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Autore: CowgirlSara    07/09/2005    0 recensioni
Un rigido e tagliente critico cinematografico, una recensione a dir poco cattiva, un attore incavolato, una donna algida ed elegante, dubbi, parole, scherzi del destino.
Genere: Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Orlando Bloom
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Josie si sedette sbuffando davanti a Franny; il locale era il solito dove pranzavano quasi ogni giorno

Grazie a Dio sono riuscita a finirla! Ora, voi siete autorizzati a lanciarmi contro ortaggi putrescenti, uova marce, parti di cadaveri in decomposizione e roba simile. Ne avete tutto il diritto. Quando si entra in crisi è bruttissimo, io sono stata davvero male perché non riuscivo a finire questa storia e mi rendo conto di aver, probabilmente, perso i lettori per strada. Non vi chiedo perdono perché, come dice il Boss, i miei peccati sono tutto quel che ho; vi chiedo solo d’essere clementi, di leggere e, se possibile, commentare questo ultimo capitolo.

Grazie di cuore, un bacio

Sara

 

~ Capitolo 16 ~

 

Josie si sedette sbuffando davanti a Franny; il locale era il solito dove pranzavano quasi ogni giorno, ma stavolta l’arredatrice quasi non riconosceva la sua amica. Si disse che probabilmente era per la mancanza di Orlando, visto che era assente ormai da quasi tre mesi.

Franny osservò meglio l’amica, nella luce chiara proveniente dalle vetrate del ristorante: era pallida, poco truccata e aveva l’aria stanca.

“Che ti succede, passerotta?” Le chiese con premura; Josie roteò gli occhi e sbuffò di nuovo, poi prese il bicchiere e bevve un sorso d’acqua.

“Per fortuna qui c’è l’aria condizionata, non lo sopporto questo caldo!” Sbottò l’altra, tirandosi su i capelli con un fermaglio cinese.

“Dai, sei sbattuta così per via del caldo?” Replicò stupita l’amica. “Vivi in California da quasi dieci anni!” Aggiunse, prendendo il menu.

“Ma non è per quello!” Protestò infastidita lei. “E’ soltanto che non mi sento bene, è da ieri pomeriggio che ho la nausea.”

Franny alzò gli occhi e la scrutò per un attimo, ma il cameriere l’interruppe prima che potesse chiederle qualsiasi cosa. “Che cosa vi porto?” Domandò il ragazzo.

“Per me un’insalata di gamberi in salsa rosa, pane francese, una fetta di torta di ciliegie con gelato, caffè e un succo di pompelmo rosa.” Elencò Franny distrattamente, continuando ad osservare l’amica.

“Lei?” Fece il ragazzo, rivolgendosi a Josie.

“Per me solo un sandwich al prosciutto, senza maionese, e un’acqua tonica.” Rispose mogia.

“Veramente, ma che cosa hai?” Le chiese Fran, quando il cameriere se ne fu andato, posando il mento su una mano sollevata.

“Avrò mangiato qualcosa che mi ha fatto male.” Rispose noncurante Josie. “Domenica, con Scott e Deb, siamo andati al tailandese…”

“Joss, oggi è mercoledì, se ti avesse fatto male qualcosa saresti già ricoverata!” Sbottò l’amica.

“Forse hai ragione…” Mormorò lei perplessa, scrutando fuori della vetrata.

“Hey, non sarai mica incinta?!” Ipotizzò la donna, spalancando gli occhi; l’amica alzò le sopracciglia, girandosi sorpresa, decisamente non ci aveva pensato. “Non ho mica detto chissà che, può succedere.” Aggiunse Fran, stringendosi nelle spalle; Josie non diceva niente, ma aveva un’espressione pensosa. “Fossi in te, farei un test.” Concluse l’altra, quando le posarono davanti la sua ordinazione; Josie annuì aggrottando la fronte.

 

Orlando tornò in California all’inizio della seconda settimana di settembre; le foto di lui e Josie all’aeroporto finirono presto sui giornali, confutando le solite voci di una crisi del loro matrimonio.

A casa li aspettava una bella festa di benvenuto, con cibo in abbondanza, musica e palloncini, con tutti gli amici di sempre, compresi Scott, Deb e Fran; praticamente mancava solo Dominic, ma era giustificato, giacché le riprese del suo ultimo film lo avevano portato addirittura in Africa. Nell’occasione festeggiarono anche il compleanno di Josie, anche se era stato una decina di giorni prima; Orlando le aveva portato un bel braccialetto di smeraldi, comprato in Europa.

Il clamore cessò solo a tarda sera, era quasi l’una quando Orlando salutò Scott e Deb, gli ultimi ad andarsene. L’attore chiuse la porta, inserì l’allarme, quindi si girò verso l’interno; nessuna traccia della moglie. La cercò in cucina, ma non c’era, guardò in bagno e nella serra, non era nemmeno lì; evidentemente era salita di sopra. Salì le scale lentamente, dopo aver spento le luci del piano terra.

“Amore?” Chiamò quando fu sulla passerella.

“Sono in bagno.” Gli rispose la voce, stranamente atona, di Josie.

Orlando alzò le sopracciglia perplesso e so diresse verso sinistra, direttamente alla porta del bagno, invece di passare dalla stanza da letto; rimase sorpreso nel trovare le luci spente. Le veneziane erano abbassate, ma la luce della luna che filtrava era sufficiente per distinguere perfettamente la sagoma della grande vasca da bagno blu.

“Josie.” Chiamò piano.

“Sono qui.” Rispose lei, da un punto alla sua destra; Orlando si voltò e vide la donna seduta per terra, vicino al mobile del lavandino. Aggrottò la fronte incredulo.

“Cosa fai lì?” Le chiese.

“Ti devo dire una cosa, siediti.” Rispose Josie, indicandogli il water.

“Là?!” Replicò stupito lui.

“Sì, perché?” Ribatté tranquilla lei.

“Ma… ma non c’è lo sgabello, la sedia…” Fece Orlando, guardandosi intorno.

“Lascia stare, è una faccenda veloce.” Tagliò corto la donna. “Siediti e falla finita!” Sbottò poi.

Orlando, rassegnato, chiuse il coperchio del water e si mise a sedere. “Dimmi.” Fece, allargando le mani.

Josie teneva gli occhi bassi e le braccia intorno alle ginocchia; lui continuava a fissarla incuriosito, ma lei non parlava; all’attore venne un orribile sospetto e la guardò preoccupato.

“Non stai per lasciarmi di nuovo, vero?” Le chiese all’improvviso.

Josie alzò la testa di scatto, allarmata. “No!” Esclamò. “No, no, per l’amor di Dio!”

“E allora?!” Replicò Orlando preoccupato.

La donna fece un lungo sospiro. “Per prima cosa, voglio che tu sappia che questa cosa non era programmata.” Dichiarò; Orlando si fece ancora più dubbioso. “In fondo, dopo il matrimonio, non è che eravamo stati più molto attenti…”

“Aspetta un attimo.” L’interruppe Orlando, alzando una mano; lei lo guardò. “Stai cercando di dirmi che aspetti un bambino?!” Si era sporto, posando le mani ai lati della tavoletta, fissandola intensamente; Josie annuì. “Da quanto lo sai?” Le chiese quindi.

“Da circa un mese, sono all’undicesima settimana.” Rispose lei stringendo poi le labbra.

“Perché non me lo hai detto?” Riprese l’attore, dopo un attimo di silenzio.

Josie fece una smorfia. “Tanto non potevi tornare…” Rispose poi, quindi alzò gli occhi su di lui. “Ti dispiace?”

Orlando si alzò per andare ad inginocchiarsi davanti alla donna e le prese le mani. “Se mi dispiace?” Fece serio, poi il suo viso s’illuminò in un grande sorriso. “E’ perfetto!” Solo allora anche Josie perse l’espressione preoccupata e sorrise, abbracciandolo. “E’ semplicemente perfetto.” Ripeté lui, stringendola a se.

Si alzarono tenendosi per mano e si scambiarono un breve bacio, mentre Josie apriva la porta scorrevole che conduceva in camera.

Prima di entrare nel guardaroba, però, tornò indietro. “Ti amo.” Disse ad Orlando, avvolgendogli un braccio intorno al collo.

“Ti amo anch’io.” Rispose allegro lui. “Però non ti vedo da tanto, bisognerebbe che tu me lo dimostrassi…” Aggiunse malizioso, sfiorandole il profilo del fianco.

“Dici in maniera… un po’ più fisica?” Ribatté sensualmente lei al suo orecchio; Orlando annuì con sguardo furbo. “Allora andiamo di là, lupacchiotto…”

 

La settimana successiva Josie e Orlando andarono insieme al controllo periodico; il medico della donna sembrava il classico padre di una sit-com televisiva, di quelle dove il massimo problema di una famiglia è scoprire il segreto della salsa da barbecue, però era competente e gentile.

Guardarono l’ecografia tenendosi per mano, commossi e orgogliosi del loro bambino, anche se era poco più di un simpatico sgorbietto che dava ostinato le spalle alla macchina; quando il dottore gli fece sentire i battiti del cuoricino, Orlando partì per il pianeta del giubilo, decidendo all’istante di comprarsi uno stetoscopio.

Dopo la visita, al momento di sedersi per sentire le ultime raccomandazioni, l’uomo era ancora euforico, teneva la mano della moglie, sorridendo tutto eccitato.

“Allora…” Esordì il medico. “…abbiamo avuto anche i risultati delle analisi…”

Orlando si rabbuiò, spostando lo sguardo da Josie al dottore. “Quali analisi?” Fece preoccupato.

“Niente di grave.” Lo rassicurò Josie.

“La signora soffre di pressione un po’ alta, perciò abbiamo dovuto fare degli accertamenti.” Precisò il dottore; l’attore, poco convinto, aggrottò la fronte.

“Mi dica.” Incitò invece Josie, con un cenno del capo.

“Beh, niente di terribile.” Affermò il dottore, rivolgendosi a lei. “Solo le consiglio di consultare un dietologo, per una dieta iposodica adatta ad una donna in gravidanza.”

“Certo.” Annuì lei. “Lo farò subito.”

“Non dovrà prendere delle medicine?” Intervenne Orlando, sporgendosi verso la scrivania.

“No!” Rispose sorridendo il dottore. “Se la signora saprà seguire le indicazioni non ce ne dovrebbe essere bisogno.” Aggiunse; Josie sorrise al marito, che però restò teso.

“Ha qualche altro consiglio?” Domandò poi la donna la medico.

“Niente di particolare, per essere una primipara tardiva lei, Josie, sta anche troppo bene.” Le disse l’uomo, sotto lo sguardo perplesso di Orlando. “Le rinnovo soltanto le cose che le ho già detto nelle altre visite: tanto riposo, evitare lo stress e mangiare bene, per il resto se la cava benissimo.”

“Grazie dottore.” Fece la donna, alzandosi.

“Grazie.” Rincarò Orlando facendo altrettanto.

“Ah, un’ultima cosa.” Riprese il medico, prima che se ne andassero. “Io suggerirei, diciamo dalla diciottesima, ventesima, settimana, di evitare i contatti intimi.”

Orlando si girò verso di lui con espressione stupita. “Come?”

“Sì.” Annuì tranquillamente il medico. “Sarebbe consigliabile, data la situazione, astenersi dall’avere rapporti.” L’attore lo fissava abbastanza attonito.

“Grazie ancora.” Intervenne Josie, stringendo la mano al medico, che si era alzato. “Arrivederci.” Lo salutò, poi prese il marito per un braccio e lo portò via.

Nell’ascensore rimasero in silenzio per alcuni piani; Josie sapeva che Orlando c’era rimasto male, per quella storia del sesso, già si vedevano così poco, però era anche sicura che capiva. Sarebbe stata dura per lui, ma era giusto che anche il padre facesse dei sacrifici.

“Dici che abbiamo fatto qualcosa di male, in questi giorni?” Esordì ad un certo punto Orlando, senza guardarla.

“Eh?” Fece Josie, girandosi verso di lui; il marito alzò gli occhi nei suoi.

“Dico a fare l’amore, nei giorni scorsi.” Spiegò; ecco, cominciava a farsi le seghe mentali…

Josie sospirò allarmata. “Orlando, ha detto dalla diciottesima settimana.” Gli ricordò.

“Sì, ma…” Replicò lui, tornando a guardare la pulsantiera dell’ascensore. “…forse, se cominciamo prima è meglio…”

“Scusa, ma non ho intenzione di cominciare prima.” Proclamò la donna; scese di nuovo il silenzio, stavano per arrivare al piano del parcheggio.

“Che cos’è una primipara tardiva?” Domandò Orlando, poco prima che si aprisse la porta, con lo stesso tono di un bambino che chiede alla maestra cos’è un ornitorinco.

“Sono io.” Rispose la moglie, lui la guardò. “Sono le donne che hanno il primo figlio tardi, come me, che ho trentacinque anni.” Gli spiegò.

“Ah…” Fece solo lui, e la sua espressione disse a Josie che il tormento era appena cominciato; infatti…

“Oh, ma che fai, guidi?!” Esclamò Orlando, quando al parcheggio vide Josie salire in macchina al posto di guida; accorgendosi che lei non rispondeva salì di corsa dal lato passeggero. “Joss!” Sbottò quindi, esortandola a rispondere; lei sbuffò.

“Certo che guido, è la mia macchina.” Rispose poi con tono infastidito; lui si era messo a fare le paranoie, se lo aspettava, ma restava comunque un suo atteggiamento che non sopportava.

“Io non credo che dovresti.” Replicò Orlando serio, restando mezzo voltato verso di lei. “E’ stressante e le cinture di sicurezza possono essere pericolose per chi è nel tuo stato.” Spiegò poi.

“Sì, possono essere molto più pericolose non mettendosele proprio!” Ribatté scocciata Josie. “E poi, quante storie, per neanche mezz’ora di strada!”

“Sì, ma c’è da fare la Highway.” Precisò lui con un gesto.

“Santo cielo, Orlando, la faccio tutti i giorni!” Protestò scocciata la donna, mentre si metteva le cinture.

“Ora è diverso.” Affermò l’attore, continuando a stare girato verso la moglie. “Hai sentito il dottore, devi evitare lo stress e la fatica.” Continuò solenne.

Josie spalancò gli occhi allibita. “Sono incinta, non handicappata!” Esclamò quindi, poi mise in moto. “Io sto benissimo, mi è passata anche la nausea.” Aggiunse, mentre ingranava la marcia e partiva. “E mettiti la cintura, che poi fanno la multa a me!”

Orlando, grugnendo di disapprovazione, si accomodò sul sedile e allacciò la cintura di sicurezza. “Come al solito sei sempre tu che vuoi avere ragione, ma al nostro bambino non ci pensi? È per la sua salute che devi stare riposata, e anche per la tua.” Dichiarò poi.

Josie sospirò, mantenendo gli occhi sulla strada. “Vuoi che non ci pensi? Certo che lo faccio! Ma non credo che mezz’ora di strada possa creare catastrofi irrimediabili.” Rispose.

“E come fai a saperlo?” Replicò immediatamente il marito, girandosi verso di lei. “Guarda che può bastare un piccolo incidente, un tamponamento, un ingorgo sotto il sole, o roba così.”

“Oh, benedetto te!” Esclamò esasperata la donna. “E’ inutile che fai liste di tragedie…” Proseguì gesticolando con una mano. “…perché se è per quello sono sufficienti le scale di casa!”

“Ecco!” Intervenne lui, alzando l’indice e interrompendola. “A questo proposito, secondo me, sarebbe meglio creare una camera al piano di sotto…”

La donna si girò a guardarlo con gli occhi di fuori. “Fai questa cosa, Orlando, e io scappo di nuovo.” Lo minacciò.

“Ma non puoi fare sempre così, e che cazzo!” Esclamò l’attore, allargando indignato le mani.

Josie accostò, parcheggiando nel primo posto disponibile lungo una strada affollata. “Senti, io non ho intenzione di rinunciare al mio letto, al mio bagno, al mio guardaroba…”

“Sarà solo per un periodo.” L’interruppe lui. “Ci compriamo uno di quei bei letti anatomico-ortopedici, che si muovono col telecomando, il maxi schermo c’è già, e costruiamo un guardaroba nel fondo del corridoio, tanto c’è spazio…” Spiegava tutto con l’aria più tranquilla del mondo, come se lo vedesse già davanti a se, mentre lei lo fissava attonita.

“Ti rendi conto, vero, di aver pianificato i prossimi sei mesi?” Gli domandò incredula.

Orlando la fissò seriamente. “Sì.” Annuì poi. “Ma l’ho fatto per te, amore mio, questo sarà il periodo più delicato e bello della tua, della nostra, vita e voglio che lo passi con serenità.”

“E’ molto bello da parte tua, considerando che hai fatto tutto in meno di dieci minuti...” Commentò sarcastica Josie, poi la sua espressione s’indurì. “Possibile che, da quando ti conosco, ogni volta che vorrei prendere qualcosa con calma, tu mi trascini nei vortici del tuo «entusiasmo»?”

“E’ perché mi ami, Josie.” Proclamò lui, con un’espressione tra il serio e il divertito.

“Ma vaffanculo!” Sbottò lei, dandogli una spinta, proprio in quel momento un flash da fuori il parabrezza accecò entrambi.

Quando i loro occhi tornarono a vedere, e furono scomparsi i cerchi bianchi e viola, si materializzò l’autore del gesto: un fotografo piuttosto soddisfatto che si allontanava tranquillo.

“Che faccio, esco e gli spacco la macchina fotografica sulla testa?” Chiese Orlando poco convinto, ma Josie non gli rispose perché si era messa a ridere, immaginando i titoli dei giornali.

“Ma lascialo stare, dovrà pur campare!” Gli disse ridendo; lui fece una smorfia sofferta, poi sbuffò, appoggiandosi allo schienale.

“Certo che dici a me, ma pure tu, sei matta come un cavallo…” Affermò piano, cercando di non ridere a sua volta.

“Riusciremo mai a concludere una discussione arrivando a qualcosa?” Fece però Josie, smettendo; Orlando si girò, trovando i suoi occhi grigi che lo fissavano.

“Temo di no.” Rispose, con un mezzo sorriso. “Ma tu prometti che ci penserai?” Le chiese poi.

“Vabbene.” Annuì lei, mentre rimetteva in moto; il tono, però, era quello di uno che ti da ragione tanto per fare.

Una settimana dopo Josie partì per la Francia, voleva andare a trovare la madre fin tanto che le era permesso prendere l’aereo; tornò più o meno dieci giorni dopo: i lavori in casa erano conclusi, dovevano solo consegnare il letto nuovo. La donna si trasferì a casa di Franny.

Ad Orlando ci vollero tre giorni, ed una grossa dose di pazienza, per riportarla a casa, ma riuscì a strapparle un compromesso: sarebbe salita, lentamente, al piano superiore della loro casa una volta al giorno, avrebbe fatto tutto il necessario, poi sarebbe di nuovo scesa dabbasso. E la disputa si appianò.

Così, tra partenze e ritorni, prime mondiali, passerelle e interviste, le settimane passarono piuttosto velocemente. Josie frequentò un gruppo per il sostegno della gravidanza (niente di che, solo riunioni in cui le donne incinte si scambiavano pareri e consigli), che le fu molto utile; la donna fece anche un corso di preparazione al parto, quando c’era andava con lei Orlando, altrimenti era degnamente sostituito da Fran.

Non mancarono le varie paturnie di ogni gestante: oltre a dover gestire la sua pressione alta, le presero stranissime voglie, tipo per misteriosi quanto introvabili formaggi francesi, o gelati dai gusti più fantasiosi, senza contare che si mise ad ascoltare, a ripetizione, tutti i dischi di Johnny Cash (*).

Orlando, ad un certo punto, preso dalla disperazione, la supplicò di mettere su qualcosa di diverso, fossero stati perfino i Village People.

Josie, ad ogni modo, non si fece mai prendere da eccessive paranoie: faceva i suoi controlli regolari, stava attenta alla dieta, riposava molto, ma del resto, quando Orlando era in casa, non le permetteva di muovere letteralmente foglia, infatti, era lui ad occuparsi anche delle piante.

 

Era una tiepida sera d’inizio dicembre, quando Orlando, dopo aver chiuso le tende del lato posteriore della casa, andò a sedersi sul divano accanto alla moglie; le passò un braccio intorno alle spalle e lei si appoggiò contro la sua spalla, continuando a spippolare col telecomando.

“Che si fa?” Domandò l’attore; non che ci fossero molte possibilità, visto che Josie doveva riposare non facevano da tempo vita mondana.

Josie non lo guardò, continuando a cambiare canale. “Non lo so… stasera danno in replica l’episodio del Tenente Colombo con Johnny Cash…” Suggerì, restando in attesa dell’inevitabile reazione del marito.

Orlando si scostò di scatto, spalancando gli occhi, con un’impagabile espressione inorridita, che faceva assumere una smorfia buffa ai suoi lineamenti. “No, ti prego, ti prego, no, basta Johnny Cash, ti prego!” Esclamò.

La donna ridacchiò. “Stavo scherzando!” Replicò, dandogli una piccola spinta; Orlando sospirò di sollievo, allargando le braccia e rilasciando il capo sulla spalliera del divano. “Che scemo sei!” Gli fece lei.

L’uomo alzò subito la testa. “Scemo? No, non sono scemo, sono terrorizzato, questa fissa per il re del Country mi ucciderà!” Protestò gesticolando. “Qualche suggerimento alternativo?” Domandò quindi, fissando al moglie.

“Beh…” Rispose lei, guardando altrove. “…tu potresti permettermi di salire su e farmi un bell’idromassaggio nella mia vasca…”

“Joss…” Ribatté subito lui, sedendosi dritto. “…abbiamo l’idromassaggio anche nella doccia, qui sotto, non vedo perché, l’ultima volta il dottor Merrit…”

“Ohhh, dai!” L’interruppe Josie. “Non è la stessa cosa, e poi farò piano piano, verrai con me, dai… ci facciamo un bel bagno insieme, è tanto tempo che…”

“No, ferma.” Le ordinò lui, sollevando una mano. “Non puoi chiedermelo così! Sono mesi che non… insomma, cazzo, così me lo ricordi, io sto cercando di essere virtuoso e non pensarci, ma, porca miseria, tu mi fai questa vocina erotica!” Esclamò agitato, lei lo fissava sorpresa e divertita, dalla sua espressione soprattutto.

“Scusa…” Azzardò Josie, finito lo sfogo. “Forse, in questo periodo, potresti arrangiarti in maniera autogestita…” Suggerì quindi.

Orlando la fissò con gli occhi di fuori. “Ah, sì?” Le fece, lei annuì. “Come cazzo credi cha abbia fatto finora?” Josie lo fissò per un attimo, attonita, poi scoppiò a ridere.

“Noo, dai… giura…” Mormorò incredula.

Lui, un po’ imbarazzato, si grattò la nuca, guardandosi intorno. “Beh, ma… sempre pensando a te…”

“Vorrei ben vedere!” Intervenne lei, poi lo prese per il collo e lo trasse a se, per baciarlo sulla guancia. “Sei un tesorino dolce, ma adesso vieni con me, sei stato troppo da solo, ultimamente…” Gli sussurrò all’orecchio, e così lo convinse definitivamente. 

Più tardi erano immersi nella grande vasca blu, l’acqua gorgogliava intorno a loro con un dolce profumo di arancia e cannella; Orlando si appoggiò sospirando al bordo e Josie gli fu subito accanto, adagiandosi contro il suo torace, lui le massaggiò piano il collo e poi la baciò sulla nuca.

“Perché non ci abbiamo pensato prima?” Le sussurrò all’orecchio.

“Non lo so…” Rispose dolcemente lei. “Saresti stato certamente più tranquillo…” Aggiunse maliziosa; entrambi risero piano.

Orlando la strinse a se, facendo scorrere le mani sulle sue braccia, fino a raggiungere il pancione, che affiorava dall’acqua; Josie gli permise di toccarlo, quindi lui prese ad accarezzarlo dolcemente, mentre la moglie metteva le proprie mani sulle sue. Si rilassarono, e lei socchiuse gli occhi, reclinando il capo sulla spalla del marito.

“Quando arriva tua madre?” Le chiese Orlando poco dopo.

“Dopo le feste, l’otto o il nove di gennaio.” Rispose Josie; nel frattempo non si fermava la carezza sulla pancia.

“Bene, preferisco che ci sia anche lei, gli ultimi tempi.” Affermò lui, annuendo.

“Sono felice che tu abbia accettato di farla venire.” Gli disse la moglie.

“Ma scherzi? Adoro tua madre, e tu ne hai bisogno.” Ribatté tranquillo l’uomo.

“Sei un angelo…” Soggiunse lei, voltando il viso e dandogli un bacio sulla guancia. “Senti…” Riprese poi. “…io vorrei venire alla cerimonia dei Golden Globes.”

Orlando la scostò un po’ da se, per guardarla negl’occhi. “Ma dai, non vedo perché, sarai quasi di nove mesi, non capisco perché farti una faticata simile.” Ribatté quindi.

“Ma quale faticata?!” Sbottò la donna. “Dovrò solo mettermi un vestito elegante, salire su una limousine, precorrere un breve tappeto rosso e sedermi su una bella poltrona!” Lui la fissava contrariato. “Avanti! Se vinci voglio esserci!”

“Potrei anche accettare, ma…” Replicò infine lui, serio. “…promettimi che se vinco non me lo scodelli lì a causa dell’emozione.”

Josie sorrise divertita, poi gli carezzò il viso. “Tranquillo, non ne ho l’intenzione…” Gli disse quindi, con dolcezza; Orlando annuì compito.

“Bene, quindi, niente scherzi…” Mentre pronunciava queste parole, però, sentì una specie di colpetto sotto la mano, ancora posata sul ventre della moglie; spalancò gli occhi. “Che cos’è?!” Esclamò sorpreso.

La donna rise. “Orlando, è il bambino! Non è mica la prima volta che lo senti!”

Lui si scostò con espressione indignata. “Certo.” Ammise. “Ma c’erano sempre i vestiti, è molto diverso!” Aggiunse, poi rimise le mani dove prima e si rivolse direttamente al pancione. “Dai, fallo ancora!” Incitò.

“Ma Orlando!” Intervenne Josie, che rideva ancora. “Non funziona mica così, a comando!”

“Io sono suo padre, deve darmi retta!” Ribatté deciso l’uomo. “Forza!” Questo comando sembrò sortire un qualche effetto, infatti, il bambino si mosse di nuovo. “Evvai!” Esultò Orlando; sua moglie continuava a ridere.

 

La notte del 14 gennaio si teneva la cerimonia dei Golden Globes, cui Orlando era candidato; il tappeto rosso era pronto, le telecamere ed i teleobiettivi erano posizionati, le limousines si succedevano davanti all’entrata. In una di queste c’erano anche Orlando e Josie; lui osservava compiaciuto la sua splendida compagna, perfetta nel suo elegante vestito giallo pallido, confezionato apposta per lei da un famoso stilista, dopo che l’aveva conosciuta per caso ed eletta, parole sue, “la più bella donna incita che abbia mai visto”.

Non erano in silenzio, ovviamente, ma stavano discutendo del nome per il loro pargolo in arrivo, come erano soliti fare quando la conversazione languiva.

“A me piacerebbe James.” Affermò Orlando.

“James?!” Replicò lei. “James Bloom, dai, fa tanto piccolo lord…” Aggiunse con disappunto.

“Ma si può sapere cosa vuoi? Non te ne piace uno, di quelli che propongo io!” Sbottò l’attore.

“Per forza.” Riprese Josie. “Tu sei così inglese.”

“E cosa c’è di male, scusa?” Ribatté il marito, con un’espressione vagamente offesa. “Proponi qualcosa tu, allora.”

Lei lo guardò tranquilla, girandosi leggermente sul grande sedile. “Se è una femmina, mi piacerebbe Clementine.” Dichiarò, calcando sulla pronuncia francese del nome.

Orlando spalancò gli occhi incredulo. “Che cavolo di nome sarebbe Clementine?!” Esclamò.

“Che cavolo di nome sarebbe Orlando?” Ribatté la moglie.

“Senti.” Fece lui, alzando una mano. “Per lo meno il mio ha un’origine letteraria…” Aggiunse offeso, prima di darle le spalle torcendo il busto sul sedile della macchina; Josie trattenne una risatina, non sarebbe cambiato mai.

“Siamo arrivati.” Gli comunicò poco dopo, provocando la trasformazione di Orlando, che indossò il suo più smagliante sorriso, appena prima che un addetto gli aprisse la portiera.

Fu lo stesso attore ad aiutare la moglie a scendere, sotto i flash dei fotografi e le urla dei fan; quindi l’ammirata coppia percorse il tappeto rosso. Josie concesse ad Orlando il giusto tempo per i suoi ammiratori, mentre lei salutava i pochi conoscenti, precedendolo verso l’entrata.

“Orlando, dicci, sei felice di essere qui stasera?” Gli chiese una giornalista della tv.

“Oh, sì!” Rispose lui. “Sono candidato a questo prestigioso premio, e per me è già una vittoria…” Aggiunse, rispolverando un vecchio luogo comune. “…ieri era il mio compleanno e sto per diventare padre, cosa posso chiedere di meglio?!”

“Credi di vincere?” Continuò l’intervistatrice.

“Sento che questa sarà una notte speciale, per me.” Affermò l’attore.

“Grazie, e salutaci la tua splendida moglie, cui facciamo i complimenti per il bellissimo abito!”

“Non mancherò, ne sarà felice!”

Quando finalmente Orlando riuscì ad entrare, si accorse subito di qualcosa che non andava; c’era un capannello di persone in un angolo, sulla destra, e, contrariamente a quanto concordato, non vedeva Josie ad aspettarlo. Allarmato si diresse subito verso il gruppetto e, quando vide prima Dom con espressione preoccupata e poi un lembo di stoffa giallina comparire tra le gambe dei presenti, capì subito cosa stava succedendo.

“Josie?!” Chiamò, facendosi largo tra le persone.

La donna era seduta e c’era Monaghan che le teneva la mano sinistra, mentre con la destra si reggeva la pancia; alzò subito lo sguardo sofferente sul marito.

“Orlando… credo di dover chiamare mia madre…” Mormorò, prima dell’ennesima contrazione.

“Ma non pensare a tua madre, perdio!” Esclamò lui, prendendole la mano che gli porgeva. “Pensiamo ad un’ambulanza piuttosto!” Aggiunse con urgenza, e gli uscì fuori un accento che più inglese non si può.

 

Una volta guadagnato il mezzo medico, i due sposi, invece di preoccuparsi delle contrazioni sempre più frequenti, diedero atto ad una discussione sull’opportunità di far tagliare via al paramedico il vestito di dosso a Josie con le forbici; la donna si oppose fermamente e, nonostante i dolori del travaglio e le proteste di Orlando, li convinse a toglierselo in maniera tradizionale.

All’ospedale le cose si fecero più semplici: il dottor Merrit, prontamente avvertito, era già lì, Josie si era un po’ calmata, mentre Orlando, naturalmente, no. Fecero, comunque, sistemare la donna in una camera singola e quando, dopo i vari controlli preliminari, fu accertato che non si trattava di un falso allarme, la condussero in sala parto. Nonostante lei lo sconsigliasse, Orlando volle essere presente, quindi lo fornirono di camice, cuffietta e copri scarpe perché potesse farlo.

“Dottore… dottore… Ah!” Diceva Josie, mentre intorno a lei si muovevano infermiere e ostetriche, nel classico caos di una sala parto. “Dottore, lo faccia andare via… uhuh! …La prego…”

“Ma vuoi smetterla!” Protestò il marito tenendole la mano. “Io sto benissimo e voglio restare!”

Lei, sudata e affannata, non lo degnò di attenzione. “Dottore, mi dia retta… ah! Oh, mio Dio!! …Si sentirà male, è troppo emotivo… Oddio!”

“Signora Bloom, la prego.” Intervenne calmo Merrit, dalla sua postazione tra le gambe di Josie. “Cerchi di concentrarsi sul respiro, e spinga quando glielo dico io.”

“Ecco, dai retta al dottore!” Esclamò subito Orlando; per tutta risposta Josie strappò la mano dalla sua e brandì un minaccioso pugno, gonfiando le gote.

“Tu non hai idea di che cosa sto passando!” Gli gridò contro. “Ci manchi solo tu che svieni in sala parto, maledetta la miseria! …ahhhhhhhhh!!!” L’urlo finale la fece tornare a dedicarsi al parto.

Ma Orlando non si fece cogliere in fallo e reagì. “Porca puttana, Joss, ma per chi cazzo mi hai preso, eh? Non farmi incazzare ora...”

“Spinga, spinga!” L’interruppe l’incitamento del dottore. “Forza ora, che si vede la testa!”

Orlando si girò nella direzione del medico, la sua espressione accigliata di poco prima si trasformò in entusiasta; riprese la mano della moglie con occhi sparluccicanti.

“Hai sentito?! Si vede la testa!” Le disse preso dalla gioia, poi la lasciò e si diresse a lunghi passi verso Merrit, mentre lei scuoteva il capo preoccupata. “Si vede la testa!” Proclamò ancora una volta, raggiungendo l’uomo. “Si vede la…” Fece, mentre spostava lo sguardo.

Josie, impegnata coi lancinanti dolori e le spinte, lo vide solo sbiancare di colpo e riuscì, prima dell’ennesima e più forte contrazione, a chiedere ad un’infermiera di porgergli uno sgabello.

I successivi, e decisivi, minuti, l’attore li passò tenendole la mano a capo basso, seduto mestamente su uno sgabellino regolabile, il volto cereo.

Quando, però, Merrit, con voce entusiasta, annunciò: “E’ femmina!” Orlando balzò in piedi, ancora stringendo la mano della moglie; i neogenitori si scambiarono, quindi, uno sguardo commosso, mentre i primi vagiti della neonata si spandevano nella stanza.

“Vuole tagliare il cordone, Signor Bloom?” Gli domandò timidamente un’infermiera; lui annuì.

Josie attirò la sua attenzione stringendogli la mano. “Te la senti davvero?” Gli chiese preoccupata.

“Sì, voglio farlo.” Rispose sicuro Orlando annuendo, quindi la lasciò e si avvicinò all’infermiera che gli consegnò l’apposito attrezzo.

L’uomo si avvicinò con mano tremante al cordone tenuto dal dottore e si soffermò un attimo a guardare la bambina; la sua pelle era ancora sporca e si dimenava come arrabbiata, coi pugni stretti ed il viso contratto in una smorfia buffa. Gli occhi erano chiusi, ma dimostrava già carattere… e aveva un bel cesto di capelli! “Qui.” Gli disse Merrit indicando il punto dove tagliare e lui lo fece.

L’emozione, poi, arrivò all’improvviso. Guardò Josie e non riuscì più a fermare le lacrime.

 

Josie si svegliò che albeggiava. Non era mai stata una dormigliona, ma dopo il parto lo era ancora meno; forse il suo organismo si stava già adattando la ritmo che avrebbe dovuto avere nei mesi prossimi con la bambina a casa, con brevi sonni alternati a sveglie ripetute e improvvise.

La donna si girò verso la grande finestra. Orlando era lì, in piedi, che guardava fuori, con tra le braccia una fagottino rosa che lui cullava senza sosta. Josie sorrise, finalmente la potevano tenere in braccio; dopo la nascita, infatti, la bambina era stata messa per precauzione in incubatrice, visto che comunque, se pur di poco, era prematura. Ma visto che ora era in camera sua, il dottore doveva aver autorizzato lo spostamento. Significava che sua figlia stava bene, ora poteva rilassarsi davvero.

“Santo cielo, la vizierai.” Affermò ironica la donna.

Il marito si girò verso di lei aggrottando la fronte. “Ci puoi giurare!” Proclamò serio, poi, però, le sorrise con dolcezza. “Buongiorno amore.” Le disse e si avvicinò al letto.

“Buongiorno a voi.” Replicò Josie, allungando subito le braccia per prendere la bambina. “Quando l’hanno portata?” Domandò ad Orlando, quando l’ebbe tra le braccia e dopo averle fatto un po’ di smorfiette; lei sembrava un po’ insonnolita.

“Poco fa, non ho voluto svegliarti.” Rispose lui.

“Di’ la verità… volevi godertela in tutta tranquillità…” Fece Josie provocatoria.

“Beccato!” Ammise subito Orlando; entrambi guardavano con adorazione la bambina. “Ma non ci posso fare nulla, mi ha incantato! Ha un così buon odore e… guarda, ha tantissimi capelli!”

Josie ridacchiò, carezzando la testolina capelluta della figlia; era vero, aveva folti capelli scuri, ma sarebbe stato strano il contrario, visti i genitori.

“L’ho detto a tutti che ha tanti capelli, e che è bellissima.” Raccontò orgoglioso Orlando. “Mi madre continuava a chiedermi come stavate e io a ripeterle che era bellissima!”

Era così tenero e entusiasta che Josie non poté trattenersi dal fare una carezza anche a lui; per tutta risposta Orlando le baciò la mano.

“A proposito.” Chiese quindi la donna. “Quando arriva tua madre?”

“Sarà qui giovedì.”

“Bene.” Annuì la moglie. “E la mia?”

“Torna nel pomeriggio.”

“Ma che perfetto organizzatore!” Commentò Josie scherzosa; lui rise e, stavolta, si baciarono sulle labbra.

“Ho parlato anche con Robin, sai.” Affermò l’uomo, non senza titubanza, sapeva perfettamente che sua moglie e la manager non andavano proprio d’accordo.

“Ah.” Fece soltanto lei.

“Sostiene che dovremmo vendere le prime foto della bambina al miglior offerente, ha già avuto alcune richieste, e…”

Josie alzò gli occhi con uno sguardo che avrebbe fatto impallidire l’esorcista; Orlando ritirò la testa allarmato, anche se sospettava una reazione del genere.

“Orlando.” Esordì quindi la donna. “Se osi fare una cosa del genere…” Lo minacciò. “Cristo santo, è nata da neanche due giorni e già me la volete sbattere in copertina!” Continuò feroce, ma senza alzare la voce per non disturbare la bambina. “Tu lo sai che sono contraria alla mercificazione degli esseri umani… anche a quella degli animali, quindi, figuriamoci di mia figlia…”

“Ho rifiutato.” L’interruppe lui, mentre la guardava con tenerezza.

Josie spalancò gli occhi sorpresa. “Ah, sì?” Lui annuì. “Oh, io ti amo!” Proclamò allora lei, che gli avrebbe buttato le braccia al collo, se solo non avesse avuto la bambina.

“Lo so.” Gongolò l’attore, poi tornò a coccolare la figlia. “Ma guarda che carina, abbiamo fatto proprio un bel lavoro… uh, sì! Sei una chicchetta! Ha il mio naso, non trovi?”

“Omioddio, no!” Esclamò Josie, scoppiando poi a ridere.

“Oh, ma che cazzo ridi?!” Sbottò lui, finto offeso. “Avevo un naso bellissimo, prima di romperlo!” Ma presto rise anche lui. “Sei sempre la solita stronza!”

Quando riuscirono a smettere di ridere, si ritrovarono a guardarsi negl’occhi, mentre alle loro spalle cominciava a splendere una limpida mattina californiana.

“Come la chiamiamo, allora?” Domandò Orlando; Josie sospirò, poi baciò il capo della bambina.

“Ieri sono andata a vederla nell’incubatrice, sono rimasta lì per un po’ e poi, quando sono tornata in camera, mi sono messa a riflettere.” Lui l’osservava incuriosito. “Senti…” Josie alzò i suoi occhi grigi in quelli nocciola del marito. “…che ne pensi di Mercy?”

“Hmm, Mercy… non è che lo hai scelto perché ti ricorda le canzoni del Boss?” Ipotizzò malignamente Orlando; lei guardò altrove, grattandosi imbarazzata un sopracciglio. “Mi piace, sì.”

“Ti piace?!” Esclamò subito la moglie girandosi verso di lui; l’attore confermò annuendo. Si abbracciarono delicatamente, tenendo tra loro la bambina, e si baciarono.

In quel momento bussarono alla porta e si fece avanti una rubiconda e sorridente infermiera. “Buongiorno, signori.” Li salutò la donna. “E’ l’ora della prima poppata.”

 

Mercy Elizabeth Bloom fu battezzata nel mese di marzo, alla presenza di una ristrettissima cerchia di parenti e amici, i padrini furono Fran e Scott e la festa si svolse nella tenuta in Provenza.

Le foto esclusive dell’evento furono pubblicate solo sul sito ufficiale dell’attore, pronte per essere liberamente scaricate di chi lo avesse voluto, come da volontà di Josie. La famiglia felice continuò a vivere nella casa di Bel Air.

 

EPILOGO

 

New York – meno di due anni dopo.

 

Molti assicuravano che l’autunno era la stagione perfetta per una città come la Grande Mela; potevi camminare senza fretta tra le foglie dorate di Central Park, con in mano una cialda belga bollente ricoperta di panna, oppure passeggiare lungo la Quinta, sbirciando le vetrine e quelli che si potevano permettere di fare compere in quella patria del lusso.

Era appunto davanti alla libreria più esclusiva della Quinta Strada che una ragazza bionda in cappottino giallo stava fumando nervosamente. Fece l'ultimo tiro, poi gettò la cicca e la spense, schiacciandola con i suoi sandali gialli coordinati. Questa cosa la doveva proprio fare.

Entrò. La calca ormai si era diradata, si avvicinava l’ora della chiusura ed il clamore per quella presentazione era finito. La ragazza prese una copia del libro e si mise diligentemente in fila, dietro alle ultime quattro o cinque persone che volevano la dedica dell’autrice.

Lei sedeva dietro ad una elegante scrivania antica, con accanto una tipa scialba, forse la sua assistente. Portava un maglioncino rosa a collo alto, i capelli scuri tagliati corti e quell’aria sofisticata e gentile che aveva sempre, che fosse ad un barbecue o ad una prima internazionale.

“Salve.” Fece la ragazza bionda, quando venne il suo turno.

Josie, dopo aver porto la copia del suo libro a quello che la precedeva, alzò gli occhi su di lei, sorridendo, ma si fece subito seria. “Kate…” Mormorò stupita. “Cosa ci fai qui?” Le chiese poi.

“Beh…” Rispose l’altra, con noncuranza. “Ho letto su Vanity Fair che presentavi il tuo nuovo libro, così… non ti avevo mai vista così da vicino.”

Josie si alzò. “Capisco.” Le disse; in realtà si sentiva molto imbarazzata, erano passati quasi cinque anni dalle vicende che le avevano coinvolte, ma lei si sentiva ancora vagamente in colpa.

“Ho letto il tuo libro… quell’altro, sul Medioriente, e devo dire che sei brava, non credevo.” Affermò Kate, girandosi tra le mani il nuovo volume; il suo tono, però, non era quello di un complimento.

“Grazie.” Replicò comunque Josie; questo aveva tutta l’aria di essere quel confronto mancato anni prima.

“Mi è anche capitato di leggere alcune cose di te.” Continuò vaga la bionda, come se le fosse successo davvero per caso. “Sembra che le cose ti vadano piuttosto bene, critico affermato, scrittrice in ascesa, mammina perfetta…” Stava diventando lievemente più acida. “…compagna discreta…”

“Sì, la mia vita è bella.” Ribatté Josie, che stava ancora studiando l’avversaria, perché tanto era di questo che si trattava.

“So anche che ultimamente vivete qui, a New York.” Riprese Kate, aggiustandosi un boccolo ribelle.

“Orlando è impegnato a Broadway, recita nell’adattamento teatrale di Viale del tramonto.” Affermò la bruna, impedendo all’altra di continuare.

“Sì, lo so.” Fece bruscamente Kate, lanciandole un’occhiata tagliente. “È anche candidato al Tony, se non mi sbaglio…” Certo che non si sbagliava, perché a questo punto era chiaro, seguiva le loro vite attraverso i tabloid. “Ma dimmi, come fai?!” Domandò all’improvviso la bionda, con falso entusiasmo.

“A fare che cosa?” Replicò interdetta Josie; ma dove voleva andare a parare quella?

“Ma a fare tutte queste cose, a lavorare, a scrivere, a fare la mamma, è impegnativo, no?” Ribatté l’altra, sbatacchiando le lunghe ciglia.

“Beh, certo che lo è.” Rispose Josie seria. “Devo fare dei sacrifici, ma sono tutte cose cui non saprei rinunciare.” Spiegò quindi; Kate le sorrise mielosa.

“Fai benissimo!” Esclamò quindi, portandosi una mano al cuore e con l’altra toccando Josie. “Anch’io ho fatto dei sacrifici, sai? Ho voluto finire gli studi e mi sono laureata, nonostante una carriera, e lo saprai, che non mi ha dato respiro, ma orami sento così realizzata!” Raccontò entusiasta. “Ho recitato in campioni d’incassi, il mio fidanzato, come saprai, è un importante produttore e siamo molto felici, pensiamo di sposarci presto e, non dovrei dirlo, ma le proposte di lavoro fioccano!”

La buona educazione imponeva a Josie di complimentarsi di tutte quelle meravigliose esperienze, nonostante una sua vocina interiore le dicesse che erano parecchio gonfiate, ma c’era una parte di se stessa che avrebbe voluto colpirla con una calcio volante degno di un cartone giapponese e spedirla a fare la nanna tra inutilissimi volumi di cucina e viaggi.

“Guarda, Kate…” La interruppe mentre stava magnificando il suo adorabile fidanzato. “Sono davvero molto, molto, contenta per te, ma si sta facendo tardi, vuoi venire al punto?” Sapeva che doveva esserci un punto.

Kate alzò gli occhi in quelli di lei, che era notevolmente più alta, e sorrise di sbieco. “Tutto questo era per dimostrarti che, nonostante quello che hai fatto, io non mi sono arresa, la mia vita non è stata certo rovinata da te e da quell’altro.” Affermò acida. “Io adesso ho tutto quello che volevo, e tu, in fondo, che cosa hai ottenuto?”

Josie era perplessa. “Io non ho mai avuto niente di personale contro di te, Kate.” Le disse tranquillamente. “Mi sono solo innamorata di Orlando e lui di me.” Aggiunse. “Non so cosa pensavi che cercassi di ottenere, ma adesso ho una bellissima bambina… ha gli occhi di Orlando.” Kate sembrava diventata di ghiaccio, probabilmente non sapeva cosa rispondere. “Ti augurò tutta la felicità di questo mondo.” Le disse con sincerità. “Io ce l’ho già.” Concluse, senza rancore.

Si fissarono negl’occhi per un lungo istante “Addio.” Rispose quindi Kate, fredda, poi girò i tacchi e s’incamminò verso l’uscita.

Orlando stava arrivando in quel momento dall’entrata posteriore, con Mercy in braccio ed il cane al guinzaglio; vide la ragazza che andava via e la riconobbe subito. Seguì i suoi passi con la fronte aggrottata, finché lei non uscì dal negozio, poi si avvicinò alla moglie.

“Ma quella non era…” Fece, cercando di indicare l’uscita con un dito libero.

“Sì, era lei.” Rispose Josie abbracciando lui e la bambina.

“Che cosa ti ha detto?” Domandò preoccupato Orlando, ricordando con orrore il suo ultimo incontro con Kate finito K.O..

“E’ molto felice.” Affermò la donna.

“E tu?” Ribatté lui.

“Oh, lo sono anch’io!” Proclamò lei dandogli un bacio, poi gli prese la figlia dalle braccia. “Andiamo a casa, ora.” Suggerì poi; Orlando annuì sorridendo, quindi le passò un braccio intorno alle spalle e s’incamminarono insieme.

 

I got somethin’ in my heart, I been waitin’ to give

I got a life a wanna start, one I been waitin’ to live

No more waitin’...

(Leah – Bruce Springsteen)

 

~ FINE ~

 

 

Questo è il meglio che sono riuscita a fare. Il mio ringraziamento più sincero va a tutti coloro che hanno commentato (e commenteranno) questa storia. Una menzione meritano anche coloro che l’hanno solo letta. Una nota particolare per Moon che, a seguito di minacce di morte, mi ha spronata a finire la ff, grazie cara!

E ringrazio Bruce Springsteen di esistere e di scrivere le sue meravigliose canzoni. Che dio ti benedica, Zio Bruce!

Ciao a tutti!

Sara

 

 

 

 

   
 
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