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Autore: ElfoMikey    13/02/2011    2 recensioni
"Quando qualcosa irrimediabilmente finisce, si spera sempre che per quanto il tempo serva a dimenticare non lo farà mai con troppo dolore.
Quel qualcosa però era talmente forte, talmente intenso che aveva la capacità, giorno dopo giorno, di rafforzare quei ricordi e lasciando che essi si imprimessero sulla mia pelle come un tatuaggio indelebile."
Brendon non riesce a dimenticare, Ryan crede di avere il mondo hai suoi piedi.
Genere: Comico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Panic at the Disco
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo otto
 
 
 
 




Brendon Pov

 
 
Arrivare a spaccare il secondo fu una delle mie grandi imprese la mattina della partenza.
Dopo del favoloso sesso con Ryro mi ero, prevedibilmente, addormentato come un salame, con tanto di sinfonia.
Avevo messo piede in casa alle sette meno dieci, con passo felpato, quasi fossi un ladro.
Ed ero in casa mia!
La porta della camera da letto era aperta e in punta di piedi, con le scarpe in una mano e la giacca nell’altra controllai lo stato di Ariel.
Dormiva come un bimbo.
Anche se non esisteva un’esagerata differenza fra lui e un bambino.
Era inutile, non riuscivo a perdonarmi il fatto di essere stato così cieco e sciocco.
Afferrai il suo cellulare per verificare a che ora aveva appuntato la sveglia.
Le sette.
Avevo a disposizione dieci minuti per lavarmi, simulare di essere stato tutta la notte al suo fianco e fare colazione.
Mi tolsi i vestiti, gettandoli a terra, diretto in bagno, nel modo più silenzioso che conoscevo.
Inciampai nelle valige ai piedi del letto che quasi mi fecero saltare la copertura.
Sollevai di scatto la testa per notare Ariel che si era lievemente mosso, affondando di più sotto le coperte.
Sospirai di sollievo e sparii velocemente in bagno.
Il suono della sveglia mi sorprese in cucina, mentre preparavo pancake.
Oh che pessimo modo per farti perdonare Urie.
M’imposi di sorridere, scacciando la stanchezza con un motivetto allegro che riconobbi come quello di “Take a Vacation”.
Ma che cazzo!
Restai in silenzio, era la cosa più giusta da fare.
Ariel arrivò una decina di minuti dopo, il passo strascicato e il viso assonnato.
“Non ti ho sentito rientrare sta notte…” borbottò, agganciando le sue braccai calde intorno alla mia vita e posandomi un bacio sul collo.
Mantenni il sorriso, voltandomi per ricambiare il bacio, sulla guancia.
“Era molto tardi…” mi giustificai. “hai finito di preparare la valigia?”
“Mi manca da infilare i compiti di matematica, ma volevo che me li controllassi.”
Annuii, mentre versavo il latte nelle tazze. “Valli a prendere, ci do un’occhiata ora, così riusciamo a essere all’aeroporto a un orario decente.”
Lui annuì e scappò in camera.
Mi veniva quasi una sincope a pensare che frequentasse ancora la terza liceo.
Qui se mi beccano, avrò come minimo vent’anni di galera…
Controllai i suoi compiti di matematica, poi dopo aver mollato i piatti nel lavello, finimmo a vestirci in camera, dove Ariel continuò a stuzzicarmi, fino a ottenere quello che voleva.
Lo feci sdraiare sul letto e senza nemmeno toglierci tutti i vestiti entrai in lui, strappandogli un ansito.
Non sapevo cosa c’era di Ariel che mi eccitava.
Riuscivo a riconoscere che, nonostante tutto non era solo un fatto fisico.
Amavo Ryan, tantissimo.
Ma c’era qualcosa di Ariel che mi teneva legato ancora a lui.
La mia era solo pena? Perché sapevo che era innamorato di me e non volevo soffrisse?
Non lo sapevo.
Era come se volessi aggrapparmi a qualcosa di diverso dalla compassione.
A modo mio, amavo anche Ariel.
Fu la seconda volta che spaccai il secondo quella mattina.
Eravamo in un ritardo mostruoso e dopo un check in frettoloso, corremmo come dei matti al gate, dove Pete, che aveva deciso di partire con noi da Los Angeles, ci aspettava a braccia conserte e un piede che batteva insistentemente sul pavimento.
Dietro di lui le Vene Giovani chiacchieravano fra loro, accompagnate dal loro Tour Manager. Dall stava a cavallo, sulla schiena di Ian pretendendo lo stesso entusiasmo che ci metteva lui per interpretare la parte del Cowboy. Zack si avvicinò a me per darmi uno scappellotto e afferrando il mio bagaglio a mano si diresse a passo spedito oltre il gate borbottando.
“E’ stata colpa mia cugino, l’ho distratto.” Ammise Ariel, tirandomi una leggera gomitata, con indosso uno dei più maliziosi ghigni mai visti.
Lanciai un’occhiata a Ryro, che indurì i lineamenti rilassati del viso, serrando le labbra.
Perfetto, si era incazzato.
Cosa ti aspettavi? Che ti sorridesse sapevo che vai a letto anche con lui?
Onestamente? Non sapevo cosa pensare.
Sentii Ariel agitarsi al mio fianco, prendendomi la mano, con un sorriso eccitato sulle labbra. “Non sono mai stato in Canada, non vedo l’ora di arrivare a Toronto!” esclamò, avvicinandosi per scoccarmi un bacio sulla guancia, fu palese l’occhiata di sfida che lanciò a Ryro e io rabbrividii per un attimo, completamente certo di essere nella merda.
L’aveva capito.
Sapeva che c’era qualcosa o per lo meno lo aveva in parte intuito.
Dopo quel gesto, Ryan si diresse velocemente verso l’hostess che accoglieva davanti al gate, le face un sorriso e senza voltarsi, con quell’aria offesa e spavalda salì sull’aereo.
Sbuffai cercando di mantenere un certo controllo, mentre Ariel non ne voleva sapere di lasciarmi la mano.
Salimmo sull’aereo per ultimi, accompagnati dal sorriso allegro dell’hostess.
I nostri posti erano vicini, Ariel non faceva che esultare per questo, e infondo così attraversammo il corridoio mano nella mano, attirando gli sguardi degli altri passeggeri.
La situazione mi stava stretta e rischiavo di scoppiare, inoltre il mio posto non era vicino al finestrino, ma giusto in mezzo.
Quella però non era la cosa peggiore.
Al posto numero trentatré, comodamente seduto, stava Ryan che guardava sovrappensiero fuori dal finestrino.
Cazzo.
 
 

Ryan pov
 
 
In tutta la mia vita ho avuto lo sfrenato desiderio di uccidere almeno tre persone.
Oprah Winfrey, topolino e Ariel Wilson.
Su quest’ultimo avrei un intero armamentario d'insulti e idee per farlo fuori.
In effetti potrei iniziare a scriverci un libro.
Stupido ragazzino arrogante e per giunta oca giuliva.
Erano arrivati come la coppia del secolo, in ritardo e con quell’espressione tipica da: sì è vero abbiamo fatto sesso sfrenato prima di venire qua.
La faccia di quel ragazzino era talmente piena di soddisfazione, che avrei voluto strapparglielo quel sorrisetto che aveva avuto il coraggio di rivolgermi.
Era una sfida aperta, perché per quanto fosse un sedicenne con il cervello ampio quanto una noce marcia, ero certo che aveva capito abbastanza da alzare le sue difese e marchiare costantemente il territorio attorno a Brendon, quando non sapeva che nemmeno un briciolo di quel corpo, che si ostinava a toccare e baciare, era suo.
Il peggio non era dovermi sorbire i suoi urletti da checca isterica e i suoi grandi fastidiosi occhioni verdi sfarfallare davanti a Brendon, ma avercelo vicino, per tutta la durata del viaggio.
Avrei tanto voluto aprire il finestrino e lanciarmi nel vuoto esibendomi in un volo dell’angelo impeccabile.
La cosa più ridicola era ritrovarsi seduto, praticamente spalmato sul sedile con accanto Brendon che a sua volta era seduto vicino a Wilson.
Un triangolo perfetto, ma troppo perfetto per essere solo una coincidenza.
Alzai distrattamente lo sguardo per incontrare quel nano malefico che portava il nome di Pete Wentz che ci guardava con divertimento negli occhi e un sorriso enorme a incorniciargli la faccia.
Mi fece un cenno di saluto con la mano e si sedette con un sospiro soddisfatto al suo posto.
Pete aveva sempre avuto un certo talento per vendette, come quella volta, quando durante i mtv music award, in diretta mondiale, si era messo una maglietta con su stampato il numero di cellulare di Gabe.
Appoggiai la testa al morbido sedile prima di lasciare uno sbuffo e chiudere gli occhi per un attimo.
Brendon continuava a guardarmi di nascosto mentre l’hostess di volo annunciava il decollo. Solo a quota ottenuta mi girai a guardarlo. Mi fissava apertamente con uno sguardo preoccupato e le sopracciglia corrugate in un’espressione sofferta.
Inutile.
Non potevo farcela. Cercare di essere arrabbiato con lui era come dire di no al gatto con gli stivali di Shrek e non si può dire no al gatto con gli stivali di Shrek.
Gli feci un sorriso, piccolo, piccolo e il suo volto cambiò immediatamente espressione. Vidi lentamente la rughetta formatasi in mezzo alla fronte rilassarsi e le sue labbra allargarsi in uno splendido sorriso, mentre i suoi occhi urlavano “Allora non ce l’ha con me!”
Quel meraviglioso gioco di sguardi fu interrotto da quello stupido australiano che gli afferrò il braccio e lo fece voltare, trascinandolo in una conversazione estenuante su DnD.
Ottima mossa bamboccio, attirare la sua attenzione con quel stupido gioco di ruolo.
Afferrai l’I phone e dopo aver aggiornato il mio stato su Twitter che recitava  “il Tour non è ancora iniziato… ma qualcuno potrebbe già rischiare l’osso del collo.”, presi ad ascoltare i miei amati Beatles che riuscirono a calmarmi finché la mano di Brendon non mi scosse il braccio un paio di volte prima che io aprissi gli occhi, quasi immerso nel dormiveglia per guardarlo male.
“Che c’è?!?”sbottai, sfilandomi con un moto di stizza le cuffiette dalle orecchie.
Brendon non rispose, mi baciò.
Posò dolcemente le sue labbra sulle mie, mentre la sua mano era corsa ad abbracciarmi il viso.
Era il paradiso.
Accarezzò con la lingua il mio labbro superiore, in attesa di essere accolta nella mia bocca.
Glielo concessi quasi subito, afferrandogli la felpa rossa, mentre le mani tremavano leggermente.
Poi si staccò all’improvviso quando Gabe gridò : “Alarma, alarma! El chico está de vuelta!”
“Avevo detto che bastava un fischio, o un colpo di tosse!” sbottò Brend, ricomponendosi e guardando Saporta in ginocchio sul suo sedile con un sorriso storto.
“è la stessa cosa su…!” borbottò risedendosi, richiamato all’ordine da quello che avevo scoperto da poco fosse suo marito.
C’ero seriamente rimasto male, né Gabe né Will mi avevano detto nulla. Anche se sapevo che nemmeno Brendon aveva partecipato alla cerimonia a Las Vegas.
Comunque sia, ancora intontito dal bacio meraviglioso appena ricevuto vidi l’australiano spuntare al fianco di Brendon con un sorrisone.
Probabilmente prima era sparito in bagno e Brend ne aveva approfittato assalendomi.
Se me lo diceva potevo mettere un intero flacone di lassativo nel suo bicchiere di coca cola e saremmo rimasti tranquilli per ore.
La calma tornò piatta almeno finchè Brendon non tornò a molestarmi, accarezzandomi la coscia. Lanciai uno sguardo ad Ariel che dormiva della grossa, con la musica sparata dalle sue cuffiette.
“E se si sveglia?” mormorai, mentre lo sentivo allungarsi per baciarmi languidamente il collo, facendo scorrere la mano avanti e indietro sulla mia coscia.
“Non preoccuparti…” mormorò direttamente al mio orecchio, facendo rizzare i peli dall’eccitazione.
Oh Dio benedetto.
“Aspetta… dobbiamo parlare!” borbottai. Lui si staccò velocemente, passandosi una mano fra i capelli e intrecciando l’altra, che fino a quel momento era sulla mia coscia, con la mia.
Il mio cuore sussultò, come spaesato da quell’emozione tanto grande e tanto bella che era l’amore di Brendon.
Lo sentivo, mi scorreva nelle vene come sangue, era diventato l’essenza della mia anima e non potevo desiderare altro.
“Parliamo allora.” Strusciò il dorso della mia mano, stretta alla sua, sulla sua guancia, lievemente irsuta.
“Quando glielo dirai?”
“Presto, Ryro.”
“Presto quando?”
“Presto.”
Calò un attimo il silenzio dove i suoi occhi continuavano a parlarmi d’amore.
“Potremmo fargli conoscere qualcun altro.” Proposi, scuotendo le spalle.
Brendon però s’incupì.
Non voleva perché era geloso.
Capire che, in qualche modo, amava anche lui non aveva fatto così male come credevo.
Forse solo perché ne ero consapevole.
 

 
Brendon pov

 
 
“Potremmo fargli conosce qualcun altro.” Mi disse Ryan.
Non sapevo se era una buona idea e non sapevo nemmeno cos’era quella specie di nodo allo stomaco che mi si era formato dopo le sue parole.
Sospirai in modo tragico e il mio sguardo volò per qualche secondo su gli altri passeggieri. C’era una signora anziana che praticamente dormiva sulla spalla di Spence che non se ne preoccupava perché era impegnato in una lotta all’ultimo sguardo di fuoco con Jon.
“Che ne dici di Nick?” buttai lì, tornando a guardare Ryro.
“Murray?” chiese.
“No, White!” tentennò un attimo, come se stesse cercando una scusa.
“Ma.. è vecchio! Più di te!”
“L’amore non ha età!”
“Questo lo dici tu!”
Non risposi, non avevo certamente voglia di imbarcarmi in una stupida litigata quando il nostro rapporto non si era del tutto consolidato.
Dovevamo ammettere che entrambi avevamo un problema di gelosia.
Io per Ariel provavo gelosia in quanto ero seriamente affezionato a lui e non solo per un fatto fisico. E Ryan doveva ammettere che nonostante fosse tutto finito con Nick ancora provava un pizzico di gelosia nel sentirlo associato a qualcuno che non fosse lui.
Era normale, era lecito ed io glielo leggevo negli occhi che era così.
Dopo quelle parole non parlammo più, fino alla fine del viaggio e mi limitai a stringergli la mano finchè Ariel non si svegliò  e pretese giocosamente attenzioni.
Toronto fu una delle tappe più belle visitate. Era meraviglioso quel paesaggio di fine dicembre che si presentava davanti ai nostri occhi stanchi dal viaggio.
Bill e Gabe, come da novelli sposi, lasciarono l’incarico delle loro valigie al povero Carden e insieme s’incamminarono in una, vomitevole, romantica passeggiata, mano nella mano.
Pete borbottò un “Oooh che carini” mentre si agitava tutto e gli occhi avevano preso una  stupida forma a cuoricino.
Ryan si era distaccato dal gruppo con la sua band, e stavano parlando fitto fitto con il loro manager.
Ariel invece, al mio fianco, aveva preso a fare foto a destra e manca. Seriamente era peggio di un giapponese in vacanza.
L’albergo scelto da Pete era quello che più si avvicinava allo sfarzo più sfrenato, ma oramai eravamo abituati a quel genere di trattamento anche se non ci faceva certo schifo un normalissimo hotel senza mille referenze o stelle.
Ariel si catapultò nella nostra enorme stanza come se fosse un uragano, buttandosi sul letto, facendo cadere a terra un paio di soffici cuscini color cobalto.
“Il materasso è ad acqua Brend! Vieni a provarlo!”  esultò, facendo qualche salto sul giaciglio.  Mi buttai su di lui appena riuscii a togliermi il giaccone di dosso.
Cominciammo a scherzare come due bambini, fino a lasciarci andare con il fiato corto sulle coperte sfatte.
“Cosa si fa ora?” mi chiese, guardandomi con un sorriso luminoso, stampato sulle labbra.
“Non so... aspettiamo che Pete ci chiami per il Soundcheck.” Risposi, scrollando le spalle, mentre con un sussulto strinsi la tasca dove il cellulare stata vibrando da un po’.
“Intendevo noi due.” Sbuffo El, alzando gli occhi al soffitto e il suo entusiasmo sfumarsi in un secondo.
Non so di che cosa era convinto, forse di farsi una vacanza romantica, ma quel viaggio era tutto fuorché di piacere. Era il mio lavoro cavolo, non potevo star dietro alle sue voglie.
“Ti prometto che domani ti porterò a fare un giro per Toronto.” Dissi, lasciandogli una breve carezza sui capelli biondi dove un’assurda ciocca verde capitanava sulle altre.
Mi sorrise grato.
“Dovresti rispondere.” Disse, riferendosi al cellulare che non aveva smesso di vibrare. “sembra importante.”
Annuii distrattamente mentre lui si alzava dal letto per rifugiarsi in bagno.
Ryro.
“Tra cinque minuti nella Hall.” Borbottò scazzato.
 Non mi fece dire nulla perché riagganciò.
Rimasi a fissare l’apparecchio prima di alzarmi di scatto e sistemarmi i capelli e i vestiti disordinati davanti allo specchio.
Il cuore batteva come impazzito, al solo pensiero di rivederlo.
Dio, faceva un sacco teenager quindicenne, ma che potevo farci?
Urlai ad Ariel qualche scusa prima di sparire senza cercare una sua risposta.
Aspettare l’arrivo dell’ascensore fu infinito così mi precipitai giù dalle scale.
Lui era già lì, con indosso uno dei suoi orridi completi, lo amo certo, ma questo non m’impedisce di dire che il suo modo di vestire lasciava un sacco a desiderare.
Si passava una mano fra i ricci chiari, sfogliando una rivista abbandonata sul tavolino davanti al divanetto dove sta comodamente seduto.
“Perché hai il fiatone?” mi chiese appena gli fui davanti, alzando lievemente lo sguardo dalla rivista, Vogue.
Oddio che cosa assolutamente omosessuale.
Repressi una risatina. “Ho corso.”
“Esistono gli ascensori Brend.” Mi fece notare ed io gli rivolsi uno sguardo ovvio.
“Lo so, ma volevo fare presto.”
Lui non commentò più e mi rivolse un sorrisetto.  “perché mi hai chiamato?” domandai.
“Nulla in particolare, volevo parlarti di una cosa e stare un po’ con te.”
Gli sorrisi raggiante, con il cuore in gola.
Non era possibile che dopo tutti quegli anni riusciva ancora a farmi quell’effetto straordinario di totale gioia e stordimento.
Mi sedetti al suo fianco, facendo in modo che i nostri ginocchi si toccassero. Non sopportavo che fosse troppo lontano.
“Ho pensato a Nick e Wilson e…” prese un sospiro. “siamo entrambi gelosi di loro, non possiamo negarlo.” Disse tutto d’un fiato.
Arrossì un poco, forse credendo che le sue parole mi avessero ferito.
Era bello essere così sinceri l’uno con l’altro, senza prendersi in giro. “Ne sono consapevole, ma che facciamo? Io non voglio più stare con Ariel per vederlo soffrire e in qualche modo dovrò pur lasciarlo andare, con o senza gelosia.”
Ryro non fiatò ma annuì, appoggiando la rivista sulle ginocchia e incrociando le braccia al petto.
“Diglielo questa sera.” Disse convinto.
Mi mordicchiai un labbro.
Quanto era facile parlare, quando agire era la cosa più complicata del mondo.
“Sì, glielo dirò.” Mi abbandonai a un sospiro, facendo cadere la testa sulla sua spalla.
Lui si allungò un attimo per regalarmi un bacio sulla fronte. “Andiamo in camera mia ora?”
Non rifiutai ed entrambi sparimmo per ore nella sua stanza dal albergo, dove Nick era stato sgarbatamente sfrattato.
Speravo, in quelle settimane, di riuscire a cantare insieme a lui. Era un desiderio che mi vorticava in testa da quando Pete aveva programmato il tour.
Avremmo potuto cantare qualsiasi cosa, anche la sigla dei Muppet o quella dei Teletubbies se ne avevano una, non m’importava.
Era così importante per me riaverlo anche in quel senso.
Giusto per sentirmi completo per davvero.
Rimanemmo insieme in quella stanza per ore, il cellulare che vibrava insistentemente nella tasca dei miei jeans buttati a casaccio sul pavimento e i gemiti di Ryan che mi riempivano il cuore di serenità.
 

 
Ryan pov
 

Il primo concerto a Toronto fu spettacolare, così come quello della sera dopo.
29 dicembre 2010.
C’era un’atmosfera unica eppure così familiare.
Nick e gli altri, non abituati a tale affollamento ancora facevano fatica a lasciarsi andare, mentre io... beh ero stato meravigliosamente investito da una serenità che avevo creduto persa.
Mi sembrava strano però ritornare a rifugiarmi con Bill e la sua band nei parcheggi a bere vodka e a riprendere con una videocamera le stupidate, era anche strano ritrovare l’abbraccio di Gabe, così amico, ma soprattutto era strano essere di nuovo noi quattro.
C’eravamo ritrovati in una stanza e avevamo parlato a lungo, non di cose serie, di cose triste o di dissapori ancora accessi (Spence e Jon tutt’ora non vogliono dirci il motivo dei loro litigi).
C’era però quella linea sottile che continua a dividerci e a essere ancora imbarazzati l’uno con l’altro. Brendon era più fiducioso di quanto potessi sperare, non faceva che sparlare sull’amicizia e di quanto per noi fosse indissolubile e bla bla bla…
Comunque, lo spazio sotto il palco era pieno zeppo di gente urlante e di ragazzine svenenti. No ci esibivamo per prima, e poi, in successione, i Cobra, TAI e i Panic! che avevano riacquistato quel punto esclamativo che con prepotenza avevo imposto di togliere. Era giusto così, non potevo in alcun modo lamentarmi.
E non volevo farlo.
I fan ci accolsero con calore e cantarono le canzoni in scaletta con tale passione e gioia che seriamente avevo pensato di collassare io stesso dalla felicità.
Finita di Other Girl, e un bis, lasciammo posto a Gabe e agli altri, mentre noi ci rifugiavamo in un piccolo spazio dietro le quinte per osservare le altre esibizioni.
Inutile dire quanto fossi in attesa di sentire la sua voce.
A volte mi mancava così tanto durante i concerti con le Vene Giovani, che se chiudevo gli occhi potevo sentire la sua voce calda e la sua mano sulla spalla, m quando li aprivo, era il sorriso di Jon che incontravo.
Mi passò accanto, facendo bene attenzione a sfiorarmi il braccio fermo lungo il fianco. Lo guardai e mi sorrise, complice, poi corse verso il palco, accolto da una lunga ovazione di applausi e urla.
“Sai qual è la differenza fra te e me, Ross?” sussultai lievemente, quando Wilson mi fu affianco. Abbassai o sguardo per osservarlo nel suo metro e settanta d’altezza, cercando di mantenere un minimo di controllo, mentre la sua aria spavalda mi faceva solo venire voglia di riempirlo di pugni su quel bel faccino.
“Sentiamo, quale sarebbe?” incrociai le braccia, cercando di essere più sicuro di quanto in realtà fossi.
Non molto a dire il vero.
“Che io, a differenza tua, so per certo che non prova nulla di più  che amicizia nei tuoi confronti. Dovresti metterti il cuore in pace.”
Sbuffai una risata. “Come fai a esserne così sicuro, ragazzino?”
“Ho le mie ragioni per esserlo.” Ribattè, gonfiando le guance.
“Voglio darti un consiglio…” iniziai facendomi più vicino e circondandogli le spalle con un braccio. “il fatto che venga a letto con te, non vuol dire che tu sia l’unico.”  Gli sussurrai, gongolando nella sua reazione esitante.
“Stai dicendo stronzate.” Sbottò scrollandosi il mio braccio dalle spalle come se fosse quello terribile della morte.
“Oh, tu non conosci per niente Brendon. Non sai di cosa è capace.” Gli sorrisi, quasi dolcemente.
Quanta pena per un povero ragazzino.  “puoi non credermi ovviamente, anche quanto ti dico che, per lui sei stato un passatempo, qualcosa da fare nell’attesa.”
“Attesa? Quale attesa?”
“Credo che tu abbia capito chi in realtà stava aspettando Brendon.” Sbottai, stanco di quella conversazione.
La sua tecnica di provocazione non era per niente efficace e ne stava uscendo perdente, invece che vincitore.
Se c’è una cosa che ho imparato da mio padre, era che, rispondere alle provocazioni con la violenza non faceva mai male quanto le parole.
I segni delle botte dopo un po’ spariscono, ma le parole, rimangono impresse a fuoco sulla pelle e non spariscono mai.
Per questo papà era quello che ne usciva più scottato dei due.
Sempre.
Ariel dopo quelle parole, che non ricevettero commento, sparì.
Sapevo di aver dato un bel scossone alla faccenda e che presto Brendon sarebbe stato solo mio.
Tornai a guardare Brendon, che cantava con intensa passione “Time to Dance”, ne rimasi affascinato che quasi non riuscii a sbattere le palpebre e gli occhi cominciarono a lacrimare.
Quanta invidia provavo per Dal, che otteneva le attenzioni di Brend.
Le volevo io, tutte per me, ancora una volta.
Erano mie di diritto, anche sul palco.
Nick prese il posto di Ariel e appoggiò il gomito sulla mia spalla, sorridendomi allegramente.
“Sono bravi.” Disse, ammiccando a Spencer. “sai se è sulla nostra carreggiata?” chiese.
Io ebbi un brivido.
“Non lo so e non lo voglio sapere, ma credo sia ancora fidanzato.”
Il suo volto s’illuminò per un attimo. “con una donna.” Aggiunsi.
“Sarà per quei capelli, o quei gilet così gai che continua a indossare, ma so che non ce la racconta giusta.”
Alzai gli occhi al soffitto, reprimendo uno sbuffo.
“Che ne dici del biondino invece?” proposi, ammiccando verso Ariel che se ne stava in un angolo con l’aria imbronciata e in mano una Red Bull.
“il ragazzo del tuo amante?” esclamò, girandosi a fissarlo.
“Potresti non urlarlo, per favore?” sbottai, pestandogli il piede, quando un tecnico del suono si giro ad osservarci.
“ Non è male, ma non voglio esser un pedofilo. Quel ruolo aspetta a Urie!” disse, sorridendomi candidamente.  “Anche se, devo ammettere che il ragazzino è veramente sexy.”
“Pensavo foste amici ormai.” Commentai, tornando a posare lo sguardo di Brend che aveva preso ad ancheggiare sensualmente.
“Non esagerare. Non lo detesto, come fa Jon con il batterista carino, ma sopporto la sua presenza.” Spiegò, sorridendo storto. “sta tranquillo Ry, non ti lascerà.”
“Questo dovrebbe tranquillizzarmi?” sbottai, in preda a una crisi. “è più giovane, è più bello e più spavaldo di me e Brendon è pur sempre un uomo.”
“Quando la smetterai di fare discorsi complessati da donna?” strillò. “senti, ti ama, te l’ha detto, lo vuole lasciare, cosa pretendi di più?”
Sbuffai e non risposi, anche perché i Panic avevano appena finito di esibirsi.
Il primo ad abbandonare il palco fu Spence e Nick ebbe la premura di lanciargli un’occhiata che non aveva nulla di casto.
Spencer scappò.
Io risi, alla faccia contrariata di Nick e mi avvicinai a Brend che si passava con energia un asciugamano sui capelli bagnati di sudore.
Si tolse il papillon e lo infilò nella tasca della sua giacca prima di avvicinarsi. “Come siamo andati?” disse, allungando la mano per lasciarmi una carezza sul collo.
“Alla grande!” commentai, con il cuore in subbuglio e gli occhi scintillanti.
“Brendon! Dobbiamo parlare.” Il volto sulle labbra di Brend sparì, e si girò a guardare Ariel, veramente incazzato.
“Certo, ma dopo il bis, okay?” borbottò, prima di tornare sul palco.
Stava fuggendo.








****




scusate il tremendo ritardo ma gli impegni  e la stanchezza sono sempre in agguato!!!
ringrazio chi ha letto e chi ha recensito, soprattutto!

e chi ha saputo aspettare senza staccarmi l'osso del collo xD moglie, è soprattutto per te u.u <3 <3 <3 <3 <3
okay, grazie a tutti e ricordate che un pensiero è sempre gradito

Grè
  
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