Altea si trovò presto a condividere tutti i pasti con Elessa
e i suoi amici. Tutti loro sembravano beneducati e intelligenti, e spiccavano
fra gli altri studenti perché condividevano un freddo fascino, una manierata
cortesia, una raffinatezza da aristocrazia decaduta.
Si somigliavano molto, anche, con quei loro volti sereni e
gli abiti di buon taglio, i loro gesti misurati e le voci basse e melodiose. I loro discorsi erano arguti, brillanti, spesso spiritosi, e infinitamente più interessanti di quelli delle sue compagne, e Altea si trovò sempre più spesso, il pomeriggio, a studiare con loro invece che
coi ragazzi della sua Casa.
Avevano un metodo di studio che ammirava molto - rigoroso,
strutturato ed estremamente efficiente: ognuno di loro aveva specifiche
mansioni – Elessa, sveglia e pratica, faceva accurate liste delle domande
(complete di risposta corretta) più probabili durante le interrogazioni; Lena
era l’indiscussa esperta nel preparare tabelle, grafici e diagrammi ed era l’unica a
ricordare le date di Storia della Magia; Norma faceva elaborate ricerche in
biblioteca e scriveva splendide relazioni per tutti... mentre i ragazzi più grandi
si prodigavano a informarle degli argomenti favoriti di ogni insegnante, delle
domande che facevano più spesso, delle piccole manie di ognuno di loro.
Ne veniva fuori un meccanismo perfetto, scorrevole ed efficace, e nessuno di loro
era mai stato colto impreparato. Mentre gli altri studenti sgobbavano tutto il pomeriggio memorizzando la metà delle informazioni utili, loro lavoravano come una ingegnosa catena di montaggio, e per l’ora del tè erano già ampiamente liberi dall’obbligo dei compiti.
Tutti loro avevano ottimi voti, e se qualcuno mostrava
qualche difficoltà in una materia o trovava ostico un argomento – Norma, ad
esempio, non aveva un buon rapporto con Trasfigurazione -, gli altri si attivavano in massa per aiutarlo, così da offrire all’esterno un’immagine compatta, senza falle: in questo modo tutti loro sembravano, ad un osservatore estraneo al gruppo, ugualmente brillanti, ugualmente preparati su tutto, inattaccabili da qualunque lato.
Altea li invidiava e li trovava incredibilmente attraenti: ammirava la loro
aria di impenetrabile solidarietà, e li sentiva molto più vicini di quanto non
avesse mai fatto coi suoi compagni di classe.
Desiderava molto essere come loro, e dato che le loro
qualità non sembravano dovute ad una predisposizione naturale ma apparivano
intensamente coltivate, decise che le avrebbe acquisite anche lei... e che il
modo migliore per farlo era di passare in loro compagnia il più tempo possibile.
“... Con questo, naturalmente, non voglio dire che non
debbano avere le stesse opportunità di istruzione di tutti gli altri”, stava
dicendo Elessa. Altea si sedette accanto a Norma, che le rivolse un rapido
sorriso, e posò i libri. Lena le sillabò un "ciao" senza voce, per non interrompere l'amica che parlava. Attorno al tavolo della biblioteca c'erano anche Nathan e il fratello di Norma, che le rivolsero cenni di saluto.
“Però non si può negare che le classi con un’alta
percentuale di nati Babbani siano parecchio indietro col programma. Insomma,
come si può parlare di Cura delle Creature Magiche, quando metà della classe non è
nemmeno sicura che le Creature Magiche esistano davvero?”
Risatine.
Elessa riflettè un attimo. “Voglio dire, è chiaro che c’è
bisogno di un percorso di studi differenziato... non è molto logico che i figli dei maghi debbano aspettare
che i loro compagni Babbani accettino l’esistenza dei Marciotti, per
imparare a difendersene, no? Se volete la mia opinione, le classi miste non
sono poi questa grande idea. Gli studenti partono con un livello troppo, troppo diverso di
preparazione iniziale; e a parer mio serve un qualche tipo di test di
valutazione iniziale, in modo da inserire gli alunni in classi differenziate in
base al livello di conoscenza. Voi cosa ne pensate?” Girò intorno lo sguardo e vide Altea. “Ah, Tea, sei arrivata." Sorrise. "Tu che ne dici?”
“Sono d’accordo con te”, rispose Altea con decisione. “È
impossibile insegnare Trasfigurazione, Pozioni, qualsiasi materia, se prima non
si conosce e si accetta il mondo magico. Non si può dare una bacchetta in mano
ad un Babbano che non ne ha mai vista una, e pretendere che la sappia usare...
Non è certo colpa sua”, aggiunse in fretta “non voglio assolutamente dire che i nati
Babbani non possano diventare ottimi maghi, tutt'altro... Però è chiaro che partono svantaggiati: se i
tuoi fratelli sono maghi, i tuoi genitori sono maghi, persino i tuoi nonni
erano maghi, e tutti i tuoi amici sono maghi, hai un approccio
decisamente più naturale - come posso dire?, facilitato - alla
magia, di quanto non possa avere qualcuno i cui genitori sono, che so io, fruttivendoli.”
Altre risatine.
Lena intervenne. “Prendete quella biondina, come si chiama?
Amy Abbott. Secondo me, è brava quanto e più di molti Purosangue di mia
conoscenza – vero, Nathan?” Gli altri risero. “Ma la fatica che ha fatto i
primi mesi...!”, riprese. “La maggior parte delle volte, quella povera ragazza
non riusciva nemmeno a capire di cosa diavolo stesse parlando
l’insegnante!”
Si guardò intorno: molti annuivano.
“La presenza dei figli di Babbani in classe rallenta
l’apprendimento degli altri, ma soprattutto è un disagio per loro stessi!”
Altro giro di sguardi d’approvazione. Lucien Macmillan assentì energicamente. “Insomma, vi piacerebbe, da un momento
all’altro, essere scaraventati in una classe Babbana e dovere improvvisamente
imparare a usare tutti i loro strani concetti e quei buffi congegni – le
penne a sfera e il sussidiario e il sistema metrico decimale, e
quell’altra cosa, com’è che si dice...? Ah, sì, la calcolatrice - e a
studiare la storia Babbana e la loro letteratura? Come pensate che vi
sentireste? Spiazzati, ecco come. Personalmente, io non so se ce la farei.”
“Per non parlare del fatto che la quantità di magia che
possiede un nato Babbano non può essere di certo pari a quella di un figlio di
maghi!”, dichiarò Nathan, del tutto a sproposito.
“Nat!”, lo interruppero tutti gli altri a una voce sola,
indignati.
“Questo non... Non ci sono prove...” balbettò Lucien.
“...che essere un mago da generazioni porti ad avere magia
quantitativamente o qualitativamente superiore a...”
“Ma dai, pensateci!” ribattè Nathan. “Pensate alle piante,
pensate a... pensate all’allevamento...”
“Ma, Nat, non puoi certo paragonare...” tentò di
interromperlo Norma, ma senza successo.
“Pensate, ecco, all’allevamento dei cavalli.” Il padre di
Nathan possedeva una scuderia di grande valore, e Nat parlava con competenza. Elessa storse la bocca, ma lui non la vide.
“Per ottenere un purosangue da competizione serve che abbia
un’ottima genealogia, pura da generazioni. Non si ottiene un magnifico Thoroughbred incrociando una
coppia di Clydesdale, no? Al massimo potrai avere un buon animale da tiro, ma
non un cavallo da corsa.”
“Ma Nat...” Fece Lena, debolmente. Altea era sdegnata quanto
gli altri da quel ragionamento da fanatico, ma tuttavia si sentiva anche,
stranamente, confortata, sicura di sé e a proprio agio nella sua posizione di
Purosangue.
“Basta, questo tipo di discorsi non mi piace”, tagliò corto
Elessa, fissando Nathan coi penetranti occhi azzurri. “Qui si parlava soltanto
di differenze a livello di conoscenza.” Si guardò intorno, come a
sfidare qualcuno a contraddirla, ma Nat - che aveva una cotta neanche troppo segreta per lei - si era zittito sotto il suo sguardo ammonitore.
“Su, torniamo a Storia della Magia" Aprì il libro con gesto secco, come a troncare qualsiasi obiezione. "Dove eravamo
rimasti?”