6- Di nuovo riunite
Di nuovo riunite
- Bene, sappiamo quando – fece Kerochan, con un'occhiata critica alla luna piena di quella sera – Ma dove? -.
- Ecco... questo Hinata non me l'ha detto – rispose Sakura, grattandosi la testa.
- E non ti ha detto nemmeno che cosa l'altro spirito dovrebbe fare? - intervenne Shaoran.
- Ehm... no -.
- Siamo messi bene! - commentò Kerochan, incrociando le zampe.
- Sentite... e se, intanto che pensate a dove andare, tornassimo
dentro? - tentò Meiling, che stava rabbrividendo – Io sto
gelando: ma perché fa così freddo? Non è
primavera? -.
- Sì, ma qui siamo in montagna. Di notte c'è una certa
escursione termica – la informò Tomoyo, che stava
benissimo con la sua giacca – Inoltre l'umidità dà
l'impressione che ci sia ancora più freddo -.
- Umidità? -.
- Sì, quella che provoca la formazione della rugiada -.
Un lampo attraversò la mente di Sakura. Rivide un cavallo bianco
che correva nel bosco, una grande radura e dei fasci d'erba coperti di rugiada.
- Tomoyo? -.
- Sì, dimmi -.
- È possibile che la rugiada duri poi fino al pomeriggio? -.
- Hmm... no, è molto difficile. Di solito, quando le piante sono
esposte al sole, non appena i raggi si fanno più forti le
goccioline di rugiada evaporano e prima di mezzogiorno sono ormai
scomparse -.
Sakura si voltò verso Shaoran, gli occhi verdi improvvisamente consapevoli.
- So dove sono -.
- Ecco -.
Chibiusa, con l'aiuto di Hotaru, aveva disposto tutta l'erba che
avevano raccolto in quelle notti in un grande cerchio illuminato dalla
luce della luna. La rugiada delle nottate precedenti era ancora
intatta, come se quelle stille d'acqua fossero ormai diventate una
decorazione permanente dei fili d'erba.
Era un cerchio complicato, dalla cui circonferenza partivano dei raggi
erbosi che si univano al centro. Chibiusa sosteneva che proprio
lì, quando la magia si fosse compiuta, avrebbe trovato la famosa
erba medicinale in grado di salvare sua madre.
La luna era grande e splendida come non mai: nel buio del bosco, senza
alcuna luce umana a disturbarla, era davvero la regina della notte.
Il cavallo era rimasto a guardare, gli occhi attenti sempre fissi sulla
sua padrona. Anche Hotaru li stava osservando, per l'ultima volta: le
sarebbe dispiaciuto davvero vederla andare via, le sarebbero mancate
quelle notti passate a raccontarsi fiabe e a preparare un incantesimo.
Ma la Signora delle Carte stava arrivando, e tutte loro le avrebbero obbedito.
Gli alberi si ergevano come grandi ombre scure, spettrali nella loro
oscurità. Avevano una torcia per illuminare il suolo e aiutare
Shaoran a ricordare la strada per la radura, ma era come se tutto quel
buio inghiottisse il debole fascio di luce della pila.
- Ehi, cos'è questo profumo? - domandò Tomoyo quando ormai si stavano avvicinando alla radura.
- Sembra... erba tagliata. Ma è molto più buono – fece Meiling, annusando l'aria.
- L'ho sentito anch'io, l'altra volta. Ed è lo stesso odore che
pervade questo posto da quando siamo arrivati, ma qui è
più forte – aggiunse Sakura.
- Già – annuì Shaoran, intento ad illuminare la strada. Ad un certo punto si fermò – Eccoci -.
Uscirono dall'oscurità del bosco per ritrovarsi nella radura
inondata dalla luce della luna: l'immagine che apparve ai loro occhi
sembrava uscita da un libro di fiabe.
C'era una bambina, una bambina con un candido vestito dalle maniche a
sbuffo, e accanto a lei uno splendido unicorno bianco e alato.
Una principessa con il suo magnifico destriero.
- È quello il cavallo
che ho visto! - esclamò Sakura, rivolta a Shaoran – Ma...
ma non aveva quel corno! E tanto meno le ali! -.
- In effetti doveva essere un cavallo normale, se è quello
abbattuto dopo l'incidente – disse lui – Non capisco che
cosa... -.
- E così siete arrivati. È un piacere incontrarvi, anche se penso di essere l'ultima ad avere questo onore -.
A parlare era stata una ragazza poco più grande di loro, coi
capelli neri tagliati a caschetto e grandi occhi scuri. Avrebbe anche
avuto un aspetto amichevole, se non fosse stato per la lunga falce
affilata che teneva in mano.
- Tu sei... Hotaru? - domandò Sakura.
Lei annuì.
- Hotaru, sono amici tuoi? - domandò Chibiusa, avvicinandosi.
- Non proprio. Sai, io credo... - lanciò loro un'occhiata, sorridendo piano - … che siano amici della tua mamma -.
- Davvero? -.
- Beh... - non che ci avessero esattamente parlato, ma in effetti erano lì per lei. O almeno, sembrava che la Carta fosse lì per lei. Per lei e sua figlia, che ora si trovava lì di fronte a loro.
- Sei tu, non è vero? Chibiusa, intendo dire -.
Lei annuì con entusiasmo.
- Sì, e lui è il mio cavallo. Si chiama Pegasus -.
- Pegasus? -.
A Sakura un nome del genere non diceva nulla, ma sembrava che Tomoyo sapesse qualcosa al riguardo.
- Il cavallo alato – commentò – Bellissimo nome -.
- Grazie! - rispose Chibiusa, facendosi poi subito seria – Avete visto la mia mamma? Come sta? -.
- Beh, lei... - Sakura, l'unica ad averla vista due volte, non sapeva
cosa rispondere – Sta… riposando molto, in questo periodo
-.
Chibiusa annuì, il faccino serio ma speranzoso.
- Vedrete che da domani starà meglio. Non appena sarà
pronta l'erba medicinale gliela porterò immediatamente! -.
- L'erba medicinale? Di cosa stai parlando? -.
Lei indicò il cerchio d'erba in mezzo alla radura.
- Della medicina magica per allontanare la Morte da lei. L'ho vista,
sapete, non la lascia mai un momento! Se non faccio qualcosa si
porterà via la mia mamma, come nella fiaba! -.
- La... la fiaba? -.
Malgrado nessuno di loro avesse ben capito le parole di quella strana
bambina, una cosa era chiara: era convinta che sua madre stesse per
morire. Ma sapeva di essere lei, ad essere stata portata via?
- Ma sì, quella di Coma... -.
Un improvviso lampo di luce interruppe Chibiusa; si voltarono verso il
cerchio d'erba, e la bambina esultò dentro di sé. Sotto
la luce della luna le gocce di rugiada avevano cominciato a scorrere
lungo i fili d'erba, verso il centro del cerchio. Sembrava una scia di
lacrime in processione, uno spettacolo che fece trattenere il respiro a
tutti e rese la notte ancor più silenziosa.
Alla fine un ultimo, piccolo sprazzo di luce illuminò la radura,
e quando Chibiusa si avvicinò una leggera brezza spazzò
via l'erba ormai secca. Guardò, e per un impercettibile istante
rimase quasi delusa: non c'era alcuna erba magica, ma al centro di
quello che era stato il cerchio costatole tanta fatica era rimasta una
specie di perla, grande come una noce.
Tuttavia, curiosa come qualunque bambina, si chinò a
raccoglierla. Dovette ammettere che era bellissima: bianca come la
luna, ma trasparente come una lacrima. Sembrava un cristallo. (¹)
La avvicinò ad un occhio, provando a guardarvi attraverso. Non
notò niente di strano: notte e buio, alberi ed erba. Ma quando,
scorrendo lentamente il paesaggio, arrivò al suo cavallo,
trattenne il respiro.
- Oh... Pegasus! Sei bellissimo! - ed era davvero bellissimo, con
quelle grandi ali bianche e il corno dorato sulla fronte, simile a quei
destrieri delle favole che lei avrebbe tanto voluto cavalcare.
Ormai convinta di aver creato una specie di lente magica, quando la
abbassò rimase a dir poco allibita nel constatare che il suo
Pegasus non era affatto tornato alla normalità.
- Hotaru... guarda! - corse verso di lui, accarezzandogli piano le froge – Com'è possibile? -.
- Sei stata tu, Chibiusa -.
- Cos... - distratta dall'amica, non si accorse che il cavallo aveva
mosso il muso verso di lei, toccandole la fronte. E allora
ricordò.
Ricordò il serpente, la caduta. La paura che si era spenta
immediatamente contro quella pietra. Sua madre che piangeva, lontano, e
suo padre che abbracciava qualcosa di molto freddo.
E si rese conto che sua madre non era malata, ma stava male per lei.
Come suo padre, che cercava di essere forte e portare avanti la loro
vita malgrado dentro fosse devastato.
Rimase talmente sorpresa che non pianse affatto. Ma forse non ne era
nemmeno più capace. Alzò piano la mano che stringeva
quella specie di cristallo, e lo toccò con la punta della lingua.
Salato. Salato come il mare, lo stesso sapore che aveva sentito in
bocca ogni volta che aveva pianto. E se, invece che gocce di rugiada,
avesse trascorso tutto quel tempo raccogliendo delle lacrime?
- Non pensare che ti abbia ingannato, Chibiusa. Dovevi arrivarci da sola – le disse Hotaru.
- E... se avessi sbagliato? Se non avessi fatto la cosa giusta? - domandò lei, ansiosa.
Hotaru scosse la testa.
- Era impossibile. Anche se non sapevi dove stavi andando, qualunque
strada ti ci avrebbe portato. Anche Pegasus se n'era reso conto -.
- Ma... adesso? -.
- Adesso lo sai tu – le sorrise l'amica, accennando poi all'unicorno – E lo sa anche lui -.
Quando Sakura e gli altri videro la bambina abbracciare di slancio il
suo cavallo non capirono cos'era accaduto. E non capirono nemmeno
quando la videro dare qualcosa di tondo e bianco a Hotaru, abbracciando
anche lei. Fece per salire in groppa al suo unicorno alato, ma
all'ultimo momento si voltò verso di loro, lo sguardo ancora
preoccupato sebbene gli occhi non tradissero alcun rimpianto.
- E... la mamma? La mia mamma starà bene? -.
No. Sì. Come dirle che sua madre non si sarebbe mai ripresa del tutto, per quanto avesse continuato ad andare avanti?
- Avrà pace, se anche tu l'avrai - una voce delicata come la
neve annunciò la comparsa di una ragazza dai lunghi capelli neri
che frusciarono nella notte. Chibiusa fece tanto d'occhi quando la
vide, stringendosi inconsciamente al suo cavallo.
- Non l'ho portata con me, stai tranquilla – la rassicurò Hinata – Non sono io a doverlo fare -.
La bambina annuì, rincuorata dalla voce dolce di quella che fino
a quel momento aveva chiamato “Comare Morte”. Saltò
in groppa al suo cavallo, leggera ed agile come un'amazzone.
- Addio, Hotaru. Sei la migliore amica che abbia mai incontrato! - le
gridò, prima che l'unicorno partisse al galoppo e si alzasse in
volo. Salì e salì, verso la sfera luminosa della luna,
finché la sua sagoma bianca divenne minuscola come una stella e
non si distinse più nel buio della notte.
- Un tipo simpatico, devo dire. Di solito i cavalli sono così
nervosi... - la voce squillante di Luna calamitò l'attenzione di
tutti, ancora intenti a scrutare il cielo scuro.
- Oh, tu devi essere... -.
- Luna, sì – la gatta fece un piccolo inchino, e il
simbolo sulla fronte brillò alla luce della luna –
È un onore conoscere la nuova Signora delle Carte -.
Kerochan sbuffò: con lui non era stata certo tanto ossequiosa e riverente.
Sakura osservò quei tre strani esseri, posizionati ai vertici di
un triangolo immaginario inscritto in quella radura. Alla sua sinistra
una ragazzina poco più grande di lei, con in mano una lunga
falce; alla sua destra una ragazza dall'espressione così dolce e
gli occhi bianchi della morte; di fronte a lei un gatto nero parlante.
Tre spiriti che, a quanto sembrava, erano uniti per l'eternità.
- Era questo che dovevate fare? - non riuscì a fare a meno di
chiedere – Aiutare quella bambina ad andarsene? E l'avete fatto
tutte insieme? -.
Hotaru annuì:
- Lei sarebbe rimasta qui, altrimenti -.
Sakura sorrise: - È la prima volta che una Carta aiuta
così le persone – in modo tanto cosciente e studiato; era
capitato che altre Carte si fossero affezionate a degli umani, ma era
stato molto diverso.
- Portate pazienza – intervenne Kerochan – Io gliel'ho spiegato che non siete come le altre Carte, ma lei non lo vuole capire -.
- E pensate che lui non si ricordava nemmeno di voi, invece! -.
Luna sorrise sorniona: - È per questo che ci intendiamo meglio con Yue -.
Sakura annuì sorridendo.
- Lo rivedrete presto -.
Fu Hinata a fare un passo avanti nella radura, imitata senza indugio
dalle altre: da questo minimo particolare, Sakura intuì che in
qualche modo doveva essere lei, il “capo”.
- Bene, direi che siamo pronte – le annunciò infatti. Hotaru e Luna confermarono con un cenno, in attesa.
Sakura mosse qualche passo in avanti, pronta a compiere ciò che aveva già fatto decine di volte.
Alzò lo scettro, e un colpo di vento luminoso rivelò il cerchio magico.
- Morte! - lo scettro incontrò una barriera invisibile,
iniziando a raccogliere l'energia della Carta – Torna prigioniera
nella Carta di Clow! Azione! -.
Hinata, Hotaru e Luna sparirono in un soffio, i capelli e il pelo nero
risucchiati in un vortice d'aria che le portò a ricongiungersi
in un unico punto, nella forma tangibile della Carta che si
materializzò in mano a Sakura.
Eccola lì, finalmente. “The Death”. Il fronte della Carta era diviso in tre parti rappresentanti i tre spiriti che la abitavano, di nuovo riuniti.
- Brava, Sakura! - esclamò Tomoyo, contenta di riuscire finalmente a vedere l'aspetto dei tre spiriti, perlomeno sulla Carta. Era un vero peccato non aver potuto filmare quella che si era rivelata una vera storia di fantasmi.
- Hai visto? Fatta anche stavolta! - esclamò Kerochan.
- Ehi, guarda! - Shaoran indicò un punto di fronte a lei, fra
l'erba. Si chinò a raccogliere qualcosa, e quando si
rialzò Sakura riconobbe il cristallo che Chibiusa aveva dato a
Hotaru prima di volare via.
- Che cosa dovremmo farne? - chiese Meiling.
- Io credo che... dovremmo farlo avere alla signora Chiba. Anche se non
verrà a sapere nulla di tutta questa storia è giusto
così, non credete? -.
Tomoyo e Shaoran annuirono col capo, e poco dopo tutti e quattro tornarono al dormitorio ripercorrendo la strada a ritroso.
Un istante prima di abbandonare la radura Tomoyo si soffermò un
momento a guardarla, abbracciandola con lo sguardo. La luna piena la
illuminava completamente e gli alberi scuri la incorniciavano, quasi
fosse stata un quadro.
- Uno scenario davvero perfetto – mormorò – Che peccato -.
Più tardi, nella stanza della donna, Sakura si stupì di
non trovarla sola come aveva immaginato. Lo spirito non c'era
più, ma al suo posto vide un uomo alto dai capelli scuri: di
sicuro suo marito, anche se lei non lo aveva ancora visto.
Protetta dalla Carta della Sparizione, aprì piano una tenda
lasciando che un raggio di luna scivolasse all'interno. L'uomo teneva
la mano della moglie addormentata, e se ne accorse a malapena.
Ma quando Sakura poggiò quella specie di cristallo sul comodino,
accanto al vaso di garofani selvatici e alla foto di Chibiusa, le
sembrò che l'uomo avesse alzato la testa e le avesse sorriso.
"No, assurdo" pensò. Doveva esserselo immaginato. Eppure poco
prima di lasciare la stanza si voltò un'ultima volta a
guardarli; se la loro figlia le era sembrata una principessa delle
fiabe, quei due avevano tutta l'aria di due sovrani: un re che assiste
la sua amata regina.
- Salutami quella gatta -.
Tre parole che la fecero bloccare all'istante, incredula. A parlare era
stato quell'uomo, il signor Chiba, che tuttavia continuava a rivolgere
lo sguardo al viso della moglie addormentata.
- Ha passato giorni a dormirmi in braccio e a fare le fusa, lasciandomi
solo quando andavo in bagno. E ringrazia anche quella ragazza da parte
mia -.
Strinse la mano della donna, esattamente come aveva fatto Hinata
l'ultima volta che Sakura era stata lì. Ecco, allora, che cosa
aveva fatto Luna oltre ad incontrare Kerochan nel bosco.
Annuì, senza dire nulla, e uscì silenziosamente dalla stanza.
(¹) Il Cristallo d'Argento, appunto
Se vi state chiedendo perché
Mamoru si è accorto della presenza degli spiriti e Usagi no- o
almeno non consapevolmente- è perché lei è
talmente immersa nel suo dolore per la perdita della figlia da non
rendersi conto di nient'altro. Ho voluto differenziare un po' le loro
reazioni, perché credo che ciascuno reagisca in modo diverso al
dolore e lo viva in modo diverso.
Shatzy: come vedi si è scoperto anche il ruolo di Luna in tutta la faccenda... sono un team piuttosto affiatato, queste tre. ^^
Tutti i misteri si sono sciolti,
anche se nell'ultimo capitolo verranno spiegate un altro paio di cose
(dal nostro Kerochan che recupera a sprazzi la memoria), ma
sostanzialmente la storia principale si è conclusa. Mi piaceva
un mondo l'idea di una Chibiusa-spirito che vola col suo unicorno alato
verso la luna... sono una coppia che adoro! ^^
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