Oltre il velo
La risata non gli si
era ancora spenta sul viso, ma il colpo gli fece sgranare gli occhi.
[...] Sirius parve impiegare
un'eternità a toccare terra: il suo corpo si
piegò con grazia e cadde all'indietro oltre il velo logoro
appeso all'arco.
Harry colse un misto
di paura e stupore sul volto sciupato, un tempo così
attraente, mentre varcava l'antica soglia e spariva dietro il velo, che
per un momento ondeggiò come scosso da un forte vento, poi
ricadde immobile.
Udì l'urlo
di trionfo di Bellatrix Lestrange, ma sapeva che non significava
niente... Sirius era solo caduto al di là dell'arco, da un
momento all'altro sarebbe ricomparso...
Ma Sirius non ricomparve.
*
“Buongiorno
Signor Potter” La sagoma di una donna
in completo rosso si stagliò oltre la grata
dell’ascensore, che andò bruscamente a lanciarsi
di lato per lasciare libero il passaggio. Gli mandò un
sorriso che suggeriva chiaramente l’evidente vanto di aver
incrociato tra i corridoi del Ministero il famoso Harry Potter.
“Buongiorno”
rispose semplicemente Harry, visto che non riusciva a ricordare il nome
della donna.
Quella parve
comunque soddisfatta e, come se il saluto fosse stato il suo
lasciapassare, gli fece spazio nell’ascensore.
Seppur ormai
fossero passati tre anni dalla sconfitta di Voldemort, Harry stentava
ad abituarsi alla gratificazione che maghi e streghe continuavano a
mostrargli, anche solo con un semplice saluto. Non aveva mai
completamente metabolizzato l’appellativo di
‘Salvatore’ del mondo magico, e sapeva per certo
che mai ci sarebbe riuscito, per il semplice fatto che era lungi da
lui, in primis, il solo sospetto che potesse davvero esserlo stato.
Avrebbe di gran lunga preferito che gli serbassero la più
totale ignoranza, piuttosto che quella perenne e spropositata
riconoscenza. E tutto ciò lo metteva puntualmente e
profondamente a disagio.
Era uno di
questi i motivi per cui evitava il più possibile di recarsi
al Ministero, incaricando chiunque altro di farlo al posto suo.
Ma questa
volta, in qualità di Auror, aveva necessariamente dovuto
affrontare la questione da solo, senza peraltro possibilità
di proroghe.
“Ufficio
per l’Uso Improprio delle Arti Magiche, anche questa
volta?” ridacchiò la donna tozza, in un tentativo
discutibilmente riuscito di risultare simpatica, alludendo al piccolo
incidente di cui Harry era stato protagonista, durante il suo quinto
anno di carriera scolastica.
“No”
rispose Harry, abbozzando alla meglio un sorriso tirato. “Non
questa volta.”
La donna,
divertita, ridacchiò ancora, puntandogli gli occhi vispi
addosso, in evidente avida attesa che le rivelasse la sua reale
direzione. Harry fece finta di niente, sperando ardentemente di
chiudere lì la questione.
“E
questa volta, invece?” domandò lei, fingendo
malamente di rendere la domanda innocua e a scopo puramente
d’intrattenimento. Harry sospirò
impercettibilmente, appena prima di parlare: “Nono
piano,” rispose. Il sorriso sgargiante della donna si
affievolì, lasciando in viso un’espressione che
suggeriva una sorpresa e spudorata curiosità. “In
qualità di Auror” aggiunse Harry, che cominciava a
stizzirsi.
“Oh,
certo, certo” disse quella, annuendo sovrappensiero, mentre
schiacciava il pulsante numero tre. “Le dispiace
se…?”
“No”
rispose troppo in fretta Harry. “Vada pure.”
Quella
annuì nuovamente, scostandosi un po’
più da Harry e lanciandogli fugaci occhiate durante tutto il
tragitto.
Quando la
grata si aprì, la donna si fiondò fuori
dall’ascensore, e prima che qualcun altro potesse
addentrarcisi, Harry premette il pulsante numero nove.
L’ascensore partì, con suo sommo sollievo.
La questione
non era piacevole tanto per la donna, quanto per lui, e l’Ufficio Misteri del Ministero non aveva nulla di positivo
da riportargli alla mente, ma doveva necessariamente sbrigare delle
faccende che, per quanto di poco conto, erano ormai diventate
improrogabili a forza di rimandare il giorno di
quell’appuntamento.
Il Ministero
aveva informato gli Auror di un sospetto gruppo di malviventi non
sottovalutabile che attaccava i Babbani da qualche giorno, e, malgrado
Harry avesse regolarmente preso parte al loro arresto, un paio di
giorni prima, la sua partecipazione alla cattura doveva essere
regolarmente registrata. Ne avrebbe volentieri fatto a meno, non gli
serviva un resoconto mensile del lavoro svolto, ma il Ministero era
tremendamente suscettibile su queste cose dopo la brutta figura durante
il secondo avvento di Voldemort, e adesso, quasi nel tentativo di
riparare il riparabile, il Ministro in carica Kingsley teneva in
maniera quasi puntigliosa a far mantenere costante e tecnicamente in
regola lo stretto rapporto di collaborazione tra il Ministero e gli
Auror, e Harry non era da meno, malgrado l’amicizia che li legava.
Ma
d’altronde Harry si era tanto indignato sul fatto che il
Ministero, in tempi non molto remoti, avesse completamente perso la
bussola riguardo la protezione del mondo Magico e non-, che adesso era
un sollievo riscontrare tanto puntiglio, sebbene gli creasse non pochi
disagi, e non si sarebbe mai sognato di trascurare dettagli che, anche
se per lui erano di poco conto, per la comunità magica
valevano una buona dose di fiducia e tranquillità.
Notoriamente
l’Ufficio Misteri era inaccessibile a chiunque, ma Kingsley
gli aveva dato il permesso di recarvisi, soltanto per
quell’occasione. Harry sapeva che, dall’ultima
volta che vi aveva messo piede, era stato introdotto al nono piano
un’ulteriore piccolo studio tutto del Ministro –
Kingsley lo aveva fatto introdurre, per prevenire attività
sospette -, al quale solo pochi potevano accedere.
La grata si
aprì.
Malgrado la
mattinata soleggiata, gli occhi ci misero un po’ ad abituarsi
all’oscurità di quel piano, che sembrava
l’unico sommerso nel buio delle più basse
profondità della terra.
Le fiammelle
fluttuanti ai lati del corridoio presero a formicolare, ondeggiate
dallo spiraglio d’aria mossa dall’arrivo
dell’ascensore.
Non era
cambiato nulla, o quasi, dall’ultima volta in cui si era
addentrato in quel luogo, ben cinque anni prima.
Lo stesso
brivido percosse la sua schiena alla vista della porta nera e lucida
all’estremità opposta del corridoio.
Nonostante lo
sforzo, non riuscì a non guardarla.
Ma non era
lì che era diretto, non questa volta.
Non
avrebbe avuto più niente a che fare con quella stanza, non
più.
Uscì
dall’ascensore, cercando di portare gli occhi altrove, e si
diresse a passi svelti verso la penultima porta a sinistra, dove
avrebbe sbrigato le faccende burocratiche che lo avevano condotto fin
lì, e poi tutto sarebbe ritornato come prima, lontano il
più possibile da quell’Ufficio, accanto alla sua
famiglia.
*
“Grazie
Harry, sai bene quanto ci tenga al fatto che la gente si ricreda
sull’affidabilità del Ministero, dopo tutto quello
che è successo, e questo ci serve, piano piano, a
raggiungere l’obbiettivo.”
“Figurati,
Kingsley, lo faccio con piacere” mentì prontamente
Harry, anche se una parte relativamente grande di lui sapeva di dire la
verità. “Ci vediamo, buon lavoro.”
“Ciao
Harry, porta un saluto a Ginny” Kingsley accennò
un sorriso troppo professionale per essere quello di un amico, e si
riaccomodò sulla poltrona.
“Grazie
Kingsley” Harry si inoltrò oltre la soglia della
porta, e si richiuse il legno nero alle spalle.
In quel
momento un uomo robusto, sulla cinquantina, sbucò correndo
dalla porta pece a pochi metri alla sua sinistra, in fondo al
corridoio. Lo salutò repentinamente con sincera gentilezza,
e si fiondò dentro l’ascensore, chiudendosi la
grata.
“Scusami”
esclamò col fiatone. Per un attimo Harry pensò
che parlasse con lui, e fu pronto per rispondergli, ma quello
continuò, senza la minima intenzione di sentire da lui
alcuna risposta. “Dovevo sbrigare una cosa, adesso
sarò subito da te tutto il tempo che vorrai”
continuò in un tentativo concitato di scusa, conducendosi
uno specchio davanti lo sguardo, dove probabilmente si specchiava
l’immagine del suo interlocutore. Dopo qualche secondo
sparì verso l’alto, inghiottito dal tubo quadrato
dell’ascensore.
Harry rimase
immobile.
Si
guardò intorno, scoprendo che quello era stato, fino a pochi
secondi prima, l’unico ascensore presente e libero. Neanche
l’ombra di un essere vivente in giro.
Lo sguardo si
mosse autonomamente verso la porta dalla quale l’uomo era
sbucato, e qualcosa di pesante gli si appollaiò scomodamente
nello stomaco.
Era aperta.
Un intenso e
disordinato flusso di pensieri gli invase la mente, e una forza
sconosciuta cercava di spingere le sue gambe verso di essa.
Intravide
dall’interno uno sprazzo di fievolissima luce, lugubre e
spettrale, che sembrava invitarlo a completare un appuntamento
interrotto bruscamente qualche anno prima.
Cercò
di fare mente locale, sbattendo le palpebre nel tenue tentativo di
rischiarare la mente.
Ma solo un
unico e prepotente desiderio era percettibile tra le tante voci che
vorticavano nella sua testa. Una richiesta disperata di chiarezza,
travestita da desiderio.
Ma
non poteva farlo.
Qualcosa di
razionale gli diceva che era sbagliato, che non doveva, non poteva
entrare, che qualcuno avrebbe potuto trovarlo, fraintendendo il suo
comportamento.
Non
poteva farlo.
Ma una persona
dentro di lui chiedeva prepotentemente una risposta, una punto di
domanda grande quanto lo spazio pulsava nella sua testa, quello stesso
che aveva, nel vano tentativo di trovare un minimo di pace, messo a
tacere ormai da cinque anni.
Ma
lì non poteva frenare più quel desiderio, era
l’occasione perfetta, per quanto sbagliata, di trovare una
risposta che nessuno aveva saputo dargli, compreso se stesso.
Era sbagliato.
Ma era anche
l’unica, disperata occasione.
Un solo nome
lo convinse a farlo, perché anche ciò che restava
di lui, nella sua anima, chiedeva una risposta.
Perché
sempre, quando una persona ci lascia, una parte di essa permane dentro
il cuore di chi l’ha conosciuta.
Lui
stesso
gliel’aveva insegnato, e adesso quella parte gli domandava
per un’ultima volta chiarezza, verità, e Harry non
poteva più ignorarlo.
Prese un
respiro, incamerando quanta più aria poteva nei polmoni e si
incamminò verso la porta.
La stanza era
circolare, esattamente come la ricordava, nera, lucida e spettrale.
Le fiammelle
tra una porta e l’altra emanavano un bagliore quasi
inquietante, riflettendosi sul nero pavimento placcato, specchiando il
loro movimento lento e ondulatorio.
Harry si
accostò la porta alle spalle, accertandosi che da fuori
sembrasse chiusa, e si diresse al centro della stanza. Ma,
inaspettatamente, la porta si chiuse. Come sospettava, le mura che
ospitavano le porte presero a girare velocemente, per poi fermarsi,
inermi.
“Dov’è
la Stanza del Velo?” domandò.
Dell’Ufficio
Misteri non aveva mai voluto sapere niente, e dopo la scomparsa di
Sirius, qualcosa in lui si era categoricamente rifiutata di sapere cosa
fosse realmente successo, quel giorno. Harry non sapeva
perciò se anche questa volta la stanza l’avrebbe
ascoltato e assecondato la sua richiesta. Ricordava però
come, cinque anni prima, rincorrendo Bellatrix Lestrange, avesse
domandato con rabbia dove fosse l’uscita, e la stanza, come
se lo avesse ascoltato, avevo spalancato la porta dalla quale era, ora,
appena entrato.
Sentì
alla sua sinistra un profondo sbuffo, come di aria mossa, e un cigolio.
Si voltò e vide, infatti, che una delle dodici porte si era
appena spalancata.
Riusciva a
intravedere dal centro dell’atrio circolare le prime grigie
gradinate di pietra che correvano tutto intorno alla cavità
della stanza.
Deglutì,
incamminandosi lentamente verso la porta.
Più
della stanza circolare, più del corridoio del nono piano,
più di ogni altra cosa al Ministero, quella stanza
rispecchiava perfettamente ogni singolo ricordo ne avesse.
Era
rettangolare, illuminata solo da un fioco bagliore dalla provenienza
inesistenze, sembrava sospeso nell’aria, senza alcuna fonte.
Gli anelli di pietra, come in un anfiteatro, si susseguivano
verticalmente, uno sopra l’altro, concentrici verso la
piccola piattaforma di roccia che si spaziava in fondo, al centro della
cavità. L’arco di pietra, vecchio e corrotto, si
reggeva al centro, trasmettendo la stessa, identica sensazione di
precarietà di quando lo aveva visto la prima volta. Il velo,
contro ogni legge fisica, si muoveva con una leggerezza estrema,
costantemente, ignorando i reclami di stabilità della piatta
e ferma aria che lo circondava.
Harry, quasi
alla cieca, prese a scendere gli alti gradini, lo sguardo fisso sul
velo.
Fermo appena
prima di salire sulla piattaforma, i pensieri si arrestarono
miracolosamente, immobili, come incantati e sospesi nell’aria
tutt’attorno, fingendo una chiarezza in realtà
inesistente.
Sembrava
così semplice, così tremendamente innocente.
Tutto sembrava acquisire un senso, davanti quell’arco, come
in un incanto di eterna precarietà.
Salì
sulla piattaforma, avvicinandosi a passi lenti al velo.
Come poteva
Sirius essere scomparso lì dietro? Sembrava così
ingenuo, così puro. Liscio e fluido come acqua,
però smosso come materia da sussurri e mormorii. E adesso
Harry riusciva a sentirli, come quella volta, pochi anni prima.
Erano gentili,
placidi, delicati, come sussurri materni, senza voce, e lui li sentiva
dentro di sé, semplicemente sapeva che esistevano.
Harry.
Riusciva a
percepire il suo nome, ora, o forse era solo un’impressione,
un imbroglio del velo.
Harry.
Riuscivano ad
infiltrarsi tenui e miti, come morbide piume della più
delicata forma di pensiero.
Harry.
Forse bastava
solo allungare la mano e l’avrebbe preso di nuovo, forse
Sirius lo aveva aspettato per cinque lunghi anni, al di là
di quella infinita sostanza sospesa tra sogno e realtà.
Harry.
E forse
sarebbe stato come se non fosse mai successo niente, come se il tempo
si fosse solo fermato a respirare, come una breve e fugace pausa.
Harry.
Forse bastava
davvero soltanto allungare la mano, e qualcuno lì dietro
l’avrebbe presa, forse lui l’avrebbe presa.
Harry.
“Sirius,
ti prendo.”
“Harry!” Si
sentì bruscamente tirare indietro il braccio e
sobbalzò, il cuore dentro che sembrava tamburellare
impazzito, come protestando. Si voltò, sbattendo le palpebre
per riprendere lucidità, e accanto a lui vide il volto
terrorizzato di Hermione. “Che cosa volevi fare?!”
disse lei con voce acuta, mentre gli si lanciava addosso, cingendolo in
un abbraccio disperato.
“Io…
Sirius” non riuscì a dire altro, si
aggrappò solo a lei, stringendola forte, mentre un infinito
senso di gratitudine gli inondava il cuore.
“Grazie” mormorò. “Hermione,
grazie”.
Hermione
sciolse l’abbraccio e si fece un po’ indietro per
guardarlo. Harry vide che aveva il volto rosso, rigato da lacrime.
“Non
farlo mai più, giuramelo, non farlo mai
più!” biascicò, asciugandosi con il
polsino dell’elegante giacca blu le gote. Harry
annuì.
“Come
hai fatto a trovarmi?”
“Oh”
sbottò lei. “Che importa! Se proprio vuoi saperlo
avevo bisogno di chiederti una cosa e ho aspettato che spuntassi
dall’ascensore nell’atrio principale, ma tu non sei
mai arrivato! Ho chiesto a Kingsley dove diavolo eri finito e mi ha
detto che eri già uscito dal suo Ufficio da un pezzo, e
poi…” la voce le vibrò ancora di
terrore. “E poi ho visto la porta che dava alla stanza
circolare aperta, e… oh, insomma, andiamocene da
qui!”
Hermione lo
guidò fuori dalla piattaforma, e poi fin sopra tutti i
gradini di pietra. Sulla soglia della porta, però, Harry si
fermò e si voltò a guardare l’arco che
per poco non l’aveva ospitato.
“Harry”
lo chiamò gentilmente Hermione, strattonandogli la manica
della giacca.
“Hermione”
disse lui, ignorando l’evidente desiderio di lei di uscire al
più presto da lì. “Hai mai scoperto
cosa è? Quel velo nell’arco, dico” Harry
vide Hermione fissarlo con un’espressione triste in
volto.
Si guardarono
per qualche secondo, poi entrambi voltarono lo sguardo sul velo.
“No”
mormorò lei, dopo un po’.
Harry
sospirò.
“Speravo
che... speravo che potesse ritornare… che stupido”
“No,
Harry” lo corresse lei, con un sorriso tenue in volto.
“Gli volevi solo bene.”
Harry non
replicò, tenne solo lo sguardo
fisso sull'arco.
“Sarei
dovuto… sarei dovuto cadere io lì, al posto
suo” disse poi, stringendo i pugni.
“Harry”
Hermione gli tirò la manica di nuovo, per farsi guardare
negli occhi. “Harry” ripetè con voce
ferma, incatenandolo con lo sguardo, determinata a fargli una volta per
tutte entrare nella testa quelle parole che gli aveva così
tante volte ripetuto. “Sirius non è morto invano,
Sirius era felice di morire in
battaglia.” Harry
sentì di non poter più resistere, doveva
liberarsi, doveva parlarne con qualcuno.
“Hermione,
come poteva essere felice di morire? No, non lo era! Non sarebbe dovuto
morire! E’ morto per colpa mia!”
“Harry…”
“Doveva
vivere, lo meritava più di me! Meritava una famiglia, meritava qualcuno
che gli volesse bene!”
“Harry,
lui sapeva che c’era qualcuno che gli voleva bene, ed
è morto per quella persona! Tu, Harry, eri la sua famiglia,
e lui lo sapeva!”
“No,
Hermione!” disse accalorandosi. “Io non ero la sua
famiglia! Lui c’è sempre stato per me, ma io mai
per lui!”
“Solo...
solo perché non potevi, solo perché eri ad
Hogwarts!”
“No,
Hermione, lui meritava una famiglia presente, vera! Quella che non ha
mai avuto! A chi serve una famiglia per cui morire?! Lui meritava una
famiglia per cui vivere!”
Hermione
tacque serrando le labbra nel tentativo di frenare un ignoto
sentimento. Harry tornò a fissare il velo.
Era ancora in
tempo.
Avrebbe ancora
potuto gettarsi giù per i gradini e lanciarsi oltre
l’arco, lasciarsi trapassare dall’ignoto, morire anche lui.
Avvertì
la mano calda di Hermione agganciarsi alla sua e la sentì
sospirare.
“Avrei
dovuto scoprirlo prima…” esalò piano Harry,
dopo che ebbe riacquisito lucidità.
“Cosa?”
sussurrò Hermione.
“Che
Regulus si è sacrificato per il bene… che Regulus
è morto come lui, da eroe…”
“Come
potevi, Harry?” disse lei, gentilmente.
Harry tacque.
Dentro di
sé lo aveva sempre pensato, aveva sempre avuto il rimorso
mordente di non averlo scoperto prima, di non averglielo detto, e non
sapeva mai chi incolpare per quel tremendo errore del tempo. Se se
stesso, se Silente per non avergli parlato del suo sospetto sull'esistenza degli
Horcrux prima, se Lumacorno per non aver rivelato molto prima, di sua
spontanea volontà, il segreto che teneva nascosto da anni.
Sentiva solo un tremendo senso di colpa che gli attanagliava lo stomaco
ogni volta che pensava a Sirius, e alla solitudine e al senso di
inappartenenza ad alcuna famiglia con cui era stato costretto a
convivere per tutta la vita.
In fondo, cosa
era Harry per Sirius in confronto a quella che sarebbe stata
la consapevolezza che Regulus non era quello che pensava, e che in
realtà era in fratello che avrebbe sempre voluto avere?
Il solo sapere
che Regulus era coraggioso e fondamentalmente buono quanto lui gli
avrebbe sicuramente garantito la convinzione di aver avuto una vera
famiglia, non la stupida caricatura di amore che gli offriva Harry.
“Harry,
ascoltami” Hermione attirò nuovamente il suo
sguardo su di sé. “Sirius lo sa,
ti ricordi quando
ti è apparso insieme ai tuoi genitori, nella
foresta?” Harry annuì debolmente.
“Perché pensi che non esista una vita al di
là della morte? Quella è stata la dimostrazione
che la vita è così forte da non lasciarti mai!
Non li vediamo, ma ci sono, e sanno. Harry, Sirius sa
quanto tu gli abbia voluto bene, e conosce la vera persona che Regulus
era. Sono qui accanto a noi, sempre.” Harry
cercò di annuire.
Voleva
crederci.
Voleva credere
che Sirius non se ne fosse andato per sempre, e che sapesse che non era
solo e che non lo era mai stato.
“Ci
pensi mai che Sirius e Regulus sono gli unici due di cui non abbiamo i
corpi?” le chiese Harry, dopo un po'. “Voglio dire,
Sirius
è caduto al di là del velo e Regulus è
stato preso dagli Inferi. Secondo te… significa
qualcosa?”
Hermione rise.
“Bè,
se ti piace pensare che questo li abbia in un certo senso
‘riuniti’ nella morte, pensalo. Perché
no?” disse, sorridendo.
“Comincio
a blaterare, lo so” ammise Harry, azzardando un sorriso.
“Solo che ho bisogno di pensarlo, ho bisogno di credere che
siano uniti, se non nella vita, almeno nella morte”. Hermione
annuì, sorridendo.
“Andiamo?”
disse poi, cercando lo sguardo di Harry.
Harry
gettò un’ultima occhiata alla gradinata,
all’arco precario e al velo che continuava a fluttuare.
Adesso, però, gli dava una sensazione diversa; era come se
si agitasse presuntuosamente, come se cercasse ancora di reclamare
Sirius, corpo e anima, come se desse sfoggio del fatto che gli
apparteneva.
Ma Harry ora
sapeva, ora aveva capito.
Aveva
compreso finalmente che Sirius non era lì, sotto quel
velo, nascosto nel fondo inesistente di quell’arco, Sirius
era lì con lui, dentro
di lui,
e il velo ancora, stolto e presuntuoso com’era, non se ne era
neanche accorto.
“Sì,
andiamo.” disse, e si avviarono insieme fuori
dall’Ufficio Misteri, chiudendosi per l’ultima,
decisiva volta quella porta alle spalle.
*
“Oh,
signor Potter!” un uomo grassoccio, davanti
all’ascensore adiacente, circondato da un gruppo di colleghi
dei quali sembrava essere il boss, richiamò
l’attenzione di Harry, prima che questi potesse allontanarsi
lungo l’atrio, verso l'uscita del Ministero, camuffata in
cabina. Harry lo riconobbe come il direttore dell’Ufficio
Regolazione e Controllo delle Creature Magiche, e tra le facce che lo
attorniavano con rispetto rivide quella della signora tozza
dell’ascensore che gli lanciava occhiate sospette.
“Buongiorno
signor Blomb” rispose Harry. Hermione accennò un
saluto gentile col capo.
“Di
nuovo diretto verso l’Ufficio dell’Uso Improprio
delle Arti Magiche?” disse, ridacchiando, tutto fiero della
battuta, convinto che fosse originale. Gli altri forzarono delle risate.
“Oh,
no” disse Harry, sorridendo. “Sono in
uscita”
“Oh,
bene, e… da dove, se non sono indiscreto?”
Decisamente lo
era, ma perché sopprimere così ingiustamente il
tentativo di un vecchio uomo in cerca di assensi, di fronte al suo
fidato gruppo di adulatori? No, di certo Harry non lo avrebbe deluso.
“Nono
piano, Ufficio Misteri, Stanza del Velo” disse
tranquillamente, sorridendo affabile.
Avvertì
Hermione agitarsi silenziosamente accanto e strattonargli impercettibilmente la manica.
L’uomo
rimase interdetto qualche secondo, così come anche il resto dell'allegra comitiva e la signora dell’ascensore. Poi fu proprio
quest’ultima, come se avesse colto il senso di qualcosa
interrotto poco prima, a liberare un’allegra risata. L’uomo, forse per paura di apparire di poco acume,
prese a ridere rumorosamente, seguito naturalmente dal
resto del personale.
“Oh,
Potter, lei sì che è una persona
divertente!” gracchiò, tenendosi la pancia.
“Buona giornata, e buona giornata anche a lei,
signorina!” E, insieme al resto del gruppo si
allontanò, verso l’ascensore. Prima che Harry
potesse riprendere a camminare, la signora dell’ascensore si
voltò e gli strizzò un occhio.
“Sei
impazzito?! E… chi era quella?” domandò
Hermione, stupita, dopo ch’ebbero ripreso a camminare.
“Oh,
niente” rispose Harry, con un sorriso in volto che non si
decideva a nascondersi. “Solo un’amica.”
E uscirono dal
Ministero, accolti dai tiepidi e caldi raggi solari.
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Note
Cos'è? Boh,
non lo neanche io cos'è, so solo che mi sono messa davanti
la pagina di word - al posto di fare i compiti - e mi è
uscita questa 'cosa'. Forse era meglio se non l'aprivo proprio la
pagina di word, vi avrei risparmiato questa cosa e domani non
rischierei due di ben cinque
materie XD
Insomma, fa schifo, lo so.
Approfitto per
ringraziare cihi ha commentato la scorsa flashfic 'Orgoglioso': Malandrina_97, gianno11,
Leuviah_Utopia, Lu_Pin, Niki_Black (doppio grazie a voi
per aver recensito e aggiunto tra le preferite), Miss Rainbow,
pazzarella_dispettosa, ArinMiriamKane (doppio grazie a te
per averla inserita tra le ricordate) e Nashira91 (doppio
grazie per averla inserita tra le preferite). Grazie a chi ha inserito
tra le preferite: Baby_;
e a chi l'ha inserita tra le ricordate: Jayne, lovegio92 e _Ink_. E grazie
anche a chi legge soltanto!
Non mi sarei mai aspettata tanto calore, vi ringrazio con tutto il
cuore, davvero!
GRAZIE!
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