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Your Guardian Angel
*° Capitolo Dieci:
Sorriso °*
POV
EDWARD
“Edward,
Edward, sei proprio una femminuccia”, canticchiò
Alice, nel tentativo di
distrarmi.
“Oh
sì,
proprio una femminuccia. Guarda caso, ti sto battendo,
sorella!”, esclamai
sferrando l’ennesimo colpo.
Una
battaglia a suon di movimenti di telecomando, ecco cos’erano
le partite di
tennis con la Wii, anche se noi della famiglia Cullen le consideravamo
più
sacre di qualsiasi altra cosa, la vittoria fondamentale neanche
stessimo
combattendo una guerra mondiale.
“Seee,
come no. Preparati, perché sto per iniziare a giocare
seriamente”
“Tu?”,
chiesi scettico non riuscendo a trattenere un ghigno e
un’occhiata verso di lei.
“Da quando tu giochi
seriamente?”
Non mi
potevo mai concedere un momento di distrazione con Alice, lo sapevo e
continuavo a ripetermelo, ma non per questo riuscivo a rimanere sempre
concentrato.
La
schiacciata che fece, infatti, fu potente e veloce, sferrata proprio
nell’istante
esatto in cui mi ero voltato.
“Sì!
Te
l’avevo detto, Edward, che non mi sarei lasciata
battere.”, trillò allegra e
soddisfatta.
Grugnii,
spostando lo sguardo verso le mie mani. “Cazzo di
telecomando”, dissi
all’oggetto bianco, giusto per prendermela con qualcuno
– o meglio, qualcosa.
“Edward.”,
mi richiamò mia madre con voce severa, tipica di quando mi
beccava a dir
parolacce. E dire che si trovava a ben due stanze di distanza con, per
di più,
la porta chiusa.
Io e i
miei fratelli non eravamo mai riusciti a capire come facesse ad alzare
sempre
le antennine quando si trattava di
parolacce o banali volgarità, finendo per coglierci sempre
in fallo.
“Scusa,
mamma!”, urlai in risposta, ottenendo il solito sorrisetto
divertito da parte
di Alice.
Stavamo
per riprendere con la partita quando una voce pacata e tranquilla ci
interruppe.
“Signorina
Alice, signor Edward, volevo informarvi che la cena è
pronta”, Siobhan, la
nostra governante, era una donna di origini egiziane educatissima e
compita:
non aveva mai sbagliato una sola mansione da quando era stata assunta
nella
nostra casa, due anni prima.
Certo,
avevo messo un po’ di tempo per convincerla che non doveva
chiamarmi ‘signorino
Edward’. Mi sapeva tanto di Colin, il cuginetto viziato di
Mary Lennox,
personaggio de ‘Il Giardino Segreto’ che avevo
sempre detestato con tutto me
stesso.
Effettivamente
non ero riuscito a convincerla del fatto che poteva permettersi l’enorme libertà di
chiamarmi
semplicemente col mio nome di battesimo, ma ‘Signor
Edward’ mi sembrava
decisamente meglio.
“Mi sa
che ci tocca, Alice …”, mormorai sarcastico,
sapendo che in questo modo avremmo
dovuto lasciar perdere la partita di tennis e, di conseguenza, la sua
vittoria.
Lei
strinse gli occhi, indispettita. “Ti è andata
bene.”
Continuammo
a battibeccare anche in bagno, mentre ci lavavamo le mani e ci
schizzavamo come
quando eravamo piccoli, senza alcun pensiero. Ad un certo punto,
però, sentimmo
il tipico rumore metallico della serratura e il conseguente arrivo di
nostro
padre.
“Giusto
in tempo per la cena, papà. Come fai ad avere sempre questa
precisione?”,
scherzai facendo capolino dal corridoio, proprio mentre Carlisle
consegnava
accuratamente il suo giaccone leggero a Siobhan.
“Edward,
figliolo!”, mi salutò felice, con quegli occhi
azzurri sempre sereni,
nonostante la stanchezza di una tipica giornata di lavoro.
“Ciao,
papà”, gli diedi una pacca sulla spalla,
rispondendo al saluto mentre ci
incamminavamo verso la cucina, desiderosi di gustare le pietanze di
Siobhan.
Incredibile
come il silenzio, non appena assaggiammo il primo boccone, aleggiasse
tranquillo nella stanza ampia, riempito soltanto dal rumore delle
posate, dei
bicchieri di vetro e delle nostre mandibole.
La
cucina italiana era quella che la nostra governante preferiva in
assoluto – e
anche io, ad essere sinceri – e in cui ci si cimentava
più frequentemente.
Quella
sera aveva preparato un altro di quei deliziosi manicaretti: le lasagne
al
sugo.
“Come
è
andata la giornata, caro?”, chiese Esme con un sorriso tenero
in volto,
interrompendo momentaneamente l’assalto al piatto ancora
fumante.
“Molto
bene, nonostante sia stata impegnativa. Ho avuto a che fare con due
gravi interventi
in mattinata! Ah, Edward, ti ho visto questo pomeriggio
…”, esclamò richiamando
la mia attenzione. “… in compagnia di una
ragazza”, concluse senza riuscire a
trattenere un sorrisetto.
Mi
ritrovai improvvisamente con tutti gli occhi della famiglia addosso,
quelli
caldi e comprensivi di Siobhan compresi, come ogni qualsiasi altra
volta si
parlasse di ragazze per me o di ragazzi per Alice.
La
ragazza in questione, senza ombra di dubbio, era Bella,
l’unica con cui avevo
passato quasi tutta la giornata.
Ci
eravamo divertiti molto, quel giorno, nel cercare informazioni
sull’innamorato
di zia Carmen, tale Eleazar.
“Edward!
Non pensavo che portassi le tue conquiste anche in
ospedale!”, commentò Alice
con una risatina, ricominciando a mangiare immediatamente per non
beccarsi una
delle mie occhiate assassine.
“Ero
con
Bella”, risposi piccato e con una punta di orgoglio.
“Chi
è
Bella?”, ecco che i miei partivano con
l’interrogatorio.
“E’
una
ragazza molto carina, non c’è da
preoccuparsi”, si affrettò a tranquillizzarli
mia sorella mentre io aprivo la bocca, in procinto di rispondere.
“Frequenta
la tua scuola?”
“No, va
in quella di Mike, Jessica, Victoria e Irina. Te li ricordi?”
“Oh,
certo!
E Mike! Ancora ricordo quando giocavate sempre insieme
all’asilo! Eravate
inseparabili, davvero due splendidi angioletti!”,
esclamò Esme, gli occhi resi
improvvisamente lucidi dall’ondata di nostalgia.
“Adesso
è un po’ cambiato”, mormorai con
ovvietà.
“Be’,
sarebbe stato strano se non l’avesse fatto. Sei cambiato
anche tu, però,
Edward. Ogni sabato sera in discoteca … tante ragazze
intorno … come questa
Bella, no?”, domandò sollevando un sopracciglio,
facendomi capire che era
proprio lì che voleva arrivare.
“No,
no,
no, no!”, risposi con enfasi e velocità.
“Siamo
solo … amici”, mentre queste parole uscivano dalla
mia bocca, però, non facevo
altro che rifletterci, pensare a come questa definizione poteva essere
esatta.
Prima di
conoscere Bella, utilizzavo la parola amica per definire una ragazza
con cui
avessi parlato anche soltanto cinque minuti del tempo meteorologico.
Era per
questo che non avevo esitato un attimo a chiamarla così il
giorno che mi aveva
presentato a sua madre o il motivo per cui facevo fatica a ricordarmi
di tutti
i miei amici: sbagliavo a considerarli tali.
Solo
grazie a Bella ai nostri discorsi paurosamente filosofici, avevo
compreso che
amico era una definizione importante, da non usare a caso e per
chiunque.
Ma ora
che definizione stavo fornendo ai miei genitori, parlando di Bella? Di
quegli
amici che non dovevano essere considerati tali oppure di una persona in
cui
avevo imparato a riporre la mia fiducia?
Mi
tornò
alla mente, come un flashback, il nostro pomeriggio, proprio nel
momento in cui,
mentre inseguivamo con finta indifferenza il nonnetto
olivastro, i lacci della sua scarpa le avevano intralciato
il percorso e, scusandosi, si era dovuta abbassare per annodarli.
Un gesto
normalissimo, privo di qualsiasi malizia o doppio senso … e
allora perché i
miei occhi si erano attaccati senza alcun pudore al suo fondoschiena?
Effettivamente,
altre volte era capitato che certe ragazze si chinassero soltanto per
mostrare
le proprie forme ai miei occhi e mettersi in mostra, ma Bella
… nei suoi
movimenti c’era sempre una così grande innocenza
che non potevo assolutamente
permettermi di pensare che avesse un secondo fine.
Era una
ragazza molto carina, nonostante si rifiutasse anche solo di pensarlo,
e, in
quanto a tale, i miei occhi, da quando l’avevo vista per la
prima volta, non
avevano potuto fare a meno di seguire le curve armoniose del suo corpo,
appena
pronunciate e nascoste dagli abiti pesanti e semplici.
Quando
si era rialzata, mi aveva sorriso non solo attraverso la piega delle
labbra, ma
anche con gli occhi, caldi e profondi nel loro colore simile a quello
del
cioccolato.
Una
miscela bollente di Nutella fusa in cui sempre più spesso
desideravo annegare.
Che
sfaccettatura della parola amica avrei dovuto intendere, a quel punto?
Dovevo
incominciare a riflettere a lei come una delle mie potenziali conquiste?
Quando
avevo pensato a lei in questi termini, il giorno dopo il nostro
incontro giusto
perché non avevo nulla di meglio da fare, mi ero quasi messo
a ridere.
Bella
era … totalmente opposta a tutte quelle che erano e
rimanevano le mie ragazze,
ex ed attuali. Loro avevano una vita sociale decisamente più
attiva, avrebbero
voluto diventare modelle, non avevano pensieri seri e morali. O, se li
avevano,
non ne parlavano affatto. Erano diverse.
Anzi,
Bella era diversa.
Eccolo,
avevo improvvisamente trovato l’aggettivo più
adatto a lei.
Era
differente da tutte le compagnie a cui ero abituato, faceva sorgere
quella
parte di me che non credevo nemmeno di possedere, una sfaccettatura
comprensiva
e sensibile, capace di ascoltare gli altri.
In un
primo momento avevo preso l’amicizia con Bella un
po’ come una sfida con me
stesso e la mia apparente bellezza, nonostante adesso me ne vergogni.
Vederla
così agguerrita, seria e testarda era ciò che mi
aveva spronato a provarci, a
far sì che a poco a poco si sciogliesse, diventasse come
creta nelle mie mani,
disposta a fare qualsiasi cosa sotto mia richiesta.
Si
trattava di una sfida che comprendeva come risultato finale il
conquistarla,
fare in modo che stravedesse per me, così come ogni altra
ragazza – eccetto mia
sorella, è chiaro.
Non so
dire come, con il passare del tempo, questo scopo sia cambiato. Non so
davvero
come fare, come capacitarmi del fatto che adesso la mia
priorità non è solo
quella di vederla sorridere una volta ogni tanto, ma che
quell’adorabile
smorfia, quella testimonianza della sua felicità, rimanga
sul suo volto tutto
il giorno, ogni giorno.
POV
BELLA
“Zia,
è
inutile che continui a far finta di nulla. Sappiamo tutto.”
Edward
le si muoveva leggiadro intorno, sempre con quella sua aria scanzonata
a senza
pensieri. Da Peter Pan, l’avevo mentalmente definita.
Trattenni
una risata per il tono solenne che aveva usato, limitandomi a rimanere
seduta
sulla barella di Carmen, proprio vicino a lei.
Edward
mi aveva spronato ad approfittare dell’assenza della donna
che condivideva la
stanzetta con sua zia per poterle parlare.
Il
giorno prima c’eravamo dati parecchio da fare per riuscire a
capire chi fosse
l’uomo a cui erano rivolti costantemente i suoi pensieri dato
che era spesso e
palesemente assente con la testa e … forse anche con il
cuore.
“Edward,
perché continui a dire queste cose? Non
c’è assolutamente nulla che dobbiate
sapere!”, rispose stizzita lei, arrossendo ed abbassando lo
sguardo sul suo
grembo.
“Non
sono sempre stato il tuo preferito? Non ti ho sempre detto quali
ragazze mi
piacevano?”, continuò imperterrito con sguardo
tenero.
“Sì,
sì.
E’ vero. Ma questo cosa c’entra?”
“Vede,
Carmen,”, m’intromisi, “abbiamo capito
qual è il motivo dei suoi sbalzi d’umore
e del suo essere perennemente in un altro mondo”
“Ah
…
sì?”, gracchiò stringendo la presa sui
braccioli della sedia rotelle.
“Eh,
già. Sa com’è, anche suo nipote
è dotato di intuito femminile …”
“Ehi!
Non è vero!”, si lamentò dandomi una
gomitata mentre Carmen ridacchiava.
“E
sappiamo anche chi è la
causa”,
continuai piegando la testa di lato.
La sua
risata si interruppe di botto mentre gli occhi si strabuzzavano.
“L’avete
pedinato?!”
“No,
assolutamente!”, esclamai nel momento esatto in cui Edward
rispondeva ‘Sì’ con
molta nonchalance.
La
carnagione dorata del viso della donna si tinse immediatamente di rosso
mentre
tentava di capacitarsi della cosa. “Lui … io non
so nemmeno se sia sposato o …”
“E’
vedovo, zia, proprio come te. Ormai da tanti anni”, la
interruppe gentilmente
il ragazzo.
Carmen
sbatté le ciglia, frastornata. “Eleazar
è vedovo?”, mormorò quasi tra
sé e sé.
“Vedi
che è Eleazar? Non poteva certo essere il broccolo che si
porta sempre
dietro!”, mi disse concitato Edward, desideroso di far
emergere la sua ragione,
per una volta che la possedeva.
“Guarda
che nemmeno Alistair è così male!”,
ribattei.
Il
giorno precedente avevamo avuto dei seri problemi
nell’individuare chi fosse
l’uomo per cui Carmen si era presa una cotta. Avevamo notato
subito che il suo
sguardo, non appena passavamo per il corridoio, si fiondava verso una
coppia di
uomini dalla pelle olivastra, i due fratelli Eleazar e Alistair.
Il primo
aveva un fascino indiscutibile grazie a quegli occhi neri, i capelli
brizzolati,
la carnagione e quell’aria da misterioso principe del
deserto. Si trovava
all’ospedale per seri problemi di cuore. Il secondo invece,
molto simile al
fratello per tratti somatici, non aveva nello sguardo quella calma
tipica degli
orientali, al contrario, era molto agitato e nervoso, spesso colto da
tic alla
testa e alle mani.
“Dovreste
provare a parlargli”, la incitai con un sorriso.
Carmen
era una donna molto bella ed elegante, nonostante le sue continue
lamentele
sulla salute e la situazione della sua gamba e non avrebbe avuto nulla
da
perdere se avesse scambiato qualche parola con l’affascinante
egiziano.
“No,
non
posso.”, rispose rassegnata, sul volto un’ombra di
tristezza infinita. “Suo
fratello gli sta sempre alle costole e la mia gamba … no,
non posso. Non sarei
mai degna di lui”
Nonostante
la situazione non fosse certo allegra, mi ritrovai a sorridere,
riflettendo su
come ogni persona, giovane o no, avesse sempre dentro di sé
una parte
adolescente, difficile, permalosa, pessimistica.
L’avevo
imparato da tantissimo tempo, ormai, dato che proprio mia madre ne era
la
prova. Renée era un po’ differente dalla maggior
parte degli adulti: non
tentava nemmeno di nascondere questa parte da teenager,
anzi, la teneva a pari livello di quella matura e
risoluta che, anche se spesso, scherzando, dicevo non esistesse, faceva
comunque parte di lei.
“Scusatemi,
adesso vorrei restare un po’ da sola”,
mormorò con gli occhi bassi, muovendo
freneticamente le mani sudate sulle ruote della sedia a rotelle e
allontanandosi da noi.
La porta
della stanzetta che le era stata assegnata era socchiusa,
perciò le bastò una
lieve spinta per aprirla e avviarsi nel corridoio, sempre costretta su
quella particolare
seggiola.
Edward
sospirò, afflitto, sedendosi accanto a me sulla barella.
“E
adesso cosa facciamo?”, chiese sconsolato.
“Edward,
se un tuo amico non avesse il coraggio per chiedere di uscire alla
ragazza che
gli piace cosa faresti?”
“Be’,
prima di tutto mi accerterei dell’identità della
ragazza. Sia mai che un mio
amico si interessi ad una che mi piace.”, rispose schioccando
la lingua e
ritrovando l’ironia di sempre, dopo un attimo di
perplessità.
“Dopo
questo tuo accertamento?”, continuai alzando gli occhi al
cielo.
“Proverei
ad aiutarlo, in qualche modo.”
“Vedi
che non sei così deficiente, in fondo?”, chiesi
ridacchiando e alzandomi in
piedi.
“Bella,
non c’è che dire, i tuoi costanti complimenti mi
lusingano”, esclamò
sarcastico.
“Dobbiamo
aiutare tua zia a superare questa crisi del ‘non sono degna
di lui’ e … sì,
prendere in mano la situazione”
“Hai in
mente qualcosa, vero?”, domandò retorico,
inarcando un sopracciglio e
sorridendo sghembo.
Annuii
solenne, imitando la sua espressione di poco prima. “Forse
per la prima volta”.
Pronunciando
queste parole, mi resi conto che erano vere, che non mi ero mai
impegnata in
nulla, che non avevo mai progettato
nulla.
Ma, come
si dice, c’è sempre una prima volta.
* * * *
* *
Il vento
tra i capelli, le luci calde e tenui della sera, il rombo della moto
…
Erano
queste le uniche cose a cui pensavo, le uniche cose che mi circondavano
in quel
momento.
E mi
chiedevo perché.
Perché
in quel momento, con le braccia attorno alla vita di Edward, sulla sua
Ducati,
i miei unici pensieri fossero cose normali, felici, serene. Mi
domandavo come
mai le ansie per la mia solitudine, la mia malattia, la mia estrema
voglia di
morire fossero lontane.
Eppure
la sentivo l’aria fresca tra i capelli, quei capelli che in
ogni istante mi
ricordavano stessero cadendo a ciocche, sempre di più,
sempre più spesso. Li
ritrovavo la mattina appena sveglia, sparpagliati sul cuscino su cui
avevo
appena dormito oppure sul pavimento della mia camera, del bagno,
ammucchiati in
angoli.
Perché in
questo momento è tutto
così semplice?
Perché
pensare a come risolvere il piccolo problema amoroso della signora
Carmen
riusciva ad alleviare questi tormenti, a farmi dimenticare?
Non li
consideravo illusioni come quei libri che leggevo, però.
Edward era reale,
infatti, non era frutto della mia fantasia, era una persona in carne ed
ossa
che si era intestardito con me, per qualche motivo. Ma non sapeva della
leucemia.
A volte
pensavo a come sarebbe stato se glielo avessi detto così,
subito, senza
pensarci. “Sono qui all’ospedale perché
ho il cancro, qualche problema?”
Probabilmente
si sarebbe allontanato, si sarebbe scusato per aver fatto troppe
domande e non
gli avrei più rivolto la parola. Oppure, se nonostante
questo avrebbe tentato
di approfondire la conoscenza, ero sicura che avrebbe assunto un
atteggiamento
di compassione, pena, lo stesso che a volte leggevo negli occhi di mia
madre, o
di Phil, o di papà.
Può una
malattia cambiare tutto?
Senza
che riuscissi a trattenermi, qualche lacrima sgorgò dagli
angoli degli occhi,
andando a inumidirli.
Edward
dovette accorgersene, spiandomi dallo specchietto retrovisore,
perché la sua
mano abbandonò il manubrio ed andò a sfiorare
gentilmente le mie, ancorate ai
suoi fianchi senza stringere troppo.
Com’era
facile per lui.
Nonostante
fosse un ragazzo, spesso vedevo in lui un bimbo insicuro, ignaro delle
sofferenze della vita, della delusione. Ed
è giusto così, mi dicevo, dovrebbe
essere così. Che non fosse a conoscenza del
dolore, ma di quelle piccole
cose – il Luna Park, il giro in centro, Peter Pan, la
scrittura di un libro, un
sorriso stampato sempre in volto, battutine e risate allegre
– che, secondo
lui, rendevano la vita degna di quel nome, degna di essere vissuta.
E a
volte mi sorprendevo ascoltando queste sue idee di speranza, ricordando
che
aveva la mia stessa età e non tante differenze rispetto a me
se non degli amici
su cui contare e la salute, elementi che mai avevo considerato
così tanto come
allora.
Forse,
quando già dall’asilo me ne stavo per i fatti
miei, lontano dalle bambine e
dalle loro barbie troppo costose, avevo preteso troppo dalla vita. Un
principe
azzurro pronto ad arrivare ad ogni schiocco di dita, tanti amici che
non mi
giudicassero né rimproverassero, dei genitori che andavano
d’amore e d’accordo,
un universo il cui centro ero io.
E allora come mai in
quel momento
ero felice?
Strofinai
la guancia umida contro la spalla di Edward, ascoltando il suo respiro
calmo e
sorridendo, ricordando che era proprio una sua frase la risposta alla
mia
domanda.
Non
c’è bisogno di ricchezza e
popolarità per essere felici, basta avere dei punti fermi,
delle piccole gioie
anche di un solo momento. A quel punto non avrai bisogno di sogni
irrealizzabili: sarai contento così come sei, con un
sorriso.
*Spunta
da un angolino con un sorrisino angelico e l'aureola sulla testa*
Perdono!!!
Chiedo umilimento perdono per il ritardo!
Durante le vacanze ho avuto un bruttissimo periodo e anche se sono
stata a casa in questi ultimi tre giorni e avrei potuto scrivere, non
ci sono riuscita per colpa della febbre >.<
Il capitolo sarebbe dovuto durare di più, ma se avessi
aggiunto anche l'ultima parte sarebbe risultato estremamente lungo
perciò l'ho concluso con le riflessioni di Bella.
Penso di aver scritto un capitoletto abbastanza ricco di informazioni
non solo dalla parte della nostra eroina ma anche da quella del nostro
mito (permettetemi di chiamarlo così! XD) mettendo in luce i
suoi pensieri su Bella, la sua condizione economica e familiare ... a
proposito di quest'ultima: vi sembra manchi qualcuno nel quadretto
familiare dei Cullen? Un qualcuno che non è nemmeno mai
stato nominato?
Vi lascio alle vostre riflessioni ù.ù
Il giorno precedente a quello descritto, Edward e Bella hanno fatto un
giretto all'ospedale per scoprire qualcosa su questo Eleazar e
origliando qualche conversazione hanno saputo i motivi per cui
è lì all'ospedale e chi è quella
piovra che gli sta sempre accanto (XD). Di conseguenza hanno voluto far
aprire la zietta e far sì che confidasse loro la sua cotta
per il principe del deserto. Come dico io, il fascino del capello
brizzolato colpisce ancora ... XD
Le risposte alle recensioni arriveranno piano piano, sperando che la
febbre mi lasci un po' di tregua!
Recensite, per favore!!!!!
Ringrazio
immensamente tutte quante, per
ogni
bella parola ed ogni sorriso che mi regalate.
Vi voglio bene!
Bacioni,
Ele
:***
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