L’angolo di Calcifer lo Spirito del Fuoco:
Finalmente l’autrice riesce a dare un minimo di senso alla scheda personaggi
nell’introduzione della fic, era anche un po’ ora visto che siamo già alla
bellezza di 3 capitoli e 1 prologo. L’autrice, ancora turbata dalla morte di
Sarah Essen-Gordon per mano del Joker in Batman, lascia indietro qualche
apostrofo in segno di protesta. Se qualcuno non lo sapesse la Tanzanite
nominata nel capitolo precedente è una pietra bellissima resa famosa da Tiffany
di colore blu intenso con riflessi violetti (QUI). Le Danaidi sono statue di “portatrici d’acqua”,
pregasi notare l’ironia di uno spirito del fuoco che parla di acqua. Il
ritardo vergognoso con cui l’autrice posta
questo capitolo, tra l’altro brevissimo, s’è davvero sprecata, è dovuto alla
scomparsa (metaforica) della sua compagna di Brainstorming, attività dalla quale
Essa traeva non solo un gran diletto ma anche le idee migliori e qualche
correzione grammaticale.
Quindi immaginarsi adesso quanti apostrofi messi a caso troverete!
«Quando si agisce è segno che
ci si aveva pensato prima;
l’azione è come il verde di
certe piante
che spunta appena sopra la
terra, ma provate a tirare
e vedrete che radici
profonde.»
Alberto Moravia
3.
THE
EARTHY
(La Terra)
L’ho incontrata che eravamo solo due bambini, fuori dai confini del
palazzo. Mi ero affettato a defilarmi una volta adempiuto al mio dovere di far
presenza a saluti e convenevoli, quando sapevo che non si sarebbe più badato
alla mia assenza. Mi ero incamminato verso i giardini posteriori senza prestare
particolare attenzione a che nessuno mi scorgesse e atteggiando l’espressione a
quella neutra indifferenza che mi contraddistingueva con l’intenzione di
trascorrervi l’intera giornata in compagnia di me stesso ma una volta lì,
nauseato quell’esplosione profumi e colori, avevo preso la via della piccola
uscita posteriore e poi fuori, attraverso prati che ai tempi si perdevano oltre
l’orizzonte. Seguendo lo sfregio del piccolo sentiero bianco mi recai al
ciliegio sulla collina su cui mi arrampicavo ogni volta che sentivo il bisogno
di restare solo, passivamente, strascicando lento il passo come i muli. Non era
come se avessi fretta.
Arrivai guidato dalla bellezza
dei petali.
Vi era stata in quei giorni
un’insolita fioritura fuori stagione, e a fine estate la pianta portava sui suoi
rami un carico talmente gravoso che questa si curvava sotto il peso dei suoi
stessi fiori, creando un rifugio di un color rosa pallido che tingeva dei suoi
colori perfino l’ombra ai suoi piedi. Totalmente rapito da quello spettacolo non
mi sarei mai accorto di non essere solo se non fosse stato per quel flebile
singulto soffocato che tradì una presenza estranea. Volsi lo sguardo di scatto
in direzione del suono, una mano già pronta sull’elsa della spada in caso si
trattasse di un incontro spiacevole, ma tutto quello che trovai del feroce
avversario che mi aspettavo fu un tremulo baluginio di bianco che cacciò uno
sgrilletto acuto prima di sparire del tutto dietro il tronco. Abbandonando ogni
intenzione bellicosa sporsi la testa di lato, incuriosito.
Trovai una bambina in piedi lì
dietro.
Più giovane di me di non più
di un paio d’anni ma tanto piccola da dimostrarne quasi la metà faceva capolino
da dietro il tronco dell’albero che ne nascondeva l’intera figura a parte le
piccole dita affusolate dei palmi con cui si aggrappava e il lembo di un abito
di uno splendore abbacinante. Era talmente minuta da far sembrare grottescamente
grande tutto quello che le stava attorno. Le guance erano colorate di un pallido
vermiglio e la bocca era atteggiata a una “O” di meraviglia che pareva sul punto
di schiudersi in un sorriso estatico; gli occhi parzialmente celati da ciocche
di una chiarezza trasparente riflettevano l’azzurro pallido del cielo: erano
spalancati all’inverosimile e brillavano d’eccitazione verso il basso.
Ma ai suoi piedi non c’era
nulla a parte un buco.
Subito la bollai come pazza ma
la curiosità fu più forte e mi avvicinai di qualche passo per controllare che
non ci fosse effettivamente qualcosa di interessante da rimirare con tanta
attenzione. Visto che non mi aveva neppure salutato né aveva sobbalzato al mio
arrivo credevo fosse così concentrata che sarei riuscito ad avvicinarmi e ad
andarmene senza farmi notare, invece appena fui a portata di mano mi afferrò per
il polso con una forza che non proprio non le si sarebbe data e mi tirò a terra
facendomi crollare in ginocchio nella fanghiglia fresca di pioggia. Il mio
sguardo attonito incontrò il più luminoso dei sorrisi.
Gentile e complice.
Di quelli riservati a un
vecchio amico.
- C’è un coniglio qui dentro!
– strillò eccitata. – Guarda anche tu!
Una
sera di tanti anni prima la regina Calyce attraversava nervosamente il piccolo
giardino che rallegrava la vista del balcone delle sue stanze in passi lunghi e
affettati. Col cuore oppresso da un’ansia crescente, sotto la vista delle sue
dame più fidate e della nutrice di corte, cercava inutilmente di porre fine al
pianto disperato del fagottino che stringeva tra le braccia. Le venne chiesto di
rientrare in casa: nonostante fosse ormai primavera inoltrata le notti erano
ancora troppo fredde per lei, già di salute cagionevole e come se non bastasse
abbigliata troppo leggera, con le vesti sottili da notte e nemmeno una vestaglia
a coprirle le spalle. Invano le avevano rivolto suppliche e accorate preghiere e
nemmeno le minacce (non troppo convinte) di dire tutto al suo sposo aveva
sortito alcun effetto sulla risolutezza della sovrana: con le guance imporporate
graziosamente dal vento e gli occhi che brillavano come zaffiri alla luce
tremula delle lampade, le labbra rosse tese un poco all’insù in un sorriso
appena accennato, chiese loro di pazientare un poco, solo un po’, perché entro
breve il suo povero bimbo si sarebbe di certo calmato. Quello, neanche a farlo
apposta, scelse proprio quel momento per esibirsi in una serie di strilli che
superarono i precedenti per intensità e disperazione. A nulla valsero neppure
gli abbracci più teneri e i più dolci sussurri all’orecchio, le pacche sulla
schiena e placide ninnate.
Non
aveva fame e non era sporco.
Lei
non sapeva che fare.
Di
giorno, baciato dal sole, quel posto era un vero paradiso: al mattino, quando il
cielo era rosa e grigio e l’aria frizzante i primi timidi raggi baciavano l’erba
intrisa della rugiada della notte e tutto splendeva di riflessi smeraldini a cui
confronto sfiguravano i gioielli più preziosi; basse aiuole e ruscelli
artificiali ne arabescavano la superficie in un intrico di arzigogoli, ricolme
di fiori in un tripudio di giallo, azzurro e lilla; sotto l’ombra degli alberi
rigogliosi spiravano zefiri gentili che portavano nell’aria un dolce profumo e
il molle mormorio dell’acqua. Persino le soffocanti mura di pietra erano
ingentilite da rampicanti di rose bianchissime ed era impossibile persino per un
bambino così piccolo non coglierne la bellezza incantevole nei momenti di crisi.
Di
notte però era diverso.
Inutilmente la regina aveva stretto al petto il suo piccolo Endymion cercando di
fargli riconoscere quei luoghi tanto amati. Lo aveva cullato tra le braccia e
gli aveva parlato con la dolcezza del placido mormorio dei corsi d’acqua, col
profumo di rose che le impregnava i capelli e la veste da notte ornata dei fiori
più belli di quel giardino. Inconsolabile, il neonato continuava a piangere, le
guance vermiglie rigate a più riprese di lacrimoni appiccicosi: stretto in
coperte di lana pesante gonfiava il petto in ampi respiri e spalancata al
massimo la bocca continuava a strillare disperato nel buio verso un cielo di un
nero uniforme.
Poi
d’improvviso, come rispondendo alle sue mute preghiere, quella perla d’argento
sospesa là in alto aveva fatto capolino dalle nubi nere tingendo il cielo di un
blu di velluto; ammantata di un’aureola di luce diafana e impercettibile in cui
vagamente si potevano distinguere i toni di un arcobaleno, aveva scacciato le
tenebre e tutto ciò che solo un istante prima era apparso come oscuro e
spaventoso ora si tingeva di un azzurro lattiginoso abbacinante. Le forme cupe e
nere di una notte senza luce si rivelarono in uno splendore di sogno e persino
il vento parve ingentilirsi all’improvviso come nel più piacevole dei pomeriggi
estivi. Il principe aveva smesso di piangere, rapito da quel piccolo miracolo.
Le vennero in mente le parole di un vecchio racconto:
C’era
una volta un bambino che s’innamorò della luna…
Io me ne stavo ritto in piedi e immobile contro il tronco dell’albero, a
braccia conserte e labbra serrate tanto che, tutto vestito di nero com’ero,
nell’ombra di fiori cullati dal vento mi si sarebbe potuto confondere col tronco
del ciliegio. Lei stava poco distante, attendeva la madre che sarebbe venuta a
prenderla di lì a poco immersa in una luce gialla a cui non sembrava avvezza e
che la costringeva a stringere gli occhi nonostante si schermasse dal sole
persino con le mani: perso interesse per quel coniglio che io non avevo visto
aveva saltellato incespicando un po’ più in là e si era messa a raccogliere
fiori per farne una ghirlanda che poi si era messa in testa. Si era pavoneggiata
sentendosi molto carina, e quando in barba al galateo di palazzo le avevo
risposto che secondo la mia modesta opinione quella più che una corona da regina
sembrava il nido di un chiurlo era scoppiata a piangere. Poi mi aveva chiesto
cosa fosse un chiurlo e quando gliel’avevo spiegato si era messa nuovamente a
piangere.
Era uno strano, sciocco, tenero coniglietto piagnucolone, e sentì il bisogno improvviso di consolarla. Mi ero avvicinato a lei e senza pensarci un istante le avevo preso la mano
nella mia baciandole il dorso come è d’uso tra gli adulti. Un gesto come un altro per farla sentire meglio. A quel punto aveva
smesso di singhiozzare e tra i tuoi balbettii privi di senso,
come se non fosse più in grado di esprimersi nella nostra lingua, persino i
suoi capelli sembrarono diventare rossi per l’imbarazzo e senza darmi il tempo di aggiungere qualche parola di studiata galanteria si strappò dalla mia presa e fuggì.
Dopo di che non la vidi mai
più. Ne fui deluso.
Non doveva essere rimasta troppo
colpita dalla mia galanteria dopotutto.
The Wood - La
cima dell'albero
(FINE)
Il cantuccio di Sophie:
Sono pessima per i seguenti motivi; 1) Ho di nuovo riscritto tutta la storia già
che c’ero (fortuna che è breve quindi la cosa è stata indolore), specie la parte
del sogno che a me personalmente faceva schifo ma nessuno mi ha detto nulla
quindi forse sono molto strana io! :D 2) Mi ci è voluto una vita per fare questo
capitolo perché c’era una cosa che proprio non riusciva a tornarmi e non capivo
cosa senza l’aiuto della mia ex beta; ora ho sistemato ma non posso aggiungere
altro perché conta come spoiler e voglio vedere se qualcuno se ne accorge. Io
dico di no perché è una cosa che sta solo nella mia testa, ma non si sa mai! :D
Ora pubblico prima di cambiare di nuovo idea, correggerò e sistemerò poi,
scusatemi. 3) Ho reso il piccolo Endymion un playboy come Bruce Wayne! Ma non
dimentichiamo che anche Mamoru-the-original nelle sue prime apparizioni
dell’anime schiacciava la testa a Rei mentre camminava per strada (con lei che
voleva offrirgli un caffè per farsi perdonare, ho provato a usare la stessa
scusa per strada ma non funziona) e derideva Usagi per i suoi capelli e la sua
faccia tonda, quindi non era un santo manco lui. Ma se proprio non accettate
l’idea e dovete farmela pagare colpitemi qui, sul pancino, che sono più morbida.
Io vorrei scrivere una storia su Mamoru un giorno. Anche se nel cuore mi è
rimasto quel sensuale pseudo - ménage tra Usagi e Diamond, dovevano spingersi
più oltre dico io anche se il mio cuore appartiene a Zaffiro, che è quello
sfigato!
Calyce
è, nella mitologia greca, la madre di Endymion (Endimione in italiano per chi
volesse consultare wikipedia per assicurarsi che non racconto palle – ma
fidatevi della mia onestà: se avessi dovuto inventarmi un nome di un OC ne avrei
scelto uno che non mi avrebbe fatto venire in mente una stoviglia)
Distraggo la mente dalle
torbide immagini di Usagi e Diamond che affollano i miei penZieri ringraziando
le mie fedelissime e irriducibili: ellephedre (se è per questo di apostrofi ne ho
scazzati ben due, ma non diciamolo a nessuno per carità! :P Io credevo che tu
avessi sbagliato l’apostrofo per compensazione del mio errore, potevi inventarti
una scusa del genere per fare bella figura, io personalmente ti avrei creduto,
sono notoriamente una boccalona. Io e gli apostrofi non andiamo d’accordo. Oh,
io adoro scrivere di particolari idioti di cui non scrive nessuno! Ho più
libertà di creatività anche se sono comunque vincolata dalla storia. E’ il
compromesso perfetto! Poi se piacciono e restano impressi mille volte meglio *_*
Invece non sopporto i personaggi eterei sempre saggi e sempre perfetti. E’ un
mio limite, devo s-perfezionarli! Da qui la mia regina e il mio Endy-Wayne.
Ormai lo chiamo così. Il suo regno è terribile, i maschi stanno tutti fuori
dalla porta! XD Sì mi sono ricondotta al prologhino, con l’albero che non ci
crederai ma ha anche un senso! Tornerà ancora! Non ci credo, era nato giusto per
dare un senso alla carta di Sakura, ho ha ha! Sono geniale! Sì sono 19 capitoli
perché in tv le carte di Card Captor Sakura sono 19 e intendo metterle tutte per
non fare favoritismi, poi si offendono! :D Grazie per la splendida recensione e
per l’occhio di falco), maryusa (Beh era anche un po’ ora che si mettesse
in mezzo l’idea di andare a passeggiare sulla Terra, altrimenti che l’ho messo a
fare mamoru/Endymion nella lista personaggi? ;D Il salto di sicuro lo farà -nel
sogno- ma non so ancora quando e non so cosa troverà dall’altra parte, io le
cose me le invento sul momento. Anche la regina è nata così! :D Tremendo! Se
piace sono tanto contenta ma anche un po’ stupita, ma ho paura che dopo questo
capitolo le fan di Endymion vorranno la mia testa! Un baciùz!), luisina
(la parte del sogno a me ha snervato, l’ho riscritta 8 volte! Non voglio più
sentirne parlare finchè non deciderò cosa far trovare a Serenity dall’altra
parte! Nel frattempo sono solo riuscita a rimediare una gran voglia di cantare
le canzoni di Alice della Disney XD Sono contenta che ti diverta, io cerco
sempre di scrivere in modo da non annoiarmi e conseguentemente non annoiare. Se
mi riesce mi sento felice! Ciaoo!), lagadema (Se ti consola non lo so
nemmeno io dove voglio andare a parare con questa storia! :D Ogni capitolo lo
creo dal niente, ho giusto le mie card di Sakura da utilizzare e vaghe
rimembranze del manga che mi rifiuto di rileggere perché per questa storia
necessito di staccarmici un pochetto per amor di freschezza. Se mi rileggo di
Endymion vero il mio Endy-Wayne ne esce demoralizzato! XD Se io vivessi per le
recensioni morirei di stenti a parte che per questa storia, mai più di 2 per
storia, ho ha ha! Ma è comunque bellissimo riceverne!), Selia (e non
c’hai l’animo della contabile, siamo pochi eletti. Per come la vedo io una
persona può prendersi tutte le libertà grammaticali che vuole, basta che sia
consapevole di quando non sono corrette! ;D Insomma, quando ci si bea della
propria voglia di sembrare ignoranti, hahaha! Che ragionamento alla Usagi,
questa donna mi sta traviando… Serenity è MOLTO usagizzata, il che mi piace
assai perché Usagi è simpatica e Serenity è solo seria. :3 Mi sa che sul
piagnucoloso qui mi odierai, temo, ma in fondo anche questa è Usagi! :D Azzo, e
qui mi serviva la mia beta che è fissata di Pratchett, io di lui ho letto solo
due libri della saga di mondo disco, dovrò chiedere lumi su questo parallelismo,
sono curiosa adesso! X3), Morea (Meno male che ci sono solo tre capitoli,
per come la sto montando e smontando a mo’ di costruzione lego se fossero tanti
capitoli, magari lunghi, mi suiciderei! XD Adesso vediamo a come gira
l’ispirazione perché senza una beta e seguente brainstorming faccio un po’
fatica dal momento che non mi fido mai della bontà delle mie idee! :3) e Vale
Lovegood (ce l’abbiamo fatta ad aggiornare ma che parto, era da mesi che non
usciva niente poi mi sono messa oggi e l’ho riscritto tutto daccapo in 2 ore
scarse. Questa è putenza! XD Sperando che la storia non abbia perso. :3)
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