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AVVERTENZE:
questa FF ha contenuti forti, non prettamente sessuali ma per lo più riguardanti
droga e situazioni che possono ruotare attorno al lavoro della protagonista
(ballerina di lap dance in un locale per spogliarelliste). C’è una forte
presenza di parolacce.
Tuttavia il rating rimane
arancione perché credo che possa essere letta da tutti.
Nel caso qualcuno si sentisse
offeso o considerasse i contenuti non adatti a questo rating provvederò ad
alzarlo.
La serata che stavo
passando non era di certo tra le dieci migliori della mia vita.
Nemmeno tra le dieci intermedie.
Probabilmente tra le dieci peggiori.
Kellan si era rifiutato di uscire per qualche stupido motivo, Jack in
California per finire il tour con la sua band non l’avevo nemmeno preso in
considerazione.
Alla fine ero uscito con Tom.
Ci eravamo ritrovati in uno stupido bar di Baton Rouge a bere come due
ventunenni alla loro prima birra.
O forse come due tredicenni.
All’uscita dal bar entrambi i nostri corpi probabilmente erano pieni più di
alcol che di sangue; non mi dichiarai completamente ubriaco, in ogni caso.
Fortunatamente per Tom, il suo albergo distava pochi isolati e aveva avuto la
bella idea di incamminarsi a piedi lasciandomi fermo sul ciglio della strada ad
aspettare un taxi.
Aspettai per minuti, forse ore, il tempo da semi-ubriaco non era di certo una
costante per me.
“Possibile che in centro a Baton Rouge
non passino taxi?”
Lo stavo pensando tante, forse troppe volte quella sera. Mi girai incuriosito per
fissare le insegne dietro di me.
Il locale in cui io e Tom ci eravamo rifugiati era accanto a uno strip-club,
uno di quei locali che attiravano lui come il miele per gli orsi e che
allontanavano me come l’insetticida per le zanzare.
Con la fama potevo permettermi tutte le donne, perché pagare per vederne una
nuda?
Perché pagare per vedere un corpo in vendita?
Immerso nei miei pensieri non mi ero reso conto che un taxi era passato davanti
a me senza nemmeno fermarsi.
«Cazzo!». L’esclamazione che mi uscì dalle labbra fu decisamente causata dall’elevato
numero di birre dentro al mio corpo.
Se mi avesse visto Kristen in quello stato si sarebbe arrabbiata.
«Oh, al diavolo Kris! Non è nemmeno la mia ragazza! Non è nemmeno mia mamma!».
Parlare da solo era indice di pazzia, tutti lo sapevano.
Mi girai verso il marciapiede e osservai per la quarta volta nel giro di pochi minuti
quella squallida insegna luminosa su cui c’era scritto ‘Insomnia’.
Quale stupido locale per spogliarelliste avrebbe mai scelto quel nome?
Era un locale che non avrebbe mai vantato il mio nome tra i clienti, quello era
poco ma sicuro.
Il mio cellulare in tasca vibrò. Lo presi, i pensieri in subbuglio, e lessi il messaggio.
Tom era arrivato in albergo.
Controllai l’ora sullo schermo.
Le 3.30.
Decisamente troppo tardi.
Il giorno dopo non avrei avuto riprese ma non era comunque una cosa buona
ubriacarsi di sabato sera.
Un vociare alle mie spalle mi riscosse dai miei pensieri.
Una folla di uomini, ubriachi molto più di me, uscì dal locale per
spogliarelliste.
Prestai poca attenzione a quello che si stavano dicendo.
Li sentii parlare di qualche spogliarellista con gli occhi color ghiaccio e di
una con due tette da paura.
Un uomo ubriaco ha solo istinti primordiali.
Bere, mangiare, scopare e dormire.
Non necessariamente in un preciso ordine.
Guardai di nuovo la strada deserta e imprecai ancora.
A Baton Rouge evidentemente non circolavano davvero taxi.
Erano proibiti in quello sputo di città?
Se entro dieci minuti non ne fosse arrivato uno sarei andato a casa a piedi.
L’avevo deciso.
Poco dopo un nuovo vociare alle mie spalle attirò la mia attenzione.
Cinque donne decisamente poco vestite uscirono dalla porta oscurata
dell’Insomnia.
Tornai a guardare la strada disinteressato totalmente a quella carne in
vendita.
Non era una priorità guardare ragazze che vendevano il loro corpo.
«Sweet, ci vediamo a casa, Tony mi aspetta qui dietro per passarmi della roba».
Non mi voltai per controllare chi avesse ridacchiato quella frase.
Il tono usato mi aveva fatto capire che la ragazza conosceva solo quel tipo di
inflessione vocale.
Quello per sedurre.
Le voci si allontanarono ridendo e io mi accesi una sigaretta.
Guardai l’orologio.
Ancora due minuti e poi mi sarei fatto quel chilometro a piedi.
«Ehi, bellezza. Hai da accendere?» chiese qualcuno alle mie spalle, la stessa
voce che aveva parlato prima, probabilmente.
Mi voltai e mi trovai davanti una ragazza minuta, ad occhio e croce di una
cinquantina di chili, vestita solo con un misero top nero scollato e un paio di
shorts di jeans troppo corti.
Annuii e sostenni la sigaretta con le labbra cercando l’accendino in tasca. Lo
passai alla ragazza.
«Grazie. Ne ho proprio bisogno!» sussurrò e io abbassai lo sguardo sul suo viso.
Quando incontrai i suoi occhi capii le parole degli uomini che erano usciti dal
locale.
Quella ragazza aveva gli occhi di un azzurro chiarissimo, quasi ghiaccio.
Prese il mio accendino e cominciò a scaldare un pezzo di carta stagnola.
«Ehi! Che cazzo fai?». Le presi l’accendino dalle mani e lo rimisi in tasca. Non
potei fare a meno di allontanarmi da lei.
«Che ti prende dolcezza? Non mordo mica sai!». Fece un passo verso di me e
sulle sue labbra si formò un sorriso stanco e tirato.
«Non ti do l’accendino per farti una dose, mi spiace!». Scossi la testa innervosito.
Una sigaretta ci poteva stare, una canna anche, seppure con qualche riserva;
una dose no.
«Calmati. Non importa,
lo chiederò a qualcun’altro!». Sorrise confusa e mi girò le spalle incamminandosi
verso un gruppetto di uomini poco distante da noi.
Sbuffando mi preparai alla lunga camminata verso il mio albergo quando sentii
lo scoppio di una risata fragorosa. Erano risate maschili.
Avanzai di un altro passo ma quando sentii la voce della ragazza urlare non
potei fare a meno di voltarmi.
«Lasciami! Lasciami, cazzo!». La vidi strattonare il polso, circondato dalla
mano di un uomo.
«No, sei solo una puttana! Ti ho dato l’accendino e ora tu fai quello che devi
fare! Muoviti!». La strattonò verso il
basso e la costrinse a inginocchiarsi.
Agii d’impulso, cominciai a camminare veloce verso di loro e sentii risuonare
forte il rumore dello schiaffo che un uomo diede sulla guancia della ragazza.
La camminata diventò corsa, e quando arrivai gli uomini erano già scappati.
Mi inginocchiai davanti alla ragazza per accertarmi del danno, che in qualche
modo era stato causato da me.
Se solo le avessi dato il mio accendino non si sarebbe avvicinata a quegli
uomini, se così si potevano ancora chiamare.
Il labbro era rotto e sanguinante, il polso era arrossato, gonfio e il suo
trucco colato per le lacrime che erano scese.
«Ehi, stai bene?». Non sapevo se
toccarla o rimanere a distanza.
«S…sì». Si alzò di colpo e, tremante, cominciò a zoppicare.
Mi sorpassò e io mi girai appena in
tempo per afferrarla prima che il suo corpo toccasse terra.
«Ehi! Ehi! Mi senti?». La voltai, stringendola con cautela.
Quando mollai lentamente la presa la sua testa ciondolò di lato.
«Cazzo. Cazzo. Cazzo. Svegliati!». La scossi leggermente di più e sentii un
lamento.
Bene, almeno era viva.
Perché era incosciente?
Era dovuto alla dose
di eroina o al bastardo che l’aveva schiaffeggiata?
Le sollevai il braccio
per controllare e notai i piccoli segni lasciati dalla siringa. La luce del
lampione sembrava sottolineare la pelle pallida intorno a quei buchi.
Era ancora visibile il buco fresco di pochi minuti prima.
Portarla in ospedale non mi sembrava l’idea migliore.
Ma non potevo lasciarla in mezzo a una strada svenuta e con un labbro rotto.
Mi inginocchiai a terra e la feci sedere un attimo sul marciapiede.
Mi tolsi il giubbotto leggero e glielo infilai.
Le feci scivolare un braccio dietro la schiena e sotto le ginocchia prendendola
in braccio.
La sua testa si appoggiò sulla mia maglietta che si macchiò del sangue del suo
labbro.
A passo svelto mi diressi all’albergo. Nessuno fece caso a noi; incrociammo
delle persone non si accorsero delle sue condizioni, i capelli per fortuna le
coprivano il viso.
Arrivammo in un quarto d’ora; avevo il fiato corto.
Aprii la porta e la adagiai lentamente sul letto facendo attenzione a non
svegliarla.
La coprii, mi ero accorto che stava tremando e lentamente le scostai i capelli
dal viso.
Il labbro tumefatto le aveva sporcato tutto il mento in una striscia di sangue
rappreso.
Mi diressi verso il bagno e, dopo aver preso un asciugamano e averlo imbevuto
di acqua tiepida, cominciai a tamponarle il viso per pulirla.
Levata gran parte del sangue, mi fermai e i persi a guardare quegli strani
lineamenti.
Non doveva avere più di vent’anni.
Un volto da bambina; il piccolo nasino che sembrava disegnato per quel viso, le
labbra carnose e ricoperte da uno strato abbondante di rossetto che
probabilmente erano state in grado di far sognare milioni di uomini, le
sopracciglia dalla forma arcuata che richiamavano il castano dei capelli.
Era decisamente una bella ragazza.
Si girò di colpo sul letto, si scoprì e dopo un sospiro continuò a dormire.
La ricoprii e mi sedetti su una sedia poco distante dal letto.
Rimasi a guardarla per ore.
Mi alzai da quella sedia solo per prendere una bottiglietta d’acqua che riempii
tre volte prima di vedere i suoi occhi aprirsi.
Si svegliò di soprassalto e si sollevò, mettendosi seduta di scatto.
«Che cazzo ci faccio qui?». Mi guardò e poi controllò che i suoi vestiti ci
fossero ancora.
«Ieri sera ti hanno picchiata e quando mi sono avvicinato per chiederti se
stavi bene sei svenuta tra le mie braccia. Tu non ti svegliavi… Ti ho portato
nel mio albergo per riposare e controllare che fosse tutto ok». Guardai i suoi
occhi pensierosi al mio racconto; poi si alzò in piedi di colpo.
«Ah sì. Ora ricordo». Annuì e si diresse a grandi passi verso la porta.
«Dove stai andando?». Mi alzai di scatto
dalla sedia con le gambe intorpidite: ero rimasto fermo troppo a lungo nella
stessa posizione. «A casa». Si tolse il mio giubbotto e lo lanciò sopra al letto.
«Non puoi andare via così». Scossi la
testa sbigottito dal suo comportamento.
«Mi dispiace, ma non faccio servizietti gratis. Non farò nessun tipo di
servizio perché mi hai raccolto dalla strada. Per quanto mi riguarda avrei
potuto dormire un’altra volta in quella via. Hai sbagliato a capire e se mi hai
portato qui solo perché pensavi che non ti avrei fatto pagare qualcosa mi
dispiace deluderti ma non sono in orario di lavoro ora. Il mio turno comincia
tra quasi tredici ore». Non prese quasi
nessun respiro mi sputò addosso i suoi pensieri decisamente opposti a quello
che pochi secondi prima avevo pensato.
«No, quello che volevo dire io è che devi farti vedere da un medico. Il tuo
labbro è in condizioni pietose, forse serviranno dei punti». Mi avvicinai a lei che si scostò di scatto,
come se avesse paura di un’aggressione da parte mia.
«Mi disinfetterò con un po’ di vodka. Starò meglio». Mi assicurò e si avvicinò
ancora di più alla porta.
«Aspetta, lascia che ti accompagni all’ospedale». Mi accostai a lei che mi guardò spaventata.
«Ospedale? Ospedale? E che cosa potrei mai andare a fare all’ospedale? Vedi le
mie braccia? Secondo te cosa mi dicono all’ospedale? Mi guardano un taglietto
su un labbro o preferiscono fissarsi su queste cose? Credi che io possa
permettermi di andare all’ospedale?». Sporse le braccia e indicò tutti i buchi
concentrati lungo le linee più scure delle vene.
«Posso chiamare un medico che venga qui e ti visiti senza che sia una cosa
ufficiale, senza carte». Mi diressi verso il mio telefono dall’altra parte
delle stanza.
«Ma che cosa stai cercando di fare? Chi sei? Che cosa vuoi da me?». Il suo tono
così brusco mi lasciò esterrefatto.
Sembrava quasi inorridita dall’idea che io volessi aiutarla.
«Io voglio aiutarti, non voglio farti del male». Con il telefono in mano mossi
un passo verso di lei.
«Aiutarmi? Tu vuoi aiutare me? Io non devo essere aiutata! Io sto bene come
sono!». Rise sarcastica infilandosi le scarpe.
«Come ti chiami? Ti posso aiutare, veramente!». Rimasi fermo in attesa di una
sua risposta.
«Non ti interessa come mi chiamo. Hai già fatto abbastanza. Pensi di avere qualche
pretesa su di me perché mi hai fatto dormire per una notte su un letto di
lusso? Be’, ti do una bella notizia, anche i marciapiedi del centro sono ottimi
quando una ha sonno o è strafatta!». La durezza delle sue parole mi impietosì.
Per la seconda volta in meno di dieci minuti aveva rimarcato il concetto di
aver dormito per strada.
«Ce l’hai una casa? Altrimenti posso prenderti una camera qui, puoi fidarti».
In pochi minuti avevo sviluppato un istinto protettivo verso di lei.
Non ne capii il motivo.
Forse il bisogno di proteggerla era nato mentre la osservavo dormire come una
bambina.
«Io non voglio niente da te. So come sono quelli come te, dicono di non volere
nulla e poi pretendono tutto gratis. Mi dispiace, non ho bisogno di nulla e sto
bene così. Se vuoi, solo per questa sera visto che mi hai fatto dormire in un
albergo di lusso posso farti lo sconto del dieci per cento all’Insomnia.
Altrimenti ti puoi arrangiare». Prese la sua borsa e abbassò la maniglia.
«Aspetta, come ti chiami?» chiesi ancora sperando in una risposta; mi dava le
spalle, non potevo vedere la sua espressione.
«Stasera chiedi di Candy, arriverò». Si chiuse la porta alle spalle e io rimasi
imbambolato a guardare il legno chiaro.
Aveva frainteso tutto.
Non ero minimamente interessato allo sconto del dieci per cento su una sua lap
dance o peggio ancora; l’unica cosa a cui ero interessato era il suo stato di
salute.
Quella ragazza doveva essere aiutata.
Qualcuno doveva aiutarla.
Io dovevo aiutarla.
Storia
nuova, decisamente fuori dal mio solito registro, ci saranno toni duri e molte
parolacce… non sono per niente sicura, quindi, se vorrete esprimere il vostro
giudizio attraverso le recensioni sappiate che sono le benvenute! :)
La aggiornerò
di venerdì, al posto di ‘Like a Fairytale…’.
Per
ora non ho altro da dire… un bacione!
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