Breathless

di Arial
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Provare a tenere il suo passo è un’impresa persa in partenza

 

 

Provare a tenere il suo passo è un’impresa persa in partenza. Tipo la campagna di Russia o un parcheggio all’ora di punta: qualcosa che in apparenza sembrava ardito e glorioso, ma ugualmente alla tua portata, salvo poi rivelarsi un immane fallimento.

Gli urlerei di fermarsi, non credo però di aver sufficiente fiato nei polmoni o abbastanza sinapsi attive per sguinzagliare così tanti ordini in giro: non posso smettere di guardarlo. Sono ipnotizzato, rapito: una sorta di sindrome di Stendhal per la mia personalissima opera d’arte.

Le sue falcate sono sicure, potenti. Aggraziate.

Sì, aggraziate.

È raro che un ragazzo tanto alto sia così a proprio agio nel suo corpo. In genere, al di sopra del metro e novanta scompare qualsiasi tipo di eleganza e coordinazione. Una tale fisicità è spesso compagna di una goffaggine spaventosa. Il portamento e la gestualità ne vengono penalizzati, stroncando qualsiasi possibilità di successo, qualsiasi pretesa di armonia. Lennie di Uomini e Topi? John Coffey? Ecco il modello.

Una simile pertica non farà mai strada, fu il mio inappellabile giudizio, abilmente celato da una diplomatica stretta di mano e da un fuggevole sorriso. Già, peccato che una manciata d’ore sul set e una semplice scena di lotta furono sufficienti a farmi rimangiare tutto quanto.

Non mi ero mai trovato così in sintonia con un altro attore, durante un combattimento. I suoi movimenti erano fluidi e precisi, speculari ai miei. Il suo corpo si adattava perfettamente al mio, due metà miracolosamente riunite. Al cut, la sua risata mi riecheggiava ancora nelle orecchie; il suo calore una carezza che rifiutava di dileguarsi. Mi porse il braccio e mi aiutò a rialzarmi. Sei fottuto, mi ritrovai a pensare. E avevo ragione. Cazzo, se ne avevo…

“Mi stai guardando il culo, vero?” ansima Jared.

Oh, ha il fiatone: è umano.

“Colpevole” ghigno, piegandomi sulle ginocchia.

L’aria che inspiro brucia da morire. La milza è un sordo dolore, le gambe distrutte e insensibili: Cristo, è possibile andarsene così?

Star del piccolo schermo stroncata da un infarto. Il poveraccio correva da ore, si credeva forse un ragazzino? Unico testimone della tragedia, il suo collega, nonché migliore amico e convivente, Jared Padalecki: che ci sia dell’altro dietro quest’improvvisa scomparsa?

“Jensen?”

Zitto, Jared: sto visualizzando il mio necrologio.

“Coraggio, ne abbiamo per altri – rapida occhiata all’orologio – quindici minuti.”

Nuovamente fresco come una rosa.

Ma faceva il motivatore aziendale in una miniera di carbone? Addestrava Goblin?

“Abbandonami qui” rantolo, speranzoso.

“Rammollito” commenta, un sorriso nella voce.

Sollevo la testa, esibendomi nella mia migliore espressione omicida. Non indietreggia di un passo di fronte a una simile dimostrazione di follia e crudeltà: ha dei nervi d’acciaio.

“E idiota” aggiunge, voltandomi le spalle. “Forza, manca poco.”

Porto una gamba in avanti, deciso a trascinarmi indolentemente per i prossimi quindici minuti. Dopotutto son solo novecento secondi, quanti passi potranno mai esserci in novecento schifosi secondi?

Un dolore improvviso si irradia lungo tutto il polpaccio destro. Sento il muscolo contrarsi e l’intera gamba irrigidirsi, trafitta da dozzine di perfide punture. Fantastico, un crampo.

Crollo a terra, incapace di tenermi in piedi.

L’erba è umidiccia, nonostante sia pomeriggio inoltrato, e c’è un odore piuttosto penetrante nell’aria. Meraviglioso, semplicemente meraviglioso.

“Houston, abbiamo un problema” sibilo, a denti stretti, deciso a togliere velocemente il culo dalla zolla sospetta.

“Crampo?”

Perché sottolinea l’ovvio?

“Ma no, adoro guardare il mondo da diverse prospettive.”

“Io resto fantastico anche da quella, vero?” chiede, radioso.

Sì, faccia da culo.

Si siede accanto a me e mi distende la gamba. La percorre con dita agili ed esperte, dissipando dolore e tensione.

Certo che ci sa fare con le mani.

Getto la testa all’indietro, e mi lascio sfuggire un sospiro.

L’imbecille ridacchia: “Bastava ossigenare nuovamente il muscolo, non era un’operazione al cervello, Jensen.”

“Mmh.”

“Ehi, non essere scontroso: non credi che meriti una ricompensa?” sussurra.

Le sue mani si attardano su di me, descrivendo un lento arco verso l’alto. Devo aver visto una scena simile, in un porno.

Lo allontano, prima che il mio cervello faccia corto: qualcuno ha decisamente bisogno di una lezione.

“Forse, ma fino a casa non riceverai un bel niente” mormoro, di rimando.

Mi rimetto in piedi; Jared resta invece seduto, lo sguardo fisso sul cavallo dei miei pantaloni.

“Ti godi le diverse… prospettive, eh?”

“Perché no?” ghigna. “Non sono niente male, in fondo.”

Muovo qualche passo all’indietro, offrendomi completamente ai suoi occhi. Spalanco le braccia e scuoto la testa: “Perché, Jared, se arrivo alla porta prima di te, oggi resterai a bocca asciutta.”

Non ho il tempo di godermi l’espressione incredula ed eccitata che si dipinge sul suo viso: devo cominciare a correre, perché quando mi prenderà…

 

 

 

Note: Scritta per il compleanno di Barbie: tanti auguri, bella <3

È la mia prima RPS, siate clementi!

PS: è tristemente autobiografica.

PPS: Parlo dello jogging, non di Jensen T_T





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