“…effice ut ego mortem non
fugiam, vita me non effugiat…”
“Fa’ che io non fugga la
morte e intanto non mi sfugga dalle mani la vita…”
Seneca, Epistulae,
49
“Il tempo è un dono
prezioso, datoci affinché in esso diventiamo migliori,
più saggi, più maturi, più
perfetti.”
T. Mann
Qualcosa non va.
Black out.
Respirare.
Rompere lo specchio, la superficie
dell’acqua.
Riemergere dal sonno, e respirare.
E’ solo un black out.
Posso sentire, nelle vene del muro, la corsa della
corrente perdere sicurezza, slancio, sciogliersi e inaridirsi nel nulla. Posso
vedere -non con gli occhi- nell’altra stanza, l’ultima luminescenza intorno allo
schermo nero che si fa impercettibile, svanisce, fino a farti dubitare che ci
sia mai stata, o se non fosse solo illusione ottica, o ricordo.
E la finestra è un immenso lago di buio.
Ci sono tante luci, ma nessuna è per
me.
Forse, quando ero qui, davanti a questa stessa finestra,
e ad una notte come questa, forse sarei stato contento di vedere tutte le luci
spegnersi di scatto, tutte le case intrappolate nello scuro, chiuse in
un’improvvisa solitudine, senza il potere di uscire dalla notte.
Così, almeno per qualche momento, quelle case avrebbero
visto cosa volesse dire vivere in gabbia, vivere senza nessuna luce.
Ero solo un bambino. E anche senza l’aiuto delle cifre
sullo schermo so bene quanto tempo è passato, da allora. E so bene quanto ne
resta. Di giorno, di notte, lo so.
Non è il buio, che può fare dimenticare la morte. Non è
più facile dimenticarsene nella luce, quando vedi, quando il sole dissipa le
ombre dei fantasmi, quando tutto ti dice che sei vivo, e che tutto è
vero?
Non è più facile dimenticarsene nel sole chiaro dei tuoi
capelli, e dei tuoi occhi, nel colore liquido del miele la mattina nel nostro
tè, non è più facile se posso vedere la linea della tua schiena addormentata
accanto a me, senza doverla solo immaginare?
Eppure, non mi serve neanche la luce, per
dimenticare.
Perché non mi serve dimenticare.
Che senso ha correre, scappare, cercare di annegare
affannosamente in quella luce… tentare in ogni modo di dimenticare, senza
accorgerci che così ci sfugge solo dalle dita la vita…
Chiudere gli occhi, e far finta di non vedere… e, in
questo modo, non vedere davvero, perdere la vivida realtà di avere davanti agli
occhi te…
Io voglio vedere, voglio vedere il tuo viso
addormentato, la lucida pioggia dei capelli, l’arco trasparente delle tue ciglia
bionde, ognuna che si assottiglia fino a terminare nel suo vertice sottile,
compiuta e perfetta.
Come un cerchio, compiuto, perfetto in se stesso, come
il cerchio già compiuto e già chiuso del mio tempo. Ogni tua perfezione, così
completa e assoluta che non c’è nulla di più alto da desiderare, mi ricorda
questo cerchio. E mi ricorda che, se è già delimitato, e serrato, adesso non
resta che la parte più bella: attraversarlo, questo cerchio, in tutto lo
splendore della sua finitezza.
E come in un cerchio inizio e fine sono fusi nello
stesso percorso, così mi sembra ogni giorno di poter rinascere, di poter
camminare nell’immortalità.
Perché io ho te, e d’improvviso non c’è niente da
temere, non esiste pericolo, non esiste più tempo. E cinque anni di perfezione
con te non sono forse più brevi, lo spazio di un mattino d’estate, e insieme
infinitamente più lunghi di cento anni di solitudine?
Cinque anni sono tutto quello che ho.
E dunque…
Cinque anni sono la mia eternità.
E se questa eternità posso dividerla senza per questo
perderne nemmeno un attimo, se la divido con te, che cos’altro potrei
desiderare?
Ed è per questo che, nel buio come nella luce, posso
sempre vedere il mio tempo, e non ho paura di contare i secondi, perché so che
in ognuno di essi io mi innamoro di nuovo di te, ed è questo che li fa sempre,
per sempre rinascere, e moltiplicare. E questo mi basta.
Se non c’è abbastanza luce per te, accendila con le
tue mani.
Accarezzo il cavo che corre lungo il muro, lascio che un
po’ di quella forza che batte la sua armonia nelle mie arterie scivoli, goccioli
dentro ai fili. E poi, tutto riparte, lento, all’inizio, poi sempre più sicuro,
più convinto. Il tempo si riaccende nel display –dentro di me, non si era spento
mai.
E, per questa notte, la nostra è l’unica casa in cui
abita la luce.
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