capitolo undici
The deception of love
Non riuscivo a capacitarmi di quante
persone esistessero, disposte ad accettare senza chiedere, a capire,
senza comprendere realmente.
Per cosa?
Affascinate dall’ignoto, dal torbido,
eccitate dal pericolo, si mostravano docili e sottomesse, pronte a
levarti quel sangue che speravano levassi a loro.
Dopo aver lasciato l’Inghilterra mi
misi sulle tracce di Victoria. Non sapevo molto: solo che proveniva
dalle terre del nord e che probabilmente dopo l’uccisione di James
era lì che era tornata.
Ma il mare mi impediva di seguire la
sua scia. La neve cadeva così fitta e veloce, da ricoprire ogni
possibile traccia.
Raggiungendo quelle coste, girovagando
per quelle comunità, mi accorsi di quanto fosse radicata la figura
del vampiro nell’immaginario popolare.
Di noi si parlava in leggende,
filastrocche, canti. La nostra storia veniva utilizzata per
spaventare i bambini, ammonire le fanciulle.
Ma, diversamente da ciò che mi era
capitato di sentire in altri luoghi, in cui si pensava che il vampiro
fosse un uomo in grado di tramutarsi in pipistrello e di sciogliersi
alla luce del sole, lì quasi ogni cosa aveva un fondamento.
Bastava che risiedessi in un posto per
un paio di giorni, che la gente si voltava al mio passaggio, i
bambini venivano fatti rientrare in casa, alcune donne mi guardavano
con sospetto, altre con malizia..
Poche volte, in passato, mi ero reso
conto dell’effetto che potessi esercitare su una donna. Avevo
sempre avuto un bell’aspetto e la trasformazione aveva reso il mio
viso più attraente ed il mio corpo più vigoroso. I miei occhi, con
gli anni, avevano perso quella tonalità infernale, riempiendosi di
oro fuso. Le sfumature ramate, che percorrevano i miei capelli, si
accendevano in netto contrasto col pallore della pelle. Vivere
insieme ai Cullen, con Alice in particolare, mi aveva fatto acquisire
un certo gusto per l’abbigliamento e, in generale, per le cose
raffinate. All’inizio non accettavo di buon grado che venissero
sperperate le loro ricchezze in beni che non erano assolutamente
necessari, in cose destinate a me. Il mio guardaroba si limitava a
pochi capi resistenti, che mi consentissero di cacciare comodamente e
senza troppi danni. Ma, dopo la morte di mio padre e del mio adorato
fratello, essendo l’erede universale della fortuna dei Masen,
potei, senza indugi e rimorsi, dare sfogo al mio lato più
narcisista, scoprendo una vera predilezione per stoffe pregiate e
accessori di lusso.
Tutto ciò rendeva il mio aspetto
assolutamente irresistibile.
I fiori velenosi sono quelli
dall’aspetto più attraente, dai colori più vivaci e dall’odore
più ammaliante.
Questo era un vampiro…un predatore
capace di soggiogare la preda con lo sguardo, con la sua faccia, con
l’odore perfino!
Non mi ero mai servito di questo
potere.
Che senso avrebbe avuto ottenere una
donna con l’inganno? O ancora peggio con la forza?
Sapevo che nessun essere umano avrebbe
potuto amarmi per ciò che ero realmente e non mi sarei mai potuto
legare ad un’altra vampira dopo Tanya.
Vani furono i tentativi di Rose di
presentarmi le sue “amiche”: la giunonica Zafrina, dalla mente
incantatrice, la piccola e delicata Jane, capace di distruggere con
lo sguardo, la sensuale Irina, la cui bellezza era fin troppo simile
a quella di mia moglie…in nessuna di loro avrei mai potuto
trovare la purezza e la fragilità dell’amore. Lo stesso amore che
avevo scorto e riconosciuto in molti scritti, dipinto e immortalato
in quadri famosi o cantato dalle note dei grandi maestri
Sapevo di essere destinato a rimanere
solo.
Un essere come me non sarebbe mai
potuto essere oggetto di un sentimento così puro, così elevato.
Ma la solitudine scavava dentro di me
come un tarlo.
La strada spianata dal gelo di quella
terra. Non lo sentivo nel corpo, ma lo sentivo devastarmi nel
profondo.
Eppure avrei vissuto per sempre in
quelle terre. Era proprio il freddo che rendeva tutto più facile.
Guidato dal battito lento dei loro cuori, riuscivo a scovare le tane
di grossi animali in letargo e berne avidamente il sangue.
Anche gli odori delle persone
sembravano essere congelati. Non arrivavano intensi alle narici e
raramente ho dovuto appellarmi alla mia forza di volontà per non
attaccarle.
O forse perché nessuno aveva un odore
lontanamente comparabile al suo.
Quando arrivai a
Goteborg, era passato circa un anno dalla mia partenza. Della vampira
nessuna traccia e, pian piano, stavo perdendo le speranze. Nel
periodo trascorso, girovagando tra piccoli villaggi e distese
incontaminate di neve, avevo avuto contatti diretti con pochissime
persone. Riuscivo a concludere affari e ad effettuare acquisti,
agevolato non poco dalle piccole fortune che sventolavo sotto gli
occhi degli ignari interlocutori.
Dopo l'ennesima
scia perseguita senza risultato, decisi di abbandonare la ricerca.
Era una missione impossibile. Avevo inoltre bisogno di fermarmi un
attimo e, magari, ristabilire qualche contatto con la realtà.
Sapevo che a casa
mi stavano aspettando, così come ero convinto che, se solo avessi
chiesto loro di raggiungermi, sarebbero arrivati nel giro di poco
tempo.
Ma non era di
questo che avevo bisogno e, soprattutto, non volevo sradicarli
nuovamente dalla loro casa.
Appena raggiunta la
città, fui avvolto da una realtà profondamente diversa da quella
che avevo visto in questi mesi. Alcuni villaggi erano al limite della
civiltà, mentre Goteborg non aveva nulla da invidiare ai grossi
centri abitati britannici. Non c'era traccia dell'eleganza di Londra,
per quel poco che avevo visto, ma ciò che mi si presentava davanti
non mi dispiaceva.
Non fu
difficile distinguere le strade raccomandabili dai vicoli fumosi che
portavano direttamente al porto. Mi tenni lontano da questi, il mio
abbigliamento gridava “soldi” e l'ultima cosa che avrei voluto
era essere aggredito. E
non per ciò che sarebbe potuto succedere a me, ma per quello che
avrei potuto fare io all'aggressore.
Era notte fonda
ormai. Sul mio cammino incontravo solo donne che si sarebbero vendute
per quattro soldi, che avrebbero fatto di tutto pur di rintanarsi in
qualche locale, al caldo, a bere whiskey scadente. Le loro bocche,
impiastricciate di rossetto, erano marce e putride, non riuscivo ad
immaginare che tipo d'uomo avrebbe pagato per stare con loro. A
queste si alternavano lestofanti e straccioni.
Quando incrociai un
luogo conveniente in cui passare la notte decisi di entrare e porre
fine a quel museo degli orrori.
L'interno della
locanda era grazioso, vi erano pochi mobili, ma disposti con
accettabile gusto. Il camino era acceso ed il bagliore delle fiamme
si proiettava sulle pareti della stanza.
La
prima cosa che notai fu una grande libreria colma di romanzi,
intravidi anche un paio di titoli interessanti e non mi stupii che
molti di essi trattavano argomenti a me...familiari.
“ È mia figlia
che si occupa della libreria” disse probabilmente il proprietario.
Oramai capivo
perfettamente quella lingua e la parlavo molto bene.
“ Di certo si tratta di titoli un po'
fuori dal comune ” esclamai “vostra figlia deve avere dei gusti
un po' particolari. Voi assecondate questo suo interesse?”
“Oh Signore, io ho dimestichezza con
i numeri. Per quanto riguarda le lettere ne so quel tanto che basta
per compilare il registro dei clienti” il suo tono era amareggiato.
Avrei potuto facilmente leggere i suoi
pensieri, ma quando tra essi intravidi
il dolore per la recente perdita, mi astenni dal farlo.
“Mia moglie ha
tanto insistito per farla studiare, perché un domani sarebbe stata
lei a gestire tutto questo” disse guardandosi intorno “ ma, da
quando Tekla è morta io non so cosa fare con Lisbet. Mi aiuta,
certo, ma se ne sta sempre con la testa tra i libri. Una volta ne ho
sfogliato uno e le immagini erano raccapriccianti”.
Era una buon uomo.
Il terrore che attraversava i suoi occhi non era nulla...se avesse
saputo chi, o meglio cosa, si trovava dinanzi a lui.
“Mi scusi, la sto
annoiando con le mie chiacchiere. Non capisco nemmeno perché le ho
parlato di tutto questo. Lei è il signor?”
“Masen.
Edward Masen. Non si preoccupi, talvolta è più facile aprirsi con
uno sconosciuto. E poi, sono molto bravo a capire le
persone” dissi sorridendo.
“Si ferma molto
signor Masen?”
“Non saprei.
Vorrei passare un po' di tempo a Goteborg” estrassi dal soprabito
un voluminoso mazzo di soldi e lo posai sul bancone “questi sono
per i primi giorni” dissi divertito dalla sua espressione “spero
bastino”.
“Ma, ma...s-si,
certo, bastano. Questa è la chiave della sua stanza, al primo piano,
tra qualche minuto Lisbet verrà a portarle la biancheria pulita e
dell'acqua calda. Venite da lontano, si sente dall'accento, vorrete
di certo darvi una ripulita”
“La ringrazio,
buonanotte”.
“Buonanotte
signor Masen, a domani”.
La camera era molto
semplice e pulita. Al centro c'era il letto, privo di baldacchino, ma
ricoperto da una coperta verde smeraldo intessuta con fili d'argento,
che formavano elaborati disegni di draghi.
Era l'unico vezzo
presente, il resto: le tende, il tappeto, la poltrona, erano alquanto
anonimi.
Completavano
l'arredamento un piccolo armadio, uno scrittoio, un tavolino su cui
c'erano alcune bottiglie di liquore ed un paio di bicchieri, ed un
paravento dietro il quale giaceva una tinozza di rame.
Mi tolsi il
cappello, il soprabito e li posai sulla sedia.
Chissà cosa avrà pensato
quell'uomo. Un distinto signore, che prenota una stanza per un lungo
periodo di tempo, senza l'ombra di un bagaglio.
Accostai le tende e
mi sedetti sulla poltrona. A momenti sarebbe arrivata la ragazza e, a
quanto avevo capito, era già fin troppo propensa a fantasticare,
senza che io gliene dessi ulteriore motivo.
Sentivo dei passi
nel corridoio e rumori indefiniti, come di chi trasporta recipienti
colmi d'acqua. Si ripeterono più volte, terminando davanti alla mia
porta. Doveva essere Lisbet, lo dedussi non solo dai passi leggeri,
ma anche dal battere impazzito del suo cuore e dai pensieri che
rivelavano una curiosità immotivata, forse, verso il sottoscritto.
Probabilmente non era frequente avere clienti stranieri.
Quando bussò alla
porta attesi qualche secondo prima di rispondere e, di certo, non mi
aspettavo di vedere davanti a me una fanciulla di tale bellezza.
“Buonasera signor
Masen” esclamò con non poco stupore nella voce. Gli apprezzamenti
che passarono per la sua testa mi lasciarono alquanto perplesso.
Mi aspettavo una
ragazzina, che colmava la perdita di sua madre con letture poco
adatte alla sua età, ma che la aiutavano ad evadere da una vita
monotona. Invece mi ritrovavo davanti una giovane donna, la cui mente
partoriva immagini fin troppo vivide e realistiche, di come avrebbe
voluto che la sua vita cambiasse.
Lo sguardo
malizioso vagava per la stanza, come a voler cogliere ogni dettaglio,
ogni particolare che le potesse suggerire chi fossi e da dove
venissi.
“Buonasera
Lisbet” risposi alquanto lusingato.
Negli occhi delle
donne che avevo incrociato, e nei loro pensieri, coglievo sovente,
oltre all'attrazione, anche timore, spesso terrore o disgusto.
Ma nei suoi occhi
potevo leggere soprattutto curiosità. Era un'acuta osservatrice: in
pochi attimi si pose le domande giuste.
O quelle sbagliate.
Dipendeva dai punti
di vista.
A cosa è dovuto il suo pallore?
E il colore degli occhi? Non ho mai
visto nulla del genere.
Che tipo di colonia usa? Ha un odore
così delicato...ma intenso, inebriante.
E il suo viso?
“Entra pure”
dissi facendola sobbalzare “non startene lì, sulla porta”
“Oh, sì, subito.
Vi ho scaldato dell'acqua. Riempio immediatamente la tinozza”
“Fai pure con
calma” le risposi alzandomi in piedi.
Tale movimento fu
inaspettato per lei. Per un attimo pensò, e sperò soprattutto, che
mi stessi avvicinando e, nonostante l'apparente sfrontatezza, il
sangue le imporporò le guance, costringendomi a deglutire veleno.
Portò i secchi ad
uno ad uno all'interno della stanza. Quando si chinava, i suoi lunghi
capelli biondi, sottili e lucenti, come fili d'oro, le coprivano il
viso e quando si rialzava, li riavviava all'indietro con la mano. Le
sue labbra, rosse e carnose erano un punto di colore sul quel viso
dalla pelle rosea, che non potevo fare a meno di ammirare. Erano
schiuse per l'affanno e le inumidiva di tanto in tanto passandoci
sopra la lingua.
Gli occhi grigi
continuavano a lanciarmi sguardi furtivi che mi trovavano intento ad
osservarla, causandole ogni volta la perdita di un battito.
Cominciò a versare
l'acqua nella tinozza, lentamente, si era portata i capelli dietro le
piccole orecchie e potevo ammirare come la scollatura del vestito
mettesse in risalto le sue forme generose. Quando ebbe finito si
portò le mani dietro la schiena, stiracchiandosi dopo lo sforzo
eseguito.
“Mi dispiace che
tu abbia dovuto sopportare tale fatica”
“Oh signore, non
vi preoccupate, sarei pronta ad affrontare fatiche maggiori pur di
compiacere un ospite di riguardo come voi”.
Detto questo, mi si
avvicinò prima che riuscissi a leggerle l'intenzione nei suoi
pensieri.
“Lasciate che vi
aiuti” disse, portandosi alle mie spalle e afferrando il collo
della giacca.
Lasciai che mi
aiutasse a sfilare l'indumento, facendo finta di non notare come le
sue dita sottili indugiassero sulle mie spalle, sulle braccia.
Era un tocco che
non avevo mai ricevuto e, sorprendentemente, non sentivo la necessità
di scostarmi. Anzi, sentivo crescere dentro di me una brama del tutto
diversa dalla sete.
Il suo odore mi
attraeva, certo, ma c'era qualcosa nei suoi sguardi, nei suoi
movimenti e nelle sue forme, che mi attraeva molto di più.
“Lisbet, non ce
n'è bisogno, puoi andare”
“Signor Masen,
questo rientra nelle mie mansioni. Concedetevi un bagno caldo, nel
frattempo mi occuperò di sistemarvi il letto per la notte. Poggiate
pure il resto della vostra biancheria sul paravento, penserò io a
tutto”.
Nonostante non
avessi per nulla bisogno di un bagno, assecondai il suo invito. Mi
stuzzicava il pensiero di denudarmi sapendo che lei era dall'altra
parte a fantasticare su di me, sul mio corpo.
Abbassai le
bretelle e sbottonai la camicia, tirandola fuori dai pantaloni.
Sfilai anche quelli, assieme alle scarpe e alle calze. Ogni indumento
che poggiavo sul paravento scompariva in pochi attimi. Sentivo il suo
respiro farsi più affrettato e la sentii annusare la camicia,
ripetutamente.
Mi immersi
nell'acqua e venni avvolto da un vapore che odorava di lavanda.
Non era da me
essere così. Giacere nudo, incurante del fatto che ci fosse una
fanciulla nella stessa stanza, che avrebbe potuto vedermi. O ancora
peggio, sarebbe potuto entrare suo padre e trovarci in questa
situazione bizzarra e assolutamente inaccettabile.
Prestai attenzione
agli altri rumori dell'edificio. Oltre me ci dovevano essere solo un
altro paio di ospiti, sentivo il respiro pesante di uno e il russare
regolare dell'altro. Il fuoco dell'ingresso cominciava a spegnersi e,
poco più distante, sentivo un mormorio supplichevole.
Pregava?
Quell'uomo pregava
Dio e sua moglie, che vegliassero su sua figlia e che gli
consentissero di vivere in salute finché non si fosse sistemata.
Mi sentii quasi in
colpa. Il quasi era dovuto al fatto che la sua innocente figliola
era tutto tranne che innocente. Era un invito a cogliere la sua
bellezza ad ogni movimento, ogni parola, ogni sospiro.
E la sentivo
sospirare chiaramente mentre stendeva le lenzuola fresche di bucato e
le lisciava con le mani, mentre sprimacciava i guanciali.
Suo padre andò a
dormire e il sonno lo cullò all'istante.
L'acqua si fece più
fredda e pensai che per una persona, per un umano, fosse il
momento di uscire.
Mi alzai in piedi
guardandomi intorno, senza però scorgere nulla.
Quella piccola strega...
“Aspetti signor
Masen, le porgo un telo”.
Feci appena in
tempo a voltarmi di spalle, che, senza nessun indugio, lei aveva
aggirato il paravento.
Alzandosi sulle
punte posò la stoffa sulle mie spalle, cominciando a sfregare con i
palmi aperti.
Come può essere così freddo dopo
un bagno caldo?
“Lisbet?”
“Oh! Sì?”
“Puoi andare
adesso”
“Ma...”
“Vai Lisbet,
buonanotte.”
“Buonanotte
signor Masen, a domani” disse senza celare una nota di delusione
nella voce.
“Buonanotte
Lisbet” sussurrai guardandola da sopra una spalla.
Il rossore fu
ancora più evidente. Si girò e fece per uscire dalla stanza.
“Desiderate
qualcosa in particolare per colazione?”
Aveva in mente una
serie di domande, che le avrebbero permesso di indugiare lì ancora
per un po'.
Non potevo
permetterlo. La sua presenza stava diventando insostenibile. Sentivo
il mio corpo attraversato da scosse e tremiti che non avevo mai
provato prima.
Non era certo la
sua testolina piena di frivolezze ad attrarmi. Era il suo corpo che
aveva risvegliato in me pulsioni sconosciute, pulsioni che avevo solo
incominciato a provare prima della trasformazione, prima del
matrimonio...prima di Tanya.
“Ho detto che
puoi andare. A domani”.
Non le concessi
possibilità di replica. Doveva andare via, dovevo fare in modo che
si allontanasse. Non poteva stare vicino a me, non in quel momento,
non con il corpo in quelle condizioni.
Corse via. Si
rintanò nella sua stanza. E, di nuovo, i suoi pensieri mi
sorpresero.
Non si sarebbe arresa.
Ed io cedetti.
Non quella sera e
nemmeno la successiva.
Passarono i giorni
e fu un susseguirsi di sguardi e ammiccamenti. Non perdeva occasione
per sfiorarmi o mostrare lembi sempre più generosi di pelle.
Quella notte sentii
i suoi passi nel corridoio. Mi infilai rapidamente sotto le coperte
aspettando di sentirla andare via.
Quando entrò nella
stanza, automaticamente smisi di respirare.
Forse per quello, o
probabilmente per l'innaturale immobilità, o forse perché col
passare dei giorni aveva ricomposto i tasselli del mosaico, sta di
fatto che il pensiero che formulò la sua mente mi lasciò
esterrefatto:
Lo sapevo.
Lei sapeva, aveva
capito e, nonostante ciò, il suo cuore batteva impazzito...per
l'eccitazione.
Sfiorare la sua
pelle calda e morbida, sentire il sapore delle sue labbra carnose
sulle mie, gelide, ogni cosa mi dava un'emozione inaspettata. Non
riuscivo a credere di essere così padrone di me stesso.
Lisbet era
appassionata e dolce e nei suoi occhi potevo leggere quasi
venerazione. Quando sentimmo il piacere sopraggiungere per entrambi,
lei allacciò le mani al mio collo e mi supplicò:
“Mordimi”
Accecato dalla lussuria, obnubilato dal
desiderio, lo feci...ed il sangue assieme al piacere fluì nel mio
corpo.
Non so dove trovai la forza di volontà
per scostarmi da lei. Non so come feci a non stringere troppo il suo
esile corpo o a schiacciarlo sotto il mio.
Forse sentire il suo battito farsi più
debole, sentire la pelle perdere calore mi fece desistere, o,
probabilmente, perché io per primo ero rimasto paralizzato
dall'intensità delle scosse che mi pervasero.
Mi scostai da lei assicurandomi che
stesse bene.
Cercai di non pensare al sapore sublime
che dalla lingua scendeva piano piano, diffondendosi in tutto il
corpo.
La coprii con le coperte allontanandomi
da lei, leccai la ferita sul collo, portando via le ultime gocce di
sangue e permettendo che il veleno la guarisse.
Si abbandonò velocemente ad un sonno
tranquillo, rannicchiandosi su se stessa e smettendo di tremare.
Cosa avevo fatto?
Come avevo fatto?
Non riuscivo a
smettere di pensare, non riuscivo a capire quando il mio corpo e la
mia mente avessero deciso di averla. Mi chiedevo se fossi stato io ad
usare lei o se, con maggiore probabilità, fosse stata lei a farlo.
Come al solito.
Ma ciò che più mi sconvolgeva era
come la cosa non mi importasse, non mi ferisse. Avevamo entrambi
ottenuto qualcosa e, sorprendentemente, andava bene così.
Mi alzai e mi rivestii in fretta.
Lasciai quella stanza senza ripensamenti, senza nemmeno voltarmi a
guardarla per un'ultima volta.
Ricominciai a girovagare senza meta. Il
mio scopo, stavolta, non era quello di trovare Victoria, nonostante
la speranza di incrociare la sua scia fosse sempre presente, ma era
quello di vedere finalmente il mondo. Mi sentivo rinvigorito da una
nuova forza, spinto e sorretto dalla speranza di poter avere un ruolo
attivo nel gioco della vita e di non essere una pedina come ero
sempre stato.
Scoprii che la trasformazione non aveva
acuito solo vista, udito ed olfatto, ma anche gli altri sensi erano
notevolmente amplificati.
Non avevo certo bisogno di cibo, il
sangue animale e qualche sorso di sangue umano occasionale
mi tenevano in forza, eppure notai con piacere che non avevo perso il
senso del gusto, anzi...quando introducevo del cibo, riuscivo a
sentire nella mia bocca, sulla lingua, ogni sfaccettatura del suo
sapore. Probabilmente il veleno non consentiva nemmeno che le
pietanze raggiungessero il mio stomaco e, di certo non mi avrebbero
mantenuto in vita. Diciamo
che mangiavo solo per il piacere di farlo, per la voglia di sentirmi
più normale o, forse, per la voglia che gli altri mi considerassero
normale.
Il tatto era la
cosa che più mi sconvolgeva.
Quando facevo scorrere le dita sulla
pelle di una donna, ne potevo sentire la trama e scovare ogni minima
irregolarità. Sentire pulsare sotto le dita la giugulare, percepire
il battito impazzito del suo cuore per poi affondare i denti nel suo
collo teso erano sensazioni che si facevano ogni volta più nette e
definite e lasciavo che mi travolgessero con maggiore consapevolezza.
Avevo abbandonato ogni discrezione.
Ostentavo la mia presenza e la mia ricchezza, ottenendo in breve
tempo il privilegio di frequentare i migliori salotti del luogo e di
essere invitato ai balli e alle feste più mondane.
Essere circondato da belle dame e
carpire l'interesse di illustri professionisti alimentava a dismisura
il mio ego, dandomi una sensazione di onnipotenza che legittimava
ogni mia azione.
E fu con questa baldanza che raggiunsi
Parigi e conobbi Céline.
Mi fu presentata da un conte durante il
ballo in onore della baronessa di Marteuil, la quale aveva dovuto
sfoggiare tre giri di perle per coprire i segni sul suo collo.
Céline era una giovane ballerina che
rivestiva una certa importanza in quell'ambiente, non certo per le
sue doti artistiche ebbi modo
di sapere solo più tardi.
Il modo che aveva
di guardarmi con finto imbarazzo, coprendosi il viso con la mano per
mascherare un rossore che tanto sapeva di belletto e così poco di
pudore, mi accendeva come nessuna aveva fatto prima.
Si aggirava attorno
a me con movenze sensuali, come un rettile che avvolge la preda con
le sue spire, ignara del fatto che sarebbe stata lei ad essere morsa.
Mi sbagliavo...
“Ho avuto modo di
osservarla a lungo stasera Madame...?”
“Varen,
mademoiselle Céline Varen”
Il modo in cui
sottolineò l'assenza di legami la resero ai miei occhi ancor più
desiderabile.
“Enchanté”
sussurrai posando le labbra sul dorso della sua mano e indugiando
quell'attimo in più per sentire rabbrividire la pelle per il gelido
tocco.
La ritrasse quasi
bruscamente e non potei fare a meno di sorridere compiaciuto. Le
domande che le si formularono nelle mente erano sempre le stesse: chi
fossi, da dove venissi, se fossi una persona
raccomandabile...probabilmente avrebbe dovuto chiedersi se fossi o
meno una persona.
Céline era molto
più scaltra e acuta di tante altre donne che avevo conosciuto,
riusciva ad intrattenere una conversazione brillante e mantenere vivo
il mio interesse.
La prima volta che
la vidi ballare pensai a quale fascino avrebbe avuto se l'avessi
trasformata. Eseguiva i passi volteggiando leggera e costringendo lo
spettatore a non staccare per un attimo gli occhi da lei, come una
sorta di ipnosi e lei, dal canto suo, non li staccava mai da me, come
se nella sala ci fossi solo io, come se stesse danzando solo per me.
Cominciai a
presenziare ad ogni spettacolo, occupando sistematicamente il palco
più costoso, dal quale si godeva della vista migliore. Le facevo
avere alla fine di ogni esibizione un mazzo di rose rosse, i suoi
fiori preferiti, e spesso aggiungevo anche un monile col quale
esaltare la sua bellezza.
Per la seconda
volta in vita mia fui attratto dalle movenze dell'amore. M'innamorai
dell'idea di essere amato e di amare a mia volta.
Per la seconda
volta il mio cuore smise di battere.
E avrei messo fine
anche al battito del suo cuore se, in quel momento, non ne avessi
sentito uno più leggero, più veloce e di certo più puro, provenire
da suo ventre.
Capitolo
difficilissimo da scrivere. Infatti si commenta da sé. La cosa
più difficile è stata tenere presente il crossing-over
tra le due storie e tra i personaggi. Edward non è solo Edward
Cullen, ma anche Edward Rochester...insomma un gran casino, per dirla
proprio in maniera fine.
Come al solito, grazie a Mirya, Biaa e Austen95 per la recensione.
Ho scritto una piccola OS, credo meno noiosa di questa ff. Per chi fosse un tantino curioso, la trova qui.
Grazie a tutti.
Miki.
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