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Autore: Imaginary82    22/11/2010    1 recensioni
Quante volte mi sono ritrovato sulla bocca dell’inferno? Ho sentito il calore delle fiamme scaldare il mio gelido corpo, ho guardato in basso, attratto dall’enorme distesa di lava incandescente che mi reclamava fumante e odorosa come un’enorme pozza di sangue. Sarebbe stato così semplice e appagante immergersi e soccombere…sprofondare…
Genere: Romantico, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan
Note: Cross-over, OOC | Avvertimenti: nessuno
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capitolo undici

The deception of love


Non riuscivo a capacitarmi di quante persone esistessero, disposte ad accettare senza chiedere, a capire, senza comprendere realmente.

Per cosa?

Affascinate dall’ignoto, dal torbido, eccitate dal pericolo, si mostravano docili e sottomesse, pronte a levarti quel sangue che speravano levassi a loro.


Dopo aver lasciato l’Inghilterra mi misi sulle tracce di Victoria. Non sapevo molto: solo che proveniva dalle terre del nord e che probabilmente dopo l’uccisione di James era lì che era tornata.

Ma il mare mi impediva di seguire la sua scia. La neve cadeva così fitta e veloce, da ricoprire ogni possibile traccia.


Raggiungendo quelle coste, girovagando per quelle comunità, mi accorsi di quanto fosse radicata la figura del vampiro nell’immaginario popolare.

Di noi si parlava in leggende, filastrocche, canti. La nostra storia veniva utilizzata per spaventare i bambini, ammonire le fanciulle.

Ma, diversamente da ciò che mi era capitato di sentire in altri luoghi, in cui si pensava che il vampiro fosse un uomo in grado di tramutarsi in pipistrello e di sciogliersi alla luce del sole, lì quasi ogni cosa aveva un fondamento.

Bastava che risiedessi in un posto per un paio di giorni, che la gente si voltava al mio passaggio, i bambini venivano fatti rientrare in casa, alcune donne mi guardavano con sospetto, altre con malizia..


Poche volte, in passato, mi ero reso conto dell’effetto che potessi esercitare su una donna. Avevo sempre avuto un bell’aspetto e la trasformazione aveva reso il mio viso più attraente ed il mio corpo più vigoroso. I miei occhi, con gli anni, avevano perso quella tonalità infernale, riempiendosi di oro fuso. Le sfumature ramate, che percorrevano i miei capelli, si accendevano in netto contrasto col pallore della pelle. Vivere insieme ai Cullen, con Alice in particolare, mi aveva fatto acquisire un certo gusto per l’abbigliamento e, in generale, per le cose raffinate. All’inizio non accettavo di buon grado che venissero sperperate le loro ricchezze in beni che non erano assolutamente necessari, in cose destinate a me. Il mio guardaroba si limitava a pochi capi resistenti, che mi consentissero di cacciare comodamente e senza troppi danni. Ma, dopo la morte di mio padre e del mio adorato fratello, essendo l’erede universale della fortuna dei Masen, potei, senza indugi e rimorsi, dare sfogo al mio lato più narcisista, scoprendo una vera predilezione per stoffe pregiate e accessori di lusso.

Tutto ciò rendeva il mio aspetto assolutamente irresistibile.


I fiori velenosi sono quelli dall’aspetto più attraente, dai colori più vivaci e dall’odore più ammaliante.


Questo era un vampiro…un predatore capace di soggiogare la preda con lo sguardo, con la sua faccia, con l’odore perfino!


Non mi ero mai servito di questo potere.

Che senso avrebbe avuto ottenere una donna con l’inganno? O ancora peggio con la forza?

Sapevo che nessun essere umano avrebbe potuto amarmi per ciò che ero realmente e non mi sarei mai potuto legare ad un’altra vampira dopo Tanya.

Vani furono i tentativi di Rose di presentarmi le sue “amiche”: la giunonica Zafrina, dalla mente incantatrice, la piccola e delicata Jane, capace di distruggere con lo sguardo, la sensuale Irina, la cui bellezza era fin troppo simile a quella di mia moglie…in nessuna di loro avrei mai potuto trovare la purezza e la fragilità dell’amore. Lo stesso amore che avevo scorto e riconosciuto in molti scritti, dipinto e immortalato in quadri famosi o cantato dalle note dei grandi maestri


Sapevo di essere destinato a rimanere solo.


Un essere come me non sarebbe mai potuto essere oggetto di un sentimento così puro, così elevato.


Ma la solitudine scavava dentro di me come un tarlo.

La strada spianata dal gelo di quella terra. Non lo sentivo nel corpo, ma lo sentivo devastarmi nel profondo.

Eppure avrei vissuto per sempre in quelle terre. Era proprio il freddo che rendeva tutto più facile. Guidato dal battito lento dei loro cuori, riuscivo a scovare le tane di grossi animali in letargo e berne avidamente il sangue.

Anche gli odori delle persone sembravano essere congelati. Non arrivavano intensi alle narici e raramente ho dovuto appellarmi alla mia forza di volontà per non attaccarle.

O forse perché nessuno aveva un odore lontanamente comparabile al suo.


Quando arrivai a Goteborg, era passato circa un anno dalla mia partenza. Della vampira nessuna traccia e, pian piano, stavo perdendo le speranze. Nel periodo trascorso, girovagando tra piccoli villaggi e distese incontaminate di neve, avevo avuto contatti diretti con pochissime persone. Riuscivo a concludere affari e ad effettuare acquisti, agevolato non poco dalle piccole fortune che sventolavo sotto gli occhi degli ignari interlocutori.

Dopo l'ennesima scia perseguita senza risultato, decisi di abbandonare la ricerca. Era una missione impossibile. Avevo inoltre bisogno di fermarmi un attimo e, magari, ristabilire qualche contatto con la realtà.

Sapevo che a casa mi stavano aspettando, così come ero convinto che, se solo avessi chiesto loro di raggiungermi, sarebbero arrivati nel giro di poco tempo.

Ma non era di questo che avevo bisogno e, soprattutto, non volevo sradicarli nuovamente dalla loro casa.


Appena raggiunta la città, fui avvolto da una realtà profondamente diversa da quella che avevo visto in questi mesi. Alcuni villaggi erano al limite della civiltà, mentre Goteborg non aveva nulla da invidiare ai grossi centri abitati britannici. Non c'era traccia dell'eleganza di Londra, per quel poco che avevo visto, ma ciò che mi si presentava davanti non mi dispiaceva.


Non fu difficile distinguere le strade raccomandabili dai vicoli fumosi che portavano direttamente al porto. Mi tenni lontano da questi, il mio abbigliamento gridava “soldi” e l'ultima cosa che avrei voluto era essere aggredito. E non per ciò che sarebbe potuto succedere a me, ma per quello che avrei potuto fare io all'aggressore.


Era notte fonda ormai. Sul mio cammino incontravo solo donne che si sarebbero vendute per quattro soldi, che avrebbero fatto di tutto pur di rintanarsi in qualche locale, al caldo, a bere whiskey scadente. Le loro bocche, impiastricciate di rossetto, erano marce e putride, non riuscivo ad immaginare che tipo d'uomo avrebbe pagato per stare con loro. A queste si alternavano lestofanti e straccioni.


Quando incrociai un luogo conveniente in cui passare la notte decisi di entrare e porre fine a quel museo degli orrori.

L'interno della locanda era grazioso, vi erano pochi mobili, ma disposti con accettabile gusto. Il camino era acceso ed il bagliore delle fiamme si proiettava sulle pareti della stanza.

La prima cosa che notai fu una grande libreria colma di romanzi, intravidi anche un paio di titoli interessanti e non mi stupii che molti di essi trattavano argomenti a me...familiari.


“ È mia figlia che si occupa della libreria” disse probabilmente il proprietario.


Oramai capivo perfettamente quella lingua e la parlavo molto bene.


“ Di certo si tratta di titoli un po' fuori dal comune ” esclamai “vostra figlia deve avere dei gusti un po' particolari. Voi assecondate questo suo interesse?”


“Oh Signore, io ho dimestichezza con i numeri. Per quanto riguarda le lettere ne so quel tanto che basta per compilare il registro dei clienti” il suo tono era amareggiato.


Avrei potuto facilmente leggere i suoi pensieri, ma quando tra essi intravidi il dolore per la recente perdita, mi astenni dal farlo.


“Mia moglie ha tanto insistito per farla studiare, perché un domani sarebbe stata lei a gestire tutto questo” disse guardandosi intorno “ ma, da quando Tekla è morta io non so cosa fare con Lisbet. Mi aiuta, certo, ma se ne sta sempre con la testa tra i libri. Una volta ne ho sfogliato uno e le immagini erano raccapriccianti”.


Era una buon uomo. Il terrore che attraversava i suoi occhi non era nulla...se avesse saputo chi, o meglio cosa, si trovava dinanzi a lui.


“Mi scusi, la sto annoiando con le mie chiacchiere. Non capisco nemmeno perché le ho parlato di tutto questo. Lei è il signor?”


Masen. Edward Masen. Non si preoccupi, talvolta è più facile aprirsi con uno sconosciuto. E poi, sono molto bravo a capire le persone” dissi sorridendo.


“Si ferma molto signor Masen?”


“Non saprei. Vorrei passare un po' di tempo a Goteborg” estrassi dal soprabito un voluminoso mazzo di soldi e lo posai sul bancone “questi sono per i primi giorni” dissi divertito dalla sua espressione “spero bastino”.


“Ma, ma...s-si, certo, bastano. Questa è la chiave della sua stanza, al primo piano, tra qualche minuto Lisbet verrà a portarle la biancheria pulita e dell'acqua calda. Venite da lontano, si sente dall'accento, vorrete di certo darvi una ripulita”


“La ringrazio, buonanotte”.


“Buonanotte signor Masen, a domani”.


La camera era molto semplice e pulita. Al centro c'era il letto, privo di baldacchino, ma ricoperto da una coperta verde smeraldo intessuta con fili d'argento, che formavano elaborati disegni di draghi.

Era l'unico vezzo presente, il resto: le tende, il tappeto, la poltrona, erano alquanto anonimi.

Completavano l'arredamento un piccolo armadio, uno scrittoio, un tavolino su cui c'erano alcune bottiglie di liquore ed un paio di bicchieri, ed un paravento dietro il quale giaceva una tinozza di rame.


Mi tolsi il cappello, il soprabito e li posai sulla sedia.


Chissà cosa avrà pensato quell'uomo. Un distinto signore, che prenota una stanza per un lungo periodo di tempo, senza l'ombra di un bagaglio.


Accostai le tende e mi sedetti sulla poltrona. A momenti sarebbe arrivata la ragazza e, a quanto avevo capito, era già fin troppo propensa a fantasticare, senza che io gliene dessi ulteriore motivo.


Sentivo dei passi nel corridoio e rumori indefiniti, come di chi trasporta recipienti colmi d'acqua. Si ripeterono più volte, terminando davanti alla mia porta. Doveva essere Lisbet, lo dedussi non solo dai passi leggeri, ma anche dal battere impazzito del suo cuore e dai pensieri che rivelavano una curiosità immotivata, forse, verso il sottoscritto. Probabilmente non era frequente avere clienti stranieri.


Quando bussò alla porta attesi qualche secondo prima di rispondere e, di certo, non mi aspettavo di vedere davanti a me una fanciulla di tale bellezza.


“Buonasera signor Masen” esclamò con non poco stupore nella voce. Gli apprezzamenti che passarono per la sua testa mi lasciarono alquanto perplesso.

Mi aspettavo una ragazzina, che colmava la perdita di sua madre con letture poco adatte alla sua età, ma che la aiutavano ad evadere da una vita monotona. Invece mi ritrovavo davanti una giovane donna, la cui mente partoriva immagini fin troppo vivide e realistiche, di come avrebbe voluto che la sua vita cambiasse.


Lo sguardo malizioso vagava per la stanza, come a voler cogliere ogni dettaglio, ogni particolare che le potesse suggerire chi fossi e da dove venissi.


“Buonasera Lisbet” risposi alquanto lusingato.


Negli occhi delle donne che avevo incrociato, e nei loro pensieri, coglievo sovente, oltre all'attrazione, anche timore, spesso terrore o disgusto.

Ma nei suoi occhi potevo leggere soprattutto curiosità. Era un'acuta osservatrice: in pochi attimi si pose le domande giuste.


O quelle sbagliate.


Dipendeva dai punti di vista.


A cosa è dovuto il suo pallore?


E il colore degli occhi? Non ho mai visto nulla del genere.


Che tipo di colonia usa? Ha un odore così delicato...ma intenso, inebriante.


E il suo viso?


“Entra pure” dissi facendola sobbalzare “non startene lì, sulla porta”


“Oh, sì, subito. Vi ho scaldato dell'acqua. Riempio immediatamente la tinozza”


“Fai pure con calma” le risposi alzandomi in piedi.


Tale movimento fu inaspettato per lei. Per un attimo pensò, e sperò soprattutto, che mi stessi avvicinando e, nonostante l'apparente sfrontatezza, il sangue le imporporò le guance, costringendomi a deglutire veleno.


Portò i secchi ad uno ad uno all'interno della stanza. Quando si chinava, i suoi lunghi capelli biondi, sottili e lucenti, come fili d'oro, le coprivano il viso e quando si rialzava, li riavviava all'indietro con la mano. Le sue labbra, rosse e carnose erano un punto di colore sul quel viso dalla pelle rosea, che non potevo fare a meno di ammirare. Erano schiuse per l'affanno e le inumidiva di tanto in tanto passandoci sopra la lingua.


Gli occhi grigi continuavano a lanciarmi sguardi furtivi che mi trovavano intento ad osservarla, causandole ogni volta la perdita di un battito.

Cominciò a versare l'acqua nella tinozza, lentamente, si era portata i capelli dietro le piccole orecchie e potevo ammirare come la scollatura del vestito mettesse in risalto le sue forme generose. Quando ebbe finito si portò le mani dietro la schiena, stiracchiandosi dopo lo sforzo eseguito.


“Mi dispiace che tu abbia dovuto sopportare tale fatica”


“Oh signore, non vi preoccupate, sarei pronta ad affrontare fatiche maggiori pur di compiacere un ospite di riguardo come voi”.


Detto questo, mi si avvicinò prima che riuscissi a leggerle l'intenzione nei suoi pensieri.


“Lasciate che vi aiuti” disse, portandosi alle mie spalle e afferrando il collo della giacca.


Lasciai che mi aiutasse a sfilare l'indumento, facendo finta di non notare come le sue dita sottili indugiassero sulle mie spalle, sulle braccia.

Era un tocco che non avevo mai ricevuto e, sorprendentemente, non sentivo la necessità di scostarmi. Anzi, sentivo crescere dentro di me una brama del tutto diversa dalla sete.

Il suo odore mi attraeva, certo, ma c'era qualcosa nei suoi sguardi, nei suoi movimenti e nelle sue forme, che mi attraeva molto di più.


“Lisbet, non ce n'è bisogno, puoi andare”


“Signor Masen, questo rientra nelle mie mansioni. Concedetevi un bagno caldo, nel frattempo mi occuperò di sistemarvi il letto per la notte. Poggiate pure il resto della vostra biancheria sul paravento, penserò io a tutto”.


Nonostante non avessi per nulla bisogno di un bagno, assecondai il suo invito. Mi stuzzicava il pensiero di denudarmi sapendo che lei era dall'altra parte a fantasticare su di me, sul mio corpo.


Abbassai le bretelle e sbottonai la camicia, tirandola fuori dai pantaloni. Sfilai anche quelli, assieme alle scarpe e alle calze. Ogni indumento che poggiavo sul paravento scompariva in pochi attimi. Sentivo il suo respiro farsi più affrettato e la sentii annusare la camicia, ripetutamente.

Mi immersi nell'acqua e venni avvolto da un vapore che odorava di lavanda.


Non era da me essere così. Giacere nudo, incurante del fatto che ci fosse una fanciulla nella stessa stanza, che avrebbe potuto vedermi. O ancora peggio, sarebbe potuto entrare suo padre e trovarci in questa situazione bizzarra e assolutamente inaccettabile.

Prestai attenzione agli altri rumori dell'edificio. Oltre me ci dovevano essere solo un altro paio di ospiti, sentivo il respiro pesante di uno e il russare regolare dell'altro. Il fuoco dell'ingresso cominciava a spegnersi e, poco più distante, sentivo un mormorio supplichevole.


Pregava?


Quell'uomo pregava Dio e sua moglie, che vegliassero su sua figlia e che gli consentissero di vivere in salute finché non si fosse sistemata.


Mi sentii quasi in colpa. Il quasi era dovuto al fatto che la sua innocente figliola era tutto tranne che innocente. Era un invito a cogliere la sua bellezza ad ogni movimento, ogni parola, ogni sospiro.


E la sentivo sospirare chiaramente mentre stendeva le lenzuola fresche di bucato e le lisciava con le mani, mentre sprimacciava i guanciali.


Suo padre andò a dormire e il sonno lo cullò all'istante.


L'acqua si fece più fredda e pensai che per una persona, per un umano, fosse il momento di uscire.


Mi alzai in piedi guardandomi intorno, senza però scorgere nulla.


Quella piccola strega...


“Aspetti signor Masen, le porgo un telo”.


Feci appena in tempo a voltarmi di spalle, che, senza nessun indugio, lei aveva aggirato il paravento.

Alzandosi sulle punte posò la stoffa sulle mie spalle, cominciando a sfregare con i palmi aperti.


Come può essere così freddo dopo un bagno caldo?


“Lisbet?”


“Oh! Sì?”


“Puoi andare adesso”


“Ma...”


“Vai Lisbet, buonanotte.”


“Buonanotte signor Masen, a domani” disse senza celare una nota di delusione nella voce.


“Buonanotte Lisbet” sussurrai guardandola da sopra una spalla.


Il rossore fu ancora più evidente. Si girò e fece per uscire dalla stanza.


“Desiderate qualcosa in particolare per colazione?”


Aveva in mente una serie di domande, che le avrebbero permesso di indugiare lì ancora per un po'.

Non potevo permetterlo. La sua presenza stava diventando insostenibile. Sentivo il mio corpo attraversato da scosse e tremiti che non avevo mai provato prima.

Non era certo la sua testolina piena di frivolezze ad attrarmi. Era il suo corpo che aveva risvegliato in me pulsioni sconosciute, pulsioni che avevo solo incominciato a provare prima della trasformazione, prima del matrimonio...prima di Tanya.


“Ho detto che puoi andare. A domani”.


Non le concessi possibilità di replica. Doveva andare via, dovevo fare in modo che si allontanasse. Non poteva stare vicino a me, non in quel momento, non con il corpo in quelle condizioni.


Corse via. Si rintanò nella sua stanza. E, di nuovo, i suoi pensieri mi sorpresero.


Non si sarebbe arresa.


Ed io cedetti.


Non quella sera e nemmeno la successiva.


Passarono i giorni e fu un susseguirsi di sguardi e ammiccamenti. Non perdeva occasione per sfiorarmi o mostrare lembi sempre più generosi di pelle.


Quella notte sentii i suoi passi nel corridoio. Mi infilai rapidamente sotto le coperte aspettando di sentirla andare via.

Quando entrò nella stanza, automaticamente smisi di respirare.


Forse per quello, o probabilmente per l'innaturale immobilità, o forse perché col passare dei giorni aveva ricomposto i tasselli del mosaico, sta di fatto che il pensiero che formulò la sua mente mi lasciò esterrefatto:


Lo sapevo.


Lei sapeva, aveva capito e, nonostante ciò, il suo cuore batteva impazzito...per l'eccitazione.


Sfiorare la sua pelle calda e morbida, sentire il sapore delle sue labbra carnose sulle mie, gelide, ogni cosa mi dava un'emozione inaspettata. Non riuscivo a credere di essere così padrone di me stesso.

Lisbet era appassionata e dolce e nei suoi occhi potevo leggere quasi venerazione. Quando sentimmo il piacere sopraggiungere per entrambi, lei allacciò le mani al mio collo e mi supplicò:


“Mordimi”


Accecato dalla lussuria, obnubilato dal desiderio, lo feci...ed il sangue assieme al piacere fluì nel mio corpo.


Non so dove trovai la forza di volontà per scostarmi da lei. Non so come feci a non stringere troppo il suo esile corpo o a schiacciarlo sotto il mio.

Forse sentire il suo battito farsi più debole, sentire la pelle perdere calore mi fece desistere, o, probabilmente, perché io per primo ero rimasto paralizzato dall'intensità delle scosse che mi pervasero.

Mi scostai da lei assicurandomi che stesse bene.

Cercai di non pensare al sapore sublime che dalla lingua scendeva piano piano, diffondendosi in tutto il corpo.

La coprii con le coperte allontanandomi da lei, leccai la ferita sul collo, portando via le ultime gocce di sangue e permettendo che il veleno la guarisse.


Si abbandonò velocemente ad un sonno tranquillo, rannicchiandosi su se stessa e smettendo di tremare.


Cosa avevo fatto?


Come avevo fatto?


Non riuscivo a smettere di pensare, non riuscivo a capire quando il mio corpo e la mia mente avessero deciso di averla. Mi chiedevo se fossi stato io ad usare lei o se, con maggiore probabilità, fosse stata lei a farlo.


Come al solito.


Ma ciò che più mi sconvolgeva era come la cosa non mi importasse, non mi ferisse. Avevamo entrambi ottenuto qualcosa e, sorprendentemente, andava bene così.


Mi alzai e mi rivestii in fretta. Lasciai quella stanza senza ripensamenti, senza nemmeno voltarmi a guardarla per un'ultima volta.


Ricominciai a girovagare senza meta. Il mio scopo, stavolta, non era quello di trovare Victoria, nonostante la speranza di incrociare la sua scia fosse sempre presente, ma era quello di vedere finalmente il mondo. Mi sentivo rinvigorito da una nuova forza, spinto e sorretto dalla speranza di poter avere un ruolo attivo nel gioco della vita e di non essere una pedina come ero sempre stato.


Scoprii che la trasformazione non aveva acuito solo vista, udito ed olfatto, ma anche gli altri sensi erano notevolmente amplificati.

Non avevo certo bisogno di cibo, il sangue animale e qualche sorso di sangue umano occasionale mi tenevano in forza, eppure notai con piacere che non avevo perso il senso del gusto, anzi...quando introducevo del cibo, riuscivo a sentire nella mia bocca, sulla lingua, ogni sfaccettatura del suo sapore. Probabilmente il veleno non consentiva nemmeno che le pietanze raggiungessero il mio stomaco e, di certo non mi avrebbero mantenuto in vita. Diciamo che mangiavo solo per il piacere di farlo, per la voglia di sentirmi più normale o, forse, per la voglia che gli altri mi considerassero normale.


Il tatto era la cosa che più mi sconvolgeva.


Quando facevo scorrere le dita sulla pelle di una donna, ne potevo sentire la trama e scovare ogni minima irregolarità. Sentire pulsare sotto le dita la giugulare, percepire il battito impazzito del suo cuore per poi affondare i denti nel suo collo teso erano sensazioni che si facevano ogni volta più nette e definite e lasciavo che mi travolgessero con maggiore consapevolezza.


Avevo abbandonato ogni discrezione. Ostentavo la mia presenza e la mia ricchezza, ottenendo in breve tempo il privilegio di frequentare i migliori salotti del luogo e di essere invitato ai balli e alle feste più mondane.

Essere circondato da belle dame e carpire l'interesse di illustri professionisti alimentava a dismisura il mio ego, dandomi una sensazione di onnipotenza che legittimava ogni mia azione.

E fu con questa baldanza che raggiunsi Parigi e conobbi Céline.


Mi fu presentata da un conte durante il ballo in onore della baronessa di Marteuil, la quale aveva dovuto sfoggiare tre giri di perle per coprire i segni sul suo collo.

Céline era una giovane ballerina che rivestiva una certa importanza in quell'ambiente, non certo per le sue doti artistiche ebbi modo di sapere solo più tardi.

Il modo che aveva di guardarmi con finto imbarazzo, coprendosi il viso con la mano per mascherare un rossore che tanto sapeva di belletto e così poco di pudore, mi accendeva come nessuna aveva fatto prima.

Si aggirava attorno a me con movenze sensuali, come un rettile che avvolge la preda con le sue spire, ignara del fatto che sarebbe stata lei ad essere morsa.


Mi sbagliavo...


“Ho avuto modo di osservarla a lungo stasera Madame...?”


“Varen, mademoiselle Céline Varen”


Il modo in cui sottolineò l'assenza di legami la resero ai miei occhi ancor più desiderabile.


“Enchanté” sussurrai posando le labbra sul dorso della sua mano e indugiando quell'attimo in più per sentire rabbrividire la pelle per il gelido tocco.

La ritrasse quasi bruscamente e non potei fare a meno di sorridere compiaciuto. Le domande che le si formularono nelle mente erano sempre le stesse: chi fossi, da dove venissi, se fossi una persona raccomandabile...probabilmente avrebbe dovuto chiedersi se fossi o meno una persona.


Céline era molto più scaltra e acuta di tante altre donne che avevo conosciuto, riusciva ad intrattenere una conversazione brillante e mantenere vivo il mio interesse.

La prima volta che la vidi ballare pensai a quale fascino avrebbe avuto se l'avessi trasformata. Eseguiva i passi volteggiando leggera e costringendo lo spettatore a non staccare per un attimo gli occhi da lei, come una sorta di ipnosi e lei, dal canto suo, non li staccava mai da me, come se nella sala ci fossi solo io, come se stesse danzando solo per me.


Cominciai a presenziare ad ogni spettacolo, occupando sistematicamente il palco più costoso, dal quale si godeva della vista migliore. Le facevo avere alla fine di ogni esibizione un mazzo di rose rosse, i suoi fiori preferiti, e spesso aggiungevo anche un monile col quale esaltare la sua bellezza.


Per la seconda volta in vita mia fui attratto dalle movenze dell'amore. M'innamorai dell'idea di essere amato e di amare a mia volta.

Per la seconda volta il mio cuore smise di battere.

E avrei messo fine anche al battito del suo cuore se, in quel momento, non ne avessi sentito uno più leggero, più veloce e di certo più puro, provenire da suo ventre.

Capitolo difficilissimo da scrivere. Infatti si commenta da sé. La cosa più difficile è stata tenere presente il crossing-over tra le due storie e tra i personaggi. Edward non è solo Edward Cullen, ma anche Edward Rochester...insomma un gran casino, per dirla proprio in maniera fine.

Come al solito, grazie a Mirya, Biaa e Austen95 per la recensione.

Ho scritto una piccola OS, credo meno noiosa di questa ff. Per chi fosse un tantino curioso, la trova qui.

Grazie a tutti.

Miki.







   
 
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