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Autore: blackpearl_    20/06/2010    5 recensioni
Tratto dal secondo capitolo: "Le vetrate erano gigantesche, allungate, simili a quelle che Earine aveva visto molte volte nelle chiese. Al centro assoluto della sala stava uno strano leggio in legno. Earine attraversò cautamente la sala, sentendosi intimorita ed affascinata da quanto la circondava. Più si avvicinava al leggio più si rendeva conto che era una sorta di appoggio per qualcosa di tondo. Si accostò e posò una mano sul freddo e liscio legno scuro, color ebano. Sopra di esso c’era qualcosa ricoperto da un sottile panno bianco, e la fanciulla per un attimo si chiese se scostarlo o meno. Piena di incertezza passò la mano sotto il panno, sfiorando l’oggetto che vi era sotto. Era liscio al tatto, quasi scivoloso. Dopo un ultimo istante di indecisione, Earine scostò il velo.
Genere: Romantico, Malinconico, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Murtagh, Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Rinchiusa*


Quando Earine si svegliò, il mattino dopo, lo fece con un forte mal di testa. Si mise a sedere portandosi una mano alla testa e cercando di massaggiarsi le tempie, con una smorfia di dolore sul viso. Non poteva neanche beare di alcuni istanti di incoscienza, come il mattino prima, perché i ricordi si svegliarono insieme a lei. Con un sospiro si guardò intorno, pronta a distinguere la scura sagoma di Murtagh ma, al suo posto, intravide un vassoio contente una brocca di latte e un piattino pieno di pane imburrato.

La sua espressione si addolcì. Doveva essere stata sicuramente Marie. Così si chiamava la guaritrice che aveva assalito il giorno prima, visto che lei aveva cercato di sedarla. Quando Murtagh se n’era andato, lasciandola sola, Marie aveva ritenuto sicuro ritornare da lei per portarle il pranzo e le sue scuse. Earine le aveva accettate, ricambiandole e cercando di instaurare un qualche contatto con lei, per scoprire qualcosa in più su dove si trovava.
All’inizio la guaritrice era restia a dirle qualsiasi cosa ma, con l’astuzia, la ragazza aveva spostato il discorso su di lei, apprendendo così non solo la sua storia, ma anche le abitudini del castello. Alla fine aveva capito, con un brivido, di non poter trovarsi che nel palazzo del re Galbatorix.
Marie, così sapeva, era una ragazza ventitrèenne impegnata dai genitori tanti anni prima per potersi salvare da alcuni debiti che non permettevano loro di vivere. Così, dalla semplice età di sedici anni, Marie viveva presso la corte del re, facendo l’unica cosa per cui era naturalmente portata: la guaritrice. Particolarmente abile fra erbe e medicinali, Marie si era subito distinta dopo aver salvato da morte certa un ufficiale molto vicino al re che, dopo quest’episodio, l’aveva voluta incontrare. La guaritrice le raccontò di quegli occhi scuri, insondabili e maligni, che l’avevano studiata per tutto il tempo del colloquio. Alla fine, con suo profondo sollievo, il re le aveva affidato il ruolo di guaritrice in pianta stabile.
Amava lavorare lì, le aveva ammesso un po’ imbarazzata, perché c’erano molti modi per approfondire la propria cultura e per mettere alla prova le proprie abilità.
Earine le aveva chiesto, poi, come conosceva quel ragazzo misterioso e come si chiamava. La guaritrice le aveva risposto che avrebbe saputo il suo nome quando lui l’avrebbe ritenuto opportuno, però le raccontò del loro incontro. Murtagh, una sera, era ritornato gravemente ferito dalla sua prima battaglia contro l’Esercito Oppositore –come venivano chiamate lì le truppe dei Varden e del Surda- e Marie era l’unica guaritrice disponibile a curarlo. Da quel momento i due erano entrati in stretto contatto e Marie poteva ormai definirsi una delle sue persone più fidate.
“E’ per questo che mi chiamata quando ti ha portata qui” le aveva detto, un po’ orgogliosa.
La vita a palazzo incominciava presto, capì, intorno alle sei del mattino, ma se non si poteva vantare un lavoro allora la vita a palazzo poteva rivelarsi molto rilassante. Più che rilassante Earine si sentiva come in gabbia.
Non poteva uscire, gliel’avevano raccomandato più volte, né farsi sentire. Doveva essere invisibile. Se non avesse avuto la certezza che l’avrebbero uccisa, Earine si sarebbe fatta vedere per sfregio al suo “salvatore”.
Più ripensava a lui, più sentiva di odiarlo. Per la sua fredda arroganza, per la sua superficialità e.. per aver ucciso suo padre e i suoi compaesani. Quando ci pensava veniva assalita dalla rabbia e dalla tristezza. Ma, pensava, così poteva lavorare dall’interno per vendicarsi. Era un’occasione d’oro da non sprecare.
Intanto, però, doveva ristabilirsi. E in fretta.
Così, a malincuore, scese dalla branda e si accoccolò davanti al vassoio, sfiorando con la punta di un dito il bordo gelido della tazza ricolma di latte.

-Questa sarebbe la mia colazione, papà?- la sua voce era piena di scetticismo, mentre indicava quella piccola ciotola di
ceramica.

-Certo- aveva ribattuto lui, offeso –Perché, che ha che non va?-

-No, niente a parte il fatto che.. non so cosa sia questa poltiglia bianca- scherzò un’Earine undicenne

-E’ latte, bambina mia, un derivato delle pecore- le aveva spiegato il padre, avvicinandosi per poterle accarezzare i corti capelli scompigliati.

-E.. si mangia?- aveva chiesto lei, guardando la tazza con estremo sospetto.

Lui aveva riso di gusto.

Earine la prese con un gesto deciso e se la portò alle labbra, permettendo al caldo liquido all’interno di scenderle lungo la gola, riscaldandola. La ragazza si passò una mano sulla pelle del collo, guardandosi per un attimo nel lontano specchio posto vicino al letto di Murtagh. Si stavano formando i lividi con la forma delle sue dita, e già adesso spiccavano verdastri contro la pelle perlacea. Qualche giorno e sarebbero diventati rossi, poi viola e infine neri, poi sarebbero scomparsi. Earine sospirò alzando gli occhi al cielo.
Si sarebbe dovuta trovare qualcosa da fare per non impazzire.
Dopo aver spazzolato tutto per bene –ne aveva bisogno per ristabilirsi- Earine si alzò trattenendo uno sbadiglio e si avvicinò allo specchio dove, ai suoi piedi, aveva scorto una grande ciotola ricolma d’acqua di rose con una pezzuola accanto. Sembrava aspettasse lei.
Così la ragazza si tolse con cautela la camicia larga che indossava, tendendo i muscoli indolenziti con una smorfia. Immerse la pezza nell’acqua profumata poggiandosela sulla pelle di una spalla e accorgendosi che anche quella, come il latte, era piacevolmente calda. Si lavò approssimativamente –niente a che vedere con un bel bagno nel fiume- ma, quando finì, Earine si annusò la pelle, sentendola emanare un piacevole aroma di rosa.
Soddisfatta si girò e andò a prendere da sotto al letto il completo che le aveva lasciato Marie il giorno prima. Aprì con delicatezza tutti i vestiti e li guardò con circospezione. Era un completo maschile, da combattimento.
Pantaloni stretti, neri, stivali e top –che, notò, le lasciava le spalle scoperte- dello stesso colore. Giustacuore in cuoio.
Se li rigirò fra le mani per parecchio poi, preferendoli a quella specie di camicia informe madida di sudore dei giorni precedenti, li indossò con una scrollata di spalle. Erano molto più comodi dei vestiti a cui era abitata e, una volta infilati i pantaloni, Earine sentì uno strano senso di protezione.
Dandosi della sciocca la ragazza fece per piegare con cura la veste quando qualcuno bussò. Si bloccò come poco prima, con le orecchie tese e i muscoli immobili. Non un solo rumore.

-Earine, sono Marie. Puoi aprirmi?- sentì la voce della guaritrice fuori la porta.

Dopo un sospiro di sollievo, la ragazza si avviò alla porta con passo veloce per aprire a Marie. La guaritrice la salutò con un bel sorriso aperto.

-Buongiorno, cara. Come ti senti?- le chiese premurosa, entrando e posando sul letto un fagotto voluminoso.

-Molto meglio- le rispose Earine, seguendola e guardando il pacco –cos’è?-

-Una cosa che il mio signore mi ha chiesto di portarti in mattinata- le spiegò la guaritrice, afferrando i lembi del fagotto e districandoli l’uno dall’altro.

Earine era sempre più curiosa, tanto che si sporse per poter vedere l’oggetto appena fosse sbucato dalla stoffa. Quando vide cos’era rimase a bocca aperta.
Una spada.

-Murtagh ci tiene, inoltre, a dirti che da oggi stesso prenderai lezioni di scherma da lui- le riferì Marie, prendendo la lunga e affilata spada fra le mani e rigirandosela.

Era molto bella, ma anche semplice. Era sottile, ad una mano e mezza, argentea e dalla punta leggermente ricurva verso il basso. La guardia era incrociata, con una decorazione dorata e il manico era di robusto legno. Earine tese la mano per prenderla, e scoprì con delusione che, nonostante le apparenze, era molto pesante. Dovette abbassare il gomito in una posizione scomoda per poterla tenere meglio in mano.

-Accidenti..- le scappò

Marie la guardò con apprensione –Ho cercato di dire a Murtagh che era presto, ma..- scosse la testa

Earine si alzò, mulinandola a destra e a sinistra per saggiarne l’elasticità. Quasi nulla. Corrugò la fronte. Imparare a combattere era stata un’idea eccellente –perché non ci aveva pensato prima?- ma farlo con quella spada e il giorno dopo esser guarita dalla febbre era.. pazzia.

-Quando il tuo signore ritiene più giusto darmi lezione?- chiese con un tono di voce venato di ironia

-Adesso-

Le due donne si girarono verso la porta, dove sostava una figura alta e ammantata di nero. Murtagh.

-Adesso?- ripetè lei sorpresa

-Si- ribadì il ragazzo, continuando a rimanere fuori dalla porta –A quest’ora poca gente gironzola per il palazzo-

-Ma..- provò a dire Marie

-Niente ma- tagliò corto Murtagh –Andiamo-

E, detto questo, scomparve dietro un angolo, dando chiaramente l’impressione di dar per scontato che la ragazza lo seguisse. Marie ed Earine si scambiarono uno sguardo.


*


Erano ormai ben dieci minuti che Earine e Murtagh camminavano fra i corridoi del palazzo, e la ragazza si sentiva impazzire. Tutti i corridoi erano uguali, stesso colore dell’intonaco, stesse posizioni delle fiaccole, stesso numero di stanze per fila. Stessa aria pesante e quasi tinta di rossiccio. Earine era stata fatta coprire con un mantello scuro, precedentemente servito per avvolgere la spada che le pendeva al fianco, per poter camminare indisturbata senza esser riconosciuta. Forse da sola non avrebbe goduto di tale anonimato, ma sicuramente insieme a Murtagh nessuno poteva fermarla e chiederle qualcosa.
Stava iniziando a stancarsi quando finalmente raggiunsero la loro destinazione. Murtagh varcò il grande ingresso di fretta, facendole un cenno per assicurarsi che lei facesse altrettanto.
Fu così che lei camminò deliberatamente lenta.
Con un sospiro di impazienza il ragazzo la raggiunse, afferrandola per un braccio e trascinandola dentro, per poi chiudere la porta a chiave.

-Ahi- si lamentò la fanciulla, più per dargli fastidio che per effettivo dolore.

Lui la ignorò, superandola per andare ad accendere le fiaccole appese sul muro con la magia. La ragazza, intanto, girò su sé stessa per poter ammirare la vasta sala da tutte le angolazioni. A differenza dei lunghi e stretti corridoi del palazzo, le pareti della sala non erano bordeaux, ma di un giallo molto chiaro che si avvicinava al crema.
Non vi erano finestre, ma nella parte in fondo alla sala v’erano appese centinaia di armi di tutti i tipi. Earine si avvicinò, con la bocca spalancata per lo stupore.
A destra, si potevano ammirare archi di tutte le grandezze e fogge, da quelli più lavorati –sicuramente elfici- a quelli più semplici ma, all’apparenza almeno, letali. A sinistra, invece, v’erano appese mazze, asce e pugnali, i più belli che Earine avesse mai visto. Al centro invece c’erano le spade.
Centinaia, migliaia, di spade magnifiche, di tutti i colori e tipi. Erano disposte per colore e grandezza, il che, da lontano, le faceva rassomigliare ad una grande scala di colori. La fanciulla era affascinata.

-Belle, vero?- sobbalzò quando si accorse di Murtagh, immobile e silenzioso al suo fianco

Fece qualche passo per distanziarsi da lui –Si-

Per un attimo i suoi occhi azzurrissimi si scontrarono con quell’oceano di tenebra del suo sguardo, poi il ragazzo si voltò ritornando al centro della sala.

-Perché mi dai lezione?- gli chiese la ragazza, seguendolo e posizionandosi proprio di fronte a lui

-Perché si- fu la sua risposta –Sfodera la tua spada-

-E se non volessi farlo?- domandò lei ironicamente, incrociando le braccia.

Lui sfoderò la sua e il lampo vermiglio della lama si rifletté negli occhi azzurro cielo di Earine.

-Allora morirai- replicò freddamente Murtagh, scattando in avanti con la lama testa verso di lei.

Fu per un soffio che Earine scansò quell’arma micidiale diretta al suo viso, e subito dopo la ragazza capì che il suo odiato salvatore stava facendo sul serio. Quindi, piena di riluttanza, sguainò la lucida ed argentea spada datale da Marie solo quella mattina, rigirandosela in mano e sentendo la sua pesantezza. Nulla rivelarono gli occhi del suo nemico, ma Earine poteva quasi toccare la sua soddisfazione.
Si girarono intorno, senza perdersi d’occhio, e sempre più Earine si sentiva stupida e a disagio. Lei non era quel genere di persona, lei non combatteva, né odiava quel qualcuno con tanta intensità. Per la prima volta la fanciulla sospettò che Earine fosse morta sotto le macerie della sua casa, accanto al padre, e quella che adesso si muoveva e viveva era solo una mera copia.
Murtagh spezzò i suoi pensieri tentando un semplice affondo diretto al suo stomaco. La ragazza parò senza pensarci due volte ma, appena la sua lama si scontrò con quella rosso sangue del ragazzo, il polso le diede una fitta lancinante, dovuta allo sforzo che Earine impiegava nel contrastare Murtagh. Quando quest’ultimo si spostò, abbandonando l’attacco, Earine riprese fiato con affanno.

-Mai concentrare tutta la forza in un sol punto- l’ammonì Murtagh –Prova a tenere la lama di piatto e ad affidare a lei il compito di contrastare la forza dell’avversario. Riproviamo- e ripartì all’attacco senza aspettare un cenno della fanciulla.

Quelle furono per lei le ore più lunghe ed impegnative che avesse mai passato in tutta la sua vita. Se reggere, inizialmente, la spada era faticoso, dopo dieci minuti diventò straziante. Le dita erano ormai insensibili, a furia di stringerle sul manico, e il polso era gonfio per la forza che ci voleva per sollevarla ogni volta. La sua schiena e le sue spalle non erano allenate a combattimenti o a lotte, ma più che altro al lavaggio dei panni e alla preparazione del pane, e per questo l’abbandonavano nel momento del maggior bisogno.
Murtagh, dal canto suo, era implacabile. Da quando l’allenamento era iniziato i suoi occhi erano velati di una concentrazione che –ne era certa- lei non avrebbe dissipato neanche con una lama puntata alla gola. Si muoveva con la rapidità degli elfi e la precisione degli spadaccini più bravi. Un mix micidiale.
Eppure con lei era sempre molto paziente e perseverante. Se una sequenza non le riusciva gliela faceva ripetere mille volte per fissarla bene ed una in più per non perdere la mano, senza mai rimproverarla. La sua disponibilità la infastidiva profondamente.
E’ più facile odiare chi ti odia a sua volta pensava.
Ma lei continuava a cercare di innervosirlo, con commenti e azioni ribelli. Ad ogni reazione sua, una vena si gonfiava sul collo del ragazzo. Dopo un’ora abbondante la mente di Earine si scollegò totalmente, lasciando spazio solo ad azione e reazione, senza neanche più rispondere a Murtagh. Un senso di colpa bruciante le invadeva il petto.
Se lei queste cose le avesse imparate prima, se si fosse impegnata prima ad afferrare una spada, forse suo padre..
Venne interrotta dalla lama dell’avversario che, superata la sua guardia, le graffiò il braccio. Earine fece un balzo all’indietro, lasciandosi sfuggire un gemito di dolore e di sorpresa.

-Mai distrarsi- giunse il commento di Murtagh

Earine scattò –Non sono un soldato, diamin..-

-Io voglio che tu diventi quello!- gridò il ragazzo, sovrastando il resto delle sue parole.

Earine allora tenne a freno la lingua, scoccandogli un’occhiata di puro odio. Con un sospiro Murtagh si passò una mano fra i capelli nero pece, fissando vacuo il muro. Poi, dopo un attimo che le sembrò infinito, rinfoderò la spada.

-Per oggi basta-

-Ti ringrazio-non potè trattenersi dal dire lei con una vena di ironia nella voce.

Murtagh le lanciò un’occhiataccia, ma non le disse niente. Che stesse iniziando ad abituarsi alle sue frecciatine?

-Rimettiti questo- le lanciò il suo mantello, caduto prima per terra –E ritorna in camera. Non farti assolutamente vedere- le disse, calcando l’ultima frase.

Earine corrugò la fronte –Non vieni con me?-

Non che desiderasse la sua compagnia, ma camminare da sola per quei corridoi era.. inquietante. E poi ogni guardia di ronda l’avrebbe potuta fermare per chiederle chi era e dove stava andando.

-No, devo andare da Castigo- rispose noncurante il ragazzo,  lanciando un’ultima occhiata all’arazzo delle armi.

Castigo. Il mostro rosso.
Earine si sentì irrigidire e la vista colorarsi di un colore scarlatto, simile a quello delle squame del mostro alato. Andava a trovare il compagno assassino, ovvio.

-Vai a trovare il mostro- commentò inacidita la ragazza, fissandolo con gli occhi azzurri perforanti.

Murtagh avanzò verso di lei con espressione minacciosa –Puoi anche insultare me, ragazzina, ma non puoi farlo con il mio drago-

La fanciulla scoppiò in una fredda risata senza gioia –Oh, scusami, forse non l’avrei dovuto chiamare mostro. Meglio abominio-

Murtagh ringhiò –era assurdo, ma fu proprio quello il rumore- e le si lanciò contro. La ragazza riuscì a schivarlo e, seppur con le gambe e le braccia doloranti, riuscì a raggiungere la porta. Sentiva dietro di se il respiro pesante di Murtagh, e per la prima volta si rese conto che, se l’avesse voluta uccidere, non avrebbe avuto nemmeno una chance. L’aveva fatto arrabbiare come una sciocca, ma il dolore per la perdita del padre e del villaggio ancora le risuonava sordo nel petto e nella mente.
Aprì la porta senza guardarsi indietro e si infilò in uno dei corridoi laterali, girando gli angoli appena poteva per disorientare il ragazzo. Poteva sentire i suoi passi dietro di sé ma, dopo aver svoltato parecchi corridoi, si ritrovò sola nel più perfetto silenzio. Si girò a destra e a sinistra, ma tutto intorno a lei era del più perfetto bordeaux. Sembrava che tutta la sua vita si fosse tinta di rosso.
Allora ritornò sui suoi passi e girò nel corridoio a destra e poi in quello a sinistra, prima di rendersi conto di aver sbagliato strada. Disperata corse alla cieca, mentre muri sempre uguali le sbarravano la strada. Poi, come un’ancora di salvezza, Earine si ritrovò in un vicolo ceco dove torreggiava una grande porta in ottone. Inclinò leggermente la testa, avvicinandosi cauta. Sfiorò con la punta delle dita le rifiniture d’oro.
Non dovrei entrare si disse.
Accostò l’orecchio al muro e non le sembrò che qualcuno parlasse o si muovesse, all’interno. Così, non sapendo cos’altro fare, entrò. Rimase a bocca aperta.
Quella sala era una delle più vaste che avesse mai visto, ed una delle più eleganti. Dal soffitto pendevano tre lampadari in cristallo, che riflettevano la luce del sole sul muro color panna. Uno era azzurro, un altro rosso chiaro e l’ultimo color smeraldo. Il pavimento era in marmo color salmone, con incise sopra strani linee azzurre, rosse e verdi che si contorcevano e si univano fra loro. Le vetrate erano gigantesche, allungate, simili a quelle che Earine aveva visto molte volte nelle chiese. Al centro assoluto della sala stava uno strano leggio in legno. Earine attraversò cautamente la sala, sentendosi intimorita ed affascinata da quanto la circondava. Più si avvicinava al leggio più si rendeva conto che era una sorta di appoggio per qualcosa di tondo.
Si accostò e posò una mano sul freddo e liscio legno scuro, color ebano. Sopra di esso c’era qualcosa ricoperto da un sottile panno bianco, e la fanciulla per un attimo si chiese se scostarlo o meno.
Piena di incertezza passò la mano sotto il panno, sfiorando l’oggetto che vi era sotto. Era liscio al tatto, quasi scivoloso. Dopo un ultimo istante di indecisione, Earine scostò il velo.



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Muahuahuah, sono o non sono perfida?
Dovrete aspettare il prossimo capitolo per sapere cosa ha scoperto Earine e questo a cosa la porterà *sorriso malefico* ma se vi spremete un po' le meningi, suppongo possiate arrivarci anche voi. Forse alcuni penseranno "diavolo, siamo già a questo punto della storia?". Beh, si, anche perchè volevo dare l'impressione che il tempo corresse contro il tempo, come è successo un po' ad Eragon d'altronde. Spero che non lo giudichiate troppo esagerato, comunque çç 
A parte questo, il solito ringraziamento a chi legge e soprattutto a chi recensisce. Vi adoro <3
Al prossimo capitolo!

honeyS: Ti ringrazio tantissimo *-* spero che questo capitolo ti sia piaciuto <3 Sono contenta di riuscire a coinvolgere i lettori, è proprio l'obiettivo che ogni scrittore si prefigge *-* Grazie ancora!
Baci

Amaerize: Ahah xD fa il cattivino xD Nono, si dev'essere più gentili con le signore uu ma d'altronde è tutto preso dal giuramento per Galby e i problemi con il fratellastro ùù Ti ringrazio *-* fa sempre piacere che i propri capitoli sono piaciuti a qualcuno <3 spero che questo capitolo ti sia piaciuto come quello prima!
Kisses

-Vì
   
 
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