfogo. “Forse, in questo periodo, potresti arrangiarti in maniera autogestita…”
Suggerì quindi.
Orlando la fissò con gli occhi di
fuori. “Ah, sì?” Le fece, lei annuì. “Come cazzo credi cha abbia fatto finora?”
Josie lo fissò per un attimo, attonita, poi scoppiò a ridere.
“Noo, dai… giura…” Mormorò
incredula.
Lui, un po’ imbarazzato, si
grattò la nuca, guardandosi intorno. “Beh, ma… sempre pensando a te…”
“Vorrei ben vedere!” Intervenne
lei, poi lo prese per il collo e lo trasse a se, per baciarlo sulla guancia.
“Sei un tesorino dolce, ma adesso vieni con me, sei stato troppo da solo,
ultimamente…” Gli sussurrò all’orecchio, e così lo convinse definitivamente.
Più tardi erano immersi nella
grande vasca blu, l’acqua gorgogliava intorno a loro con un dolce profumo di
arancia e cannella; Orlando si appoggiò sospirando al bordo e Josie gli fu
subito accanto, adagiandosi contro il suo torace, lui le massaggiò piano il
collo e poi la baciò sulla nuca.
“Perché non ci abbiamo pensato
prima?” Le sussurrò all’orecchio.
“Non lo so…” Rispose dolcemente
lei. “Saresti stato certamente più tranquillo…” Aggiunse maliziosa; entrambi
risero piano.
Orlando la strinse a se, facendo
scorrere le mani sulle sue braccia, fino a raggiungere il pancione, che
affiorava dall’acqua; Josie gli permise di toccarlo, quindi lui prese ad
accarezzarlo dolcemente, mentre la moglie metteva le proprie mani sulle sue. Si
rilassarono, e lei socchiuse gli occhi, reclinando il capo sulla spalla del
marito.
“Quando arriva tua madre?” Le
chiese Orlando poco dopo.
“Dopo le feste, l’otto o il nove
di gennaio.” Rispose Josie; nel frattempo non si fermava la carezza sulla
pancia.
“Bene, preferisco che ci sia
anche lei, gli ultimi tempi.” Affermò lui, annuendo.
“Sono felice che tu abbia
accettato di farla venire.” Gli disse la moglie.
“Ma scherzi? Adoro tua madre, e
tu ne hai bisogno.” Ribatté tranquillo l’uomo.
“Sei un angelo…” Soggiunse lei,
voltando il viso e dandogli un bacio sulla guancia. “Senti…” Riprese poi. “…io
vorrei venire alla cerimonia dei Golden Globes.”
Orlando la scostò un po’ da se,
per guardarla negl’occhi. “Ma dai, non vedo perché, sarai quasi di nove mesi,
non capisco perché farti una faticata simile.” Ribatté quindi.
“Ma quale faticata?!” Sbottò la
donna. “Dovrò solo mettermi un vestito elegante, salire su una limousine,
precorrere un breve tappeto rosso e sedermi su una bella poltrona!” Lui la
fissava contrariato. “Avanti! Se vinci voglio esserci!”
“Potrei anche accettare, ma…”
Replicò infine lui, serio. “…promettimi che se vinco non me lo scodelli lì a
causa dell’emozione.”
Josie sorrise divertita, poi gli
carezzò il viso. “Tranquillo, non ne ho l’intenzione…” Gli disse quindi, con
dolcezza; Orlando annuì compito.
“Bene, quindi, niente scherzi…”
Mentre pronunciava queste parole, però, sentì una specie di colpetto sotto la
mano, ancora posata sul ventre della moglie; spalancò gli occhi. “Che cos’è?!”
Esclamò sorpreso.
La donna rise. “Orlando, è il
bambino! Non è mica la prima volta che lo senti!”
Lui si scostò con espressione
indignata. “Certo.” Ammise. “Ma c’erano sempre i vestiti, è molto diverso!”
Aggiunse, poi rimise le mani dove prima e si rivolse direttamente al pancione.
“Dai, fallo ancora!” Incitò.
“Ma Orlando!” Intervenne Josie,
che rideva ancora. “Non funziona mica così, a comando!”
“Io sono suo padre, deve darmi
retta!” Ribatté deciso l’uomo. “Forza!” Questo comando sembrò sortire un
qualche effetto, infatti, il bambino si mosse di nuovo. “Evvai!” Esultò
Orlando; sua moglie continuava a ridere.
La notte del 14 gennaio si teneva
la cerimonia dei Golden Globes, cui Orlando era candidato; il tappeto rosso era
pronto, le telecamere ed i teleobiettivi erano posizionati, le limousines si
succedevano davanti all’entrata. In una di queste c’erano anche Orlando e
Josie; lui osservava compiaciuto la sua splendida compagna, perfetta nel suo
elegante vestito giallo pallido, confezionato apposta per lei da un famoso
stilista, dopo che l’aveva conosciuta per caso ed eletta, parole sue, “la più
bella donna incita che abbia mai visto”.
Non erano in silenzio,
ovviamente, ma stavano discutendo del nome per il loro pargolo in arrivo, come
erano soliti fare quando la conversazione languiva.
“A me piacerebbe James.” Affermò
Orlando.
“James?!” Replicò lei. “James
Bloom, dai, fa tanto piccolo lord…” Aggiunse con disappunto.
“Ma si può sapere cosa vuoi? Non
te ne piace uno, di quelli che propongo io!” Sbottò l’attore.
“Per forza.” Riprese Josie. “Tu
sei così inglese.”
“E cosa c’è di male, scusa?”
Ribatté il marito, con un’espressione vagamente offesa. “Proponi qualcosa tu,
allora.”
Lei lo guardò tranquilla,
girandosi leggermente sul grande sedile. “Se è una femmina, mi piacerebbe
Clementine.” Dichiarò, calcando sulla pronuncia francese del nome.
Orlando spalancò gli occhi
incredulo. “Che cavolo di nome sarebbe Clementine?!” Esclamò.
“Che cavolo di nome sarebbe
Orlando?” Ribatté la moglie.
“Senti.” Fece lui, alzando una
mano. “Per lo meno il mio ha un’origine letteraria…” Aggiunse offeso, prima di
darle le spalle torcendo il busto sul sedile della macchina; Josie trattenne
una risatina, non sarebbe cambiato mai.
“Siamo arrivati.” Gli comunicò
poco dopo, provocando la trasformazione di Orlando, che indossò il suo più
smagliante sorriso, appena prima che un addetto gli aprisse la portiera.
Fu lo stesso attore ad aiutare la
moglie a scendere, sotto i flash dei fotografi e le urla dei fan; quindi
l’ammirata coppia percorse il tappeto rosso. Josie concesse ad Orlando il
giusto tempo per i suoi ammiratori, mentre lei salutava i pochi conoscenti,
precedendolo verso l’entrata.
“Orlando, dicci, sei felice di
essere qui stasera?” Gli chiese una giornalista della tv.
“Oh, sì!” Rispose lui. “Sono
candidato a questo prestigioso premio, e per me è già una vittoria…” Aggiunse,
rispolverando un vecchio luogo comune. “…ieri era il mio compleanno e sto per
diventare padre, cosa posso chiedere di meglio?!”
“Credi di vincere?” Continuò
l’intervistatrice.
“Sento che questa sarà una notte
speciale, per me.” Affermò l’attore.
“Grazie, e salutaci la tua
splendida moglie, cui facciamo i complimenti per il bellissimo abito!”
“Non mancherò, ne sarà felice!”
Quando finalmente Orlando riuscì
ad entrare, si accorse subito di qualcosa che non andava; c’era un capannello
di persone in un angolo, sulla destra, e, contrariamente a quanto concordato,
non vedeva Josie ad aspettarlo. Allarmato si diresse subito verso il gruppetto
e, quando vide prima Dom con espressione preoccupata e poi un lembo di stoffa
giallina comparire tra le gambe dei presenti, capì subito cosa stava
succedendo.
“Josie?!” Chiamò, facendosi largo
tra le persone.
La donna era seduta e c’era
Monaghan che le teneva la mano sinistra, mentre con la destra si reggeva la
pancia; alzò subito lo sguardo sofferente sul marito.
“Orlando… credo di dover chiamare
mia madre…” Mormorò, prima dell’ennesima contrazione.
“Ma non pensare a tua madre,
perdio!” Esclamò lui, prendendole la mano che gli porgeva. “Pensiamo ad
un’ambulanza piuttosto!” Aggiunse con urgenza, e gli uscì fuori un accento che
più inglese non si può.
Una volta guadagnato il mezzo
medico, i due sposi, invece di preoccuparsi delle contrazioni sempre più
frequenti, diedero atto ad una discussione sull’opportunità di far tagliare via
al paramedico il vestito di dosso a Josie con le forbici; la donna si oppose
fermamente e, nonostante i dolori del travaglio e le proteste di Orlando, li
convinse a toglierselo in maniera tradizionale.
All’ospedale le cose si fecero
più semplici: il dottor Merrit, prontamente avvertito, era già lì, Josie si era
un po’ calmata, mentre Orlando, naturalmente, no. Fecero, comunque, sistemare
la donna in una camera singola e quando, dopo i vari controlli preliminari, fu
accertato che non si trattava di un falso allarme, la condussero in sala parto.
Nonostante lei lo sconsigliasse, Orlando volle essere presente, quindi lo
fornirono di camice, cuffietta e copri scarpe perché potesse farlo.
“Dottore… dottore… Ah!” Diceva
Josie, mentre intorno a lei si muovevano infermiere e ostetriche, nel classico
caos di una sala parto. “Dottore, lo faccia andare via… uhuh! …La prego…”
“Ma vuoi smetterla!” Protestò il
marito tenendole la mano. “Io sto benissimo e voglio restare!”
Lei, sudata e affannata, non lo
degnò di attenzione. “Dottore, mi dia retta… ah! Oh, mio Dio!! …Si sentirà
male, è troppo emotivo… Oddio!”
“Signora Bloom, la prego.”
Intervenne calmo Merrit, dalla sua postazione tra le gambe di Josie. “Cerchi di
concentrarsi sul respiro, e spinga quando glielo dico io.”
“Ecco, dai retta al dottore!”
Esclamò subito Orlando; per tutta risposta Josie strappò la mano dalla sua e
brandì un minaccioso pugno, gonfiando le gote.
“Tu non hai idea di che cosa sto
passando!” Gli gridò contro. “Ci manchi solo tu che svieni in sala parto,
maledetta la miseria! …ahhhhhhhhh!!!” L’urlo finale la fece tornare a dedicarsi
al parto.
Ma Orlando non si fece cogliere
in fallo e reagì. “Porca puttana, Joss, ma per chi cazzo mi hai preso, eh? Non
farmi incazzare ora...”
“Spinga, spinga!” L’interruppe
l’incitamento del dottore. “Forza ora, che si vede la testa!”
Orlando si girò nella direzione
del medico, la sua espressione accigliata di poco prima si trasformò in
entusiasta; riprese la mano della moglie con occhi sparluccicanti.
“Hai sentito?! Si vede la testa!”
Le disse preso dalla gioia, poi la lasciò e si diresse a lunghi passi verso
Merrit, mentre lei scuoteva il capo preoccupata. “Si vede la testa!” Proclamò
ancora una volta, raggiungendo l’uomo. “Si vede la…” Fece, mentre spostava lo
sguardo.
Josie, impegnata coi lancinanti
dolori e le spinte, lo vide solo sbiancare di colpo e riuscì, prima
dell’ennesima e più forte contrazione, a chiedere ad un’infermiera di porgergli
uno sgabello.
I successivi, e decisivi, minuti,
l’attore li passò tenendole la mano a capo basso, seduto mestamente su uno
sgabellino regolabile, il volto cereo.
Quando, però, Merrit, con voce
entusiasta, annunciò: “E’ femmina!” Orlando balzò in piedi, ancora stringendo
la mano della moglie; i neogenitori si scambiarono, quindi, uno sguardo commosso,
mentre i primi vagiti della neonata si spandevano nella stanza.
“Vuole tagliare il cordone,
Signor Bloom?” Gli domandò timidamente un’infermiera; lui annuì.
Josie attirò la sua attenzione
stringendogli la mano. “Te la senti davvero?” Gli chiese preoccupata.
“Sì, voglio farlo.” Rispose
sicuro Orlando annuendo, quindi la lasciò e si avvicinò all’infermiera che gli
consegnò l’apposito attrezzo.
L’uomo si avvicinò con mano
tremante al cordone tenuto dal dottore e si soffermò un attimo a guardare la
bambina; la sua pelle era ancora sporca e si dimenava come arrabbiata, coi
pugni stretti ed il viso contratto in una smorfia buffa. Gli occhi erano
chiusi, ma dimostrava già carattere… e aveva un bel cesto di capelli! “Qui.”
Gli disse Merrit indicando il punto dove tagliare e lui lo fece.
L’emozione, poi, arrivò
all’improvviso. Guardò Josie e non riuscì più a fermare le lacrime.
Josie si svegliò che albeggiava.
Non era mai stata una dormigliona, ma dopo il parto lo era ancora meno; forse
il suo organismo si stava già adattando la ritmo che avrebbe dovuto avere nei
mesi prossimi con la bambina a casa, con brevi sonni alternati a sveglie
ripetute e improvvise.
La donna si girò verso la grande
finestra. Orlando era lì, in piedi, che guardava fuori, con tra le braccia una
fagottino rosa che lui cullava senza sosta. Josie sorrise, finalmente la
potevano tenere in braccio; dopo la nascita, infatti, la bambina era stata
messa per precauzione in incubatrice, visto che comunque, se pur di poco, era
prematura. Ma visto che ora era in camera sua, il dottore doveva aver
autorizzato lo spostamento. Significava che sua figlia stava bene, ora poteva
rilassarsi davvero.
“Santo cielo, la vizierai.”
Affermò ironica la donna.
Il marito si girò verso di lei
aggrottando la fronte. “Ci puoi giurare!” Proclamò serio, poi, però, le sorrise
con dolcezza. “Buongiorno amore.” Le disse e si avvicinò al letto.
“Buongiorno a voi.” Replicò
Josie, allungando subito le braccia per prendere la bambina. “Quando l’hanno
portata?” Domandò ad Orlando, quando l’ebbe tra le braccia e dopo averle fatto
un po’ di smorfiette; lei sembrava un po’ insonnolita.
“Poco fa, non ho voluto
svegliarti.” Rispose lui.
“Di’ la verità… volevi godertela
in tutta tranquillità…” Fece Josie provocatoria.
“Beccato!” Ammise subito Orlando;
entrambi guardavano con adorazione la bambina. “Ma non ci posso fare nulla, mi
ha incantato! Ha un così buon odore e… guarda, ha tantissimi capelli!”
Josie ridacchiò, carezzando la
testolina capelluta della figlia; era vero, aveva folti capelli scuri, ma
sarebbe stato strano il contrario, visti i genitori.
“L’ho detto a tutti che ha tanti
capelli, e che è bellissima.” Raccontò orgoglioso Orlando. “Mi madre continuava
a chiedermi come stavate e io a ripeterle che era bellissima!”
Era così tenero e entusiasta che
Josie non poté trattenersi dal fare una carezza anche a lui; per tutta risposta
Orlando le baciò la mano.
“A proposito.” Chiese quindi la
donna. “Quando arriva tua madre?”
“Sarà qui giovedì.”
“Bene.” Annuì la moglie. “E la
mia?”
“Torna nel pomeriggio.”
“Ma che perfetto organizzatore!”
Commentò Josie scherzosa; lui rise e, stavolta, si baciarono sulle labbra.
“Ho parlato anche con Robin,
sai.” Affermò l’uomo, non senza titubanza, sapeva perfettamente che sua moglie
e la manager non andavano proprio d’accordo.
“Ah.” Fece soltanto lei.
“Sostiene che dovremmo vendere le
prime foto della bambina al miglior offerente, ha già avuto alcune richieste,
e…”
Josie alzò gli occhi con uno
sguardo che avrebbe fatto impallidire l’esorcista; Orlando ritirò la testa
allarmato, anche se sospettava una reazione del genere.
“Orlando.” Esordì quindi la
donna. “Se osi fare una cosa del genere…” Lo minacciò. “Cristo santo, è nata da
neanche due giorni e già me la volete sbattere in copertina!” Continuò feroce,
ma senza alzare la voce per non disturbare la bambina. “Tu lo sai che sono
contraria alla mercificazione degli esseri umani… anche a quella degli animali,
quindi, figuriamoci di mia figlia…”
“Ho rifiutato.” L’interruppe lui,
mentre la guardava con tenerezza.
Josie spalancò gli occhi
sorpresa. “Ah, sì?” Lui annuì. “Oh, io ti amo!” Proclamò allora lei, che gli
avrebbe buttato le braccia al collo, se solo non avesse avuto la bambina.
“Lo so.” Gongolò l’attore, poi
tornò a coccolare la figlia. “Ma guarda che carina, abbiamo fatto proprio un
bel lavoro… uh, sì! Sei una chicchetta! Ha il mio naso, non trovi?”
“Omioddio, no!” Esclamò Josie,
scoppiando poi a ridere.
“Oh, ma che cazzo ridi?!” Sbottò
lui, finto offeso. “Avevo un naso bellissimo, prima di romperlo!” Ma presto
rise anche lui. “Sei sempre la solita stronza!”
Quando riuscirono a smettere di
ridere, si ritrovarono a guardarsi negl’occhi, mentre alle loro spalle
cominciava a splendere una limpida mattina californiana.
“Come la chiamiamo, allora?”
Domandò Orlando; Josie sospirò, poi baciò il capo della bambina.
“Ieri sono andata a vederla
nell’incubatrice, sono rimasta lì per un po’ e poi, quando sono tornata in
camera, mi sono messa a riflettere.” Lui l’osservava incuriosito. “Senti…”
Josie alzò i suoi occhi grigi in quelli nocciola del marito. “…che ne pensi di
Mercy?”
“Hmm, Mercy… non è che lo hai
scelto perché ti ricorda le canzoni del Boss?” Ipotizzò malignamente Orlando;
lei guardò altrove, grattandosi imbarazzata un sopracciglio. “Mi piace, sì.”
“Ti piace?!” Esclamò subito la
moglie girandosi verso di lui; l’attore confermò annuendo. Si abbracciarono
delicatamente, tenendo tra loro la bambina, e si baciarono.
In quel momento bussarono alla
porta e si fece avanti una rubiconda e sorridente infermiera. “Buongiorno,
signori.” Li salutò la donna. “E’ l’ora della prima poppata.”
Mercy Elizabeth Bloom fu
battezzata nel mese di marzo, alla presenza di una ristrettissima cerchia di
parenti e amici, i padrini furono Fran e Scott e la festa si svolse nella
tenuta in Provenza.
Le foto esclusive dell’evento
furono pubblicate solo sul sito ufficiale dell’attore, pronte per essere
liberamente scaricate di chi lo avesse voluto, come da volontà di Josie. La
famiglia felice continuò a vivere nella casa di Bel Air.
EPILOGO
New York – meno di due anni dopo.
Molti assicuravano che l’autunno
era la stagione perfetta per una città come la Grande Mela; potevi camminare
senza fretta tra le foglie dorate di Central Park, con in mano una cialda belga
bollente ricoperta di panna, oppure passeggiare lungo la Quinta, sbirciando le
vetrine e quelli che si potevano permettere di fare compere in quella patria
del lusso.
Era appunto davanti alla libreria
più esclusiva della Quinta Strada che una ragazza bionda in cappottino giallo
stava fumando nervosamente. Fece l'ultimo tiro, poi gettò la cicca e la spense,
schiacciandola con i suoi sandali gialli coordinati. Questa cosa la doveva
proprio fare.
Entrò. La calca ormai si era
diradata, si avvicinava l’ora della chiusura ed il clamore per quella
presentazione era finito. La ragazza prese una copia del libro e si mise
diligentemente in fila, dietro alle ultime quattro o cinque persone che
volevano la dedica dell’autrice.
Lei sedeva dietro ad una elegante
scrivania antica, con accanto una tipa scialba, forse la sua assistente.
Portava un maglioncino rosa a collo alto, i capelli scuri tagliati corti e
quell’aria sofisticata e gentile che aveva sempre, che fosse ad un barbecue o
ad una prima internazionale.
“Salve.” Fece la ragazza bionda,
quando venne il suo turno.
Josie, dopo aver porto la copia
del suo libro a quello che la precedeva, alzò gli occhi su di lei, sorridendo,
ma si fece subito seria. “Kate…” Mormorò stupita. “Cosa ci fai qui?” Le chiese
poi.
“Beh…” Rispose l’altra, con
noncuranza. “Ho letto su Vanity Fair che presentavi il tuo nuovo libro, così…
non ti avevo mai vista così da vicino.”
Josie si alzò. “Capisco.” Le
disse; in realtà si sentiva molto imbarazzata, erano passati quasi cinque anni
dalle vicende che le avevano coinvolte, ma lei si sentiva ancora vagamente in
colpa.
“Ho letto il tuo libro…
quell’altro, sul Medioriente, e devo dire che sei brava, non credevo.” Affermò
Kate, girandosi tra le mani il nuovo volume; il suo tono, però, non era quello
di un complimento.
“Grazie.” Replicò comunque Josie;
questo aveva tutta l’aria di essere quel confronto mancato anni prima.
“Mi è anche capitato di leggere
alcune cose di te.” Continuò vaga la bionda, come se le fosse successo davvero
per caso. “Sembra che le cose ti vadano piuttosto bene, critico affermato,
scrittrice in ascesa, mammina perfetta…” Stava diventando lievemente più acida.
“…compagna discreta…”
“Sì, la mia vita è bella.”
Ribatté Josie, che stava ancora studiando l’avversaria, perché tanto era di
questo che si trattava.
“So anche che ultimamente vivete
qui, a New York.” Riprese Kate, aggiustandosi un boccolo ribelle.
“Orlando è impegnato a Broadway,
recita nell’adattamento teatrale di Viale del tramonto.” Affermò la bruna,
impedendo all’altra di continuare.
“Sì, lo so.” Fece bruscamente
Kate, lanciandole un’occhiata tagliente. “È anche candidato al Tony, se non mi
sbaglio…” Certo che non si sbagliava, perché a questo punto era chiaro, seguiva
le loro vite attraverso i tabloid. “Ma dimmi, come fai?!” Domandò
all’improvviso la bionda, con falso entusiasmo.
“A fare che cosa?” Replicò
interdetta Josie; ma dove voleva andare a parare quella?
“Ma a fare tutte queste cose, a
lavorare, a scrivere, a fare la mamma, è impegnativo, no?” Ribatté l’altra,
sbatacchiando le lunghe ciglia.
“Beh, certo che lo è.” Rispose
Josie seria. “Devo fare dei sacrifici, ma sono tutte cose cui non saprei
rinunciare.” Spiegò quindi; Kate le sorrise mielosa.
“Fai benissimo!” Esclamò quindi, portandosi una mano al
cuore e con l’altra toccando Josie. “Anch’io ho fatto dei sacrifici, sai? Ho
voluto finire gli studi e mi sono laureata, nonostante una carriera, e lo
saprai, che non mi ha dato respiro, ma orami sento così realizzata!” Raccontò
entusiasta. “Ho recitato in campioni d’incassi, il mio fidanzato, come saprai,
è un importante produttore e siamo molto felici, pensiamo di sposarci presto e,
non dovrei dirlo, ma le proposte di lavoro fioccano!”
La buona educazione imponeva a
Josie di complimentarsi di tutte quelle meravigliose esperienze, nonostante una
sua vocina interiore le dicesse che erano parecchio gonfiate, ma c’era una
parte di se stessa che avrebbe voluto colpirla con una calcio volante degno di
un cartone giapponese e spedirla a fare la nanna tra inutilissimi volumi di
cucina e viaggi.
“Guarda, Kate…” La interruppe
mentre stava magnificando il suo adorabile fidanzato. “Sono davvero molto,
molto, contenta per te, ma si sta facendo tardi, vuoi venire al punto?” Sapeva
che doveva esserci un punto.
Kate alzò gli occhi in quelli di
lei, che era notevolmente più alta, e sorrise di sbieco. “Tutto questo era per
dimostrarti che, nonostante quello che hai fatto, io non mi sono arresa, la mia
vita non è stata certo rovinata da te e da quell’altro.” Affermò acida. “Io adesso
ho tutto quello che volevo, e tu, in fondo, che cosa hai ottenuto?”
Josie era perplessa. “Io non ho
mai avuto niente di personale contro di te, Kate.” Le disse tranquillamente.
“Mi sono solo innamorata di Orlando e lui di me.” Aggiunse. “Non so cosa
pensavi che cercassi di ottenere, ma adesso ho una bellissima bambina… ha gli
occhi di Orlando.” Kate sembrava diventata di ghiaccio, probabilmente non
sapeva cosa rispondere. “Ti augurò tutta la felicità di questo mondo.” Le disse
con sincerità. “Io ce l’ho già.” Concluse, senza rancore.
Si fissarono negl’occhi per un
lungo istante “Addio.” Rispose quindi Kate, fredda, poi girò i tacchi e
s’incamminò verso l’uscita.
Orlando stava arrivando in quel
momento dall’entrata posteriore, con Mercy in braccio ed il cane al guinzaglio;
vide la ragazza che andava via e la riconobbe subito. Seguì i suoi passi con la
fronte aggrottata, finché lei non uscì dal negozio, poi si avvicinò alla
moglie.
“Ma quella non era…” Fece,
cercando di indicare l’uscita con un dito libero.
“Sì, era lei.” Rispose Josie
abbracciando lui e la bambina.
“Che cosa ti ha detto?” Domandò
preoccupato Orlando, ricordando con orrore il suo ultimo incontro con Kate
finito K.O..
“E’ molto felice.” Affermò la
donna.
“E tu?” Ribatté lui.
“Oh, lo sono anch’io!” Proclamò lei dandogli un bacio, poi
gli prese la figlia dalle braccia. “Andiamo a casa, ora.” Suggerì poi; Orlando
annuì sorridendo, quindi le passò un braccio intorno alle spalle e
s’incamminarono insieme.
I got somethin’ in my heart, I been waitin’ to
give
I got a life a wanna start, one I been waitin’
to live
No more waitin’...
(Leah – Bruce Springsteen)
~ FINE ~
Questo è il meglio che sono
riuscita a fare. Il mio ringraziamento più sincero va a tutti coloro che hanno
commentato (e commenteranno) questa storia. Una menzione meritano anche coloro
che l’hanno solo letta. Una nota particolare per Moon che, a seguito di minacce
di morte, mi ha spronata a finire la ff, grazie cara!
E ringrazio Bruce Springsteen
di esistere e di scrivere le sue meravigliose canzoni. Che dio ti benedica, Zio
Bruce!
Ciao a tutti!
Sara