20.
L'ennesima
partenza, ma non sentiva più quella tristezza dentro di lei,
ormai era abituata. Quella volta però un po' di malinconia
c'era, portata anche dalla consapevolezza che non sarebbero
più stati tanto intorno a lei dopo l'uscita del CD. Quei
mesi insieme erano volati, e si erano divertiti come sempre, ma era
arrivato il momento di tornare con i piedi per terra e di ricominciare
a vivere con loro solo quei pezzetti di pausa che gli permettevano di
tornare a casa.
Che
hai? - Tom chiuse la valigia facendo scattare la chiusura ed
aggiungendola alle altre cinque già posate sul pavimento. La
sera prima della partenza era sempre difficile quando doveva andare via
da lei.
-
Pensavo... - rispose la bionda poggiando le mani sul materasso
– che non mi chiami più Greis... -
Lui
sorrise e si sedette vicino a lei – È da tanto che
non ti chiamo in quel modo... -
-
Perché hai smesso? -
-
Non mi ricordo perché ho smesso, è successo
è basta – alzò le spalle e si
girò a fissarla, era stranamente pensierosa quella volta, ed
anche lui, avrebbe voluto dirgli tutto quello che provava per lei. Ci
aveva pensato troppe volte a come sarebbe stato quel momento, anche se
era convinto che avrebbe continuato a fare finta di niente su quelli
che erano i suoi sentimenti ancora per moltissimo tempo.
Preferiva
tutto quel dolore piuttosto che essere rifiutato da lei ed essere
veramente cosciente del fatto che l'amicizia era l'unica cosa a cui
poteva veramente ambire.
Greta
sospirò chiudendo gli occhi, per poi poggiare la testa
contro la sua spalla – È solo un mese no? - gli
disse cambiando discorso.
-
Sì, è solo un mese... -
-
Passerà veloce -
-
Come sempre -
-
Ti avevo preso le M&M's blu... - mormorò girandosi a
prendere la sua borsa.
-
Grazie... -
-
Sì ma me le sono mangiate tutte – disse
mostrandogli il sacchetto vuoto.
Tom
sorrise e si alzò in piedi di fronte a lei aprendo le
braccia – È il momento dell'abbraccio di rito... -
sospirò spostando la testa di lato.
Greta
lasciò la borsa sul letto ridendo si avvicinò e
lo strinse forte, con quanta forza aveva in corpo, e si senti stringere
nello stesso modo, anzi, le sembrò per un momento che lui
non volesse lasciarla andare via.
-
Mi mancherai... - mormorò Tom al suo orecchio.
E
fu in quel preciso istante, che il cuore di Greta si
precipitò in gola e cominciò a battere
fortissimo, e lo stomaco piano piano si chiudeva in un nodo.
E
fu in quel preciso istante che capì che quello non era
affetto.
Quello
era solo amore.
Otto Kerner era sempre
stato un uomo dalle vedute aperte, anzi, diciamo pure un padre moderno.
Crescere da solo la
propria bambina non era stato affatto facile, né per lui
tanto meno per Greta che non aveva potuto contare sulla figura
femminile che una bambina ricerca nella madre.
Era sempre stato grato
a Simone per l'aiuto che gli aveva dato quando sua figlia aveva avuto i
classici problemi da ragazza, dall'arrivo delle mestruazioni, al cuore
infranto per una cotta adolescenziale all'averle insegnato a cucinare
qualcosa che non erano i piatti surgelati che riportava lui dal
supermercato. In particolar modo era contento del fatto che sua figlia
fosse cresciuta bene, con quell'amicizia così stretta con
quei due bambini che all'inizio faceva fatica anche a distinguere.
Si era sempre fidato
ciecamente dei gemelli, ovunque ci fossero loro si sentiva tranquillo,
e quando c'era qualcosa che non li includeva, faceva in modo che
venissero inclusi in modo che anche sua figlia si sentisse
più tranquilla.
Ovviamente immaginava
che prima o poi, quando sarebbero diventati grandi, sarebbe successo
qualcosa di più tra sua figlia ed uno dei due gemelli, era
scritto, anzi, lui e Simone ne parlavano spesso quando erano ancora
ragazzini e li vedevano giocare insieme. Ed il fatto che Tom si
preoccupasse spesso di dedicarle attenzioni come farla cadere, farla
piangere, ma anche proteggerla da chi provava a farla cadere e farla
piangere, gli faceva apparire le cose molto più chiare.
Quando venne a sapere
dalla figlia che dopo tanti anni era successo qualcosa di
più tra i due, era stato contento, certo, sperava che non la
facesse soffrire, con la vita che faceva era molto facile per lui
cadere in tentazione. Ma conosceva molto bene anche il carattere di
Greta, e sapeva che non si sarebbe fatta sopraffare da una situazione
più grande di lei.
Quando poi la vide con
la valigia sull'uscio di casa, con la faccia nera di rabbia che gli
diceva convinta mentre lo abbracciava “Tom mi ha messo
incinta, vado in camera mia” per poi scomparire al piano di
sopra, si convinse che era proprio il padre del secolo.
Quei dieci giorni
erano stati un vero inferno, la notte non dormiva, continuava a parlare
e parlare con il fratello per cercare di venire a capo di quella
situazione, e gli sembrava che più lui e Bill parlassero
più tutto nella sua testa si aggrovigliava. Durante i
concerti riusciva a non pensarci, ma appena le luci si spegnevano e
tornava nel camerino, controllava sempre il cellulare per vedere se
Greta aveva chiamato. In dieci giorni solo due messaggi e nessuna
telefonata; per quanto stesse cercando di capire in tutti i modi la
situazione e di mettersi nei suoi panni, non riusciva a farsi entrare
in testa il perché lo volesse far impazzire non dando nessun
tipo di segno di vita.
Poi un giorno decise
di cambiare interlocutore, e di cambiare prospettiva, magari vederlo da
un punto di vista femminile avrebbe aiutato il suo cervello a capire
perché Greta se ne era andata via lasciandolo con
più domande che altro; così riunì
Natalie e Michelle e raccontò tutto.
Tralasciando le grida
di gioia delle due, specialmente dalla truccatrice che lo
spupazzò come un peluche appena saputa la notizia,
riuscì a metterle in riga e a farsi spiegare alcuni concetti
poco chiari.
Era venuto a capo del
fatto che Greta aveva reagito così per paura,
perché non sapeva cosa doveva fare, ed il voler stare da
sola non significava che non aveva bisogno di lui, anzi, in quel
momento più che mai doveva starle a fianco, e il non volerlo
sentire non doveva prenderlo come un segno negativo, ma piuttosto come
un indizio a cercarla.
In pratica, non aveva
capito niente. O meglio, una cosa l'aveva capita, le donne erano tutte
pazze, in particolar modo quelle incinte.
Appena atterrato da
Bruxelles si fece accompagnare di corsa a casa, lasciò le
valigie sull'uscio prese le chiavi della macchina, salutò
Bill con un “non so se torno” e si mise in viaggio
verso Loitsche.
Non tornava in quel
posto da anni, ed era felice della cosa; odiava quel paesino. Odiava la
strada che doveva fare ogni giorno per andare a scuola, odiava quelle
casette oscene ed odiava l'aria di campagna che si respirava. L'unica
cosa che non odiava di Loitsche erano i ricordi belli, quelli che
avevano vissuto quando erano piccoli, quelli davvero importanti.
Si fermò
davanti casa di Greta e spense il motore, prima di scendere si
guardò per un attimo il palmo della mano, e fissò
la cicatrice, poi alzò gli occhi verso i campi davanti
all'abitazione e vide l'albero solitario in cui si andavano ad
arrampicare d'estate. Era ancora lì, uguale, dopo tutti
quegli anni.
Prese coraggio e scese
dalla macchina; non notò niente di nuovo, tutto era
esattamente uguale a come se lo ricordava, e la cosa gli piacque per un
istante, era tutto così familiare.
Senza pensarci un
attimo arrivò davanti alla porta e suonò il
campanello... probabilmente doveva essere la brutta copia di se stesso,
era davvero stanco per i viaggi e gli spostamenti e tutto quanto, ma
quello era l'unico posto dove doveva e voleva stare: dove c'era anche
Greta.
Tom –
esclamò sorpreso il padre della ragazza vedendolo sull'uscio
di casa – che ci fai qui? -
- Salve signor
Kerner... – rispose lui cercando di sorridere, mentre l'uomo
gli faceva segno di entrare dentro. Chiuse la porta e lo
osservò compunto, Tom si aspettava un cazzotto sulla faccia,
invece il padre di Greta sorrise bonario ed allargò le
braccia – Come sei cresciuto ragazzo mio, – disse
abbracciandolo stretto e dandogli due energiche pacche sulla schiena
– non ti ricordavo così alto -
- Saranno anni che non
ci vediamo – rispose lui imbarazzato continuando ad
aspettarsi comunque un cazzotto in piena faccia. D'altronde era stato
colui che aveva osato profanare sua figlia, se fosse stato in lui
l'avrebbe massacrato di pugni.
- Beh, come hai notato
qui non è cambiato niente... -
- È tutto
molto familiare – commentò lui entrando in cucina
e ricordandosi per un istante tutte le volte che si erano rincorsi per
quelle stanze.
- Lo so
perché sei qui – rispose l'uomo cambiando discorso
ed assumendo uno sguardo alquanto serio, incrociò le
braccia, e Tom chiuse gli occhi stavolta sicuro del pugno di faccia.
- Sono così
felice di diventare nonno! - esclamò alla fine scoppiando a
ridere – Davvero, quando me l'ha detto mi è venuto
un infarto, però avere un nipotino scalpitante per casa
è sempre stato un mio desiderio –
Tom annuì
mordendosi le labbra e cercando di capire dove fosse Greta, al momento
aveva urgente bisogno di parlare con lei, e doveva dirglielo a costo di
sembrare scortese.
- Ma Greta? - chiese
perplesso – Non c'è...? -
- Oh sì che
c'è! – rispose il signor Kerner andandogli vicino
e mettendogli una mano sulla spalla, scortandolo verso la porta della
cucina che dava sul retro del giardino.
Spostò un
po' la tendina che copriva il vetro e la indicò.
- È seduta
sull'altalena, vedi? - chiese l'uomo – È sempre
seduta lì, oppure va a fare delle lunghe passeggiate dalla
mattina e torna la sera, non ho la minima idea di dove vada,
però è molto triste... -
- Mi ha detto che
doveva pensare... -
- Queste donne, sempre
a pensare, eh? - sorrise l'uomo facendogli l'occhiolino e aprendo la
porta – Comunque, credo ti stia aspettando -
Tom annuì
ed uscì fuori, camminando sull'erba secca e avvicinandosi
piano alle altalene, dove Greta si dondolava piano di spalle. Era di
nuovo bionda, era di nuovo la vecchia Greis, ma nonostante quello,
aveva paura di parlarle e di quello che le avrebbe potuto dire.
In silenzio fece il
giro della struttura di ferro e si sedette sull'altalena libera, al
fianco della ragazza. Era lei, triste e pensierosa, con una sua maglia
nera decisamente troppo larga per lei che le arrivava alle ginocchia, e
le gambe nude, che si dondolava piano sentendo la catena arrugginita
che cigolava ad ogni movimento.
Non disse niente
neanche lui, voleva solo stringerla forte e dirle che andava bene
qualsiasi cosa avrebbe deciso di fare, che non voleva più
rimanere da solo, e tante altre cose così schifosamente
romantiche che non sapeva neanche come avesse fatto a pensarle.
Greta si accorse
dell'arrivo di Tom, in un certo senso aspettava quel momento da una
settimana ed ora averlo vicino la tranquillizzava, ma al contempo
iniziò a sentire il cuore battere all'impazzata, senza senso.
- Ti ricordi
– sussurrò – quando venivamo qui e tu e
Bill litigavate sempre per l'altro posto sull'altalena...? -
- Sì che me
lo ricordo... vinceva sempre lui -
- Già...
vinceva sempre lui – sorrise piano scuotendo la testa e
tornando al silenzio iniziale.
Ogni tanto volava una
mosca vicino a loro e Tom ne sentiva il ronzio, oppure si sentivano gli
uccellini cantare e di nuovo l'altalena che cigolava.
- Come stai? - chiese
la ragazza continuando a non spostare lo sguardo dal punto che fissava
di fronte a lei.
- Male –
mormorò Tom – sto male... -
- Anche io –
rispose piano prendendo a mordersi le guance per evitare di piangere.
- Mi sei mancata Greis
– sospirò abbassando lo sguardo, non sapendo se
poteva avvicinarsi e toccarla o se doveva rimanere lì a
fissarla.
- Anche tu...
– annuì piano – Come sono andati i
concerti? -
- Non bene quanto
avrei voluto... -
- Perché? -
- Perché
non c'eri -
Greta alzò
il viso al cielo tirando su con il naso; Tom vide una lacrima scenderle
sulla tempia, e rimase immobile a guardarle il profilo.
- Se... se portassi a
termine la gravidanza, non potrei più venire con te, lo sai?
-
- Perché
no? -
- Perché ci
sarebbe un bambino da seguire, e come fai a portarlo in giro
città dopo città... è impossibile -
- Una soluzione si
troverebbe comunque... ma è questa la tua scelta? Non lo
vuoi? -
La ragazza
serrò le labbra e abbassò di nuovo lo sguardo
verso il prato, i capelli le coprivano il viso e Tom poteva sentire
solo il suono della sua voce.
- Tu cosa vuoi? - gli
chiese impercettibilmente.
- Io? Non era una tua
scelta? -
- Split –
disse lei girando il viso d'istinto e lui appena incontrò i
suoi occhi così rossi di pianto che lo spaventarono quasi,
si sentì morire – mi dispiace -
- Di cosa? -
- Di averti escluso
così – rispose asciugandosi le lacrime con il
dorso delle mani – non dovevo -
- Non importa -
- Tu sei sempre
così comprensivo, ma non è giusto... -
- Ehi – Tom
si alzò di scatto e le andò avanti, prendendole
una mano e facendola alzare dall'altalena. Greta lo strinse subito
poggiando la fronte sul suo petto, mentre lui le accarezzava la testa
con entrambe le mani e le portava i capelli via dal viso.
- Io voglio questo
bambino Greis, è nostro, è una cosa che abbiamo
fatto io e te, e non voglio che tu pensi di abortire solo per farmi un
piacere o perché sarebbe più facile. Non sarebbe
più facile, per niente. Io voglio che tu sia felice, e
questa decisione non ti rende felice. Anche se siamo giovani, anche se
la mia vita è particolare ed anche se non ti posso giurare
che sarà tutto in discesa, io sarò sempre pronto a
proteggerti, ma qui la domanda che ti devi fare è una
sola... -
- Quale? -
- Vuoi essere
trascinata via con me? Qualsiasi cosa accada? Se vado giù io
vieni giù anche tu... -
- Tomi, non sto
capendo niente -
Ed era proprio quello
che stava succedendo. Quelle erano esattamente le parole che aveva
bisogno di sentirsi dire da lui, quello che stava aspettando, e non
riusciva a crederci.
- Io voglio vivere
tutta la mia vita con te perché io e te siamo io e te, Split
e Greis, per sempre, l'abbiamo sempre detto, ed avere un figlio adesso
o tra due anni, o tra cinque, cosa cambierebbe? Io ti amo oggi e ti
amerò tra due, cinque o trent'anni, hai capito? -
- Sì
– cercò di sorridere lei mentre piangeva in
silenzio.
- Quindi adesso basta
con i drammi, basta con le fughe e torniamo a casa, diciamolo a tutti e
vaffanculo! -
- Tom –
sospirò lei staccandosi leggermente e guardandolo negli
occhi – anche se questo era esattamente quello che volevo
sentirmi dire, tu ne sei sicuro? Insomma, è una cosa
grande... e poi cosa succederà quando si verrà a
sapere? -
- Non ti
succederà niente... -
- Guarda qui... - gli
disse indicandogli i palmi rimarginati con le ferite di quel giorno in
cui aveva avuto lo scontro con quelle fans – queste se ne
andranno, ma quello che è successo mi ha ferito molto
più profondamente, qui... - disse indicandosi il petto
– ho paura per me adesso, e... -
- Niente e... sto
facendo di tutto per trovarle e da oggi in poi non sarai mai da sola,
cambierai casa e andremo avanti come abbiamo sempre fatto -
- Ed è
giusto secondo te che io debba affrontare una cosa così?
Solo perché ti amo... -
- Ti devi fidare di me
-
- Io mi fido di te
Tom, non mi fido del tuo mondo! Io odio l'altro te... l'ho sempre
odiato. Quello spocchioso che si vantava di quante donne si era portato
a letto l'ho sempre detestato, perché non eri tu -
- Infatti non sono io!
-
- Però fa
parte di te... e le persone pensano che tu sia così,
altrimenti perché pensi che mi abbiano trattato in quel
modo? -
- Non lo so
perché, e mi sento una merda ogni giorno per aver portato
quello schifo nella tua vita, ma io ho bisogno di te cazzo,
sarò egoista, ma ho bisogno di te -
- E poi ci saranno di
nuovo tour, viaggi, promozioni... io non lo so se ce la faccio... -
- Ci siamo presi un
periodo di fermo... - disse all'improvviso spostando lo sguardo dalla
ragazza – la sera dell'incidente stavamo venendo a dirti
proprio quello, quando siamo andati a Berlino è stato per
mettere in chiaro che fino all'anno prossimo non vogliamo saperne di
interviste e promozioni... -
- Che cosa? - chiese
confusa.
- Abbiamo
usato come scusa quella del nuovo album, ma fondamentalmente
è per staccarci da tutto e soprattutto per me e per te, per
essere normali -
- Non saremo mai
normali io e te, non potremmo neanche se lo volessimo -
- Io invece
sì, lo voglio, voglio essere normale -
- Cosa ci sta
succedendo? - domandò lei tristemente – Da quando
abbiamo tutti questi problemi? Da quando Tom? -
- Greis, guardami
– le disse alzandole il viso – Io non ti lascio da
sola, te lo giuro su Bill, qualsiasi cosa succederà
starò sempre con te, sempre... ti prego, credimi -
La ragazza
aggrottò la fronte pensierosa e strizzò gli occhi
in una smorfia di dolore posando di nuovo il viso sul suo petto, era
così difficile.
- Ce la facciamo solo
se rimaniamo uniti, noi e basta -
Greta fece per dire
qualcosa ma Tom la interruppe.
- Se mi dici che ci
dobbiamo ancora pensare ti faccio chiamare da un Bill in ansia e ti
lascio al telefono con lui fino a quando non torniamo a casa -
- No, no... - scosse
la testa energicamente – Bill no, ti prego, adesso mi sarebbe
letale -
- Abbiamo pensato fin
troppo a questa cosa, io ci ho messo un po' a capirlo, ma ora lo so
cosa devo fare, tu lo sai? -
Greta serrò
le labbra e si risedette sull'altalena indicandogli quella libera con
la testa.
- Vediamo chi arriva
più in alto? -
- Basta che tu vai
piano, ok? -
- Vorrà
dire che mi farai vincere – constatò lei
spostandolo e spingendolo con le gambe verso l'altra altalena.
Tom sbuffò
e si girò per ritornare sull'altalena libera, ma appena fu
di spalle vide due braccia che lo afferrarono in vita e
sentì la testa di Greta tra le scapole.
- Split –
mormorò lei.
- Dimmi -
- D'ora in poi non
saremo più io e te, lo sai? -
- In che senso? - si
preoccupò girandosi.
- A costo di sembrare
patetica e da film romantico di serie B – rispose mettendosi
una mano sulla pancia piatta – D'ora in poi saremo io, tu...
e lui, o lei -
- Ma lo sai che al
momento non me ne frega niente se siamo stati così mielosi
da fare schifo? -
- A te no? A me
sì Split! Queste cose mi fanno star male... -
- Lo so, anche a me
– rispose lui sorridendo e sporgendo le labbra in avanti per
darle un bacio.
- Però una
volta ogni tanto si può fare... -
- Sì... -
Greta si
alzò sulle punte e lo abbracciò, affondando il
viso sul suo collo e sentendosi sollevare da terra. In un momento tutti
i dubbi e le preoccupazioni, tutta l'ansia accumulata e la paura di
dover dire addio a quello che aveva dentro di lei, erano svaniti. Con
il passare dei giorni in cui era tornata a casa si era maledetta per
averlo mandato via e per avergli detto quelle cose. Era una parte
essenziale di lei, e quando non c'era si sentiva a metà.
- Adesso andiamo
dentro, fai la valigia e torniamo a casa – disse Tom
prendendola definitivamente in braccio e tornando verso la porta della
cucina.
- Lo sai che mio padre
è impazzito? - chiese la ragazza stupita – Ha
detto che lo dobbiamo chiamare come lui se è un maschio... -
- Oddio –
sgranò gli occhi Tom – Con tutto il rispetto del
mondo per tuo padre ma non chiamerò mai mio figlio Otto... -
Poi si
fermò e Greta gli puntò un dito sul petto
iniziando a ridere e a puntellarlo con l'indice – Che cosa
hai detto Kaulitz? Hai detto “mio figlio”? -
- Greis non cominciare
a prendermi in giro -
- Ma io devo prenderti
in giro, perché ti ricordo che non ho ancora festeggiato il
mio compleanno... -
- Recupereremo anche
quello... -
Arrivati davanti alla
porta, la posò per terra e lei mise una mano sulla maniglia
ridendo.
- Ich bin nicht ich
wenn du nicht bei mir bist... - canticchiò, prima di
sentirlo ridere di cuore e di rientrare dentro casa.
Non avrebbero mai
potuto spezzarsi, qualunque cosa fosse successa l'avrebbero
combattuta insieme. Il loro non era semplice amore, perché
non bastava solo quello per stare con una persona. Era
complicità, comprensione, lo svegliarsi la mattina e
prendersi in giro a vicenda sulla faccia dell'altro, era lasciare
l'ultima pezzo di torta di mele, era comprare le M&M's blu
quando finivano, era rompere una corda della chitarra e nasconderlo
all'interessato facendo finta di niente, era perdersi nel suo profilo
mentre leggeva, era rimboccargli le coperte d'inverno ed asciugarle la
fronte d'estate, era litigare per una cosa stupida, e fare l'amore
sulla spiaggia, era nascondergli le cose a posta, era prenderla in giro
quando cucinava, era dirgli che non sapeva guidare, era ridersi in
faccia per cose che capivano solo loro, e che nessun altro mai avrebbe
potuto comprendere. Perché come loro non c'era nessun altro.
_____
Ciao Bill,
ho pensato tanto a
come iniziare questa mail, ma non riesco davvero a trovare il modo
migliore per iniziare a scrivere quello che sto per dirti.
Mi dispiace di
essere sparita così, mi dispiace di aver creduto anche solo
per un momento che tra di noi ci poteva essere qualcosa, mi dispiace di
tante cose che sono successe, ma tu probabilmente neanche lo sai.
Pensavo che
fossimo diversi, ma sbagliavo su molti fronti. Io e te ci somigliamo
sotto diversi punti di vista, forse era per quello che stavamo bene
insieme, nonostante si dica che gli opposti si attraggono.
Io stavo bene con
te, davvero, mi portavi in un altro modo quando eravamo nella
stessa stanza ed era un mondo in cui adoravo stare, perché
c'eravamo solo io e te e le nostre riflessioni che ci siamo resi conto,
nessuno capisce. Ma poi quando tornavamo alla realtà, io ero
e sarò sempre Heike, che disegna i fumetti ed ha mille
pensieri per la testa, e tu eri e sarai sempre Bill, star
internazionale sempre con la valigia sulla porta pronto a viaggiare per
il mondo.
Per quanto fossimo
simili nel nostro mondo, in quello reale, che conta davvero, siamo agli
antipodi ed io credo che non sarei mai riuscita a capire chi sei tu
veramente. Ci ho provato a farlo, ma non ce l'ho fatta.
Ho conosciuto una
persona meravigliosa ma non ho mai saputo tutto fino in fondo, e tu non
hai mai saputo tutto fino in fondo, ed era impossibile che succedesse.
Forse mi sto fasciando la testa senza motivo, ma era comunque
improponibile continuare ad incontrarsi per caso, quando entrambi
eravamo a casa, o stranamente durante un viaggio a Los Angeles. Le
nostre vite non sono destinate ad incrociarsi al momento e noi due non
possiamo farci niente. Quella notte insieme ci siamo fatti male, quel
male che sto sentendo io adesso nel scriverti quello che sto scrivendo,
che forse non ti avrei dovuto far sapere se non fosse successo niente.
Non volevo che
andasse a finire così tra di noi, forse un giorno ci
sarà tempo per noi due, ma ora dobbiamo solo andare avanti
con le nostre vite, e cercare di perdonarci a vicenda.
Mi mancherai
piccolo Bill...
Heike
Bill si
mordicchiò l'indice. Dopo aver letto quella mail era rimasto
nel buio della sua stanza ad elaborare una risposta, cercando di
mettere nero su bianco quello che pensava. Aveva pensato a diverse
rispose, tutte alquanto convincenti ed ora non sapeva quale mandare.
La sincera al 100%.
Ciao Heike,
volevo solo dirti
vaffanculo, sto di merda.
B
La sincera non fino
infondo.
Ciao Heike,
grazie per avermi
concesso una spiegazione, sai, credevo di non meritarmi neanche quella,
invece eccola qui. Via mail. Non c'è che dire, almeno
è arrivata. Mi dispiace che sia andata a finire
così, mi sento usato e gettato come un fazzoletto dopo che
ti ci sei soffiata il naso, e ti ringrazio per aver minato alla mia
autostima, già abbastanza precaria. Probabilmente ora
dovrò vivere ulteriori mesi chiedendomi cosa ho di
sbagliato, ed è tutto merito tuo. Grazie, davvero, ti
manderò il conto dello psicologo.
B
Il finto indifferente.
Ciao Heike,
perché
cosa è successo? Non ti preoccupare, probabilmente hai
ragione, non era il momento per noi, se il destino vorrà un
giorno avremo il nostro tempo.
Teniamoci in
contatto.
Un bacio.
B
Lo stronzo.
Grazie per avermi
concesso una spiegazione, sai, credevo di non meritarmi neanche quella,
invece eccola qui. Via mail. Non c'è che dire, almeno
è arrivata. Non mi aspettavo niente da me e te,
assolutamente, siamo stati bene, abbiamo scopato ed è finita
là. Pensavi veramente che ci sarebbe potuto essere qualcosa
di più tra di noi? Io sono Bill Kaulitz, per l'amor del
cielo...
Stammi bene, buona
vita.
B
Guardava i quattro
prototipi di risposta e si mordeva le labbra, non sapendo quale
scegliere. D'altronde ognuna rispecchiava un suo stato d'animo, e dopo
dieci giorni che era letteralmente scomparsa nel nulla si era anche
stupito di aver trovato una sua e-mail nella posta.
Se l'aspettava che
sarebbe finita così, non sarebbe mai riuscito ad essere
davvero felice, era una condanna la sua, e ci avrebbe convissuto fino
alla sua morte.
In quel momento non
gli interessava molto se sarebbe morto tra due anni o tra cinque
minuti, viaggiava nel suo limbo di pensieri, aiutati da una buona dose
di vecchie pillole che aveva ritrovato per caso nel bagno. Non avrebbe
dovuto, ma non pensare era l'imperativo della serata; lasciare andare
via il dolore della delusione, lasciare andare via la faccia di Heike,
perché si conosceva e lo sapeva che quel dolore l'avrebbe
solo tenuto legato a lei per tutto il tempo in cui l'avrebbe provato.
Era un masochista, amava chi non poteva avere, si preoccupava di stare
male per quello che non avrebbe mai posseduto, perché per il
resto, aveva e poteva avere qualsiasi cosa desiderasse.
Invece lei no, sarebbe
rimasta dolore nella sua mente, fino a quando le pillole non avrebbero
fatto effetto e fino a quando non si sarebbe risvegliato il giorno
dopo, quando avrebbe dovuto affrontare tutto da capo.
Cancellò le
prime tre opzioni e mandò l'ultima, senza pensarci neanche un istante.
Gli piaceva quella
frase e la ripeté a bassa voce, nel buio completo della
stanza, illuminato solo dalla luce del portatile.
- Io sono Bill
Kaulitz, per l'amor del cielo – disse con tono imperioso,
come se lei potesse sentirlo. Poi si immaginò una porta, lui
che camminava, la apriva e la sbatteva andando via da lei e dal suo
ricordo. Dalle sue labbra sulle sue e dai suoi capelli rossi posati sul
suo petto a formare grovigli complicatissimi.
Non trovava nessun
sollievo a ripetere quella frase, poi il cuore cominciò a
battere più velocemente e la testa iniziò a
girare. Non aveva idea di quello che aveva preso, ma ora la
preoccupazione per se stesso divenne prioritaria. Accese la luce e
barcollando raggiunse la porta della stanza, andò in
corridoio e tenendosi contro il muro si trascinò fino alle
scale. Vedeva doppio, non era troppo sicuro che stesse calpestando un
terreno solido, ma riuscì comunque ad arrivare al piano di
sotto, inciampando fortunatamente solo all'ultimo gradino. Si
rialzò a fatica e raggiunse la cucina, dove trovò
la bottiglia di vodka nel frigo. La prese e si accasciò per
terra, scivolando con la schiena contro il nero lucido dell'anta e
chiudendo gli occhi. Decise di iniziare a piangere, tanto, era solo
lui, il depresso di merda, come lo chiamava Tom.
Prese a bere la
bottiglia di vodka che aveva in mano e poggiò la testa
dietro di lui. La gola gli bruciò per un istante, poi si
accese nervosamente una Lucky Strike blu dal pacchetto che aveva in tasca e
rimase lì, a guardare il forno di fronte a lui e a chiedersi
cosa aveva fatto di tanto brutto nella sua vita per meritarsi tutto
quello? Ingoiò altro alcol e poi si lasciò andare.
Ora sì che
non c'era più niente.
Non c'era
più Bill.
Non c'era
più Heike.
Ma soprattutto, non
c'era più nessun tipo di dolore.
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Ebbene, siamo arrivate
alla fine, se state piangendo vi prego, fatelo in silenzio che devo
ringraziare, è arrivato il mio momento. XD
Vi ringrazio moltissimo per aver seguito questa storia da novembre, per
averla sostenuta, per non averla commentata, per averlo fatto e per
esservi appassionate. Sapere che capitolo dopo capitolo vi emozionavate
con i protagonisti mi ha sempre fatto un immenso piacere,
perché significava che stavo facendo il mio lavoro di
scribacchina – dire scrittrice mi sembra esagerato
– abbastanza bene.
A nome dei miei
neuroni, delle mie dita, e di tutti i protagonisti di questa storia,
ringrazio voi, ringrazio chi mi ha sopportato con i miei mille
“non lo so, tu che dici?”, ringrazio Tom per essere
così dannatamente cuccioloso da fare schifo, Bill per la
dose di genio e sregolatezza e Greta perché la amo
semplicemente, ringrazio i JR per le musiche, ringrazio la LLS, la mia
famiglia, i miei amici, i miei produttori e il management (sognavo di
dirlo da una vita), il grande puffo, Sailor Moon, Pete Doherty,
l'accendino salvavita, H&M, mio cugino, il vino rosso e l'acqua
Vitasnella. Baci sparsi, alla prossima storia.
Irgendwo Anders inizia da QUI.
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