10° CAPITOLO
Negi entrò nel commissariato accompagnato dalla madre.
Sperò ardentemente che quella giornata segnasse davvero la fine di tutta la
vicenda.
Furono accompagnati in un ufficio.
“Piacere di vedervi” disse loro Soichiro Yagami alzandosi da dietro una
scrivania. L’uomo strinse la mano a Negi. “Sono il sovrintendente Soichiro
Yagami. Sono io che gestisco le indagini sull’omicidio di Konoka Konoe” gli
spiegò.
“Capisco” rispose Negi mentre si accomodava insieme a sua madre.
“Signor Yagami, perché ci avete convocato?” domandò quest’ultima.
“Per annunciarvi innanzitutto che entro domani Asuna Kagurazaka sarà
scarcerata. I veri colpevoli sono stati scoperti. E la ragazza ha indicato lei,
signora, e suo figlio, come le persone più prossime che ha”.
Sentendo questo, i volti dei due visitatori s’illuminarono di una gioia
indescrivibile.
“Ma non solo per questo” riprese Yagami. “Il fatto è che i casi di Kagurazaka
e Konoe sono collegati, essendo stati compiuti dalle stesse persone. E dato il
rapporto tra voi e una delle vittime, è giusto che sappiate tutto. Il colpevole
è l’avvocato Teru Obata, insieme alla sua amante, la giornalista Takada Kiyomi.
E l’assistente di quest’ultima, Demegawa, completava il tutto. Li abbiamo
arrestati. L’assistente è stato il primo a cedere, confessando tutto per avere
uno sconto di pena”.
“Non ci posso credere! L’avvocato di Asuna era anche la persona che l‘aveva
incastrata?!” sbottò la madre di Negi.
“Infatti. Una nostra equipe ha lavorato in gran segreto per risolvere il
caso. Vi devo informare anche perché alla fine di tutto c’è una sorpresa
veramente grossa riguardante Asuna Kagurazaka”.
Il sovrintendente iniziò a spiegare tutto il caso, dalla prima trappola, tesa
a Konoka perché ne tendesse a sua volta una inconsapevole ad Asuna, fino
all’omicidio di Takamichi, compiuto da Takada, e al falso suicidio di Konoka,
attuato da Obata stesso.
Mentre sua madre non perdeva una parola, Negi invece doveva fingere
interesse.
Infatti, erano tutte cose che già sapeva grazie ad L.
E siccome Yagami diceva le stesse cose, al ragazzo vennero forti sospetti
sull’identità dell’equipe segreta che aveva lavorato al caso.
L’unica cosa che Yagami tacque, fu che il numero di Obata era stato scoperto
violando i computer del ministero delle comunicazioni, compiendo cosi una
clamorosa violazione della privacy.
Una delle tante cose a volte necessarie ma comunque sbagliate che L era
costretto a fare per svolgere bene il suo lavoro, e che aveva taciuto anche a
Negi, data la sua età.
L’interesse di Negi divenne invece autentico quando si passò alle modalità
dell’omicidio di Konoka.
Tali modalità non gli erano state spiegate dal grande detective, diceva che
il ragazzo le avrebbe apprese poi.
E anche la sorpresa cui aveva accennato Yagami, L già la conosceva ma non
aveva voluto svelarla a Negi per mantenere, a suo dire, la suspense.
“La signorina Konoe” spiegò Yagami “aveva deciso di confessare, scrivendo una
lettera di scuse all’amica dove raccontava anche che era stata Takada a
organizzare il falso scherzo, convincendola a portare Asuna Kagurazaka a quella
festa. Ma commise un errore: fidandosi ancora di Takada, le telefonò per dirle
il suo intento. Quest’ultima chiamò il suo amante, Teru Obata, che decise di
chiudere la bocca alla Konoe. Un’azione di per sé non necessaria. Nessuno,
infatti, poteva risalire a lui o immaginare l’esistenza di un terzo complice.
Persino quando si telefonavano, i due amanti usavano un linguaggio molto
allusivo, privo di nomi, che mimetizzava perfettamente le loro chiamate tra le
miriadi di altre telefonate che Takada riceveva durante la giornata. E la
giornalista poteva scagionarsi dicendo di non conoscere la depravazione di
Takamichi. Purtroppo Obata, nonostante il suo apparente autocontrollo, è un tipo
molto impulsivo, che tende a perdere il controllo in situazioni da lui ritenute
pericolose, come ha dimostrato la falsa messinscena organizzata ieri sera, da
noi, per incastrarlo. Quindi si è congedato dalla sua cliente fingendo un
impegno in banca. E ci è andato davvero. Ma prima si è fermato a uccidere la
signorina Konoka. E’ passato da un ingresso d’emergenza per non farsi vedere dal
portinaio ed è salito dalla sua vittima, la quale era stata avvertita poco prima
da Takada stessa, per questo gli ha aperto.
Sempre Takada gli aveva detto dove la Konoe teneva la pistola, perciò con una
scusa Teru l’ha attirata in camera da letto, l’ha stordita colpendola alla nuca,
le ha messo la pistola in mano e l’ha uccisa sparandole alla tempia. Siccome al
momento dello sparo era la vittima a impugnare l’arma, anche con la prova del
guanto di paraffina e i test della balistica sarebbe risultato un suicidio.
L’assassino ha anche posizionato il corpo per dare l’impressione che dopo lo
sparo fosse caduto di peso sul letto, e con la nuca sulla testiera. Per spiegare
l’eventuale presenza di un bernoccolo. Ha lasciato infine il foglietto,
opportunamente privato della confessione, ed è uscito da dove era entrato”.
“Che mostruosità” esclamò la signora Springfield. “Ma perché tutto questo?”
Yagami si fermò a riflettere. “Mi raccomando, cercate di mantenere il massimo
riserbo su ciò che vi dirò” disse infine.
“Il motivo scatenante è legato all’eredità della famiglia Mikami”.
Sentendo quel nome, Negi e sua madre riandarono ad una vicenda che aveva
riempito gli articoli di mezzo mondo un anno prima: la morte del magnate Isao
Mikami, uno degli uomini più ricchi del mondo.
Mikami era morto molto anziano e senza eredi, e quando trapelò la notizia che
aveva sguinzagliato dei detective privati alla ricerca di parenti diretti e
inconsapevoli di esserlo, una cosa considerata possibile causa la condotta
dissoluta dei suoi quattro figli da tempo deceduti, sui giornali si era
scatenata una febbre su questa caccia all’erede.
Col passare del tempo, l’interesse dei media era calato ma ogni tanto se ne
ricordavano per qualche servizio di colore.
“Orbene” continuò Yagami “Teru Obata è un erede di Mikami. E’ il figlio
illegittimo di uno dei figli del miliardario. Nel suo studio, in una cassaforte
nascosta dietro un quadro di Masamuni Obata, suo padre adottivo, abbiamo trovato
le copie di documenti attestanti l’appartenenza di Teru alla famiglia Mikami. E
abbiamo trovato gli originali delle copie attestanti l’appartenenza della stessa
Asuna Kagurazaka ai Mikami”.
Negi e sua madre rimasero senza parole: Asuna era l’erede di una famiglia
miliardaria?!
“Capisco il vostro stupore” riprese il sovrintendente “Asuna Kagurazaka è
orfana. E’ anche lei figlia illegittima di uno dei Mikami. E con l’arresto di
Teru Obata, è adesso l’erede di una fortuna di ben venti miliardi di yen”.
“Quindi l’avvocato voleva la fortuna tutta per sé” disse la signora
Springfield quando si fu ripresa dalla sorpresa.
“Sì. Per sé, una volta divenuto Teru Mikami, e per la sua amante, Takada. A
Demegawa invece sarebbe andata una bella ricompensa sottoforma di grossi assegni
mensili. Ma non escludo che un giorno Obata e Takada avrebbero deciso di
sbarazzarsi anche di lui.
Obata ha voluto essere l’avvocato di Asuna per assicurarsi che fosse
condannata. Sarebbe andata in una prigione scelta su indicazione di Obata,
grazie ai suoi agganci al ministero della giustizia. Dopo un po’ di tempo, Asuna
sarebbe stata uccisa da una detenuta che avrebbe fatto credere a un suicidio”.
“Pure questo?!” esclamò indignato Negi, che non conosceva quest’ultimo piano
di Obata.
“Sì. Tatsumiya Mana, killer professionista, per lungo tempo sfuggita alla
legge perché molto brava a cancellare le prove. Ma, gli strani capricci del
fato, quasi un anno fa è stata incarcerata e condannata a quarantacinque anni
per un duplice delitto che a quanto pare non ha commesso. Teru Obata ha,
infatti, trovato una prova che la scagiona completamente, custodendola nella sua
cassaforte. Mana gli avrebbe fatto questo favore e lui in cambio l’avrebbe fatta
tornare libera. Noi consegneremo tale prova ai magistrati, ma essendosi resa
complice del piano per assassinare la Kagurazaka, dubito che Mana tornerà
libera”.
“Mostruoso” commentò Negi “Per fortuna adesso è tutto finito”.
“Appunto. Vi consiglio di tornare a casa e di prepararvi. Un mondo del tutto
nuovo attenderà Asuna Kagurazaka domani, avrà bisogno di una famiglia, e penso
che voi possiate ben svolgere questo incarico” li congedò Yagami accompagnandoli
fino alla porta.
Prima di uscire, Negi lanciò uno sguardo all’ufficiale di polizia.
E senza farsi vedere dalla madre, col dito tracciò il segno di una lettera su
un braccio.
Rimasto solo, Yagami girò il risvolto della giacca: nel risvolto c’era una
spilla a forma di L.
“Avevi ragione, è un ragazzo sveglio”.
Tornati a casa, Negi avvertì la madre che intendeva un attimo andare dal suo
nuovo amico.
Il giovane quindi corse, con un’espressione di massima felicità, verso
l’appartamento di L.
Una volta arrivato, si bloccò di colpo: come mai l’appartamento di L aveva le
finestre aperte?
Fermandosi a riflettere, si accorse allora del pacchetto che stava nascosto
sotto la scalinata.
Era un pacchetto chiuso in una carta regalo ben messa.
Cautamente Negi lo aprì.
Dentro c’erano dei dolci, e un biglietto.
“Caro N, come avrai immaginato, sono andato via.
Essendo una leggenda urbana, i cui casi sono tutti ufficialmente risolti
dalla polizia, ti sembra che io possa avere un recapito fisso?
Conoscendo i tuoi orari, so che hai già parlato con Y e quindi sai come
stanno le cose, tutte cose che io avevo scoperto due notti fa ma che non potevo
dirti interamente ieri pomeriggio perché meno tempo A restava in carcere, meglio
era. Quindi bisognava organizzare subito la recita per incastrare il colpevole.
Mi sono preoccupato della tua sicurezza durante la nostra messinscena,
nessuno può risalire a te.
Ti ho lasciato dei dolci, mangiali in modo da diventare sempre più
intelligente, mi raccomando. Sei già su una buona strada.
E ti ringrazio per l’aiuto e la compagnia”.
Dunque non c’era più.
Lo avrebbe rivisto?
Non poteva dirlo.
Non aveva neanche potuto chiedergli della faccenda della schiena.
Però ormai non aveva più senso.
“Grazie a te, L” concluse ad alta voce Negi.
Quando le aprirono la porta, dicendole che era libera, Asuna non seppe cosa
dire.
Si limitò a camminare, attraversando la strada davanti al carcere.
Una volta arrivata all’altro lato, si girò.
Era fuori dalla prigione.
Cominciò a respirare a pieni polmoni l’aria della libertà.
“Asuna!”
Alla sua destra stava arrivando, correndo, Negi con sua madre.
“Negi!” gridò Asuna andandogli incontro.
I due si abbracciarono con forza.
“Asuna! Sei libera! Che sollievo!”
“Io sono sollevata di vedere te, il mio fratellino ideale” rispose Asuna.
Entrambi con due bei lacrimoni grossi come noci.
La madre del suo carissimo, piccolo amico, li raggiunse e strinse la mano
all’ex-detenuta.
“E’ un vero piacere vederti libera, Asuna”.
“La ringrazio, signora”.
“Come ti senti?”
“Felice! Anche se…”
Una lieve ombra calò sul volto della ragazza.
“Un ufficiale, Yagami, mi ha spiegato tutto. E mi ha detto di Konoka. Dio
mio, lei ha partecipato a tutto questo per colpa mia! Come ho fatto a non
rendermene conto? Presa dalla mia smania di aiutare, non mi sono accorta che a
volte le persone vogliono essere lasciate libere di cavarsela da sole. Ed io
glielo ho impedito per tanti anni. Che gran bastarda che sono stata”.
“Hai commesso degli errori” ammise la signora Springfield “però adesso la
cosa giusta da fare non è piangere sul latte già versato, ma rendersi conto
degli errori e impegnarsi affinché non si ripetano più. Non dimenticare che
Konoka si era pentita, voleva aiutarti. Ti voleva comunque bene. E penso che, se
ora fosse qui, ti perdonerebbe e chiederebbe perdono”.
“Penserò che sia cosi” disse Asuna.
“Allora, adesso che facciamo?” domandò Negi.
Asuna si grattò in testa. “Eggià. Adesso sono una multimiliardaria. E non ho
la più pallida idea di cosa farne di tutti quei soldi. Ho persino paura di
toccarli. Temo che possano trasformarmi in una persona avida”.
“O farti diventare una persona che pensa solo a questioni finanziarie”
convenne la madre di Negi.
Che poi schioccò le dita. “Ci sono: perché non vieni con noi?”
“Con noi?” domandarono insieme Negi e Asuna.
“Oh si. Vedi, Negi, l’altro giorno sono andata a rintracciare quello
scriteriato di tuo padre, il nostro Indiana Jones made in Japan. Che ne dici di
andare a prenderlo per convincerlo a occuparsi un po’ di più della sua famiglia?
E Asuna può venire con noi. Cosi avrà modo di schiarirsi le idee”.
“E dove si trova mio padre adesso?”
“In Egitto”.
Asuna e Negi si guardarono. “Perché no?”
Si diressero allora verso la casa degli Springfield, per preparare i bagagli.
****
La porta della cella si aprì.
Teru Obata, Mikami se il suo piano fosse andato in porto, non sembrava molto
a suo agio con la divisa da carcerato.
Seduto sulla branda, guardò con lieve disprezzo l’uomo che era venuto a
trovarlo.
“Sovrintendente Yagami, giusto?” esordì Obata.
“Esatto” rispose il poliziotto.
“Cosa vuole? Farmi altri interrogatori? Se è cosi, deve esserci pure il mio
avvocato”.
“Quello che ci diremo va oltre questo caso. Soprattutto la seconda cosa. La
prima è più una domanda personale. Perché ha fatto tutto questo? Come mai il
rampollo di un’illustre famiglia di magistrati e avvocati, ha ucciso una persona
e fatto condannare un innocente, tra l’altro suo parente, per dei soldi?”
“Perché?” Teru ridacchiò, come se gli avessero posto una domanda troppo
banale. “Perché sono tutte sciocchezze. In passato anch’io credevo ciecamente
negli ideali di giustizia cui si erano consacrati gli Obata. Per questo mi sono
dato cosi tanto da fare per diventare avvocato. Volevo rendere il mondo un posto
migliore. Ma lo sa cosa è successo una volta che sono sceso in campo? E’
successo che sono rimasto disgustato. Per il marciume non dei criminali, ma dei
cosiddetti garanti della giustizia. Mi sono ritrovato immerso in un lordo oceano
di connivenze, corruzioni, abusi e ingiustizie varie. Tutto commesso da
poliziotti, avvocati, magistrati, politici. Certo, ci sono anche gli
incorruttibili, ma sono l’eccezione che conferma la regola. Gli ideali della
legge e della giustizia sono belle parole, troppo belle perché si possano
veramente mettere in pratica e quindi finiscono per diventare uno schermo dei
criminali. Ergo, sono solo sciocchezze”.
“Potrei dirle” rispose Yagami “che, nonostante gli indubbi difetti
istituzionali, ha sbagliato anche lei, signor Obata. Ha peccato d’idealismo, è
sceso in campo pensando di poter cambiare radicalmente le cose, non c’è riuscito
e restando scottato, ha trasformato la sua fede in disillusione, alimentando il
male che avrebbe dovuto e potuto combattere. Se tutti fossero come lei,
l’umanità si estinguerebbe”.
“Forse sarebbe un bene” rispose Obata “ma lei non è qui per una discussione
filosofica, vero?”
“No, infatti. Passando al secondo motivo della mia visita, anche se il caso è
risolto, c’è qualcosa che non quadra per i membri dell’equipe segreta che ha
condotto le indagini. Lei ha fatto tutto questo per i soldi. Ma perché l’ha
fatto in questo modo, montando questa messinscena? Perché ha dovuto coinvolgere
Asuna Kagurazaka in un’accusa di omicidio? E progettare di eliminarla una volta
in carcere? Avrebbe potuto benissimo farla uccidere da qualcuno, ad esempio, per
strada. Magari simulando una rapina finita male. Chi avrebbe sospettato la morte
di una semplice diciottenne? I giovani che muoiono sono tanti, troppi,
purtroppo.
E poi, come si è procurato la prova in grado di scagionare Tatsumiya Mana? E
sempre a proposito di quest’ultima, la sua stessa presenza è sospetta. Una
killer professionista in carcere e ingaggiabile con la promessa della libertà.
Sembra che qualcuno gliel’abbia servita su un piatto d’argento”.
Teru distolse lo sguardo. “Non avrei motivo di parlare. Tanto la cosa non può
scagionarmi, trattandosi di un fantasma”.
“Se però in lei è rimasta almeno una briciola dell’uomo che credeva nella
legge, allora dovrebbe parlare”.
L’ex-avvocato sospirò e guardò negli occhi Yagami: “Non so chi sia. E’ come
un fantasma. L’ho sentito solo tre volte.
Un anno fa fui contattato da un investigatore privato, che diceva di aver
scoperto la mia appartenenza alla famiglia Mikami. Diceva anche che c’era un
altro erede. Ma la sera in cui avrei dovuto incontrarlo, per verificare i
risultati delle sue indagini, quell’uomo morì in uno strano incidente d’auto. O
meglio, inizialmente sembrò un incidente ‘normale’.
Però pochi giorni dopo, mi chiamò qualcuno, usando un numero privato.
Parlava con voce contraffatta, quindi non so se era una persona giovane o
vecchia, oppure se era un uomo o una donna.
Disse che aveva lui i documenti del detective, e me li avrebbe consegnati se
in cambio io mi fossi prestato a un esperimento. Ha usato proprio questo
termine, esperimento.
Come prova della sua buona fede, mi mandò i documenti originali su Asuna e le
copie di quelli riguardanti me.
A quel punto, quando arrivò la sua seconda telefonata, decisi di accettare la
sua proposta e lui mi mandò anche la prova dell’innocenza di Mana.
Questo mi fa ipotizzare che sia stato proprio il misterioso sperimentatore a
farla finire in prigione.
Inizialmente ero molto titubante, ma quando m’inviò via mail il suo piano,
rimasi sbalordito per la precisione di quel progetto. Chi l’aveva realizzato,
aveva scelto attentamente luoghi e persone, calcolando anche l’atteggiamento in
determinate situazioni di quest’ultime.
Mi sembrava di stare leggendo un copione, dove è già fissato cosa succederà.
Divenni molto fiducioso, com’era richiesto nel progetto coinvolsi Takada e
Demegawa, spiegai loro cosa fare e tutto sembrò funzionare per il meglio.
Poi commisi l’errore di uccidere Konoka Konoe.
Il misterioso progettista mi chiamò quello stesso giorno. Aveva intuito che
ero stato io e mi rimproverò per la mia azione imprudente.
Mi colpì che ritenesse anche se stesso colpevole, per non aver ben previsto
una mia azione di quel genere.
Affermò che non era ancora pronto. Che comunque, a quel punto bisognava
continuare col piano. E che io non avrei dovuto mai più prendere iniziative. Non
c’è altro”.
Yagami aveva ascoltato con grande attenzione.
Si portò una mano sul mento. “Questo personaggio, non si è dato un nome?”
“Oh sì, la prima volta. Uno pseudonimo” ammise Teru, che cercò di richiamare
alla mente quel nome sentito una sola volta.