4. Forks
La neve
iniziava a cadere lenta su Chicago.
Il
clima si era stabilizzato ed il freddo si faceva sentire ogni giorno di
più.
Eravamo
sedute di fronte al fuoco, Anne ed io, mentre il mio piccolo Jayden
dormiva beato nella culletta di vimini accanto alla mia poltrona,
quando una domanda mi venne spontanea:
“Anne,
tu di dove sei? Non sembri di Chicago”.
“Non
lo sono, signora”, mi rispose tenendo la testa bassa sul suo
ricamo. “Sono di Forks, un paesino sconosciuto nello stato di
Washington”.
“Ed
è bello lì?”, chiesi incuriosita dallo
strano nome della città.
“Diciamo
che è tutto verde… è piccola come
cittadina ma molto ospitale.”
“Capisco.
Cosa ti ha portata nel caos della grande città?”
“Il
lavoro di mio marito. Quando lui e nostro figlio sono morti ho deciso
di rimanere lo stesso qui… almeno da queste parti si lavora
un po’…”
“Oh
mi dispiace. Non volevo entrare nel tuo privato. Perdonami”,
dissi prendendo in braccio Jayden che nel frattempo si era svegliato.
“Non
fa nulla signora. Non dovete scusarvi. E’ tutto
apposto”, mi sorrise lasciando per un istante il suo lavoro.
Passammo
minuti interminabili in silenzio. Nessuna delle due osò
aprir bocca per un buon quarto d’ora, quando mi decisi a
tentare una nuova domanda.
“Anne,
ti piacerebbe tornare a Forks?”
Lei
scattò, guardandomi con gli occhi sgranati.
“Volete
che vada via?”
“Oh
no! Vorrei fare un viaggio in un luogo tranquillo e sperduto per
riposarmi un po’ e schiarirmi le idee e Forks mi sembrava il
posto giusto”.
Tirò
visibilmente un sospiro di sollievo. Le guance, prima bianche per lo
spavento, si arrossarono per l’imbarazzo del fraintendimento.
Sorrise
annuendo e capii che in quel modo aveva dato una risposta alla mia
domanda.
“Bene
allora inizia a preparare i bagagli. Fra due giorni partiamo, vero
piccolo mio?”
Jayden
mi guardò con quei suoi occhioni acquamarina per un istante,
prima di regalarmi il suo primo sorriso.
Due
giorni più tardi eravamo sul treno che ci avrebbe portati a
Forks.
Per
la prima volta dopo tanto tempo ero curiosa.
Curiosa
di scoprire un posto nuovo.
Curiosa
di conoscere gente diversa da quella che abitava la città.
Curiosa
di scoprire tradizioni nuove.
Se
Forks mi sarebbe piaciuta, come pensavo, non saremmo partiti molto
presto da lì.
Il
viaggio fu lungo e a tratti faticoso.
Arrivammo
a Port Angeles be due giorni dopo la nostra partenza; da lì
avremmo dovuto poi prendere una corriera che ci avrebbe portati a
destinazione.
Anne
e Jayden erano stremati.
Un
uomo mi aiutò a caricare i bagagli sulla corriera ed una
mezzoretta più tardi vidi in lontananza il cartello di
benvenuto.
“Anne,
siamo arrivati!”, svegliai la mia balia.
“D-di
già?”
“Finalmente!”,
esclamai entusiasta.
“Signora
non siete stanca?”, mi chiese Anne mentre scendevamo dalla
corriera.
“Affatto!
Dobbiamo trovare un alloggio… vado a chiedere in giro.
Aspettami qui.”
Lasciai
Anne e Jayden e mi allontanai per cercare un posto dove stare.
La
cittadina era proprio come l’aveva descritta Anne: piccola,
verde ma molto ospitale.
La
gente era pittoresca, sembrava una foto venuta dal passato.
Camminando
mi imbattei in una costruzione terribilmente vecchia ma ancora in
ottimo stato.
C’era
un cartello esposto nel giardino erboso e trascurato: In Vendita.
La
casa non era molto grande: all’entrata vi era un
portico e un vialetto di mattoni quasi interamente coperto dalle
sterpaglie.
Passai
oltre il piccolo cancello semiaperto e feci un piccolo giro attorno
alla casa: nella parte posteriore c’era un piccolo balcone
quadrato, e affacciandosi dal terrazzo, si poteva vedere
l’immenso bosco.
Che
meraviglia!
Mi
avvicinai; una donna uscì dall’abitazione
guardandomi perplessa.
“Desiderate?”,
chiese con diffidenza.
“Mi
scusi, non volevo disturbare ma ho visto il cartello e…
questa casa mi era piaciuta molto.”
“Non
si preoccupi signorina! Volete fare un giro?”.
Quella
che immaginavo essere la padrona di casa mi invitò
all’interno. Era una donna in là con gli anni,
dall’aspetto ben curato e cordiale, i capelli bianchi e un
bel vestito color caramello.
“Questa
è la cucina”, mi disse indicando una stanza
piccola con un grande tavolo in quercia al centro con due sedie ai lati.
“Di
là c’è il soggiorno..
c’è anche un caminetto ben funzionante per
giornate come queste”, disse sfregandosi le mani per il
freddo.
Sorrisi
osservando tutti i dettagli di quella piccola, deliziosa casetta.
“Al
piano di sopra ci sono due stanze da letto ed un piccolo bagno
lì, in cima alle scale. Se volete seguirmi vi faccio
vedere”.
“Certo.”
Seguii
la signora al secondo piano ed entrai istintivamente in una stanza: era
sul lato ovest della casa, aveva il pavimento di legno, pareti gialline
e soffitto a punta. Accanto alla finestra c’era un piccolo
lettino e sulla parete di fronte un vecchio armadio da cambiare
assolutamente.
“La
compro!”, dissi presa da un entusiasmo nuovo.
Inedito.
La
signora mi guardò come se non credesse a ciò che
le sue orecchie avevano sentito.
“Ne
è sicura? La casa è molto vecchia.. ha bisogno di
manutenzione..”
“Apprezzo
la vostra sincerità, ma avrei una certa urgenza. Quando
potremmo venire ad abitare?”
Travolsi
la signora con il mio entusiasmo. Vidi che si guardava intorno per
cercare il trucco, l’inganno.
“Per
me anche subito. Ma non vuole sapere il prezzo prima di
acquistarla?”, chiese sedendosi sul lettino della stanza
più piccola, che si piegò sotto il suo peso
(tutt’altro che gentile) cigolando.
“Oh,
giusto. La borsa con i soldi l’ho lasciata ad Anne.
Signora…”, esitai non conoscendo il suo nome.
“Carrey.
Ma chiamatemi pure Ines”.
“Signora
Ines, potreste aspettare qui. Tra dieci minuti sarò di
ritorno, promesso”.
Non
so per quale motivo, ma la signora mi credette e dieci minuti
più tardi, quando tornai con la mia balia e Jayden, la
trovai seduta di fronte al camino acceso da poco.
“Eccoci.
Scusate l’attesa”, dissi fingendo un lieve fiatone.
“Non
vi preoccupate. Qui ci sono le carte del contratto e le chiavi. Ma che
delizioso bambino…”, si avvicinò a
Jayden che dormiva beato tra le braccia di Anne.
“Grazie”,
risposi con un sorriso.
Mi
sedetti sul divanetto del soggiorno e firmai il contratto dando una
veloce occhiata alle clausole. La signora Carrey era una donna molto
onesta.
Pagai
ciò che le dovevo per la casa tutto in contanti e, dopo una
breve chiacchierata, ci salutammo.
“Avete
comprato questa casa? Volete restare qui a lungo?”, chiese
Anne intenta a disfare i bagagli al piano di sopra.
“Si.
Forks mi piace molto. Ah Anne, non ti dispiace dormire qui, con Jayden
vero?”, dissi indicando la stanza con le pareti gialle.
“Nient’affatto
signora”, sorrise.
“Dovremmo
comprare una culla… domani mattina usciremo un po’
in città. Per stanotte il bimbo dormirà nel mio
letto”.
“Come
desiderate signora”.
Due
ore più tardi decisi di uscire per una passeggiata.
“Anne,
mi assento per un po’. Tornerò prima che faccia
buio”.
“Non
impacciatevi signora. Sta per piovere”.
“Tranquilla.
Sarò presto di ritorno”.
Uscii
di casa e camminai non so per quanto tempo prima di entrare nella
foresta. Fu li che sentii un brivido corrermi lungo la schiena, un
bisogno folle ed impellente di correre veloce, di oltrepassare la
barriera del suono, di scaricarmi.
Mi
guardai intorno per accertarmi che nessuno stesse a guardare.
Uno
scatto improvviso, non controllato, senza pensieri.
Cancellai
qualsiasi freno inibitore e corsi più veloce che potevo,
come non avevo mai fatto prima.
In
un paio di minuti mi ritrovai fuori dall’oscurità
della foresta, su una scogliera vicino al mare.
Anne
aveva ragione: il cielo prometteva pioggia e già si
intravedeva qualche fulmine in lontananza.
Ma
il mondo visto da quell’altura sembrava così
incredibilmente grande, quasi immenso.
Mi
sporsi di più, fermandomi sul ciglio dello scoglio
più alto, ad un passo dal vuoto.
Il
mare ruggiva sotto i miei piedi e la voglia di tuffarmi era
forte… invitante.
Esitai
un attimo per assaporare il vento carico di salsedine che si infrangeva
sul mio volto.
Chiusi
gli occhi…
“Ehi,
ehi tu! Ferma! Non ti buttare per carità. Sei impazzita?
Ehi!”
Una
voce maschile alle mie spalle urlava quasi in preda al panico. Mi
supplicava di non buttarmi…
Sentii
un mano forte stringere il mio braccio.
Mi
voltai e vidi dinnanzi a me un ragazzo, giovane, più o meno
sui sedici anni o forse qualcosa in più.
Era
bello, acerbo ma molto bello.
Lineamenti
squadrati, capelli neri, labbra carnose…
“Sei
impazzita?”, mi disse con il fiato corto, “Non sai
che è pericoloso?”
Sorrisi
davanti la sua preoccupazione.
“O
mi dispiace, ma non avevo nessuna intenzione di buttarmi da
qui… per farmi male”
“Ah
no?”, disse lui con aria di sfida.
“E
cosa pensi ti saresti fatta se ti fossi scontrata con quegli scogli
laggiù?”
Indicò
il mare in tempesta.
Non
riuscii a trattenere un una grande risata.
Quel
povero ragazzo mi guardò credendomi pazza. Ignorava cosa
fossi in realtà e che non mi sarei mai fatta nulla
perché la mia pelle, al tatto così morbida e
delicata, era in realtà una dura corazza di diamanti.
“Mi
dispiace”, dissi portando una mano alla bocca.
“Certo
che voi signore di città siete dei bei
tipi…”, commentò lasciando andare il
mio braccio che stingeva ancora. “Cosa porta una giovane
donna come te in bilico su una scogliera in un paesino dimenticato da
Dio?”.
“La
voglia di tranquillità. La città è
talmente caotica… Tu sei del luogo?”, chiesi
allontanandomi dal baratro.
Vidi
il ragazzo rilassarsi a quella mia mossa, prima di rispondere:
“Vivo nella riserva, laggiù”,
indicò un punto alla sua sinistra.
“Sono
un Quileute. Il mio nome è Kevan”.
“Piacere.
Io sono Josephine”.
Un
tuono squarciò l’aria e grosse gocce
d’acqua iniziarono a cadere dal cielo.
“Piove!”,
dissi ma il mio tono non fu quello che il ragazzo si aspettava: ero
divertita.
“Piove
piove piove!! Che meraviglia!”
La
pioggia cadeva sempre più incessantemente, bagnando
interamente il mio abito bianco di raso.
“E’
tutta matta… Vieni via o ti verrà un bel
raffreddore”.
Kevan
si era allontanato per ripararsi sotto gli alberi. “Fifone
vieni qui! Non sai che ti perdi…”
Iniziai
a danzare sotto la pioggia. Finalmente facevo qualcosa al di fuori
dagli schemi che l’etichetta di brava ragazza mi imponeva.
Kevan
si avvicinò prendendomi per mano; per un istante
fissò i suoi occhi nero carbone nei miei e sorridendo
iniziò a correre trascinandomi con lui.
“Dove
mi stai portando?”, domandai seguendolo.
“In
un posto migliore della scogliera bagnata”.
Sentivo
l’euforia e l’adrenalina nella sua voce. Continuavo
a ridere stringendo la sua mano calda al contrario della mia.
Poco
dopo arrivammo nei pressi di una radura al centro della quale vi era
una casetta di legno, piccola, con delle grandi gerbere colorate sui
davanzali delle finestre.
Kevan
aprì la porta ed entrammo.
L’arredamento
era semplice: tutti i mobili erano in legno. L’ambiente era
piccolo, ma accogliente.
“Fai
come se fossi a casa tua. Di là c’è un
bagno con delle asciugamani pulite. Io intanto accendo il
fuoco”.
Andai
in bagno e presi due asciugamani bianche. Quando tornai nella prima
stanza, Kevan aveva già acceso il fuoco.
“Che
velocità. Complimenti, la casa è davvero molto
carina”, commentai porgendogli un asciugamano.
“Grazie.
Non ci crederai ma l’ho costruita io con le mie mani.
E’ da un paio d’anni che ci lavoro…il
piano di sopra è ancora tutto da finire
però… E’ il mio rifugio.”, mi
raccontò.
Passarono
alcuni momenti scanditi dallo scoppiettio del fuoco. Quella nuova vita,
quella possibilità di vita che mi stava aprendo davanti mi
piaceva.
Però,
non comprendeva Edward, ed il solo pensiero mi spezzò
nuovamente il cuore.
“Allora,
Josephine.. in città non piove mai?”, disse Kevan
abbozzando un sorrisetto malizioso.
“Si,
perché?”, chiesi ingenua e sovrappensiero.
“Bè
dalla tua reazione non sembrava”
“Sono
stata eccessiva, eh?”, chiesi sedendomi su una poltroncina di
chintz accanto al fuoco caldo.
Kevan
mi guardò e sorrise.
“Cosa
c’è?”
“Sei
davvero strana tu. Nel senso buono, si intenda”.
“E
quale sarebbe?”, lo stuzzicai.
“Mmmm…”
Un
tuono sibilò molto vicino. Un boato e la pioggia
cessò come d’incanto.
L’orologio
sopra una vecchia credenza segnava le 19.30 passate.
“Devo
andare”, mi alzai di scatto interrompendo i suoi pensieri.
“Di
già?”, Kevan mi imitò.
“E’
molto tardi e Anne sarà preoccupata per
me…”, mi avvicinai alla porta aprendola.
Era
buio pesto.
“Vuoi
che ti accompagni? E’ buio e…
pericoloso..”
“No
grazie. Casa mia è qui vicino.”
“Riuscirai
a trovare la strada?”, chiese apprensivo afferrando
nuovamente il mio braccio.
“Tranquillo.
Ce la farò. Non sono poi tanto indifesa come
sembra”.
“Josephine,
ti rivedrò?”
“La
città è molto piccola…”, fui
molto vaga.
Sorrise.
“Nel
caso voglia aiutare il destino, di chi devo chiedere?”
“Josephine
Heart. Qualcuno in città saprà dirti di
lei”.
“Nel
caso tu voglia aiutare il destino chiedi di Kevan Uley. Qualcuno,
giù in riserva, saprà dirti di lui”.
Uscii
da quella porta riprendendo la corsa da dove l’avevo lasciata
Kevan:
Casa che Josepine
compra a Forks:
Rifugio di Kevan:
Bè le
avete riconosciute le due case???
Sono curiosa di
saperlo!!
Bacioni
Evie
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