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Autore: Evie08    13/10/2010    3 recensioni
Sono tornata,come promesso, con il tanto atteso seguito di "The Voice Of Heart" che ho intitolato - come potete vedere- "Damned Souls".
In questo nuovo 'volume' ne succederanno delle belle... ma davvero...
Leggete per saperne di più!!
Dal capitolo 4--"Forks"--:
“Josephine, ti rivedrò?”
“La città è molto piccola…”, fui molto vaga.
Sorrise.
“Nel caso voglia aiutare il destino, di chi devo chiedere?”
“Josephine Heart. Qualcuno in città saprà dirti di lei”.
“Nel caso tu voglia aiutare il destino chiedi di Kevan Uley. Qualcuno, giù in riserva, saprà dirti di lui”.
Uscii da quella porta riprendendo la corsa da dove l’avevo lasciata.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Carlisle Cullen, Edward Cullen, Nuovo personaggio, Sorpresa, Volturi
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Precedente alla saga
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Voice Of Heart'
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4. Forks


JoPOV


La neve iniziava a cadere lenta su Chicago.
Il clima si era stabilizzato ed il freddo si faceva sentire ogni giorno di più.
Eravamo sedute di fronte al fuoco, Anne ed io, mentre il mio piccolo Jayden dormiva beato nella culletta di vimini accanto alla mia poltrona, quando una domanda mi venne spontanea:
“Anne, tu di dove sei? Non sembri di Chicago”.
“Non lo sono, signora”, mi rispose tenendo la testa bassa sul suo ricamo. “Sono di Forks, un paesino sconosciuto nello stato di Washington”.
“Ed è bello lì?”, chiesi incuriosita dallo strano nome della città.
“Diciamo che è tutto verde… è
piccola come cittadina ma molto ospitale.”
“Capisco. Cosa ti ha portata nel caos della grande città?”
“Il lavoro di mio marito. Quando lui e nostro figlio sono morti ho deciso di rimanere lo stesso qui… almeno da queste parti si lavora un po’…”
“Oh mi dispiace. Non volevo entrare nel tuo privato. Perdonami”, dissi prendendo in braccio Jayden che nel frattempo si era svegliato.
“Non fa nulla signora. Non dovete scusarvi. E’ tutto apposto”, mi sorrise lasciando per un istante il suo lavoro.
Passammo minuti interminabili in silenzio. Nessuna delle due osò aprir bocca per un buon quarto d’ora, quando mi decisi a tentare una nuova domanda.
“Anne, ti piacerebbe tornare a Forks?”
Lei scattò, guardandomi con gli occhi sgranati.
“Volete che vada via?”
“Oh no! Vorrei fare un viaggio in un luogo tranquillo e sperduto per riposarmi un po’ e schiarirmi le idee e Forks mi sembrava il posto giusto”.
Tirò visibilmente un sospiro di sollievo. Le guance, prima bianche per lo spavento, si arrossarono per l’imbarazzo del fraintendimento.
Sorrise annuendo e capii che in quel modo aveva dato una risposta alla mia domanda.
“Bene allora inizia a preparare i bagagli. Fra due giorni partiamo, vero piccolo mio?”
Jayden mi guardò con quei suoi occhioni acquamarina per un istante, prima di regalarmi il suo primo sorriso.


Due giorni più tardi eravamo sul treno che ci avrebbe portati a Forks.
Per la prima volta dopo tanto tempo ero
curiosa.
Curiosa di scoprire un posto nuovo.
Curiosa di conoscere gente diversa da quella che abitava la città.
Curiosa di scoprire tradizioni nuove.
Se Forks mi sarebbe piaciuta, come pensavo, non saremmo partiti molto presto da lì.
Il viaggio fu lungo e a tratti faticoso.
Arrivammo a Port Angeles be due giorni dopo la nostra partenza; da lì avremmo dovuto poi prendere una corriera che ci avrebbe portati a destinazione.
Anne e Jayden erano stremati.
Un uomo mi aiutò a caricare i bagagli sulla corriera ed una mezzoretta più tardi vidi in lontananza il cartello di benvenuto.
“Anne, siamo arrivati!”, svegliai la mia balia.
“D-di già?”
“Finalmente!”, esclamai entusiasta.
“Signora non siete stanca?”, mi chiese Anne mentre scendevamo dalla corriera.
“Affatto! Dobbiamo trovare un alloggio… vado a chiedere in giro. Aspettami qui.”
Lasciai Anne e Jayden e mi allontanai per cercare un posto dove stare.
La cittadina era proprio come l’aveva descritta Anne: piccola, verde ma molto ospitale.
La gente era pittoresca, sembrava una foto venuta dal passato.
Camminando mi imbattei in una costruzione terribilmente vecchia ma ancora in ottimo stato.
C’era un cartello esposto nel giardino erboso e trascurato:
In Vendita.
La casa non era molto grande: all’entrata vi era un portico e un vialetto di mattoni quasi interamente coperto dalle sterpaglie.
Passai oltre il piccolo cancello semiaperto e feci un piccolo giro attorno alla casa: nella parte posteriore c’era un piccolo balcone quadrato, e affacciandosi dal terrazzo, si poteva vedere l’immenso bosco.
Che meraviglia!
Mi avvicinai; una donna uscì dall’abitazione guardandomi perplessa.
“Desiderate?”, chiese con diffidenza.
“Mi scusi, non volevo disturbare ma ho visto il cartello e… questa casa mi era piaciuta molto.”
“Non si preoccupi signorina! Volete fare un giro?”.
Quella che immaginavo essere la padrona di casa mi invitò all’interno. Era una donna in là con gli anni, dall’aspetto ben curato e cordiale, i capelli bianchi e un bel vestito color caramello.
“Questa è la cucina”, mi disse indicando una stanza piccola con un grande tavolo in quercia al centro con due sedie ai lati.
“Di là c’è il soggiorno.. c’è anche un caminetto ben funzionante per giornate come queste”, disse sfregandosi le mani per il freddo.
Sorrisi osservando tutti i dettagli di quella piccola, deliziosa casetta.
“Al piano di sopra ci sono due stanze da letto ed un piccolo bagno lì, in cima alle scale. Se volete seguirmi vi faccio vedere”.
“Certo.”
Seguii la signora al secondo piano ed entrai istintivamente in una stanza: era sul lato ovest della casa, aveva il pavimento di legno, pareti gialline e soffitto a punta. Accanto alla finestra c’era un piccolo lettino e sulla parete di fronte un vecchio armadio da cambiare assolutamente.
“La compro!”, dissi presa da un entusiasmo nuovo.
Inedito.
La signora mi guardò come se non credesse a ciò che le sue orecchie avevano sentito.
“Ne è sicura? La casa è molto vecchia.. ha bisogno di manutenzione..”
“Apprezzo la vostra sincerità, ma avrei una certa urgenza. Quando potremmo venire ad abitare?”
Travolsi la signora con il mio entusiasmo. Vidi che si guardava intorno per cercare il trucco, l’inganno.
“Per me anche subito. Ma non vuole sapere il prezzo prima di acquistarla?”, chiese sedendosi sul lettino della stanza più piccola, che si piegò sotto il suo peso (tutt’altro che gentile) cigolando.
“Oh, giusto. La borsa con i soldi l’ho lasciata ad Anne. Signora…”, esitai non conoscendo il suo nome.
“Carrey. Ma chiamatemi pure Ines”.
“Signora Ines, potreste aspettare qui. Tra dieci minuti sarò di ritorno, promesso”.
Non so per quale motivo, ma la signora mi credette e dieci minuti più tardi, quando tornai con la mia balia e Jayden, la trovai seduta di fronte al camino acceso da poco.
“Eccoci. Scusate l’attesa”, dissi fingendo un lieve fiatone.
“Non vi preoccupate. Qui ci sono le carte del contratto e le chiavi. Ma che delizioso bambino…”, si avvicinò a Jayden che dormiva beato tra le braccia di Anne.
“Grazie”, risposi con un sorriso.
Mi sedetti sul divanetto del soggiorno e firmai il contratto dando una veloce occhiata alle clausole. La signora Carrey era una donna molto onesta.
Pagai ciò che le dovevo per la casa tutto in contanti e, dopo una breve chiacchierata, ci salutammo.
“Avete comprato questa casa? Volete restare qui a lungo?”, chiese Anne intenta a disfare i bagagli al piano di sopra.
“Si. Forks mi piace molto. Ah Anne, non ti dispiace dormire qui, con Jayden vero?”, dissi indicando la stanza con le pareti gialle.
“Nient’affatto signora”, sorrise.
“Dovremmo comprare una culla… domani mattina usciremo un po’ in città. Per stanotte il bimbo dormirà nel mio letto”.
“Come desiderate signora”.

Due ore più tardi decisi di uscire per una passeggiata.
“Anne, mi assento per un po’. Tornerò prima che faccia buio”.
“Non impacciatevi signora. Sta per piovere”.
“Tranquilla. Sarò presto di ritorno”.
Uscii di casa e camminai non so per quanto tempo prima di entrare nella foresta. Fu li che sentii un brivido corrermi lungo la schiena, un bisogno folle ed impellente di correre veloce, di oltrepassare la barriera del suono, di scaricarmi.
Mi guardai intorno per accertarmi che nessuno stesse a guardare.
Uno scatto improvviso, non controllato, senza pensieri.
Cancellai qualsiasi freno inibitore e corsi più veloce che potevo, come non avevo mai fatto prima.
In un paio di minuti mi ritrovai fuori dall’oscurità della foresta, su una scogliera vicino al mare.
Anne aveva ragione: il cielo prometteva pioggia e già si intravedeva qualche fulmine in lontananza.
Ma il mondo visto da quell’altura sembrava così incredibilmente grande, quasi immenso.
Mi sporsi di più, fermandomi sul ciglio dello scoglio più alto, ad un passo dal vuoto.
Il mare ruggiva sotto i miei piedi e la voglia di tuffarmi era forte… invitante.
Esitai un attimo per assaporare il vento carico di salsedine che si infrangeva sul mio volto.
Chiusi gli occhi…
“Ehi, ehi tu! Ferma! Non ti buttare per carità. Sei impazzita? Ehi!”
Una voce maschile alle mie spalle urlava quasi in preda al panico. Mi supplicava di non buttarmi…
Sentii un mano forte stringere il mio braccio.
Mi voltai e vidi dinnanzi a me un ragazzo, giovane, più o meno sui sedici anni o forse qualcosa in più.
Era bello, acerbo ma molto bello.
Lineamenti squadrati, capelli neri, labbra carnose…
“Sei impazzita?”, mi disse con il fiato corto, “Non sai che è pericoloso?”
Sorrisi davanti la sua preoccupazione.
“O mi dispiace, ma non avevo nessuna intenzione di buttarmi da qui… per farmi male”
“Ah no?”, disse lui con aria di sfida.
“E cosa pensi ti saresti fatta se ti fossi scontrata con quegli scogli laggiù?”
Indicò il mare in tempesta.
Non riuscii a trattenere un una grande risata.
Quel povero ragazzo mi guardò credendomi pazza. Ignorava cosa fossi in realtà e che non mi sarei mai fatta nulla perché la mia pelle, al tatto così morbida e delicata, era in realtà una dura corazza di diamanti.
“Mi dispiace”, dissi portando una mano alla bocca.
“Certo che voi signore di città siete dei bei tipi…”, commentò lasciando andare il mio braccio che stingeva ancora. “Cosa porta una giovane donna come te in bilico su una scogliera in un paesino dimenticato da Dio?”.
“La voglia di tranquillità. La città è talmente caotica… Tu sei del luogo?”, chiesi allontanandomi dal baratro.
Vidi il ragazzo rilassarsi a quella mia mossa, prima di rispondere: “Vivo nella riserva, laggiù”, indicò un punto alla sua sinistra.
“Sono un Quileute. Il mio nome è Kevan”.
“Piacere. Io sono Josephine”.
Un tuono squarciò l’aria e grosse gocce d’acqua iniziarono a cadere dal cielo.
“Piove!”, dissi ma il mio tono non fu quello che il ragazzo si aspettava: ero divertita.
“Piove piove piove!! Che meraviglia!”
La pioggia cadeva sempre più incessantemente, bagnando interamente il mio abito bianco di raso.
“E’ tutta matta… Vieni via o ti verrà un bel raffreddore”.
Kevan si era allontanato per ripararsi sotto gli alberi. “Fifone vieni qui! Non sai che ti perdi…”
Iniziai a danzare sotto la pioggia. Finalmente facevo qualcosa al di fuori dagli schemi che l’etichetta di brava ragazza mi imponeva.
Kevan si avvicinò prendendomi per mano; per un istante fissò i suoi occhi nero carbone nei miei e sorridendo iniziò a correre trascinandomi con lui.
“Dove mi stai portando?”, domandai seguendolo.
“In un posto migliore della scogliera bagnata”.
Sentivo l’euforia e l’adrenalina nella sua voce. Continuavo a ridere stringendo la sua mano calda al contrario della mia.
Poco dopo arrivammo nei pressi di una radura al centro della quale vi era una casetta di legno, piccola, con delle grandi gerbere colorate sui davanzali delle finestre.
Kevan aprì la porta ed entrammo.
L’arredamento era semplice: tutti i mobili erano in legno. L’ambiente era piccolo, ma accogliente.
“Fai come se fossi a casa tua. Di là c’è un bagno con delle asciugamani pulite. Io intanto accendo il fuoco”.
Andai in bagno e presi due asciugamani bianche. Quando tornai nella prima stanza, Kevan aveva già acceso il fuoco.
“Che velocità. Complimenti, la casa è davvero molto carina”, commentai porgendogli un asciugamano.
“Grazie. Non ci crederai ma l’ho costruita io con le mie mani. E’ da un paio d’anni che ci lavoro…il piano di sopra è ancora tutto da finire però… E’ il mio rifugio.”, mi raccontò.
Passarono alcuni momenti scanditi dallo scoppiettio del fuoco. Quella nuova vita, quella possibilità di vita che mi stava aprendo davanti mi piaceva.
Però, non comprendeva Edward, ed il solo pensiero mi spezzò nuovamente il cuore.
“Allora, Josephine.. in città non piove mai?”, disse Kevan abbozzando un sorrisetto malizioso.
“Si, perché?”, chiesi ingenua e sovrappensiero.
“Bè dalla tua reazione non sembrava”
“Sono stata eccessiva, eh?”, chiesi sedendomi su una poltroncina di chintz accanto al fuoco caldo.
Kevan mi guardò e sorrise.
“Cosa c’è?”
“Sei davvero strana tu. Nel senso buono, si intenda”.
“E quale sarebbe?”, lo stuzzicai.
“Mmmm…”
Un tuono sibilò molto vicino. Un boato e la pioggia cessò come d’incanto.
L’orologio sopra una vecchia credenza segnava le 19.30 passate.
“Devo andare”, mi alzai di scatto interrompendo i suoi pensieri.
“Di già?”, Kevan mi imitò.
“E’ molto tardi e Anne sarà preoccupata per me…”, mi avvicinai alla porta aprendola.
Era buio pesto.
“Vuoi che ti accompagni? E’ buio e… pericoloso..”
“No grazie. Casa mia è qui vicino.”
“Riuscirai a trovare la strada?”, chiese apprensivo afferrando nuovamente il mio braccio.
“Tranquillo. Ce la farò. Non sono poi tanto
indifesa come sembra”.
“Josephine, ti rivedrò?”
“La città è molto piccola…”, fui molto vaga.
Sorrise.
“Nel caso voglia aiutare il destino, di chi devo chiedere?”
“Josephine Heart. Qualcuno in città saprà dirti di lei”.
“Nel caso tu voglia aiutare il destino chiedi di Kevan Uley. Qualcuno, giù in riserva, saprà dirti di lui”.
Uscii da quella porta riprendendo la corsa da dove l’avevo lasciata




Kevan:
kevan

Casa che Josepine compra a Forks:

casa

Rifugio di Kevan:

casa kevan

Bè le avete riconosciute le due case???
Sono curiosa di saperlo!!
Bacioni

Evie


   
 
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