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Nell'appartamento il
silenzio era calato opprimente ed insopportabile.
Certe giornate e certe notti
dovevo fare i conti con questo silenzio, che metteva a dura prova la
mia determinazione a restare sulla terra, decisi di attaccarmi alle
maniglie della scatola empatica.
Qualunque cosa andava bene
pur di non sentire il silenzio che era calato in quel momento.
Tutte le famiglie sulla
terra e nelle colonie extra mondo ne avevano una e tramite questo
aggeggio riuscivi ad assistere all'ascesa di Wilbur Mercer, Mr
Empatia in persona.
In quel momento tutto
svaniva e in quell'esperienza riuscivi ad entrare in contatto col
prossimo e ad allegerirti il cuore e la coscienza. Una volta, prima
della guerra, la gente andava in chiesa e ne parlava col parroco, ma
ormai le chiese erano diventate dei monumenti vuoti e spogli.
Presi la scatola, l'accesi,
attesi che si fosse connessa con la rete e afferrai le maniglie.
Il soggiorno, il palazzo sul
Canal Grande era scomparso. Adesso ero in un deserto.
Riaprii gl'occhi e davanti a
me una distesa di pietre e sabbia. Ero Mercer.
Sentivo il calore del sole
che bruciava la fronte, il tessuto ruvido della tunica, che ad ogni
movimento grattava la pelle, il vento e le gocce di sudore che
colavano sulla sabbia.
Adesso sono Mercer, sto
camminando sul pendio. Sento che arriva il primo sasso, ma non mi
prendono. Ne arriva un altro e questo va a segno, colpendomi alle
spalle.
E un altro, un altro ancora.
Tutte le volte che un sasso va a segno, ne sento l'impatto e dentro
di me un esplosione di dolore che riverbera nel corpo.
Al dodicesimo o tredicesimo
sasso mollo la presa dalle maniglie della scatola, non potevo più
sopportare quella sassaiola. Il collegamento s'interruppe subito.
Doveva essermi scappato un
urlo durante la sessione di fusione empatica. Cazzo.
La ragazza vide la mia
espressione, un misto di sorpresa e di stupidità.
Non la facevo un tipo
da scatola empatica..
Nessuno è ciò
che sembra, avvocato.
La prego, mi chiami per
nome..
Come si chiama?
Melissa.
Avevamo rotto il ghiaccio e
non sapevo se era una cosa buona o cattiva.
Un atteggiamento poco
professionale non mi avrebbe permesso di ottenere informazioni o
peggio sarebbero state influenzate dalla mia attrazione sessuale nei
confronti della ragazza, che era bellissima. Il manuale sconsigliava
scopate coi testimoni, almeno finché fosse durata l'inchiesta.
Ma come potevo resisterle?
Decisi di riprendermi e poi non avevo voglia di scopare, non col
cadavere della Laura ancora caldo.
La vidi deglutire e
guardarmi con occhi spaventati. Povera ragazza, ma fino a ad un certo
punto.
Accendemmo il PC e dopo
alcuni minuti cominciavamo a smanettare sui documenti dello studio.
Lasciammo perdere i
documenti fiscali, troppo complicati per il momento e ci concentrammo
sulla corrispondenza del caro estinto.
Ci guardammo di nuovo
negl'occhi. Era bella. Molto attraente.
Distolsi lo sguardo e mi
rituffai nella corrispondenza.
Aprii il primo messaggio
della lista ma non potevo leggerlo, perchè era stato
crittografato e l'unico che potesse decodificarlo era morto
stecchito.La migliore opzione sarebbe stata interrogare
l'avvocato.Adesso ogni possibile pensiero legato al sesso era bandito
dalla mia mente.
Lei era una portatrice di
informazioni e dovevo riuscire a cavarne fuori il massimo.
Ospedale Arcangelo Michele
Isola di Nuova Venezia
Lunedì Mattina
Alvise Bridolin era un
portantino.
Abitava in un condominio
d'appartamenti (CONDAP) nel quartiere Pertini, periferia di Mestre.
Non che ne fossero rimasti
molti di quei palazzoni, che cadevano a pezzi per incuria e perché
abbandonati. Lavorava all'isola di Nuova Venezia, una nuova scommessa
edilizia e architettonica lanciata dalla città prima della
guerra. Era rimasta incompleta, ma nel giro di sei anni, nuove torri
d'acciaio e vetro, svettavano a due miglia marine dalla costa. Una
scommessa quasi vincente, malgrado la polvere radioattiva e
l'inquinamento. Chi non poteva emigrare si rifugiava in questa nuova
isola.
Bridolin aveva fatto domanda
per poter emigrare su Titano, nella colonia di Nuova Verona, ed oggi
avrebbe ricevuto il risultato dei test, effettuati due settimane
prima.
Non era particolarmente
nervoso, ma nemmeno eccitato. L'unica cosa che non gli dispiaceva era
la possibilità di rivedere la bella dottoressa Myaskovsky.
Non sapeva da dove venisse,
ma la conosceva, di vista però sapeva chi fosse. L'aveva vista
tante volte quando puliva i corridoi del reparto dove prestava
servizio. Era adorata dai pazienti, perché possedeva una
naturale sollecitudine nei loro confronti ed aveva una naturale
autorevolezza nel condurre le visite. Ogni volta che la vedeva era
una delizia per gl'occhi.
Capelli neri lunghi e lisci
come seta, fisico atletico temprato dalle arti marziali e una
naturale grazia in ogni semplice movimento.
Aveva appena varcato il
portone d'ingresso dell'ospedale. Visto da fuori sembrava una spada
fatta di vetro che volesse sfidare la sorte e il tempo.
Si fece avanti verso il
banco d'accettazione dell'ospedale e chiese informazioni
all'impiegata.
Le rispose sgarbatamente di
rivolgersi al quarto piano per ritirare i certificati di cui aveva
bisogno.
Arrivato al quarto piano
entrò nell'ufficio che gl'aveva indicato l'arcigna impiegata e
con sua grande sorpresa trovò proprio la dottoressa
Myaskosvskiy.
Si sedettero e lei gli
rivolse un bel sorriso, poi riprese
Signor Bridolin, devo
riferirle i risultati dei test, effettuati due settimane prima.
Allora? Potrò
emigrare su Titano?
Temo di no signor
Bridolin.
Queste parole s'abbatterono
si di lui come un maglio.
La dottoressa inforcò
degl'occhiali da vista e lesse il referto delle analisi.
Mi ascolti, lei ha una
sindrome degenerativa, che ha affetto il suo cervello.
E' ai primi stadi e ritengo
che con la dovuta terapia ci potrebbe essere una speranza di cura.
Bridolin non riusciva a
capire e le successive parole non vennero registrate dalla sua mente.
Rialzò lo sguardo e
fisso i suoi occhi azzurri nel volto della dottoressa, inspirò
e sospirò
avrebbe voluto mettersi a
piangere. Sapeva, Bridolin sapeva cosa sarebbe successo dopo.
Lo aveva visto tante volte
quando da inserviente aveva pulito il piano degli “speciali”
ovvero i soggetti col cervello bruciato dalla polvere tossica.
Erano fantasmi che vagavano
tra i corridoi dell'ospedale come mosche ubriache dal caldo.
Non voleva finire così.
Rifiutava con ogni fibra del suo essere un simile destino ed emigrare
era la sua unica speranza. Ma adesso? Che fare?
Alvise ascolta.. ce la
puoi fare. Non finirai col cervello bruciato è ancora ai
primi stadi ed è possibile curarla.
Guarirò?
Si ma dobbiamo
cominciare subita la terapia. Adesso ti prescriverò dei
farmaci e dopo dovremo effettuare altre visite di controllo. Devi
solo tenere duro e rimboccarti le maniche.
Io t'aiuterò ma tu
devi darti da fare.
Va bene dottoressa, mi
fido di lei.
Le i le rivolse un bel
sorriso ed iniziò a scrivere una prescrizione medica.
Si strinsero la mano. Di
solito una stretta durava pochi istanti ma, in quel momento, quando i
loro occhi s'incontrarono per alcuni istanti, durò qualche
momento in più.
Non sapeva che cosa dire ma
doveva sfruttare quell'esile momento d'informalità
Decise di osare.
Lei lo guardò per un
istante, era rimasta un attimo interdetta. Cosa avrebbe risposto?
Anche Bridolin era
emozionato, quale sarebbe stato il verdetto? Sulla Polvere o
sull'Altare?
Che tipo di ristorante
è?
Indiano.. lo inaugurano
domani sera....
Va bene domani sera ma
non glielo garantisco.
Alle nove?
Andata.
Bridolin uscì dallo
studio con passo fiducioso. Era sicuro di se, poiché ad un
cervello di gallina mai e poi mai sarebbe riuscito ad ottenere un
appuntamento con una bella ragazza. Questa promessa di una notte
romantica lo aveva rinfrancato e con un sorriso sulle labbra si
diresse verso l'uscita dell'ospedale.
Questura di Venezia
Piazza Roma
Lo stesso giorno
“Takeshi... Figlio di
Puttana...” mi dissi tra me.
Oggi avevo ricevuto la sua
vendetta. I Gemelli Diversi m'avrebbero accompagnato in ogni mio
passo durante questa caccia.
Comunque c'era poco da
scegliere, perché sapevo di essere nel taschino di quel nano
bastardo.
Quel giorno ero riuscito a
stabilire alcune connessioni col caso in corso ed erano:
C'era qualcosa che si
stava muovendo nel sottobosco dei lavori in pelle e questo qualcosa
poteva avere sviluppi interessanti.
L'Avvocatessa o la iena
in completo gessato mi aveva aperto uno spiraglio, di che genere non
potevo saperlo, però sapevo che c'era.
Questo giro di giostra
sarebbe stato differente sotto molto aspetti e ancora non avevo ben
capito quali disgrazie il padre eterno m'avesse nascosto dietro
l'angolo.
Seduto nel mio sgabuzzino mi
collegai con la banca dati della Questura ed iniziai ad effettuare
delle ricerche incrociate. Per le notti successive avrei dovuto
muovermi tra la vecchia Venezia e quello schifo di vetro, acciaio e
cemento che viene chiamato Nuova Venezia per ottenere delle risposte,
ma adesso era ora di cominciare a trovare la prima preda.
Decisi di cominciare dagli
ospedali e vedere se saltava fuori il nome dell'androide medico.
Il fatto che non avesse
preso le solite precauzioni come un nome falso poteva voler dire che
la sua leggenda, cioè la sua finta storia di vita, fosse stata
curata nei minimi dettagli.
Cominciai con le cliniche
private, ma non ebbi riscontro. Proseguii con controlli incrociati in
tutti gl'ospedali della regione, finché non venne fuori una
piacevole sorpresa.
L'ospedale Arcangelo Michele
aveva effettuato una nuova aggiunta al suo staff medico.
Sul mio volto si dipinse un
ghigno sinistro. La prima preda dopo tanta attesa. M'alzai e
trassi dal cassetto della scrivania un caricatore vuoto ed
incominciai a riempirlo con cartucce a punta cava, quindici colpi in
tutto. Poi pulire la mia pistola e controllare il resto del mio
equipaggiamento, ricontrollare le batterie del segnalatore Penfield.
I preparativi mi tennero occupato per quindici minuti e dopo essermi
messo l'impermeabile uscii dalla questura.
Fuori ad attendermi c'erano
i Gemelli Diversi.
Non dissi una parola e feci
cenno ai due di seguirmi dentro lo spinner. Il primo gemello accese
la radio e il suono dei violini uscì dalle casse.
“Strano – mi
dissi – non li facevo tipi da musica classica...”.
Capivo che non avevano molta
simpatia nei miei confronti. Erano solo ansiosi di compiacere il loro
padrone, in questo caso Takeshi, sperando di migliorare la loro
situazione. Ai loro occhi prima riuscivo a chiudere questa storia,
prima mi sarei tolto di mezzo.
Nemmeno io avevo la voglia
di restare all'OCRA, ormai avevo dato e non ci tenevo a continuare.
Però questo genere di
atteggiamento poteva essere un intralcio nel lavoro. Quando le
circostanze lo richiedevano bisognava agire in fretta, ma se potevo
m'organizzavo prima di buttarmi nella mischia.
Mentre lo spinner viaggiava
verso l'Isola di Nuova Venezia decisi come impostare l'azione.
Corea non disse nulla ed
inizio a parlare con il comandante dei carabinieri di Nuova Venezia.
Appena arrivati in Campo
Carlo Goldoni scendemmo dallo spinner e ad attenderci c'erano una
decina di militi. M'avvicinai al maresciallo e dopo i convenevoli,
iniziai ad impartire le istruzioni
per l'operazione in corso.
Mentre gli uomini prendevano
posizione mi rivolsi ai Gemelli Diversi
I due non dissero nulla, si
limitarono ad annuire e a seguirmi.
Prima d'entrare
nell'ospedale detti un'occhiata alla sistemazione degli uomini. Tutto
era pronto.
Dietro di me s'erano
concentrate nuvole grigio piombo, il tempo minacciava pioggia.
Mancava poco ad un nuovo
appuntamento col sangue
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