Fandom: Doctor Who.
Pairing: Jack/Ten.
Rating: Pg;
Genere: Romantico.
Warning: Fluff, Missing Moment 3x13 – L’Ultimo Signore del
Tempo, Song-Fic, Slash.
Words: 690 (fiumidiparole).
Summary:
Una colazione atipica sul TARDIS.
Note: Scritta
sulle note di “Save the last dance for me”
di Michael Bublè, le strofe in corsivo sono tratte
dal testo
tradotto, per il prompt 1.
Palla, preso dalla mia cartella della Maritombola
di maridichallenge.
Dedica: A koorime,
perché sì <3
DISCLAIMER: Purtroppo Jack Harkness
e il Dottore non mi appartengono, ed ovviamente a nessuno salterebbe mai in
testa di pagarmi per i deliri che scrivo.
Save the Last Dance for Me
Tu puoi danzare ogni ballo con il ragazzo
che ti dà attenzione, permettigli di stringerti forte.
Tu puoi fare ogni sorriso per l'uomo che
stringe la tua mano sotto le luci di candela…
La visione che il Dottore si trovò davanti, quella mattina,
quando raggiunse la sala comandi del TARDIS, era qualcosa a cui nemmeno i suoi
novecento anni l’avevano preparato.
Martha Jones dormiva insieme alla sua famiglia nelle stanze
più remote della nave, mentre viaggiavano indietro nel tempo. L’aria profumava
di caffè caldo e pancake allo sciroppo d’aceri, sulla poltroncina di fronte ai
comandi era abbandonato
uno splendido cappotto reduce della seconda guerra mondiale e,
con le maniche della camicia rimboccate sugli avambracci, il Capitano Jack Harkness apparecchiava un piccolo tavolo per la colazione,
canticchiando ed accennando alcuni passi di danza sulle note di “Save the last
dance for me”. E… quella che pendeva dall’alto
era un palla specchiata? Girava lentamente, rifrangendo tutto
attorno piccoli sfarlii di luce, grazie ai faretti
della nave.
Era una scena tanto insolita e bizzarra da strappargli un
sorriso, forse anche perché il Capitano aveva davvero una bella voce, oppure
perché – dopo l’ultimo anno appena passato – sapeva d’insperata rinascita.
Non aveva nessuna idea di come Jack fosse riuscito ad
attuare tutto quello, la sua nave aveva un carattere molto selettivo e
quell’uomo era un paradosso vivente. Ma, a ben pensarci, il TARDIS aveva sempre
avuto un debole per lui – chi non lo aveva? – inoltre Jack era originario del
cinquantunesimo secolo, ci sapeva fare con la tecnologia ed aveva preso
familiarità con i comandi fin dalla prima volta che aveva messo piede lì.
«Buongiorno, Dottore» lo accolse questi con un sorriso
smagliante. «Vieni qui, avanti. Quando ti ho conosciuto sapevi ballare, fammi vedere che sai fare!» lo
esortò e, nonostante le proteste dell’amico, il Capitano riuscì presto a
trascinarlo con sé.
Jack si muoveva in modo così fluido da essere un piacere tanto
guardarlo quanto condurlo, ed il Dottore si ritrovò a sorridere ancora di più,
mentre l’altro uomo piroettava e rideva sommessamente.
Il profumo di quella tipica colazione americana gli
solleticò il naso. Sapeva che il Capitano
Jack Harkness non era davvero americano, era
un’identità rubata, eppure aveva sempre avuto quell’inconfondibile accento.
«Non mi hai mai detto il tuo vero nome» considerò, tenendo strette le sue mani e scostandosi di
un passo, prima di attirarlo di nuovo a sé.
«Ti dico il mio se mi dici il tuo» l’ex-Agente del Tempo sorrise beffardo ad
un soffio dal suo viso.
«Touché»
concesse lui.
Il tocco di Jack lo faceva rabbrividire, ricordandogli in
ogni momento quanto fosse sbagliato e
lo spaventava, lo spaventava a morte. Non solo perché il Capitano era qualcosa
che non sarebbe dovuto esistere, ma perché era probabilmente l’unica persona
nell’universo in grado di stargli accanto per sempre, il solo che non lo
avrebbe mai abbandonato.
In quel momento, però, sotto i barbagli di luce della disco ball, con quel profumo buonissimo nell’aria, non
voleva pensarci. Era da tanto che non ballava ed era davvero troppo divertente
per rinunciarci.
Si pentì di non aver portato mai nessuna delle sue compagne
di viaggio a ballare. Magari avrebbe potuto andarci
con Martha, dopo aver riportato a casa la sua famiglia. Avrebbero potuto
imbucarsi ad una serata di Frank Sinatra – tipo simpatico! – o di Elvis
Presley. Che diavolo, forse ci avrebbe portato perfino Jack!
Il Capitano continuava a cantare le parole della canzone ed,
alla fine, coinvolse anche il Dottore, mentre volteggiavano attorno al tavolo –
da dove lo aveva tirato fuori? – e alla piattaforma rotonda dei comandi. E,
davvero, non si aspettava di potersi divertire tanto dopo l’avventura appena
vissuta, dopo aver appena perso il Master, dopo essere rimasto di nuovo solo.
«Abbastanza bravo, per te?» domandò il Signore del Tempo,
quando concluse con un elegante casquet.
«Molto bravo»¹
decretò lui, ancora appeso al suo collo.
«Lo so!» sorrise con quella lieve arroganza niente affatto
immeritata e, quando lo rimise in piedi, l’amico posò morbidamente le labbra
sulle sue.
«Jack…» lo ammonì il Dottore accigliandosi.
«Me lo dovevi, ti ho fatto il caffè» lo blandì il Capitano
facendogli l’occhiolino.
«Be’…» ponderò lui, mentre lo seguiva al tavolo. «Che ne
pensi di Sinatra?» cambiò discorso, mentre in lontananza le voci della famiglia
Jones preannunciavano il loro arrivo.
«Tipo simpatico!» esclamò Jack, passandogli il caffè.
«Già!» convenne lui.
«Pensi di spegnerla?» chiese indicando la strobosfera.
«Nah! È carina»
approvò il Dottore.
Ma non dimenticare chi ti porterà a casa
e in quali braccia ti troverai.
Quindi, tesoro, riserva l’ultimo ballo per me.
FINE.
¹. “Molto bravo” è in corsivo perché ho immaginato che Jack
lo dicesse in italiano, proprio come il Dottore adora dire “Molto bene!”.
Inoltre “bravo” è una parola molto usata anche all’estero.