Rinchiusa*
Quando Earine si svegliò, il mattino dopo, lo fece con un
forte mal di testa. Si mise a sedere portandosi una mano alla testa e
cercando di massaggiarsi le tempie, con una smorfia di dolore sul viso.
Non poteva neanche beare di alcuni istanti di incoscienza, come il
mattino prima, perché i ricordi si svegliarono insieme a
lei. Con un sospiro si guardò intorno, pronta a distinguere
la scura sagoma di Murtagh ma, al suo posto, intravide un vassoio
contente una brocca di latte e un piattino pieno di pane imburrato.
La sua espressione si
addolcì. Doveva essere stata sicuramente Marie.
Così si chiamava la guaritrice che aveva assalito il giorno
prima, visto che lei aveva cercato di sedarla. Quando Murtagh se
n’era andato, lasciandola sola, Marie aveva ritenuto sicuro
ritornare da lei per portarle il pranzo e le sue scuse. Earine le aveva
accettate, ricambiandole e cercando di instaurare un qualche contatto
con lei, per scoprire qualcosa in più su dove si trovava.
All’inizio
la guaritrice era restia a dirle qualsiasi cosa ma, con
l’astuzia, la ragazza aveva spostato il discorso su di lei,
apprendendo così non solo la sua storia, ma anche le
abitudini del castello. Alla fine aveva capito, con un brivido, di non
poter trovarsi che nel palazzo del re Galbatorix.
Marie, così
sapeva, era una ragazza ventitrèenne impegnata dai genitori
tanti anni prima per potersi salvare da alcuni debiti che non
permettevano loro di vivere. Così, dalla semplice
età di sedici anni, Marie viveva presso la corte del re,
facendo l’unica cosa per cui era naturalmente portata: la
guaritrice. Particolarmente abile fra erbe e medicinali, Marie si era
subito distinta dopo aver salvato da morte certa un ufficiale molto
vicino al re che, dopo quest’episodio, l’aveva
voluta incontrare. La guaritrice le raccontò di quegli occhi
scuri, insondabili e maligni, che l’avevano studiata per
tutto il tempo del colloquio. Alla fine, con suo profondo sollievo, il
re le aveva affidato il ruolo di guaritrice in pianta stabile.
Amava lavorare
lì, le aveva ammesso un po’ imbarazzata,
perché c’erano molti modi per approfondire la
propria cultura e per mettere alla prova le proprie abilità.
Earine le aveva
chiesto, poi, come conosceva quel ragazzo misterioso e come si
chiamava. La guaritrice le aveva risposto che avrebbe saputo il suo
nome quando lui l’avrebbe ritenuto opportuno, però
le raccontò del loro incontro. Murtagh, una sera, era
ritornato gravemente ferito dalla sua prima battaglia contro
l’Esercito Oppositore –come venivano chiamate
lì le truppe dei Varden e del Surda- e Marie era
l’unica guaritrice disponibile a curarlo. Da quel momento i
due erano entrati in stretto contatto e Marie poteva ormai definirsi
una delle sue persone più fidate.
“E’
per questo che mi chiamata quando ti ha portata qui” le aveva
detto, un po’ orgogliosa.
La vita a palazzo
incominciava presto, capì, intorno alle sei del mattino, ma
se non si poteva vantare un lavoro allora la vita a palazzo poteva
rivelarsi molto rilassante. Più che rilassante Earine si
sentiva come in gabbia.
Non poteva uscire,
gliel’avevano raccomandato più volte,
né farsi sentire. Doveva essere invisibile. Se non avesse
avuto la certezza che l’avrebbero uccisa, Earine si sarebbe
fatta vedere per sfregio al suo “salvatore”.
Più
ripensava a lui, più sentiva di odiarlo. Per la sua fredda
arroganza, per la sua superficialità e.. per aver ucciso suo
padre e i suoi compaesani. Quando ci pensava veniva assalita dalla
rabbia e dalla tristezza. Ma, pensava, così poteva lavorare
dall’interno per vendicarsi. Era un’occasione
d’oro da non sprecare.
Intanto,
però, doveva ristabilirsi. E in fretta.
Così, a
malincuore, scese dalla branda e si accoccolò davanti al
vassoio, sfiorando con la punta di un dito il bordo gelido della tazza
ricolma di latte.
-Questa sarebbe la mia
colazione, papà?- la sua voce era piena di scetticismo,
mentre indicava quella piccola ciotola di
ceramica.
-Certo- aveva
ribattuto lui, offeso –Perché, che ha che non va?-
-No, niente a parte il
fatto che.. non so cosa sia questa poltiglia bianca- scherzò
un’Earine undicenne
-E’ latte,
bambina mia, un derivato delle pecore- le aveva spiegato il padre,
avvicinandosi per poterle accarezzare i corti capelli scompigliati.
-E.. si mangia?- aveva
chiesto lei, guardando la tazza con estremo sospetto.
Lui aveva riso di
gusto.
Earine la prese con un
gesto deciso e se la portò alle labbra, permettendo al caldo
liquido all’interno di scenderle lungo la gola,
riscaldandola. La ragazza si passò una mano sulla pelle del
collo, guardandosi per un attimo nel lontano specchio posto vicino al
letto di Murtagh. Si stavano formando i lividi con la forma delle sue
dita, e già adesso spiccavano verdastri contro la pelle
perlacea. Qualche giorno e sarebbero diventati rossi, poi viola e
infine neri, poi sarebbero scomparsi. Earine sospirò alzando
gli occhi al cielo.
Si sarebbe dovuta
trovare qualcosa da fare per non impazzire.
Dopo aver spazzolato
tutto per bene –ne aveva bisogno per ristabilirsi- Earine si
alzò trattenendo uno sbadiglio e si avvicinò allo
specchio dove, ai suoi piedi, aveva scorto una grande ciotola ricolma
d’acqua di rose con una pezzuola accanto. Sembrava aspettasse
lei.
Così la
ragazza si tolse con cautela la camicia larga che indossava, tendendo i
muscoli indolenziti con una smorfia. Immerse la pezza
nell’acqua profumata poggiandosela sulla pelle di una spalla
e accorgendosi che anche quella, come il latte, era piacevolmente
calda. Si lavò approssimativamente –niente a che
vedere con un bel bagno nel fiume- ma, quando finì, Earine
si annusò la pelle, sentendola emanare un piacevole aroma di
rosa.
Soddisfatta si
girò e andò a prendere da sotto al letto il
completo che le aveva lasciato Marie il giorno prima. Aprì
con delicatezza tutti i vestiti e li guardò con
circospezione. Era un completo maschile, da combattimento.
Pantaloni stretti,
neri, stivali e top –che, notò, le lasciava le
spalle scoperte- dello stesso colore. Giustacuore in cuoio.
Se li
rigirò fra le mani per parecchio poi, preferendoli a quella
specie di camicia informe madida di sudore dei giorni precedenti, li
indossò con una scrollata di spalle. Erano molto
più comodi dei vestiti a cui era abitata e, una volta
infilati i pantaloni, Earine sentì uno strano senso di
protezione.
Dandosi della sciocca
la ragazza fece per piegare con cura la veste quando qualcuno
bussò. Si bloccò come poco prima, con le orecchie
tese e i muscoli immobili. Non un solo rumore.
-Earine, sono Marie.
Puoi aprirmi?- sentì la voce della guaritrice fuori la porta.
Dopo un sospiro di
sollievo, la ragazza si avviò alla porta con passo veloce
per aprire a Marie. La guaritrice la salutò con un bel
sorriso aperto.
-Buongiorno, cara.
Come ti senti?- le chiese premurosa, entrando e posando sul letto un
fagotto voluminoso.
-Molto meglio- le
rispose Earine, seguendola e guardando il pacco
–cos’è?-
-Una cosa che il mio
signore mi ha chiesto di portarti in mattinata- le spiegò la
guaritrice, afferrando i lembi del fagotto e districandoli
l’uno dall’altro.
Earine era sempre
più curiosa, tanto che si sporse per poter vedere
l’oggetto appena fosse sbucato dalla stoffa. Quando vide
cos’era rimase a bocca aperta.
Una spada.
-Murtagh ci tiene,
inoltre, a dirti che da oggi stesso prenderai lezioni di scherma da
lui- le riferì Marie, prendendo la lunga e affilata spada
fra le mani e rigirandosela.
Era molto bella, ma
anche semplice. Era sottile, ad una mano e mezza, argentea e dalla
punta leggermente ricurva verso il basso. La guardia era incrociata,
con una decorazione dorata e il manico era di robusto legno. Earine
tese la mano per prenderla, e scoprì con delusione che,
nonostante le apparenze, era molto pesante. Dovette abbassare il gomito
in una posizione scomoda per poterla tenere meglio in mano.
-Accidenti..- le
scappò
Marie la
guardò con apprensione –Ho cercato di dire a
Murtagh che era presto, ma..- scosse la testa
Earine si
alzò, mulinandola a destra e a sinistra per saggiarne
l’elasticità. Quasi nulla. Corrugò la
fronte. Imparare a combattere era stata un’idea eccellente
–perché non ci aveva pensato prima?- ma farlo con
quella spada e il giorno dopo esser guarita dalla febbre era.. pazzia.
-Quando il tuo signore
ritiene più giusto darmi lezione?- chiese con un tono di
voce venato di ironia
-Adesso-
Le due donne si
girarono verso la porta, dove sostava una figura alta e ammantata di
nero. Murtagh.
-Adesso?-
ripetè lei sorpresa
-Si- ribadì
il ragazzo, continuando a rimanere fuori dalla porta –A
quest’ora poca gente gironzola per il palazzo-
-Ma..-
provò a dire Marie
-Niente ma-
tagliò corto Murtagh –Andiamo-
E, detto questo,
scomparve dietro un angolo, dando chiaramente l’impressione
di dar per scontato che la ragazza lo seguisse. Marie ed Earine si
scambiarono uno sguardo.
*
Erano ormai ben dieci
minuti che Earine e Murtagh camminavano fra i corridoi del palazzo, e
la ragazza si sentiva impazzire. Tutti i corridoi erano uguali, stesso
colore dell’intonaco, stesse posizioni delle fiaccole, stesso
numero di stanze per fila. Stessa aria pesante e quasi tinta di
rossiccio. Earine era stata fatta coprire con un mantello scuro,
precedentemente servito per avvolgere la spada che le pendeva al
fianco, per poter camminare indisturbata senza esser riconosciuta.
Forse da sola non avrebbe goduto di tale anonimato, ma sicuramente
insieme a Murtagh nessuno poteva fermarla e chiederle qualcosa.
Stava iniziando a
stancarsi quando finalmente raggiunsero la loro destinazione. Murtagh
varcò il grande ingresso di fretta, facendole un cenno per
assicurarsi che lei facesse altrettanto.
Fu così che
lei camminò deliberatamente lenta.
Con un sospiro di
impazienza il ragazzo la raggiunse, afferrandola per un braccio e
trascinandola dentro, per poi chiudere la porta a chiave.
-Ahi- si
lamentò la fanciulla, più per dargli fastidio che
per effettivo dolore.
Lui la
ignorò, superandola per andare ad accendere le fiaccole
appese sul muro con la magia. La ragazza, intanto, girò su
sé stessa per poter ammirare la vasta sala da tutte le
angolazioni. A differenza dei lunghi e stretti corridoi del palazzo, le
pareti della sala non erano bordeaux, ma di un giallo molto chiaro che
si avvicinava al crema.
Non vi erano finestre,
ma nella parte in fondo alla sala v’erano appese centinaia di
armi di tutti i tipi. Earine si avvicinò, con la bocca
spalancata per lo stupore.
A destra, si potevano
ammirare archi di tutte le grandezze e fogge, da quelli più
lavorati –sicuramente elfici- a quelli più
semplici ma, all’apparenza almeno, letali. A sinistra,
invece, v’erano appese mazze, asce e pugnali, i
più belli che Earine avesse mai visto. Al centro invece
c’erano le spade.
Centinaia, migliaia,
di spade magnifiche, di tutti i colori e tipi. Erano disposte per
colore e grandezza, il che, da lontano, le faceva rassomigliare ad una
grande scala di colori. La fanciulla era affascinata.
-Belle, vero?-
sobbalzò quando si accorse di Murtagh, immobile e silenzioso
al suo fianco
Fece qualche passo per
distanziarsi da lui –Si-
Per un attimo i suoi
occhi azzurrissimi si scontrarono con quell’oceano di tenebra
del suo sguardo, poi il ragazzo si voltò ritornando al
centro della sala.
-Perché mi
dai lezione?- gli chiese la ragazza, seguendolo e posizionandosi
proprio di fronte a lui
-Perché si-
fu la sua risposta –Sfodera la tua spada-
-E se non volessi
farlo?- domandò lei ironicamente, incrociando le braccia.
Lui sfoderò
la sua e il lampo vermiglio della lama si rifletté negli
occhi azzurro cielo di Earine.
-Allora morirai-
replicò freddamente Murtagh, scattando in avanti con la lama
testa verso di lei.
Fu per un soffio che
Earine scansò quell’arma micidiale diretta al suo
viso, e subito dopo la ragazza capì che il suo odiato
salvatore stava facendo sul serio. Quindi, piena di riluttanza,
sguainò la lucida ed argentea spada datale da Marie solo
quella mattina, rigirandosela in mano e sentendo la sua pesantezza.
Nulla rivelarono gli occhi del suo nemico, ma Earine poteva quasi
toccare la sua soddisfazione.
Si girarono intorno,
senza perdersi d’occhio, e sempre più Earine si
sentiva stupida e a disagio. Lei non era quel genere di persona, lei
non combatteva, né odiava quel qualcuno con tanta
intensità. Per la prima volta la fanciulla
sospettò che Earine fosse morta sotto le macerie della sua
casa, accanto al padre, e quella che adesso si muoveva e viveva era
solo una mera copia.
Murtagh
spezzò i suoi pensieri tentando un semplice affondo diretto
al suo stomaco. La ragazza parò senza pensarci due volte ma,
appena la sua lama si scontrò con quella rosso sangue del
ragazzo, il polso le diede una fitta lancinante, dovuta allo sforzo che
Earine impiegava nel contrastare Murtagh. Quando quest’ultimo
si spostò, abbandonando l’attacco, Earine riprese
fiato con affanno.
-Mai concentrare tutta
la forza in un sol punto- l’ammonì Murtagh
–Prova a tenere la lama di piatto e ad affidare a lei il
compito di contrastare la forza dell’avversario. Riproviamo-
e ripartì all’attacco senza aspettare un cenno
della fanciulla.
Quelle furono per lei
le ore più lunghe ed impegnative che avesse mai passato in
tutta la sua vita. Se reggere, inizialmente, la spada era faticoso,
dopo dieci minuti diventò straziante. Le dita erano ormai
insensibili, a furia di stringerle sul manico, e il polso era gonfio
per la forza che ci voleva per sollevarla ogni volta. La sua schiena e
le sue spalle non erano allenate a combattimenti o a lotte, ma
più che altro al lavaggio dei panni e alla preparazione del
pane, e per questo l’abbandonavano nel momento del maggior
bisogno.
Murtagh, dal canto
suo, era implacabile. Da quando l’allenamento era iniziato i
suoi occhi erano velati di una concentrazione che –ne era
certa- lei non avrebbe dissipato neanche con una lama puntata alla
gola. Si muoveva con la rapidità degli elfi e la precisione
degli spadaccini più bravi. Un mix micidiale.
Eppure con lei era
sempre molto paziente e perseverante. Se una sequenza non le riusciva
gliela faceva ripetere mille volte per fissarla bene ed una in
più per non perdere la mano, senza mai rimproverarla. La sua
disponibilità la infastidiva profondamente.
E’
più facile odiare chi ti odia a sua volta pensava.
Ma lei continuava a
cercare di innervosirlo, con commenti e azioni ribelli. Ad ogni
reazione sua, una vena si gonfiava sul collo del ragazzo. Dopo
un’ora abbondante la mente di Earine si scollegò
totalmente, lasciando spazio solo ad azione e reazione, senza neanche
più rispondere a Murtagh. Un senso di colpa bruciante le
invadeva il petto.
Se lei queste cose le
avesse imparate prima, se si fosse impegnata prima ad afferrare una
spada, forse suo padre..
Venne interrotta dalla
lama dell’avversario che, superata la sua guardia, le
graffiò il braccio. Earine fece un balzo
all’indietro, lasciandosi sfuggire un gemito di dolore e di
sorpresa.
-Mai distrarsi- giunse
il commento di Murtagh
Earine
scattò –Non sono un soldato, diamin..-
-Io voglio che tu
diventi quello!- gridò il ragazzo, sovrastando il resto
delle sue parole.
Earine allora tenne a
freno la lingua, scoccandogli un’occhiata di puro odio. Con
un sospiro Murtagh si passò una mano fra i capelli nero
pece, fissando vacuo il muro. Poi, dopo un attimo che le
sembrò infinito, rinfoderò la spada.
-Per oggi basta-
-Ti ringrazio-non
potè trattenersi dal dire lei con una vena di ironia nella
voce.
Murtagh le
lanciò un’occhiataccia, ma non le disse niente.
Che stesse iniziando ad abituarsi alle sue frecciatine?
-Rimettiti questo- le
lanciò il suo mantello, caduto prima per terra –E
ritorna in camera. Non farti assolutamente vedere- le disse, calcando
l’ultima frase.
Earine
corrugò la fronte –Non vieni con me?-
Non che desiderasse la
sua compagnia, ma camminare da sola per quei corridoi era..
inquietante. E poi ogni guardia di ronda l’avrebbe potuta
fermare per chiederle chi era e dove stava andando.
-No, devo andare da
Castigo- rispose noncurante il ragazzo, lanciando
un’ultima occhiata all’arazzo delle armi.
Castigo. Il mostro
rosso.
Earine si
sentì irrigidire e la vista colorarsi di un colore
scarlatto, simile a quello delle squame del mostro alato. Andava a
trovare il compagno assassino, ovvio.
-Vai a trovare il
mostro- commentò inacidita la ragazza, fissandolo con gli
occhi azzurri perforanti.
Murtagh
avanzò verso di lei con espressione minacciosa
–Puoi anche insultare me, ragazzina, ma non puoi farlo con il
mio drago-
La fanciulla
scoppiò in una fredda risata senza gioia –Oh,
scusami, forse non l’avrei dovuto chiamare mostro. Meglio
abominio-
Murtagh
ringhiò –era assurdo, ma fu proprio quello il
rumore- e le si lanciò contro. La ragazza riuscì
a schivarlo e, seppur con le gambe e le braccia doloranti,
riuscì a raggiungere la porta. Sentiva dietro di se il
respiro pesante di Murtagh, e per la prima volta si rese conto che, se
l’avesse voluta uccidere, non avrebbe avuto nemmeno una
chance. L’aveva fatto arrabbiare come una sciocca, ma il
dolore per la perdita del padre e del villaggio ancora le risuonava
sordo nel petto e nella mente.
Aprì la
porta senza guardarsi indietro e si infilò in uno dei
corridoi laterali, girando gli angoli appena poteva per disorientare il
ragazzo. Poteva sentire i suoi passi dietro di sé ma, dopo
aver svoltato parecchi corridoi, si ritrovò sola nel
più perfetto silenzio. Si girò a destra e a
sinistra, ma tutto intorno a lei era del più perfetto
bordeaux. Sembrava che tutta la sua vita si fosse tinta di rosso.
Allora
ritornò sui suoi passi e girò nel corridoio a
destra e poi in quello a sinistra, prima di rendersi conto di aver
sbagliato strada. Disperata corse alla cieca, mentre muri sempre uguali
le sbarravano la strada. Poi, come un’ancora di salvezza,
Earine si ritrovò in un vicolo ceco dove torreggiava una
grande porta in ottone. Inclinò leggermente la testa,
avvicinandosi cauta. Sfiorò con la punta delle dita le
rifiniture d’oro.
Non dovrei entrare si
disse.
Accostò
l’orecchio al muro e non le sembrò che qualcuno
parlasse o si muovesse, all’interno. Così, non
sapendo cos’altro fare, entrò. Rimase a bocca
aperta.
Quella sala era una
delle più vaste che avesse mai visto, ed una delle
più eleganti. Dal soffitto pendevano tre lampadari in
cristallo, che riflettevano la luce del sole sul muro color panna. Uno
era azzurro, un altro rosso chiaro e l’ultimo color smeraldo.
Il pavimento era in marmo color salmone, con incise sopra strani linee
azzurre, rosse e verdi che si contorcevano e si univano fra loro. Le
vetrate erano gigantesche, allungate, simili a quelle che Earine aveva
visto molte volte nelle chiese. Al centro assoluto della sala stava uno
strano leggio in legno. Earine attraversò cautamente la
sala, sentendosi intimorita ed affascinata da quanto la circondava.
Più si avvicinava al leggio più si rendeva conto
che era una sorta di appoggio per qualcosa di tondo.
Si accostò
e posò una mano sul freddo e liscio legno scuro, color
ebano. Sopra di esso c’era qualcosa ricoperto da un sottile
panno bianco, e la fanciulla per un attimo si chiese se scostarlo o
meno.
Piena di incertezza
passò la mano sotto il panno, sfiorando l’oggetto
che vi era sotto. Era liscio al tatto, quasi scivoloso. Dopo un ultimo
istante di indecisione, Earine scostò il velo.
_________________________________________________________
Muahuahuah, sono o non sono perfida?
Dovrete aspettare il prossimo capitolo per sapere cosa ha scoperto
Earine e questo a cosa la porterà *sorriso malefico* ma se
vi spremete un po' le meningi, suppongo possiate arrivarci anche voi.
Forse alcuni penseranno "diavolo, siamo già a questo punto
della storia?". Beh, si, anche perchè volevo dare
l'impressione che il tempo corresse contro il tempo, come è
successo un po' ad Eragon d'altronde. Spero che non lo giudichiate
troppo esagerato, comunque çç
A parte questo, il solito ringraziamento a chi legge e soprattutto a
chi recensisce. Vi adoro <3
Al prossimo capitolo!
honeyS:
Ti
ringrazio tantissimo *-* spero che questo capitolo ti sia piaciuto
<3 Sono contenta di riuscire a coinvolgere i lettori,
è proprio l'obiettivo che ogni scrittore si prefigge *-*
Grazie ancora!
Baci
Amaerize: Ahah
xD fa il cattivino xD Nono, si dev'essere più gentili con le
signore uu ma d'altronde è tutto preso dal giuramento per
Galby e i problemi con il fratellastro ùù Ti
ringrazio *-* fa sempre piacere che i propri capitoli sono piaciuti a
qualcuno <3 spero che questo capitolo ti sia piaciuto come
quello prima!
Kisses
-Vì
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