I'm not passing the time, I think love you... di ElfoMikey (/viewuser.php?uid=34252)
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ryden8
Capitolo otto
Brendon Pov
Arrivare a spaccare il secondo fu una delle mie grandi
imprese la mattina della partenza.
Dopo del favoloso sesso con Ryro mi ero, prevedibilmente,
addormentato come un salame, con tanto di sinfonia.
Avevo messo piede in casa alle sette meno dieci, con
passo felpato, quasi fossi un ladro.
Ed ero in casa mia!
La porta della camera da letto era aperta e in punta di
piedi, con le scarpe in una mano e la giacca nell’altra controllai lo stato di
Ariel.
Dormiva come un bimbo.
Anche se non esisteva un’esagerata differenza fra lui e
un bambino.
Era inutile, non riuscivo a perdonarmi il fatto di essere
stato così cieco e sciocco.
Afferrai il suo cellulare per verificare a che ora aveva
appuntato la sveglia.
Le sette.
Avevo a disposizione dieci minuti per lavarmi, simulare
di essere stato tutta la notte al suo fianco e fare colazione.
Mi tolsi i vestiti, gettandoli a terra, diretto in bagno,
nel modo più silenzioso che conoscevo.
Inciampai nelle valige ai piedi del letto che quasi mi
fecero saltare la copertura.
Sollevai di scatto la testa per notare Ariel che si era
lievemente mosso, affondando di più sotto le coperte.
Sospirai di sollievo e sparii velocemente in bagno.
Il suono della sveglia mi sorprese in cucina, mentre
preparavo pancake.
Oh che pessimo modo per farti perdonare Urie.
M’imposi di sorridere, scacciando la stanchezza con un
motivetto allegro che riconobbi come quello di “Take a Vacation”.
Ma che cazzo!
Restai in silenzio, era la cosa più giusta da fare.
Ariel arrivò una decina di minuti dopo, il passo
strascicato e il viso assonnato.
“Non ti ho sentito rientrare sta notte…” borbottò,
agganciando le sue braccai calde intorno alla mia vita e posandomi un bacio sul
collo.
Mantenni il sorriso, voltandomi per ricambiare il bacio,
sulla guancia.
“Era molto tardi…” mi giustificai. “hai finito di
preparare la valigia?”
“Mi manca da infilare i compiti di matematica, ma volevo
che me li controllassi.”
Annuii, mentre versavo il latte nelle tazze. “Valli a
prendere, ci do un’occhiata ora, così riusciamo a essere all’aeroporto a un
orario decente.”
Lui annuì e scappò in camera.
Mi veniva quasi una sincope a pensare che frequentasse
ancora la terza liceo.
Qui se mi beccano,
avrò come minimo vent’anni di galera…
Controllai i suoi compiti di matematica, poi dopo aver
mollato i piatti nel lavello, finimmo a vestirci in camera, dove Ariel continuò
a stuzzicarmi, fino a ottenere quello che voleva.
Lo feci sdraiare sul letto e senza nemmeno toglierci
tutti i vestiti entrai in lui, strappandogli un ansito.
Non sapevo cosa c’era di Ariel che mi eccitava.
Riuscivo a riconoscere che, nonostante tutto non era solo
un fatto fisico.
Amavo Ryan, tantissimo.
Ma c’era qualcosa di Ariel che mi teneva legato ancora a
lui.
La mia era solo pena? Perché sapevo che era innamorato di
me e non volevo soffrisse?
Non lo sapevo.
Era come se volessi aggrapparmi a qualcosa di diverso
dalla compassione.
A modo mio, amavo anche Ariel.
Fu la seconda volta che spaccai il secondo quella
mattina.
Eravamo in un ritardo mostruoso e dopo un check in
frettoloso, corremmo come dei matti al gate, dove Pete, che aveva deciso di
partire con noi da Los Angeles, ci aspettava a braccia conserte e un piede che
batteva insistentemente sul pavimento.
Dietro di lui le Vene Giovani chiacchieravano fra loro,
accompagnate dal loro Tour Manager. Dall stava a cavallo, sulla schiena di Ian
pretendendo lo stesso entusiasmo che ci metteva lui per interpretare la parte
del Cowboy. Zack si avvicinò a me per darmi uno scappellotto e afferrando il
mio bagaglio a mano si diresse a passo spedito oltre il gate borbottando.
“E’ stata colpa mia cugino, l’ho distratto.” Ammise
Ariel, tirandomi una leggera gomitata, con indosso uno dei più maliziosi ghigni
mai visti.
Lanciai un’occhiata a Ryro, che indurì i lineamenti
rilassati del viso, serrando le labbra.
Perfetto, si era incazzato.
Cosa ti aspettavi?
Che ti sorridesse sapevo che vai a letto anche con lui?
Onestamente? Non sapevo cosa pensare.
Sentii Ariel agitarsi al mio fianco, prendendomi la mano,
con un sorriso eccitato sulle labbra. “Non sono mai stato in Canada, non vedo
l’ora di arrivare a Toronto!” esclamò, avvicinandosi per scoccarmi un bacio
sulla guancia, fu palese l’occhiata di sfida che lanciò a Ryro e io rabbrividii
per un attimo, completamente certo di essere nella merda.
L’aveva capito.
Sapeva che c’era qualcosa o per lo meno lo aveva in parte
intuito.
Dopo quel gesto, Ryan si diresse velocemente verso
l’hostess che accoglieva davanti al gate, le face un sorriso e senza voltarsi,
con quell’aria offesa e spavalda salì sull’aereo.
Sbuffai cercando di mantenere un certo controllo, mentre
Ariel non ne voleva sapere di lasciarmi la mano.
Salimmo sull’aereo per ultimi, accompagnati dal sorriso
allegro dell’hostess.
I nostri posti erano vicini, Ariel non faceva che
esultare per questo, e infondo così attraversammo il corridoio mano nella mano,
attirando gli sguardi degli altri passeggeri.
La situazione mi stava stretta e rischiavo di scoppiare,
inoltre il mio posto non era vicino al finestrino, ma giusto in mezzo.
Quella però non era la cosa peggiore.
Al posto numero trentatré, comodamente seduto, stava Ryan
che guardava sovrappensiero fuori dal finestrino.
Cazzo.
Ryan pov
In tutta la mia vita ho avuto lo sfrenato desiderio di
uccidere almeno tre persone.
Oprah Winfrey, topolino e Ariel Wilson.
Su quest’ultimo avrei un intero armamentario d'insulti e
idee per farlo fuori.
In effetti potrei iniziare a scriverci un libro.
Stupido ragazzino
arrogante e per giunta oca giuliva.
Erano arrivati come la coppia del secolo, in ritardo e
con quell’espressione tipica da: sì è vero abbiamo fatto sesso sfrenato prima
di venire qua.
La faccia di quel ragazzino era talmente piena di
soddisfazione, che avrei voluto strapparglielo quel sorrisetto che aveva avuto
il coraggio di rivolgermi.
Era una sfida aperta, perché per quanto fosse un
sedicenne con il cervello ampio quanto una noce marcia, ero certo che aveva
capito abbastanza da alzare le sue difese e marchiare costantemente il territorio
attorno a Brendon, quando non sapeva che nemmeno un briciolo di quel corpo, che
si ostinava a toccare e baciare, era suo.
Il peggio non era dovermi sorbire i suoi urletti da
checca isterica e i suoi grandi fastidiosi occhioni verdi sfarfallare davanti a
Brendon, ma avercelo vicino, per tutta la durata del viaggio.
Avrei tanto voluto aprire il finestrino e lanciarmi nel
vuoto esibendomi in un volo dell’angelo impeccabile.
La cosa più ridicola era ritrovarsi seduto, praticamente
spalmato sul sedile con accanto Brendon che a sua volta era seduto vicino a
Wilson.
Un triangolo perfetto, ma troppo perfetto per essere solo
una coincidenza.
Alzai distrattamente lo sguardo per incontrare quel nano
malefico che portava il nome di Pete Wentz che ci guardava con divertimento
negli occhi e un sorriso enorme a incorniciargli la faccia.
Mi fece un cenno di saluto con la mano e si sedette con
un sospiro soddisfatto al suo posto.
Pete aveva sempre avuto un certo talento per vendette,
come quella volta, quando durante i mtv music award, in diretta mondiale, si
era messo una maglietta con su stampato il numero di cellulare di Gabe.
Appoggiai la testa al morbido sedile prima di lasciare
uno sbuffo e chiudere gli occhi per un attimo.
Brendon continuava a guardarmi di nascosto mentre
l’hostess di volo annunciava il decollo. Solo a quota ottenuta mi girai a
guardarlo. Mi fissava apertamente con uno sguardo preoccupato e le sopracciglia
corrugate in un’espressione sofferta.
Inutile.
Non potevo farcela. Cercare di essere arrabbiato con lui
era come dire di no al gatto con gli stivali di Shrek e non si può dire no al
gatto con gli stivali di Shrek.
Gli feci un sorriso, piccolo, piccolo e il suo volto
cambiò immediatamente espressione. Vidi lentamente la rughetta formatasi in
mezzo alla fronte rilassarsi e le sue labbra allargarsi in uno splendido
sorriso, mentre i suoi occhi urlavano “Allora non ce l’ha con me!”
Quel meraviglioso gioco di sguardi fu interrotto da
quello stupido australiano che gli afferrò il braccio e lo fece voltare,
trascinandolo in una conversazione estenuante su DnD.
Ottima mossa
bamboccio, attirare la sua attenzione con quel stupido gioco di ruolo.
Afferrai l’I phone e dopo aver aggiornato il mio stato su
Twitter che recitava “il Tour non è ancora iniziato… ma qualcuno
potrebbe già rischiare l’osso del collo.”, presi ad ascoltare i miei amati
Beatles che riuscirono a calmarmi finché la mano di Brendon non mi scosse il
braccio un paio di volte prima che io aprissi gli occhi, quasi immerso nel
dormiveglia per guardarlo male.
“Che c’è?!?”sbottai, sfilandomi con un moto di stizza le
cuffiette dalle orecchie.
Brendon non rispose, mi baciò.
Posò dolcemente le sue labbra sulle mie, mentre la sua
mano era corsa ad abbracciarmi il viso.
Era il paradiso.
Accarezzò con la lingua il mio labbro superiore, in
attesa di essere accolta nella mia bocca.
Glielo concessi quasi subito, afferrandogli la felpa
rossa, mentre le mani tremavano leggermente.
Poi si staccò all’improvviso quando Gabe gridò : “Alarma,
alarma! El chico está de vuelta!”
“Avevo detto che bastava un fischio, o un colpo di tosse!”
sbottò Brend, ricomponendosi e guardando Saporta in ginocchio sul suo sedile
con un sorriso storto.
“è la stessa cosa su…!” borbottò risedendosi, richiamato
all’ordine da quello che avevo scoperto da poco fosse suo marito.
C’ero seriamente rimasto male, né Gabe né Will mi avevano
detto nulla. Anche se sapevo che nemmeno Brendon aveva partecipato alla
cerimonia a Las Vegas.
Comunque sia, ancora intontito dal bacio meraviglioso appena
ricevuto vidi l’australiano spuntare al fianco di Brendon con un sorrisone.
Probabilmente prima era sparito in bagno e Brend ne aveva
approfittato assalendomi.
Se me lo diceva potevo mettere un intero flacone di
lassativo nel suo bicchiere di coca cola e saremmo rimasti tranquilli per ore.
La calma tornò piatta almeno finchè Brendon non tornò a
molestarmi, accarezzandomi la coscia. Lanciai uno sguardo ad Ariel che dormiva
della grossa, con la musica sparata dalle sue cuffiette.
“E se si sveglia?” mormorai, mentre lo sentivo allungarsi
per baciarmi languidamente il collo, facendo scorrere la mano avanti e indietro
sulla mia coscia.
“Non preoccuparti…” mormorò direttamente al mio orecchio,
facendo rizzare i peli dall’eccitazione.
Oh Dio benedetto.
“Aspetta… dobbiamo parlare!” borbottai. Lui si staccò
velocemente, passandosi una mano fra i capelli e intrecciando l’altra, che fino
a quel momento era sulla mia coscia, con la mia.
Il mio cuore sussultò, come spaesato da quell’emozione
tanto grande e tanto bella che era l’amore di Brendon.
Lo sentivo, mi scorreva nelle vene come sangue, era
diventato l’essenza della mia anima e non potevo desiderare altro.
“Parliamo allora.” Strusciò il dorso della mia mano,
stretta alla sua, sulla sua guancia, lievemente irsuta.
“Quando glielo dirai?”
“Presto, Ryro.”
“Presto quando?”
“Presto.”
Calò un attimo il silenzio dove i suoi occhi continuavano
a parlarmi d’amore.
“Potremmo fargli conoscere qualcun altro.” Proposi,
scuotendo le spalle.
Brendon però s’incupì.
Non voleva perché era geloso.
Capire che, in qualche modo, amava anche lui non aveva
fatto così male come credevo.
Forse solo perché ne ero consapevole.
Brendon pov
“Potremmo fargli conosce qualcun altro.” Mi disse Ryan.
Non sapevo se era una buona idea e non sapevo nemmeno
cos’era quella specie di nodo allo stomaco che mi si era formato dopo le sue
parole.
Sospirai in modo tragico e il mio sguardo volò per
qualche secondo su gli altri passeggieri. C’era una signora anziana che
praticamente dormiva sulla spalla di Spence che non se ne preoccupava perché
era impegnato in una lotta all’ultimo sguardo di fuoco con Jon.
“Che ne dici di Nick?” buttai lì, tornando a guardare
Ryro.
“Murray?” chiese.
“No, White!” tentennò un attimo, come se stesse cercando
una scusa.
“Ma.. è vecchio! Più di te!”
“L’amore non ha età!”
“Questo lo dici tu!”
Non risposi, non avevo certamente voglia di imbarcarmi in
una stupida litigata quando il nostro rapporto non si era del tutto
consolidato.
Dovevamo ammettere che entrambi avevamo un problema di
gelosia.
Io per Ariel provavo gelosia in quanto ero seriamente
affezionato a lui e non solo per un fatto fisico. E Ryan doveva ammettere che
nonostante fosse tutto finito con Nick ancora provava un pizzico di gelosia nel
sentirlo associato a qualcuno che non fosse lui.
Era normale, era lecito ed io glielo leggevo negli occhi
che era così.
Dopo quelle parole non parlammo più, fino alla fine del
viaggio e mi limitai a stringergli la mano finchè Ariel non si svegliò e pretese giocosamente attenzioni.
Toronto fu una delle tappe più belle visitate. Era
meraviglioso quel paesaggio di fine dicembre che si presentava davanti ai
nostri occhi stanchi dal viaggio.
Bill e Gabe, come da novelli sposi, lasciarono l’incarico
delle loro valigie al povero Carden e insieme s’incamminarono in una,
vomitevole, romantica passeggiata, mano nella mano.
Pete borbottò un “Oooh che carini” mentre si agitava
tutto e gli occhi avevano preso una stupida forma a cuoricino.
Ryan si era distaccato dal gruppo con la sua band, e
stavano parlando fitto fitto con il loro manager.
Ariel invece, al mio fianco, aveva preso a fare foto a
destra e manca. Seriamente era peggio di un giapponese in vacanza.
L’albergo scelto da Pete era quello che più si avvicinava
allo sfarzo più sfrenato, ma oramai eravamo abituati a quel genere di
trattamento anche se non ci faceva certo schifo un normalissimo hotel senza
mille referenze o stelle.
Ariel si catapultò nella nostra enorme stanza come se
fosse un uragano, buttandosi sul letto, facendo cadere a terra un paio di
soffici cuscini color cobalto.
“Il materasso è ad acqua Brend! Vieni a provarlo!” esultò, facendo qualche salto sul giaciglio. Mi buttai su di lui appena riuscii a togliermi
il giaccone di dosso.
Cominciammo a scherzare come due bambini, fino a
lasciarci andare con il fiato corto sulle coperte sfatte.
“Cosa si fa ora?” mi chiese, guardandomi con un sorriso
luminoso, stampato sulle labbra.
“Non so... aspettiamo che Pete ci chiami per il
Soundcheck.” Risposi, scrollando le spalle, mentre con un sussulto strinsi la
tasca dove il cellulare stata vibrando da un po’.
“Intendevo noi due.” Sbuffo El, alzando gli occhi al
soffitto e il suo entusiasmo sfumarsi in un secondo.
Non so di che cosa era convinto, forse di farsi una
vacanza romantica, ma quel viaggio era tutto fuorché di piacere. Era il mio
lavoro cavolo, non potevo star dietro alle sue voglie.
“Ti prometto che domani ti porterò a fare un giro per
Toronto.” Dissi, lasciandogli una breve carezza sui capelli biondi dove
un’assurda ciocca verde capitanava sulle altre.
Mi sorrise grato.
“Dovresti rispondere.” Disse, riferendosi al cellulare
che non aveva smesso di vibrare. “sembra importante.”
Annuii distrattamente mentre lui si alzava dal letto per
rifugiarsi in bagno.
Ryro.
“Tra cinque minuti nella Hall.” Borbottò scazzato.
Non mi fece dire
nulla perché riagganciò.
Rimasi a fissare l’apparecchio prima di alzarmi di scatto
e sistemarmi i capelli e i vestiti disordinati davanti allo specchio.
Il cuore batteva come impazzito, al solo pensiero di
rivederlo.
Dio, faceva un sacco teenager quindicenne, ma che potevo
farci?
Urlai ad Ariel qualche scusa prima di sparire senza
cercare una sua risposta.
Aspettare l’arrivo dell’ascensore fu infinito così mi
precipitai giù dalle scale.
Lui era già lì, con indosso uno dei suoi orridi completi,
lo amo certo, ma questo non m’impedisce di dire che il suo modo di vestire
lasciava un sacco a desiderare.
Si passava una mano fra i ricci chiari, sfogliando una
rivista abbandonata sul tavolino davanti al divanetto dove sta comodamente
seduto.
“Perché hai il fiatone?” mi chiese appena gli fui
davanti, alzando lievemente lo sguardo dalla rivista, Vogue.
Oddio che cosa assolutamente omosessuale.
Repressi una risatina. “Ho corso.”
“Esistono gli ascensori Brend.” Mi fece notare ed io gli
rivolsi uno sguardo ovvio.
“Lo so, ma volevo fare presto.”
Lui non commentò più e mi rivolse un sorrisetto. “perché mi hai chiamato?” domandai.
“Nulla in particolare, volevo parlarti di una cosa e stare
un po’ con te.”
Gli sorrisi raggiante, con il cuore in gola.
Non era possibile che dopo tutti quegli anni riusciva
ancora a farmi quell’effetto straordinario di totale gioia e stordimento.
Mi sedetti al suo fianco, facendo in modo che i nostri
ginocchi si toccassero. Non sopportavo che fosse troppo lontano.
“Ho pensato a Nick e Wilson e…” prese un sospiro. “siamo
entrambi gelosi di loro, non possiamo negarlo.” Disse tutto d’un fiato.
Arrossì un poco, forse credendo che le sue parole mi
avessero ferito.
Era bello essere così sinceri l’uno con l’altro, senza
prendersi in giro. “Ne sono consapevole, ma che facciamo? Io non voglio più
stare con Ariel per vederlo soffrire e in qualche modo dovrò pur lasciarlo
andare, con o senza gelosia.”
Ryro non fiatò ma annuì, appoggiando la rivista sulle
ginocchia e incrociando le braccia al petto.
“Diglielo questa sera.” Disse convinto.
Mi mordicchiai un labbro.
Quanto era facile parlare, quando agire era la cosa più
complicata del mondo.
“Sì, glielo dirò.” Mi abbandonai a un sospiro, facendo
cadere la testa sulla sua spalla.
Lui si allungò un attimo per regalarmi un bacio sulla
fronte. “Andiamo in camera mia ora?”
Non rifiutai ed entrambi sparimmo per ore nella sua
stanza dal albergo, dove Nick era stato sgarbatamente sfrattato.
Speravo, in quelle settimane, di riuscire a cantare
insieme a lui. Era un desiderio che mi vorticava in testa da quando Pete aveva
programmato il tour.
Avremmo potuto cantare qualsiasi cosa, anche la sigla dei
Muppet o quella dei Teletubbies se ne avevano una, non m’importava.
Era così importante per me riaverlo anche in quel senso.
Giusto per sentirmi completo per davvero.
Rimanemmo insieme in quella stanza per ore, il cellulare
che vibrava insistentemente nella tasca dei miei jeans buttati a casaccio sul
pavimento e i gemiti di Ryan che mi riempivano il cuore di serenità.
Ryan pov
Il primo concerto a Toronto fu spettacolare, così come
quello della sera dopo.
29 dicembre 2010.
C’era un’atmosfera unica eppure così familiare.
Nick e gli altri, non abituati a tale affollamento ancora
facevano fatica a lasciarsi andare, mentre io... beh ero stato
meravigliosamente investito da una serenità che avevo creduto persa.
Mi sembrava strano però ritornare a rifugiarmi con Bill e
la sua band nei parcheggi a bere vodka e a riprendere con una videocamera le
stupidate, era anche strano ritrovare l’abbraccio di Gabe, così amico, ma soprattutto
era strano essere di nuovo noi quattro.
C’eravamo ritrovati in una stanza e avevamo parlato a
lungo, non di cose serie, di cose triste o di dissapori ancora accessi (Spence
e Jon tutt’ora non vogliono dirci il motivo dei loro litigi).
C’era però quella linea sottile che continua a dividerci
e a essere ancora imbarazzati l’uno con l’altro. Brendon era più fiducioso di
quanto potessi sperare, non faceva che sparlare sull’amicizia e di quanto per
noi fosse indissolubile e bla bla bla…
Comunque, lo spazio sotto il palco era pieno zeppo di
gente urlante e di ragazzine svenenti. No ci esibivamo per prima, e poi, in successione,
i Cobra, TAI e i Panic! che avevano riacquistato quel punto esclamativo che con
prepotenza avevo imposto di togliere. Era giusto così, non potevo in alcun modo
lamentarmi.
E non volevo farlo.
I fan ci accolsero con calore e cantarono le canzoni in
scaletta con tale passione e gioia che seriamente avevo pensato di collassare
io stesso dalla felicità.
Finita di Other Girl, e un bis, lasciammo posto a Gabe e
agli altri, mentre noi ci rifugiavamo in un piccolo spazio dietro le quinte per
osservare le altre esibizioni.
Inutile dire quanto fossi in attesa di sentire la sua
voce.
A volte mi mancava così tanto durante i concerti con le
Vene Giovani, che se chiudevo gli occhi potevo sentire la sua voce calda e la
sua mano sulla spalla, m quando li aprivo, era il sorriso di Jon che
incontravo.
Mi passò accanto, facendo bene attenzione a sfiorarmi il
braccio fermo lungo il fianco. Lo guardai e mi sorrise, complice, poi corse
verso il palco, accolto da una lunga ovazione di applausi e urla.
“Sai qual è la differenza fra te e me, Ross?” sussultai
lievemente, quando Wilson mi fu affianco. Abbassai o sguardo per osservarlo nel
suo metro e settanta d’altezza, cercando di mantenere un minimo di controllo,
mentre la sua aria spavalda mi faceva solo venire voglia di riempirlo di pugni
su quel bel faccino.
“Sentiamo, quale sarebbe?” incrociai le braccia, cercando
di essere più sicuro di quanto in realtà fossi.
Non molto a dire il vero.
“Che io, a differenza tua, so per certo che non prova
nulla di più che amicizia nei tuoi
confronti. Dovresti metterti il cuore in pace.”
Sbuffai una risata. “Come fai a esserne così sicuro,
ragazzino?”
“Ho le mie ragioni per esserlo.” Ribattè, gonfiando le
guance.
“Voglio darti un consiglio…” iniziai facendomi più vicino
e circondandogli le spalle con un braccio. “il fatto che venga a letto con te,
non vuol dire che tu sia l’unico.” Gli
sussurrai, gongolando nella sua reazione esitante.
“Stai dicendo stronzate.” Sbottò scrollandosi il mio
braccio dalle spalle come se fosse quello terribile della morte.
“Oh, tu non conosci per niente Brendon. Non sai di cosa è
capace.” Gli sorrisi, quasi dolcemente.
Quanta pena per un povero ragazzino. “puoi non credermi ovviamente, anche quanto ti
dico che, per lui sei stato un passatempo, qualcosa da fare nell’attesa.”
“Attesa? Quale attesa?”
“Credo che tu abbia capito chi in realtà stava aspettando
Brendon.” Sbottai, stanco di quella conversazione.
La sua tecnica di provocazione non era per niente
efficace e ne stava uscendo perdente, invece che vincitore.
Se c’è una cosa che ho imparato da mio padre, era che,
rispondere alle provocazioni con la violenza non faceva mai male quanto le
parole.
I segni delle botte dopo un po’ spariscono, ma le parole,
rimangono impresse a fuoco sulla pelle e non spariscono mai.
Per questo papà era quello che ne usciva più scottato dei
due.
Sempre.
Ariel dopo quelle parole, che non ricevettero commento,
sparì.
Sapevo di aver dato un bel scossone alla faccenda e che
presto Brendon sarebbe stato solo mio.
Tornai a guardare Brendon, che cantava con intensa
passione “Time to Dance”, ne rimasi
affascinato che quasi non riuscii a sbattere le palpebre e gli occhi
cominciarono a lacrimare.
Quanta invidia provavo per Dal, che otteneva le
attenzioni di Brend.
Le volevo io, tutte per me, ancora una volta.
Erano mie di diritto, anche sul palco.
Nick prese il posto di Ariel e appoggiò il gomito sulla
mia spalla, sorridendomi allegramente.
“Sono bravi.” Disse, ammiccando a Spencer. “sai se è
sulla nostra carreggiata?” chiese.
Io ebbi un brivido.
“Non lo so e non lo voglio sapere, ma credo sia ancora
fidanzato.”
Il suo volto s’illuminò per un attimo. “con una donna.”
Aggiunsi.
“Sarà per quei capelli, o quei gilet così gai che
continua a indossare, ma so che non ce la racconta giusta.”
Alzai gli occhi al soffitto, reprimendo uno sbuffo.
“Che ne dici del biondino invece?” proposi, ammiccando
verso Ariel che se ne stava in un angolo con l’aria imbronciata e in mano una
Red Bull.
“il ragazzo del tuo amante?” esclamò, girandosi a
fissarlo.
“Potresti non urlarlo, per favore?” sbottai, pestandogli
il piede, quando un tecnico del suono si giro ad osservarci.
“ Non è male, ma non voglio esser un pedofilo. Quel ruolo
aspetta a Urie!” disse, sorridendomi candidamente. “Anche se, devo ammettere che il ragazzino è
veramente sexy.”
“Pensavo foste amici ormai.” Commentai, tornando a posare
lo sguardo di Brend che aveva preso ad ancheggiare sensualmente.
“Non esagerare. Non lo detesto, come fa Jon con il
batterista carino, ma sopporto la sua presenza.” Spiegò, sorridendo storto.
“sta tranquillo Ry, non ti lascerà.”
“Questo dovrebbe tranquillizzarmi?” sbottai, in preda a
una crisi. “è più giovane, è più bello e più spavaldo di me e Brendon è pur
sempre un uomo.”
“Quando la smetterai di fare discorsi complessati da
donna?” strillò. “senti, ti ama, te l’ha detto, lo vuole lasciare, cosa
pretendi di più?”
Sbuffai e non risposi, anche perché i Panic avevano
appena finito di esibirsi.
Il primo ad abbandonare il palco fu Spence e Nick ebbe la
premura di lanciargli un’occhiata che non aveva nulla di casto.
Spencer scappò.
Io risi, alla faccia contrariata di Nick e mi avvicinai a
Brend che si passava con energia un asciugamano sui capelli bagnati di sudore.
Si tolse il papillon e lo infilò nella tasca della sua
giacca prima di avvicinarsi. “Come siamo andati?” disse, allungando la mano per
lasciarmi una carezza sul collo.
“Alla grande!” commentai, con il cuore in subbuglio e gli
occhi scintillanti.
“Brendon! Dobbiamo parlare.” Il volto sulle labbra di
Brend sparì, e si girò a guardare Ariel, veramente incazzato.
“Certo, ma dopo il bis, okay?” borbottò, prima di tornare
sul palco.
Stava fuggendo.
****
scusate il tremendo ritardo ma gli impegni e la stanchezza sono sempre in agguato!!!
ringrazio chi ha letto e chi ha recensito, soprattutto!
e chi ha saputo aspettare senza
staccarmi l'osso del collo xD moglie, è soprattutto per te u.u
<3 <3 <3 <3 <3
okay, grazie a tutti e ricordate che un pensiero è sempre gradito
Grè
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