Eccoci
all’ultimo capitolo. Spero davvero di non deludere
nessuno. Come ho detto
precedentemente, ci sarà una seconda
parte. Questo, quindi, lo considero un capitolo
aperto, ma risolutivo.
Enjoy.
@Chiara96:
Ciao! Grazie mille per la recensione e grazie per aver apprezzato la
scena dell’armadio.
Era uno spezzatensione in effetti!
@NickyIron:
No, Harry non si era accorto di Fanny. Penso fosse troppo, troppo preso
ad
evitare di non farsi ammazzare da Tom. xD Grazie mille! Spero che le
tue
congetture non ti abbiano deluso!
@ElseW: Troppi
complimenti! Grazie mille! °_* Li adoro sì! XD
vediamo se combattere contro Al
gli ha giovato! XD
@RoroTheJoy:
Davvero? Non ci avevo fatto caso! Anche io adoro i WT! Dimmi se ti
piace la
canzone per questo capitolo. Ti consiglio di metterla alla fine
però, che si
riferisce a quella! Ciao!
@Altovoltaggio:
Addirittura paragonata a mamma Row! Ma grazie! :D Il concerto
è stato favoloso!
Certo, anche se ho preferito quello del 2006, c’era meno
gente e faceva meno
arena di Vasco. Però è stato fantastico, ero
proprio sotto il palco! Sotto Dom!
T_T Me-ra-vi-glio-so! Purtroppo il coro di Bday non si è
sentito! :/
@Sophie: No, non preoccuparti!
Fidati di Tommy! XD Non ancora nel senso che Harry ha visto morire
molta gente,
e questo l’ha traumatizzato. Questo è
l’ultimo capitolo! ;) Seconda parte però.
@Pheeny:
Grazie mille per i complimenti… eh sì,
Jamie/Sy/Rosie sono il nuovo trio XD
@Aga: Grazie
per i complimenti! Sì, l’ambientazione era un
po’ tanto voluta, mi fa piacere
che tu l’abbia notato ^^ Il trio grifondoro è
sì ubbidiente in effetti, ma devi
ammettere che hanno dei genitori che sanno tenerli per la collottola.
XD
Comunque prevedo più azione anche per loro.
@Trixina:
Ciao! Tu più di tutti mi premeva rispondere,
perché mi hai seguito fin dall’inizio.
Sì, ci saranno dei momenti Teddy/Vic e si riferiranno al
passato, ma anche lei
scenderà in campo. Vedremo. Al avrà un bel ruolo,
e ringrazia per essere
adorato. XD Grazie di tutto Trixina, davvero.
@Ombra: Ciao!
Essì, i nostri ragazzacci rimangono gli stessi! XD Grazie
per i complimenti e
sì, Fanny crea casini, ma del resto empatizza con il suo
nuovo padroncino. E
Albie fa dei casini! XD
@Mikyvale:
Ciao! Ci sarà una seconda parte, dove spero che anche i
personaggi secondari
avranno più risalto… almeno queste sono le
intenzioni. Lily ne avrà,
ASSOLUTAMENTE. Spero di non averti deluso con questo capitolo! E grazie
per i
complimenti e per aver capito i paralleli!
@Andriw9214:
Wow! Che letturona ti sei fatta! Mi sento onorata! Anche di averti
fatto
cambiare idea sulla next generation! Grazie grazie! Non preoccuparti,
non ci
sono brutte o belle recensioni, e la tua andava più che
bene!
****
Capitolo XLVII
La scelta ultima di un uomo quando
è
portato a trascendere se stesso
è
creare o distruggere, amare o odiare.
(Erich Fromm)
Tomba
di Silente.
Tom aveva gli occhi rossi.
Al se ne rese conto immediatamente, mentre sentiva la presa sulla
bacchetta
farsi bollente. Quasi fosse la bacchetta stessa ad emanare calore.
Certo,
il modo in cui Fanny ha aperto la tomba…
Eppure
la sentiva pulsare, contro il
suo palmo sudato, mentre Tom lo guardava.
Cercò lo sguardo
del padre,
spaventato, solo allora capendo quello che aveva fatto.
Ho
la bacchetta di Sambuco.
Ed
è quella che Doe vuole.
Tom lo guardava per la prima
volta dopo ore. Aveva quegli occhi, quello sguardo vitreo, quello
dell’imperio.
…
cosa ho fatto…
Harry però non lo
guardò.
Stese la mano e pronunciò un chiaro ‘accio’
mentre la sua bacchetta, la sua unica
bacchetta gli ritornava in mano.
“Al, scappa!” Gli gridò. Come in una
scena a rallentatore vide il padre cercare
di frapporsi tra lui e Thomas, cercando di tornare ad essere il suo
avversario.
Ma adesso c’era
John Doe.
“Oh, non credo proprio, Salvatore!” La voce del
sicario era come carta vetrata
contro le sue orecchie. Faceva male, mentre lo scoppio di un
incantesimo
vicinissimo a lui – vicino a suo padre in realtà
– lo accecò brevemente.
Fece qualche passo indietro, coprendosi il viso.
“Albus!” Era
ancora suo padre ad
urlare. Aprì gli occhi e si trovò Tom a pochi
passi da lui. “Al, vattene via,
scappa! Lascia la bacchetta e scappa!”
Lasciare
la bacchetta? No!
Era
l’unica cosa che poteva, Dio,
difenderlo.
“Scappa!”
A quel punto finalmente riuscì a farsi obbedire dalle
proprie gambe. Anche se
il suo intero essere si ribellava a quell’idea, e qualcosa
dentro di lui
tremava e piangeva… Non poteva semplicemente fermarsi.
L’istinto di
sopravvivenza
azzerò la paura e incespicò sbattendo contro un
pinnacolo di roccia prima di
correre via.
Doveva uscire di
lì.
Sicuramente suo padre era
venuto con la sua squadra, con suo zio Ron.
Sicuramente fuori,
all’entrata, c’era qualcuno. Qualcuno che avrebbe
fermato Thomas, qualcuno che
avrebbe sciolto la maledizione. Qualcuno che avrebbe fatto finire
quell’incubo.
La bacchetta era rovente e
non
aveva la minima idea di dove stesse andando. Il lucore tenue della
tomba di
Silente, dopo che Fanny l’aveva aperta, si era affievolito
fino a diventare
poco più che un vago luccichio latteo.
La luce azzurrina che
proveniva dai muschi abbarbicati alle rocce era malsana e dava
un’ombra
sfalsata alle cose.
Sbatté con un gomito contro uno spuntone di roccia, sentendo
un dolore
accecante.
Aveva nelle orecchie il
rumore
del suo respiro, forte e sincopato come il cuore che gli sbatteva
violentemente
nel petto.
Aveva paura. Non voleva. Non
era giusto.
Non si fermò. Non
si stava
neppure guardando indietro per vedere se Tom lo stava seguendo.
Lo sapeva, semplicemente.
Quando
passi tanto tempo con una persona la percepisci
la sua presenza. Acutamente.
Chissà
se per i babbani è così o è questione
di aura
magica…
Sentì uno scoppio
e un
bagliore rossastro vicinissimo al suo orecchio. La polvere che ne
scaturì,
aveva colpito a terra, lo fece tossire.
“Tom, smettila!” Urlò, voltandosi
indietro.
Era dietro di lui. A parecchi metri, ma camminava.
Sentì il panico
serrargli lo
stomaco.
Camminava.
Come
se non ci fosse bisogno neanche di rincorrermi…
L’entrata era
vicina. Non
doveva preoccuparsi, solo… arrivarci.
Era sempre più vicina. Doveva essere vicina.
Perché non la vedeva?
Poi lo capì: l’entrata era franata, dopo uno dei
tanti incantesimi di Tom deviati
da suo padre. L’arco di pietra era crollato su se stesso,
lasciando un
semicerchio poco più alto di una persona. Si apriva
sul…
Si fermò di colpo, ansimando.
Si apriva sul vuoto.
Dannazione.
È una passaporta. È una maledetta
passaporta, non c’è nessun passaggio scavato nella
roccia. L’ha rotta!
Non c’era via di
uscita. Erano
bloccati lì dentro almeno finché qualcuno non ne
avesse aperta un’altra da
fuori.
Ma non stava arrivando
nessuno. Nessuno.
Si voltò sentendo
il respiro
spezzarsi e il sangue rombargli nelle orecchie.
Tom era a pochi passi da lui. Vicinissimo. Gli occhi vuoti, vitrei come
quelli
di una bambola non riflettevano nulla. Neanche lui.
E gli stava puntando la
bacchetta addosso.
“Stupef-”
Al sentì il sangue bollirgli impazzito nelle vene e il suo
braccio scattò prima
che avesse tempo di pensare.
“Expelliarmus!”
Tom parò il suo
incantesimo
senza neanche parlare. Un dannato scudo non-verbale, persino di basso
livello.
Pareggio.
Non sarebbe durato a lungo.
Tom non aveva usato una maledizione, ma…
Non
ancora almeno.
Doe gli aveva ordinato di ucciderlo.
E a lui tremavano le mani.
Così forte che doveva obbligarsi a tenere la presa sulla
bacchetta. Questo la
diceva lunga su quanto fosse in grado effettivamente di batterlo. Nei
duelli
con i fratelli era sempre stato patetico, ricordò con
terrore. Il club dei
duellanti era una cosa a cui era girato alla larga sin dal primo anno.
E la
bacchetta gli cadeva in
continuazione.
Tom invece era brillante. E
aveva l’imperio: rodeva
via la sua
stanchezza per farlo diventare uno strumento.
Lo sentì
muoversi, cercarlo.
Ma a quel punto si era
già
tuffato tra un colonnato di rocce, scomparendo alla sua vista.
Doveva sopravvivere.
A tutti i costi.
Se fosse morto…
se fosse morto
Thomas non avrebbe più avuto scampo. Sarebbero stati
condannati, entrambi.
Non
è giusto. Non è giusto. Non doveva capitare a
noi.
A
me, che non so difendermi.
A
lui, che non sa fermarsi.
Da lontano sentiva gli
scoppi
degli incantesimi, orribili lampi di luce all’angolo della
sua visuale che gli
ferivano gli occhi.
Suo padre non poteva aiutarlo, non in quel momento: Doe non gli
lasciava
scampo.
Nascondi. Nasconditi finché non
arriva
papà.
Sentì il respiro spezzarsi e ingoiò un
sussulto. Era stanco e spaventato.
Tutta l’adrenalina l’aveva persa dopo che si era
reso conto dell’errore
tremendo che aveva commesso.
Nasconditi.
Nasconditi.
Serrò le labbra.
I passi di
Tom erano vicini, ma non riusciva a trovarlo.
Sentiva il suo respiro, simile ad un sibilo riempirgli le orecchie.
No.
Serrò le labbra.
Non
è giusto.
Oltre
la paura sentiva un grumo di…
rabbia. Cristo, era rabbia quella che sentiva rimbombargli nel petto.
Non era giusto che lui e Tom
dovessero affrontarsi. Non era giusto che Tom dovesse ucciderlo per
ordine di
un pazzo psicopatico. Era tutto completamente sbagliato.
Non
voglio morire. E lui non deve uccidermi.
L’equazione
era semplice, terribile,
ma maledettamente semplice: doveva salvarlo.
Infilò la bacchetta dentro la tasca dei pantaloni e si
arrampicò lungo la
parete di roccia che fino a quel momento l’aveva nascosto. Se
fosse riuscito
arrivare alla sommità avrebbe potuto vedere Tom senza essere
visto. Avrebbe
potuto capire dov’era.
Un
vantaggio.
I palmi delle mani gli
bruciavano, sfregando contro la ghiaia e fu un paio di volte sul punto
di
scivolare a causa delle scarpe dell’uniforme, ma
riuscì ad arrivare fino in
cima della grossa stalagmite.
Si affacciò e tirò un brusco respiro che gli si
ficcò a fondo nella gola,
bruciandola.
Tom era sotto di lui, esattamente a pochi metri in linea
d’aria. Si aggirava
tra la foresta di stalagmiti, con la bacchetta tesa davanti a
sé ad illuminare
le porzioni umbratili, dove il muschio fluorescente non cresceva.
Lo cercava.
Com’è possibile che
l’imperio gli faccia fare
questo… Com’è possibile che
lo obblighi ad uccidermi?
In una situazione diversa avrebbe urlato, avrebbe pianto. Ora
doveva capire
come annullarlo.
Pensa,
Al. Pensa.
L’imperius.
È la maledizione della volontà. La
annienta. Ma una forte volontà può combatterla.
Papà l’ha combattuta.
Tom non mi farebbe mai del male. Mai. Si
è quasi fatto ammazzare per salvarmi
dai Naga, mi ha nascosto che sapeva chi era la Prynn per mettermi al
sicuro…
Poi lo intravide. Un
bagliore,
un riverbero dovuto ad un’angolazione della luce riflessa
dalla bacchetta.
Era un luccichio, ed era
attorno al collo. Come una collana, come…
Ha
il medaglione! È quello!
Non
era solo quello, lo sapeva. Ma era
quello che confondeva Tom, che gli aveva fatto avere quegli sbalzi di
umore
tremendi per quasi tre mesi. Si trattava di fare due più due.
Ora sapeva cosa fare.
Tom doveva solo arrivare
sotto
di lui. Era un azzardo, avrebbe rischiato di far male ad entrambi, ma a
quel
punto qualche osso rotto non era certo un problema. Doveva prenderlo di
sorpresa e a giudicare da come lo stava cercando in basso, era certo
che non
avesse capito che era lì.
Non avrebbe mai pensato che
il
Quidditch gli sarebbe servito fuori dal campo ovale.
Uno schiocco violento, come uno sparo
rimbombò per le pareti, distraendo Tom: adesso aveva la guardia abbassata.
Si lasciò andare
e gli piombò
addosso. Sentì un rumore soffocato provenire dalle bocca di
Tom, e crollarono
entrambi a terra. Sentì un dolore tremendo alla spalla, che
quasi lo lasciò
senza fiato. Non c’era tempo. Infilò la mano
dentro la camicia di Tom e trovò
la cordicella del medaglione. Gli diede uno strattone violento e quella
si
spezzò.
Sì!
Lanciò il medaglione oltre le sue spalle, ma a
quel punto Tom si era già
reso conto della situazione, e si era ripreso dalla sorpresa di
sentirsi
piombare qualcuno addosso. Lo spinse via da sé e con un
colpo violento alle
reni Albus si trovò schiacciato contro la roccia, a terra,
con Tom sopra, la
sua bacchetta premuta sulla carne tenera della gola.
Sgranò gli occhi,
mentre il
respiro gli si incastrava in gola. Tom aveva il volto vicinissimo al
suo e
respirava forte, furioso.
Furioso.
È un emozione.
Aveva gli occhi di nuovo del
suo colore, poteva intravederlo perché erano sopra ad una
macchia di licheni che
si diramava lungo le stalattiti che formavano il soffitto.
“Tom…
Sono io.” Sussurrò. Non
riusciva a gridare, la bacchetta sembrava volergli perforare la
trachea. “Ti
prego. Combatti, dannazione, combattila…”
C’erano solo loro
due adesso.
Niente medaglione. Solo loro due e la maledizione.
Tom si passò la lingua tra le labbra secche.
C’erano di nuovo delle emozioni
nei suoi occhi, poteva vederle agitarglisi dentro e fargli fremere i
lineamenti. Come una tempesta cupa e violenta sulle scogliere di Dover.
Era un
immagine assolutamente idiota viste le contingenze, ma ad Al
sembrò azzeccata.
Ma era ancora confuso.
L’imperio continuava a
ottundergli le
capacità di ragionamento e l’ordine era ancora
valido.
“Falla…
finita.” Sussurrò
spaventato. Doveva funzionare.
“Stupido caprone egocentrico. Se sei tanto brillante,
dimostralo. Combatti l’imperio
e schiarisciti il cervello. Tu
non vuoi uccidermi!” Riuscì a levare le mani,
passandogliele lungo le braccia. Aveva
i tendini tirati fino alla soglia del dolore, ne era certo. Premette le
dita
sui bicipiti. Riuscì ad alzarsi, di qualche centimetro
necessario per
raggiungere la sua bocca. “Se mi
ammazzi…” Ormai doveva tentare tutto, e
sperava che le favolette della sua infanzia sull’amore
salvassero il culo ad
entrambi. “Se mi ammazzi, giuro che ti uccido.”
E lo baciò.
Un impulso nervoso.
Nella sua vita Tom aveva
imparato a classificare tutto, anche le emozioni. Era facile
classificarle e
dare loro nome e collocazione.
Ma quando si trattava di
provarle, ovvio, non c’era logica.
C’era nebbia
adesso, dentro la
sua testa. Tanta.
Nebbia, rossa, rabbia,
dolore
e paura.
C’era qualcosa che
doveva
fare, e doveva farlo. Nessuno scampo. Come respirare.
Se non respiri, muori.
Non riusciva a capire cosa
succedeva, agiva.
Aveva visto Harry, aveva combattuto con Harry. Si era reso conto
di come il padrino non combattesse neanche alla metà della
sua effettiva forza
magica. Di come stesse cercando trattenersi, di salvarlo.
Ma lui non poteva fare lo
stesso.
E poi c’era stato
Albus.
Quell’idiota di Al
aveva preso
la bacchetta ed era cambiato il comando: l’aveva dovuto
cercare.
Era diventato di nuovo tutto confuso.
Gli era piombato addosso e
improvvisamente era diventato tutto più chiaro…
ma era confuso, era stanco e
c’era ancora il comando.
Uccidilo
e prendigli la bacchetta. Uccidilo.
Ma era un impulso nervoso
che
l’aveva spinto a capire che lo stava baciando. Certo, tolto
il suo significato,
toccare la bocca con la propria era un gesto privo di senso.
L’aveva sempre
pensato.
Ma c’era Al, e con
quel bacio tutta
la sua magia gli era entrata dentro, vibrandogli con una potenza
spaventosa,
come il vento che saliva dalla brughiera del Devonshire, lo stesso
vento che
faceva sbattere le finestre della Tana, che frustrava i capelli di Al
quando
d’estate si librava in alto con la sua scopa, nel cielo, fino
a diventare un
puntino lontanissimo, che brillava contro il sole.
Al era vento. Secco, pulito,
che gli aveva riempito i polmoni…
… E finalmente
aveva respirato.
Lo sentì
staccarsi
bruscamente, come scottato, ispirando come dopo una lunga apnea
nell’acqua
gelata.
Si scostò e tirò via la bacchetta. Lo fece con
tale violenza che sbatté contro
la parete opposta di roccia, tra le due stalagmiti in cui erano caduti.
“Tom!”
La gola gli pulsava dolorosamente ma significava che la
circolazione nel punto in cui aveva premuto la bacchetta stava
ritornando.
Tom lo guardò.
“Ehi…
ehi, mi senti?” Gli
balbettò, incerto sul muoversi e eliminare la distanza tra
di loro. Era finita?
Era davvero finita?
“Certo che ti sento…”
Sussurrò. Ma parlò, Dio. Era la sua voce sfibrata
dalla
stanchezza, ma monotona, annoiata. Non avrebbe mai pensato che gli
sarebbe
mancato essere trattato come un idiota. “Sono a mezzo metro
da te e mi stai urlando
addosso.”
Probabilmente era solo gioia
mischiata al desiderio di rompergli la testa con una pietra. Lo
placcò,
facendolo sbuffare, afferrandogli la camicia tra le dita, quasi
strappandogliela. Non gli importava di essere goffo, né
tantomeno di fargli male
al momento. Gli morse le labbra, o lo baciò non gli fu ben
chiaro e non gli
importava finché lo ricambiava con la stessa sollevata
disperazione, tenendogli
il viso tra le mani.
“Va’ al diavolo!” Gli sbraitò
contro. Probabilmente dopo avrebbe pianto per
ore, ma al momento aveva solo il
bisogno di strattonarlo, picchiarlo e toccarlo. “Stupido
imbecille!”
Sentì le sue
braccia, magre,
piene di angoli e fredde stringerlo, così stretto da far
mancare il fiato ad
entrambi.
“Al…”
Lo sentì mormorare
contro la sua tempia. “Mi hai sentito.”
“Sì… ed hai un modo schifoso per
chiedere aiuto.”
Tom sorrise, Al sentì le sue labbra piegarsi contro i suoi
capelli in una
carezza morbida. “Non può muovermi obiezioni chi
ha combinato la cretinata del
secolo.”
“… È la Bacchetta di sambuco, vero?
Sono diventato il nuovo padrone.”
“Pare di sì.” Sospirò appena.
Lo sentiva tremare. Ma andava bene. Poppy lo
avrebbe rimesto in sesto, l’avrebbe sgridato fino alla
brutalità da convenzione
di salvaguardia dei diritti dei maghi, ma sarebbe andato tutto bene.
Tom gli passò le
dita trai
capelli. “Non è finita.”
Mormorò. “C’è ancora John
Doe.”
Fu come una doccia fredda
doversi staccare da lui, per alzare il viso, e rendersi conto che suo
padre
stava ancora combattendo. I lampi si stavano avvicinando, come i
rumori.
“Sta venendo a controllare…” Aggiunse,
afferrandogli un braccio. “Si sarà reso
conto che non c’è stato nessun lampo verde, o
rosso. Che non ti ho ucciso. Che
non ho il possesso della Bacchetta.”
Al deglutì, sfilandosi la bacchetta dai passanti della
cintura. “Tutto per un
pezzo di legno…”
Tom inarcò le
sopracciglia,
sembrando per un attimo assolutamente allibito. Poi stirò un
sorrisetto, vicino
a rompersi una risata: doloroso proprio perché non
c’era niente da sorridere.
Non
ancora.
Gli tirò una ciocca di capelli dietro la nuca: non aveva mai
avuto bisogno di
spiegare che detestava le pacche sulla testa. “Solo tu puoi
definire la
bacchetta più potente del mondo magico un legnetto
Al.”
“È quello che è! Almeno… in
mano a me.” Si umettò le labbra. “Adesso
cosa
facciamo?”
Tom non rispose subito: sembrava sul punto di addormentarsi, o di
svenire. Era
così debole che quando Al si alzò in piedi non
esitò neppure tanto prima di
tendergli la mano per farsi aiutare.
Però lo sapevano entrambi, dovevano trovare una soluzione.
Tom raccolse la bacchetta, e
se la rigirò tra le dita. Era la sua, quella che gli aveva
strappato nella
grotta, ma non gliela chiese indietro. C’era una luce fioca
nei suoi occhi,
molto simile a quella di una persona allo stremo. Non glielo fece
notare. Non
era il momento, gli strinse solo il polso.
Tom gli afferrò la mano, stringendola. Poi parlò.
“Ho
un’idea.”
****
Harry parò l’ennesimo incantesimo, che gli
sfrecciò al lato della testa con un
lampo violentissimo.
John Doe
sogghignò. “Mi sembri
stanco, salvatore…”
“Va’ al diavolo.” Ringhiò,
mentre un rivolo di sudore gli scendeva in mezzo
agli occhi, fastidioso.
John Doe non era un pesce piccolo. O se lo era, era maledettamente ben
addestrato al duello magico.
Era veloce, potente,
spietato.
Ed
io sono anni che non combatto seriamente con
qualcuno…
La
scrivania l’aveva intorpidito, i
riflessi non erano più quelli di un ragazzo che aveva appesa
sopra la propria
testa una spada di Damocle.
Erano quelli di un uomo di
ufficio e la magia, non utilizzata, si fiaccava.
Comunque, nonostante tutto
l’aveva
messo in
difficoltà. Il sicario aveva il
fiatone come lui, e la potenza mortifera delle sue maledizioni era
molto
diminuita dall’inizio.
E poi c’era un
altro
particolare che era un palese segnale di quanto Doe fosse sfinito. I
suoi
lineamenti si erano infiacchiti, fatti più segnati. Invecchiati.
Quando l’aveva
visto per la prima
volta gli era sembrato un trentenne. Ora sembrava averne una
cinquantina.
“Stanco? Non
credo. Se non
altro non sono invecchiato.” Motteggiò.
Doe fece una smorfia,
passandosi una mano sul viso. Ghignò.
“Che imbarazzo.
Credo che dopo
avermi visto in queste condizioni dovrò ucciderti, Harry
Potter. Ti dirò, sono
un po’ nervoso all’idea. In fondo è la
prima volta che ammazzo un eroe.”
“Non ho ancora smesso di
respirare, mi sembra.”
“Oh, questione di momenti.”
Il flusso dei rispettivi incantesimi si incontro di nuovo producendo
una
luminescenza arancione, accecante. Harry strinse i denti, ma quando con
uno
scoppio i flussi magici si interruppero, Doe aveva ancora la sua
bacchetta in
mano.
Dannazione.
Era una situazione di
stallo.
Per quanto cercasse di
disarmarlo, l’altro si difendeva. Per quanto cercasse di
colpirlo, ergeva
scudi. Alcuni incantesimi neppure li conosceva e solo i riflessi e
l’arsenale
che ricordava a memoria da quando ormai aveva diciassette anni gli
aveva
evitato di soccombere.
Lanciò
un’occhiata verso il
fondo della grotta, verso l’entrata.
E poi c’erano Albus e Tom. Non si sentivano rumori, non
c’erano lampi di luce.
Non si stavano scontrando.
Questo era un bene? Albus
era
riuscito a fuggire?
Era un male?
No, non voleva neanche pensare
all’eventualità…
Vide nella sua visuale un
raggio viola. Fece appena in tempo a deviarlo con un Sortilegio Scudo.
Doe sbuffò. “Ma come? Neppure mi presti
attenzione? Mai abbassare la guardia.
Mai.” Inarcò le sopracciglia. “Oh,
perdonami. Sarai preoccupato per i bambini.
Che dici, chi dei due ha ammazzato l’altro?”
“Figlio di puttana!” Ruggì furioso.
“Stupeficium!”
“Devi fare meglio di così, Salvatore!”
Rise l’uomo, vanificandolo con una
robusta diversione della bacchetta che lo fece scoppiare in migliaia di
scintille rosse. “Che ne dici di una bella maledizione? Al
Ministero non
saranno tanto contenti, ma ehi… il mezzo giustifica il fine.
O hai paura di
perdere la tua immagine da brav’uomo?”
Harry serrò la mascella. Usare le Maledizioni Senza Perdono.
Oh, in quel momento aveva sufficiente forza di volontà per
uccidere una decina
di John Doe.
Ma non poteva.
Le Maledizioni Senza Perdono
erano qualcosa che apparteneva ai cattivi della sua storia personale,
di quella
dell’Inghilterra magica. Solo una volta l’aveva
scagliata, contro Bellatrix
Lestrange, fuori di sé dalla rabbia. Ma non aveva
funzionato.
‘Ma
devi volerlo, Harry…Devi voler uccidere.’
Sentiva la voce strisciante di Voldemort risalirgli lungo la china dei
ricordi,
fare il nido nelle sue orecchie, balenargli davanti agli occhi.
Tom…
Il suo bambino silenzioso,
quello che si addormentava tutto rigido sulla moto per non
raggomitolarglisi
contro come ogni bambino normale, perché si vergognava.
Thomas, con quegli occhi rossi.
Oh, se lo voleva uccidere.
Ma non poteva.
Si aggiustò gli
occhiali,
sentendoli pesanti come macigni. “Io non sono un
assassino.”
“Ah no?” Interloquì Doe con un sorriso
sgradevole quando i suoi lineamenti
indeboliti dalla fatica. “La tua fama non riposa sui cadaveri
dei tuoi nemici?”
“Ho fatto
ciò che dovevo.”
Sillabò aspro. “E non devo giustificarmi con te,
né con nessun altro.”
È
così che ha messo in crisi Thomas? Con le domande,
con piccole esche…
Maledizione,
capisco perché ci sia caduto. Alla sua età
avrei fatto lo stesso, se non avessi avuto Silente e Sirius…
“Tu
non sei una persona cattiva Harry, sei una persona
buonissima a cui sono successe cose cattive. Tutti portiamo luce ed
ombra
dentro di noi. Ciò che conta è da che parte
scegliamo di agire. Questo è ciò
che siamo.”¹
Sirius poteva aver avuti
tanti
colpi di testa, tanti difetti, primo trai quali averlo considerato la
copia di
suo padre.
Ma quel discorso non l’aveva mai dimenticato e
l’aveva fatto suo.
Avrebbe dovuto dirlo a
Thomas,
quando c’era ancora tempo.
“Pensi che sia un
ragazzino
influenzabile? Ti avverto che già altri ci hanno provato
prima di te.” Fece un
sorriso quieto. “E ti assicuro che non ha funzionato. Sono
ancora qui.”
Doe tese le labbra in una smorfia, poi guardò qualcosa oltre
le sue spalle. E ghignò.
Era un largo, orribile
ghigno
felice. Possibile che i cattivi sorridessero tutti nella stessa
melliflua
maniera?
“Non sto
bluffando. Voltati,
salvatore di mondi.” Fece una pausa. “Ciao
Thomas.”
“Doe.”
Si voltò di
scatto, con il
cuore in gola e un orribile senso di smarrimento. Per un attimo, solo
per un
attimo, desiderò poter tornare ragazzo ed avere di nuovo
qualcuno a coprirgli
le spalle, e dire cosa fare.
Tom era da solo, e stringeva
in mano… la Bacchetta.
Doe non abbassò
la sua, non
era così stupido, ma gli occhi gli brillavano di
soddisfazione. Una gioia
selvaggia. “Bravo il mio ragazzo. Avanti, vieni qui. Fai
vedere ad Harry la tua
nuova bacchetta.”
Tom mosse qualche passo.
Al?
Dov’è Al?
“Tom,
dov’è Al?” Sussurrò sentendo
la
voce graffiargli la gola. Merlino, non poteva essere.
Il ragazzo non gli rispose,
ma
si voltò verso di lui.
L’espressione di gioia di Doe era troppa, perché
si accorgesse dei dettagli.
Harry non capì
subito. Era
stanco, sfibrato e Tom davvero, sembrava…
Poi lo notò.
Tom non aveva gli occhi
rossi.
Li aveva blu. Di quel blu straordinario, che a volte, quando era in
penombra
sembrava ossidiana. Il colore del mare profondo.
I suoi occhi.
“Vieni
Thomas… Harry non ti
farà del male.” Fece un ghigno sarcastico.
“Sai, lui è un eroe.” Tese la mano.
“Dammi la bacchetta.”
Tom si avvicinò, tendendogliela dalla parte del manico.
“Tom, no!” Gli
gridò, disperato. Non
voleva schiantarlo. Non poteva farlo, quando era evidente che qualsiasi
incantesimo l’avesse colpito avrebbe rischiato di ucciderlo.
Si reggeva a
malapena in piedi. E lui stesso non era certo di poter calibrare uno
schiantesimo in modo tale da farlo semplicemente svenire.
Il ragazzo non si voltò, raggiunse Doe.
“Tuo padre sarebbe fiero di te, ragazzo.” Lo
apostrofò l’uomo, facendo per
afferrare la bacchetta. Non c’era brama nel suo sguardo, solo
la soddisfazione
di aver concluso la missione. Harry era certo che a John Doe non
interessava
quella bacchetta.
Tom a quel punto si fermò. Inarcò le
sopracciglia.
“Mio padre dice sempre che non bisogna fidarsi dei
chiacchieroni. Devo
ammetterlo, per essere un babbano aveva ragione.”
Ritirò il braccio di scatto
facendo afferrare all’uomo soltanto l’aria.
“Tu parli troppo.”
Si scostò dalla traiettoria, dalla traiettoria di qualcuno
che Harry vide muoversi alle sue spalle.
Era Al, con di nuovo la sua bacchetta in mano.
“Petrificus Totalus!”
Doe non se l’aspettava era evidente. La sorpresa gli si
dipinse in volto, pura
e sgomenta prima di crollare a terra come un sacco, immobile come una
statua di
cera.
Harry ricordò di colpo come per Al fosse sempre stato
difficile scandire
precisamente gli incantesimi in situazioni di stress. In quel momento
l’espressione del figlio riflesse quella di Ginny. Era dura,
brillante.
“Albus!”
Tenne d’occhio Doe,
ma corsa da lui. “Al, stai bene?”
Il ragazzo inspirò, guardando la propria bacchetta.
“Ora che ho la mia
bacchetta sì…” Mormorò, con
un’ombra di sorriso. “Ora sì.
Mi… mi dispiace papà.
Ho fatto un casino.”
Harry gli passò
un braccio
attorno alle spalle, tirandoselo contro. Al ricambiò
l’abbraccio, stringendolo
come quando da bambino lo vedeva materializzarsi dopo una lunga
missione.
“Non dire
sciocchezze.” Gli
sussurrò trai capelli, cercando di frenare il groppo alla
gola. Suo figlio non
aveva bisogno certo di un genitore scosso in quel momento.
“Sei stato
grandioso.”
“Preferisco rimanere me stesso, grazie.”
Mugugnò, facendolo ridere.
Tom intanto si avvicinò a Doe, calciandogli via la bacchetta
dalla mano. Harry capì
subito che non andavano lasciati da soli. Per nessun dannatissimo
motivo, e ne
ebbe la conferma quando vide l’espressione di Tom.
Il ragazzo teneva la
bacchetta
contro l’uomo che lo fissava sgomento, per la prima volta con
un’espressione di
terrore dipinta in viso.
“Cosa dici, Doe, anche se non sono il padrone,
funzionerà per ucciderti?”
“Tom!” Gridò Al, staccandosi dal suo
abbraccio. “No! Sei
impazzito?!”
“Thomas, non ne vale la pena.”
Lo
richiamò Harry. Conosceva quell’espressione.
L’aveva vista sin troppe volte in
guerra addosso a lui o ai suoi amici. Vendetta.
Il ragazzo era teso come una corda, la mascella serrata.
“Non me ne importa
nulla.
Neppure io la valgo.” Gli lanciò
un’occhiata bruciante. “Tu sai.
Non è così?”
Harry non rispose subito. Fece solo un paio di passi, facendo cenno a
Al di
restare fermo. Era quello il momento cruciale: il figlioccio era in
sé, ma lo
shock di quei giorni di prigionia, la rabbia e la paura lo rendevano
molto più
pericoloso che sotto imperio.
Troppi giovani assassini
erano
nati così, durante la guerra.
“Sì. So
tutto. E non mi
importa.” Disse piano. “Tu sarai sempre il mio
figlioccio. Sei…”
“Sono Voldemort.” Lo trafisse con lo sguardo, quasi
sfidandolo a contraddirlo. “Sono
la sua anima.”
“Voldemort era la mia nemesi, l’uomo che ha ucciso
la mia famiglia e distrutto
la mia infanzia.” Un altro passo e gli fu accanto.
“Non possiamo decidere come
nascere, o da chi. Ma possiamo decidere chi essere. Una volta una
persona mi
disse che siamo le nostre scelte.
Puoi mettere fine alla sua vita. Credimi, lo capirei. Ti ha fatto del
male, ti
ha ingannato e ti ha quasi costretto ad uccidere Albus facendoti
diventare un
assassino.”
Tom non lo guardava. Fissava la smorfia scomposta dell’uomo
sotto di lui,
immobile e incapace.
Non faceva più paura adesso.
Sembra
solo un patetico ometto…
“Oppure?”
Chiese. “L’altra
opzione, Harry.”
Il tono era indifferente, ma
Harry sentì la disperazione. La percepì nello
sguardo, nella postura, nel modo
in cui lo guardava di sottecchi.
Lo stava sfidando a dargli la risposta giusta.
“Oppure puoi scegliere di
dispiacerti
per lui. Sei tu che hai la sua vita nelle tue mani adesso. La
pietà è uno dei
sentimenti più difficili da provare al mondo. Voldemort non
l’ha mai provata in
vita sua.”
“Non mi sento particolarmente pietoso…”
Sussurrò, ma abbassò la Bacchetta
chiudendo gli occhi. Non lo guardò mentre gliela consegnava.
Al dietro di lui
respirò di
sollievo. Deglutì, guardandosi attorno nervosamente.
“Possiamo
andarcene adesso?”
Chiese spezzando il silenzio. “Questo posto mi dà
i brividi.”
Harry annuì e con un cenno leggero del
polso tirò in
piedi Doe, pronunciando a mezza voce un incarcerarmus
per legarlo.
Tom raggiunse Al. Harry lo
vide tirargli un leggero colpo contro la spalla con la propria. Poi non
si
scostò, rimase lì, accanto al figlio. Al gli
sorrise.
C’era un
linguaggio segreto
tra quei due, Harry l’aveva sempre saputo: probabilmente era
quello che li
aveva salvati.
“Ho ancora voglia di ucciderlo.” Mormorò
quando Harry si fu assicurato di
tenere di fronte a sé Doe, con la bacchetta premuta sulla
schiena. Incedevano
per la grotta lentamente, stanchi. Al aveva il braccio di Tom attorno
alle
spalle. Lo sosteneva; era palese che con l’azione di prima
doveva aver esaurito
tutte le forze.
“Comprensibile.”
Gli sorrise
appena. “Sei umano.”
Tom non rispose.
Arrivarono
all’entrata. Al si
morse un labbro, guardando il padre che soffocò
un’imprecazione.
“Sapevo di averla colpita…” Disse tra
sé e sé. “Dovremo aspettare che
riattivino il passaggio dall’esterno. Ora come ora la
passaporta è
inutilizzabile.”
Al spiò l’arco di pietra semi-franato: prima non
aveva avuto il coraggio di
passarci in mezzo, ed evidentemente aveva fatto bene a dar retta al suo
elevato
istinto di conservazione.
Serpeverde
per la vita.
“Perché?
C’è ancora il
passaggio…” Chiese comunque.
“Sì, ma non è più collegato
magicamente all’esterno.” Gli spiegò il
padre, con
un sospiro.
“Come comunichiamo con l’esterno?” Al si
rabbuiò. “C’è un
modo?”
“Temo di no… Ma credo si siano accorti che il
passaggio è stato compromesso
anche da fuori. Verranno a prenderci, sta’
tranquillo.”
“Potresti chiedere
alla tua
fenice.” Esordì Tom nel silenzio.
“Fenice?” Harry
batté le palpebre,
attonito. “Quale fenice?”
Tom inarcò appena le sopracciglia. “Quella che
c’era prima. Ero sotto imperio
Harry, e l’ho notata persino io.
Volteggiava sopra la tomba di Silente, e poi è scomparsa in
una gigantesca
fiammata. Ma ti dava le spalle, in effetti.”
Al arrossì, sotto lo sguardo sbalordito di suo padre.
“È… l’ho trovata nel
bosco un paio di settimane fa. Mi ha seguito e mi ha portato qui.
L’ho chiamata
Fanny. Anche se non so se sia quella
Fanny.” Si schiarì la voce, chiamandola. Se Tom
non avesse detto che anche lui
l’aveva vista, avrebbe pensato ad un’allucinazione.
Dopo avergli aperto la
tomba infatti era scomparsa.
Si sentì un canto, che Harry ricordò come se non
fossero passati vent’anni da
quando l’aveva vista l’ultima volta. Certo, poteva
non essere quella fenice…
Ma di certo le somigliava mentre planava dolcemente sul braccio di suo
figlio.
“È
straordinario…” Sussurrò
rapito, guardandola. Era un esemplare giovane, e le dita di Al le
carezzavano
con naturalezza le piume. “Al, credo che ti abbia scelto come
padrone… Ed è una
cosa che succede raramente.”
“Siamo solo amici.” Rispose con un mezzo sorriso,
facendosi beccare
affettuosamente il lobo dell’orecchio. “E poi ho
già Anacleto.”
Harry abbozzò un sorriso, nascondendo una risata.
“Merlino Al! Non so se ti
rendi conto, ma…”
“Certo che me ne rendo
conto.” Lo
fermò serio. “E non me ne importa nulla. Io voglio
diventare un medimago. Non sono
un nuovo Silente. Mi basta avere il suo nome. Davvero.”
Harry lo guardo incredulo, prima di ridacchiare. Era così da Al un ragionamento del genere,
così umile ed insieme cocciuto
che si sentì un idiota ad aver pensato che avrebbe avuto
problemi con la
questione della Bacchetta, che potesse esserne attratto: suo figlio
aveva le
idee chiare. Non era interessati alle luci della ribalta, né
tantomeno ad
entrarci, anche se perfettamente legittimato a questo punto.
“Diventerai un
gran mago,
Albie.”
Il ragazzo, prevedibilmente, sbuffò. “È
Al, papà.” Poi
diede un colpetto con le dita, gentile
all’ala destra della fenice. “Avverti le persone
qua sopra, Fanny. Avverti che
siamo qui ed abbiamo bisogno di aiuto per uscire.”
Guardò il padre, come a
cercare conferma. Harry gli sorrise ed annuì. Al stese il
braccio e lasciò che
Fanny volasse via.
Era finita adesso, giusto?
Accadde tutto
all’improvviso.
Era così che
succedeva nella
realtà: le cose orribili non accadevano mai a rallentatore,
ma in una semplice,
ridicola, frazione di secondo.
Tom si era subito accorto
che
sia Al che Harry non stavano affatto badando a John Doe.
La sorpresa di trovarsi una
fenice tra le mani aveva distratto entrambi. Comprensibile, ma lui
conosceva
bene quell’uomo.
E persino legato e stordito
era un pericolo.
Lo era.
Perché lo vide di nuovo sorridere.
Mormorò qualcosa a fior di labbra, mentre Harry e Albus
seguivano il volo
colorato della fenice, una macchia di fuoco in mezzo a tutto quel
celeste
opalescente.
Un incantesimo non-verbale.
Se era rimasto in silenzio
tutto quel tempo non era perché era stato vinto.
Ma
perché stava cercando di rompere l’incarcerarmus.
Le
corde gli caddero di dosso, come
serpenti morti. E Tom seppe con calcolata precisione che era ad Al che
mirava,
al nuovo possessore della Bacchetta.
John Doe voleva ancora
finire
il suo compito.
Se
non sono io, sarà lui.
Tirò
fuori dalla tasca della giacca
un’altra bacchetta – come potevano essere stati
così stupidi a non supporre che
un sicario ne avesse una di ricambio? – e gliela
puntò contro.
Tom vide gli occhi del ragazzo fissarsi su Doe e sgranarsi, grandi,
enormi, spaventati.
Harry si voltò di
scatto, ma
non avrebbe mai fatto in tempo: aveva la bacchetta abbassata.
Tom allora capì
cosa doveva
fare.
Era semplice.
Si liberò dalla presa di Al e spinse, con tutte le forze Doe
fuori dalla
traiettoria di tiro, afferrandogli un braccio. Sentì il suo
corpo urlare di
dolore per il movimento brusco e il ringhio rabbioso
dell’uomo.
Non c’era stato altro tempo, se non per fare quello, ma la
spinta li sbilanciò
facendoli cadere dentro l’arco della passaporta.
L’ultima cosa che sentì fu Albus urlare il suo
nome.
Scusa
Al.
E poi fu inghiottito dal
buio.
****
Poteva succedere qualcosa
del
genere. Poteva, sì, certo. Era plausibilissimo.
Ma non avrebbe dovuto.
Rose sentiva il fiato corto
mentre affrontava l’ultima rampa di scale della Torre di
Astronomia.
James era tornato neanche
cinque minuti prima ai dormitori, di nuovo con il Mantello e con
un’espressione
scombussolata.
Come se non potesse crederci.
E
chi ci poteva credere? Pensò sentendo i passi
di Scorpius e James dietro di
sé, distanziati, perché probabilmente per la
prima volta nella sua bibliofila
vita stava correndo più di due atleti.
Perché sì, era tutto finito.
Al era salvo, i Doni della Morte erano di nuovo al sicuro e suo zio e
suo padre
si stavano occupando di tutto, assieme al sergente Smith.
Ma Tom…
Salì gli ultimi gradini della scala a chiocciola.
Sapeva che avrebbe trovato lì Albus, come sapeva che non
sarebbe rimasto in
infermeria ad attendere zia Ginny per essere portato via.
Al dava le spalle
all’entrata,
con le mani appoggiate sulla ringhiera.
Volle chiamarlo, ma non ci riuscì. Non subito almeno.
Che senso aveva poi, visto
che
non sapeva cosa dirgli?
Scorpius la raggiunse, sbuffando, mentre le metteva una mano sulla
spalla. “Da
quando corri così veloce?”
“Istinto del Clan Potter-Weasley.”
Mormorò senza riuscire a sorridere.
Thomas era caduto dentro la
passaporta
rotta. Ed era scomparso.
Teddy, arrivato poco dopo
James, aveva loro spiegato che era il primo caso di smaterializzazione
di quel
genere. Che erano stati chiamati degli esperti dal Ministero, che
avrebbero
fatto delle ricerche, perché sfortunatamente
– Teddy aveva solo riportato le parole di Smith
o era certa che avrebbe dovuto ucciderlo
- non esistevano incantesimi per far riapparire qualcuno.
Non in quel modo.
Teddy aveva anche detto che
c’erano buone possibilità che la passaporta
l’avesse trasferito in un luogo fisico.
Ma non era dato sapere
quale.
James si schiarì
la voce. La
luna in cielo si stagliava, esile, un quarto di luna.
“Va’ da lui.” Mormorò.
“Noi… beh, siamo maschi. Non è proprio
il caso, ecco.” Aggiunse.
Rose deglutì, ma non fece obiezioni. Era il suo
Potter, quello, anche se in quel momento non le era mai sembrato
così distante.
Si avvicinò, appoggiandosi alla ringhiera accanto a lui.
Albus aveva un grosso
cerotto
sulla guancia e il mantello di Harry addosso. I capelli arruffati gli
cadevano
sugli occhi, nascondendogli l’espressione.
“Il
coprifuoco?” Le chiese
piano.
“Al diavolo il
coprifuoco.”
Rispose. “Stai bene?”
“Sono vivo. E non avrei dovuto esserlo.” Si
scostò una ciocca di capelli. “Tom
mi ha salvato.”
“… Lo so.” Esitò.
“Al, io…”
“Tornerà.” La interruppe, guardando un
punto imprecisato, che Rose non riuscì
ad individuare. Era oltre la macchia degli alberi della Foresta
Proibita. Forse
addirittura oltre le montagne.
Lo
stai cercando, Al?
“Certo…”
Dio, che avrebbe
dovuto dirgli? Che forse gli era successa la stessa cosa accaduta a
Sirius
Black, come aveva ipotizzato Teddy? Che forse era svanito
nel nulla?
“No. Lo so che non mi credi.” Al scosse la testa.
Non piangeva. Non era
pallido. Non era sconvolto. Era tranquillo, realizzò Rose
stupita. Non ci
credeva a quello che diceva, ne era certo.
“Tom è vivo e tornerà.”
Rose inspirò, sentendosi orribile quando lo disse. Ma non
poteva non dirlo.
Non era sempre facile essere
amica di qualcuno.
Anzi,
a volte è un fottuto schifo.
“Al…
non sanno se la passaporta, in
quelle condizioni, si sia attivata o se invece… lo
abbia…”
Al la guardò. Era uno sguardo pulito come il vetro e
penetrante nello stesso
modo.
“Tu che
probabilità
sceglieresti, Rosie?” Le chiese. “Sapendo che il
ragazzo che ami ti ha salvato
la vita con la sua?”
Rose si voltò verso Scorpius. Aveva ascoltato, come James.
Erano rimasti in
disparte, ma c’erano.
Lo sapeva anche Al, si capiva dalla postura delle spalle. Sapeva di
averle
coperte, adesso.
“Sceglierei…” Esitò, poi
continuò più sicura. “…
Sceglierei quella in cui
faremo i MAGO dell’ultimo anno assieme e lo
batterò miseramente.”
Al abbassò lo
sguardo e
finalmente si lasciò stringere in un abbraccio.
“Lo
odio…” Sussurrò contro la
sua spalla. “È un vero idiota.”
Rose inghiottì il
groppo di
lacrime che avrebbe rovinato tutto. “Certo che lo
è. Ma non penso lo sia al
punto da non saper tornare indietro, no?”
Al rise appena. Un suono tenero e fragile come una piuma di zucchero.
Lo
strinse forte, perché era giusto così e
perché era quello che avrebbe fatto finché
Tom non sarebbe tornato.
“Tornerà
da te, Al. Perché prima
o poi si torna sempre a casa.”
****
Le onde frustavano
dolcemente
la risacca, lasciando una spuma soffice e del colore del latte.
Dopo ogni tempesta, arrivava
sempre il sereno per le bianche scogliere calcaree che tanti pittori
avevano
dipinto e tanti poeti avevano decantato.
E quando la tempesta
lasciava
la costa, quando l’acqua tornava ad incresparsi dolcemente,
c’era sempre
qualcosa che lasciava in regalo, quasi a volersi scusare di aver
maltrattato gli
isolani.
“Oma!
Oma guarda! C’è un ragazzo sulla
spiaggia!”
“Meike, vieni qui!
Un ragazzo?
Non fare la sciocca!”
“Ma no,
è vero ti dico! Vieni
a vedere, guarda!”
“Oh, per l’inferno di
Nurmengard…”
“Ti dicevo la verità, hai visto?
Com’è bello… Sembra un principe
addormentato!
Viene dal mare, oma? Dici che viene
dal mare, come la Sirenetta?”
“No, bambina
mia… Non viene
dal mare.” Aveva spostato con le dita una ciocca di capelli
fradici dal viso
del ragazzo. Erano color dell’ala di un corvo. Sua nipote
aveva ragione,
dall’alto dei suoi pochi anni di vita. Aveva la bellezza di
un principe. E la
tristezza di un naufrago.
“Allora da dove
viene?”
“Non lo so, tesoro
mio. Ma credo
che abbia perso la strada di casa.”
One of these days the sky's gonna break
and everything will escape and I'll know
One
of these days the mountains are gonna
fall into the sea and they'll know
That you and I were made for this
But
until that day I'll find a way to let everybody know that you're coming
back,
you're
coming back for me²
****
Note:
Finita!
…
Eddai, lo
sapete (ormai l’ho detto a
chiunque) ci sarà una seconda parte.
Fatemi organizzare, fidatemi
di me, che anche se adoro i finali aperti adoro più gli
happy-endings.
Sul serio.
Per farmi perdonare, ecco
l’ultimo capolavoro di Iksia.
Non potete odiarlo, è Tom
Quindi per
favore, non odiate me. *occhioni brillosi*
1 – Da
“Harry Potter e
l’Ordine della Fenice”
2 - Qui la
canzone. Ascoltatela, perché giuro
che l’ho scelta la prima volta che l’ho sentita. Ho
saputo subito che era la canzone
finale della prima parte.
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