Note
dell'Autrice – sempre discutibilmente utili:
Prima
di essere accusata di fare satira gratuita sulla saga di Twilight,
vorrei precisare che sì,
in questo capitolo c'è uno scambio di battute palesemente
riferito
al suddetto libro
e sì,
trovo che sia molto divertente da prendere in giro.
Niente di cattivo, niente di volgare e niente di personale; non
è il
caso di dare il via ad un massacro di massa – soprattutto se
il
target in questione è la sottoscritta.
Buona
lettura, gente!
(:
*
La
Casa Stornella
Capitolo
Due
Acqua,
baci e sapone
Fra
tutte le assurde previsioni di vita coniugale che aveva sopportato
dacché si era sposato, undici anni prima, il più
irragionevole
rimaneva quella secondo la quale sua moglie avrebbe presto perduto
ogni caratteristica attraente e si sarebbe rapidamente trasformata
–
testuali parole – da una graziosa fata dei boschi a una
Banshee
delle brughiere.
Remus
era fiero di rispondere a tutte quelle insinuazioni dicendo che non
soltanto riteneva sua moglie bella quanto il primo giorno in cui
l'aveva incontrata, ma che, essendo diventata la madre dei propri
figli, la sua opinione su di lei era andata osannandosi nel tempo.
E
come avrebbe potuto non essere così, dopotutto? Come avrebbe
potuto
smettere di amarla? Se lei non fosse entrata nella sua vita, lui
sarebbe probabilmente morto in qualche taverna di periferia del mondo
magico, riverso su un pavimento lercio e bagnato, con la barba
incolta e l'alito impregnato di Whisky Incendiario contraffatto.
Lei
storceva ancora il naso nauseata, quando le faceva notare la
naturalezza con la quale si sarebbe potuto compiere quel destino
parallelo.
«Perché
ti è così difficile crederlo?» le aveva
domandato una volta,
mentre lui cercava di convincerla che, senza di lei, sarebbe perfino
potuto morire in una rissa fra Troll in qualche angolo sperduto della
Gran Bretagna.
Lei
lo aveva fissato per un lunghissimo istante di silenzio, prima che
l'angolo sinistro delle labbra si arricciasse in un vago sogghigno.
«Beh,
perdonami se non ho ancora iniziato a trovare allettante l'idea della
vedovanza».
Nonostante
gli anni e nonostante i loro quattro figli, lei era sempre la stessa.
I suoi occhi erano ancora brillanti e spavaldi e, sebbene avesse
deciso di togliere uno di quei buffi anellini di ferro che portava al
capo del sopracciglio sinistro, le sue orecchie contavano ancora
almeno una decina di orecchini. Preferiva ancora sfoggiare
un'acconciatura corta, ma sembrava aver rivalutato l'impatto del rosa
sulla propria immagine. Sebbene continuasse a cambiare la
tonalità
dei propri capelli con la medesima frequenza di prima, aveva trovato
nel cremisi un degno sostituto all'accecante colore dei suoi primi
vent'anni. Perfino Remus aveva dovuto ammettere che, per quanto la
ritenesse strepitosa con i capelli rosa, quella buffa sfumatura fra
carminio, cremisi e lampone – mai una volta che i suoi colori
fossero facilmente riconoscibili – era indiscutibilmente
inimitabile.
Anche
il suo guardaroba, nel corso della maternità, aveva subito
qualche
restauro. Accanto alle sue T-shirt delle Sorelle Stravagarie
–
poiché se c'era qualcosa di immutabile, quella era la sua
passione
per la loro musica – erano andati via via comparendo delle
belle
vesti da strega, qualche completo classico per le riunioni al
Quartier Generale degli Auror e, con immane stupore di Remus, qualche
abito da sera di raso che compariva per le occasioni ufficiali e
spariva non appena mettevano a letto i bambini.
Aveva
ancora quell'umorismo un po' scanzonato e un po' volgare che l'aveva
fatto innamorare di lei, la sua risata era ancora acuta e cristallina
ed era ancora la stessa goffa e disordinata strega che inciampava nel
corridoio e scendeva a colazione con i calzini spaiati.
Arrivato
alla porta del bagno, Remus bussò delicatamente tre volte.
Attese
qualche secondo, ma non sentì alcun rumore provenire
dall'interno.
Fece un secondo tentativo senza migliori risultati e tentò
di
abbassare la maniglia. La porta non era aperta che di pochi
centimetri, quando le sue orecchie furono raggiunte dalle assordanti
percussioni delle Sorelle Stravagarie. Entrò nella stanza e
si
richiuse velocemente la porta alle spalle, pregando in cuor suo che i
bambini non si fossero svegliati.
Quando
l'aroma dolciastro dei sali da bagno gli arrivò sotto il
naso, fece
un grande respiro sereno. Erano davvero mesi che non arrivava a casa
così stanco.
Le
stanze da bagno di Casa Stornella – come la maggior parte
degli
altri locali – erano, per indiscutibile volere di Tonks,
soleggiate
e spaziose. La donna non aveva voluto sentire ragioni: aveva
trascorso la prima parte della sua vita d'adulta in uno scomodo e
umido monolocale di Gerrart Street e non aveva la minima intenzione
di trascorrerne il resto in una scatola con il tetto.
Se
non fosse stato per il Ministero della Magia, tuttavia, non avrebbero
mai potuto permettersi un'abitazione come Casa Stornella.
Non
erano trascorsi che cinque mesi da quando Harry aveva sconfitto Lord
Voldemort e ognuno di loro stava ancora cercando di riprendere in
mano le redini delle proprie vite. Non era affatto un periodo facile
e la pace appena conquistata non aveva ancora il sapore della
vittoria.
La
perdita di Fred aveva stravolto l'intero clan Weasley e i loro
sorrisi e i loro abbracci avevano l'affettato slancio di chi finge di
non attraversare alcun lutto. Si stringevano l'uno con l'altro,
trascorrevano ogni giorno insieme e, per quanto tutti si sentissero
impotenti dinanzi a quell'ingiustizia, si doveva solo aspettare che
il tempo raschiasse il dolore per permettere loro di vivere un'altra
volta.
Sebbene
la nascita del nipotino le avesse dato un motivo per reagire, poi,
Andromeda Tonks non riusciva ancora a superare la perdita del marito
– e, sicuramente, non l'avrebbe mai superata. Per quanto gli
sforzi
di Tonks di trattenere le lacrime davanti alla madre fossero
encomiabili, anche il suo animo era ancora appesantito dalla
gravità
di tutte le perdite che avevano subito. A questo, si era poi aggiunto
il rinnovato rancore verso i Malfoy che, alle soglie del loro
processo, erano riusciti per la seconda volta ad evitare Azkaban.
Remus aveva tentato inutilmente di placare la furia di Andromeda, il
giorno in cui la notizia era stata pubblicata sulla Gazzetta
del
Profeta, ma la donna sembrava fuori di sé.
«Perché
sono liberi!? Perché!?»
strillava rabbiosa, muovendosi per
il soggiorno come una feroce belva rinchiusa in gabba.
«Questa è
giustizia!? È questa!? È questa!?».
Remus
aveva avuto bisogno dell'intero pomeriggio e di tutta la sua
persuasione per calmarla. Non che ritenesse giusto il verdetto finale
del Wizengamot, tutt'altro: il fatto che Lucius Malfoy si fosse
salvato da Azkaban era un oltraggio per qualunque mago o
strega possedesse un minimo di onestà. Tuttavia, sapeva
anche che
Draco Malfoy, in fondo, non era nient'altro che un ragazzino
spaventato gettato fra le fauci di una guerra che non gli era mai
appartenuta e la gelida Narcissa, nonostante tutto, era semplicemente
una madre devota più di ogni altra cosa al suo unico figlio.
Remus
sperava che queste, perlomeno, fossero state le valutazioni che
avevano tenuto i Malfoy lontano da Azkaban, piuttosto che un immorale
giro di mazzette fra le mani dell'appena restaurato Ministero della
Magia.
In
questo clima di totale confusione fra ciò che è
giusto e ciò che è
sbagliato, fra passato e futuro e fra lacrime e sorrisi, Remus e
Tonks si erano lasciati convincere da Andromeda a tornare nel vecchio
monolocale di Gerrert Street. Entrambi sapevano perfettamente quanto
Andromeda detestasse quell'appartamento di periferia e quanto avesse
bisogno di compagnia, ma sapevano anche che era una donna tenace e
orgogliosa e non avrebbe mai impedito a Tonks di organizzare le
fondamenta di una famiglia che, in fin dei conti, era nata
così in
fretta da non aver lasciato loro nemmeno il tempo per esserne pronti.
Ed
era assolutamente vero, a conti fatti. Teddy era nato nel pieno della
guerra e i problemi sul dove avrebbe dormito o sul come lo avrebbero
cresciuto erano irrilevanti, dinanzi alla più temibile
possibilità
che venissero tutti sterminati dai Mangiamorte. Ora, invece, tutti
quei problemi erano tornati e Remus e Tonks, improvvisamente, si
erano resi conti di non avere la più pallida idea di cosa
fare.
L'appartamento
in Gerrert Street era troppo piccolo e malmesso per un bambino
dall'esuberanza di Teddy, ma non avevano ancora la
possibilità di
cercare una sistemazione più adatta. Con il Ministero della
Magia in
continuo ripristino, la maggior parte degli stipendi erano diminuiti,
così i Galeoni scarseggiavano un po' in tutte le tasche
magiche.
Remus, poi, che dopo la caduta di Lord Voldemort aveva promesso a se
stesso che non avrebbe mai più sostenuto un solo duello
magico,
trascorreva gran parte delle giornate nel gruppo di volontari che si
era offerto di sistemare i gravissimi danni a Hogwarts. Nonostante la
professoressa McGranitt, nominata recentemente Preside senza alcuna
obiezione da parte del Consiglio Scolastico, avesse già
reclamato
Remus come nuovo insegnante di Difesa Contro le Arti Oscure –
una
cattedra non più maledetta, fortunatamente – le
alte mura, i
pennacchi, le merlature e le colonne erano ancora distrutte. L'intera
ala ovest, inoltre, era da ricostruire completamente, e sarebbero
serviti diversi mesi prima che la scuola fosse nuovamente agibile.
Mancavano
poche settimane al Natale del 1998, quando il Ministero aveva
spedito loro quel gufo.
Era
una fredda domenica relativamente tranquilla e Remus e Tonks erano
stati svegliati dagli strilli scocciati di Teddy. Tonks aveva
sferrato al marito un violento calcio nel fianco, ricordandogli chi,
la mattina prima, avesse abbandonato le coperte per preparare loro la
colazione. Remus si era alzato con un grande sbadiglio, aveva
sollevato Teddy dal lettino e si era avviato verso la cucina,
strascicando ogni passo sul pavimento. Si era accorto del gufo
imperiale che stava dritto e impettito davanti alla finestra solo
dopo aver controllato che Teddy non sarebbe riuscito a scappare dal
seggiolone – un'abitudine fin troppo pericolosa che sperava
avrebbe
perduto crescendo.
Non
aveva riconosciuto immediatamente il gufo, ma lo stemma di cera
impresso sulla pergamena era inconfondibile. La lettera era intestata
soltanto a lui e Remus aveva aggrottato le sopracciglia, pensieroso.
Se fosse stata intestata a Tonks, non si sarebbe affatto preoccupato:
qualche collaboratore dei Mangiamorte era ancora in fuga e non era
affatto insolito che il Ministero contattasse personalmente gli
Auror. Quel “Remus Lupin” l'aveva lasciato
perplesso, così si
era affrettato a chiamare Tonks, pregando in cuor suo che non ci
fossero altri problemi ad attenderli.
Quando
Tonks l'aveva raggiunto, con gli occhi ancora socchiusi e una smorfia
infastidita sulla faccia, si era limitata a scuotere interrogativa il
capo e a preparare il latte per Teddy che, poverino, continuava a
dimenarsi in cerca di attenzioni.
«È
una lettera del Ministero» aveva detto Remus con voce piatta.
«È
domenica. Rispondigli che tua moglie di domenica diventa una pazza
isterica e che augura loro di essere investiti dal
Nottetempo».
Remus
si era limitato a fare un lieve sospiro rassegnato.
«La
apro?».
«No,
tienila chiusa. Credo che i pannolini di tuo figlio siano
finiti».
«D'accordo.
La apro».
«Sei
matto? È una lettera del Ministero.
Potrebbe perfino essere
un invito alla prossima stagione di caccia al licantropo».
«Non
ho mai partecipato alla caccia al licantropo» si era finto
interessato Remus, mentre apriva con cauta precisione la busta.
«Potrebbe essere divertente».
Mentre
Tonks prendeva in braccio Teddy e controllava che bevesse la giusta
dose di latte dal biberon, Remus aveva iniziato a leggere
mentalmente. All'inizio, non era riuscito a recepire appieno lo
straordinario contenuto della lettera.
«Non
sono sorda, Remus. Puoi evitare di parlare così
forte» aveva detto
lei con pesante ironia.
Remus
le aveva rivolto uno sguardo sconvolto che le aveva gelato il sorriso
sulle labbra.
«Che
diavolo è successo...?» gli
aveva chiesto in un sibilo.
«Mi...
mi vogliono... mi...».
«Io
li ammazzo, quei bastardi. Li ammazzo tutti quanti, se solo provano
a--».
«No.
Loro non... ecco, la situazione è... è... ci
danno dei soldi».
Tonks
si era bloccata a metà di un'imprecazione particolarmente
volgare e
lo aveva fissato in esterrefatto silenzio per qualche momento.
Confusa, aveva allontanato inconsciamente il biberon dalla bocca di
Teddy, che aveva iniziato a lamentarsi con ripetuti strilli.
«...cosa?».
«Ci
stanno offrendo dei soldi» aveva ripetuto Remus con enfasi,
passandosi sconcertato una mano fra i capelli. «E, per la
santa
spada di Godric Grifondoro, sono un mucchio di
soldi!».
«Mi
prendi in giro».
Remus
aveva scosso violentemente il capo, mentre sul viso gli compariva un
sorriso stordito.
«Affatto.
“Vi informiamo che l'Ufficio Regolazione e Controllo
delle
Creature Magiche, a seguito di recenti rettificazioni del passato
operato, ha ratificato un indennizzo verso tutti i registrati presso
la Divisione Animali, Esseri e Spiriti. Comprendiamo che tale
provvedimento non ha il potere di coprire le scorrette manovre mosse
verso di Voi negli anni trascorsi, ma speriamo che possiate essere in
grado di farne buon uso”» aveva letto
Remus tutto d'un fiato.
«Merlino, Ninfadora... guarda».
Quando
Tonks aveva visto la cifra, era sbiancata. Aveva affermato che quel
numero aveva più zeri dei fan delle Sorelle Stravagarie
presenti
all'ultimo concerto a Liverpool ed era scoppiata in una risata
incontrollata. Ad entrambi erano servite diverse ore, prima di
rendersi conto di cosa questo significasse per loro.
«Possiamo
comprarci una casa vera, Remus» aveva sentenziato quella
notte
Tonks, in preda all'euforia. «Per le sottogonne di Tosca,
possiamo
comprarci una casa! E un cane, magari. Che dici? Compriamo un
cane?».
Remus
l'aveva guardata con aria sognante e si era avvicinato per rubarle un
bacio a fior di labbra.
«Certo.
Compriamo un cane».
*
Tonks
era immersa nella vasca da bagno fumante fino al seno, con le braccia
distese sui bordi di ceramica e il capo appoggiato all'indietro.
Teneva gli occhi chiusi, mentre le labbra piene si muovevano
silenziose seguendo le parole di Can you dance like an
Hippogriff.
Cercando di sopravvivere al frastuono della musica che usciva dalla
radio, Remus la fissò con un mezzo sorriso; era
indiscutibilmente la
donna più attraente che avesse mai visto.
Sollevò
la bacchetta e la mosse svogliatamente a mezz'aria: la musica si
interruppe di colpo. L'unico movimento di Tonks fu un sogghigno
appena accennato.
«Hai
appena interrotto una delle più belle canzoni della
discografia
delle Sorelle Stravagarie, Remus» disse con voce grave, senza
aprire
gli occhi. «Pentiti dinanzi a cotale peccato o verrai
scaraventato
nella bolgia dei profani della musica e sarai costretto ad ascoltare
Celestina Warbeck per il resto dell'eternità».
«Poco
male» rispose indifferente lui, iniziando a sbottonare i
bottoni
dorati del proprio panciotto. «Credo di aver appena perso la
mia
sensibilità uditiva».
«Scocciatore»
sentenziò lei. Dischiuse le palpebre e gli rivolse uno
sguardo
serio. «Come mai sei arrivato così
tardi?».
«Ho
seguito un Bianconiglio che non conosceva la strada e ci siamo
perduti lungo la via del ritorno».
Tonks
emise un gemito divertito.
«Lo
dicevano tutti che avrei avuto un pessimo ascendente su di
te».
Dopo
aver ripiegato con cura il panciotto e averlo riposto nella ceste
degli abiti sporchi, Remus disfò il nodo della cravatta, la
arrotolò
con altrettanta precisione e iniziò a sbottonare la camicia.
Tonks
lo osservava con uno sguardo a metà fra l'esasperato e
l'affascinato.
«Non
credere che ti lascerò invadere il mio spazio
vitale» scherzò,
indicando con decisione la vasca da bagno. «I tuoi
figli mi
hanno distrutto, oggi».
«Siamo
sposati da undici anni e devo ancora capire per quale motivo siano
“i
miei figli” solo quando c'è qualcosa da
rimproverare loro».
«Io
sono sopravvissuta all'immane fatica della gravidanza e del parto,
Remus, quindi è a te che spettano le colpe del loro
pestifero
corredo genetico».
«La
trovo una conclusione scientificamente infondata»
ribatté lui,
mentre sfilava la cintura. «E pure un poco sessista,
se posso
permettermi».
«Sessista?
Io?» ripeté con
drammaticità lei. «Mi auguro tu stia
scherzando, uomo. E ora levati dalla mia vista e
fila in
cucina a farmi un panino».
Lui
scoppiò a ridere, la liquidò con un gesto veloce
della mano,
terminò di svestirsi e si immerse nell'altro lato della
vasca da
bagno.
«Seriamente,
Remus» disse Tonks non appena si fu seduto. «Che
accidenti volevano
quei bacchettoni del Consiglio per rapirti fino a quest'ora?».
Con
un leggero mormorio, Remus appoggiò il capo al bordo e si
passò
stancamente una mano sul viso.
«Francamente,
mia cara, non ne ho la più pallida idea. Ho smesso di
ascoltarli
dopo le prime due ore di riunione. Credo di aver sentito le parole
“parco”, “acqua” e
“lavori” diverse volte, quindi
suppongo sia possibile che vogliano costruire una piscina nei
giardini di Hogwarts».
Tonks
rise.
«Avrebbe
un'utilità indiscutibile» continuò
Remus con enfasi. «Pensa: mi
basterebbe aprire la finestra della mia aula per affogare gli
studenti che mi pongono delle domande troppo ridicole. Sai cosa mi ha
domandato, oggi, Crispin Crockford?».
«Il
figlio di Cyril Crockford dell'Ufficio per i Giochi e gli Sport
Magici?».
«Proprio
lui. Mi ha chiesto se è vero che i vampiri luccicano alla
luce del
sole» spiegò con tono tetro, scrutando con
espressione penetrante
la moglie. «“Luccicare al sole”, tesoro.
Ti rendi conto? Come
gli è potuta venire in mente un'idea tanto
balorda?».
«Mai
dire mai, Remus» ridacchiò lei. «Alla
prossima lezione, potresti
scoprire che i licantropi diventano più pelosi se i loro
capelli
sono lunghi».
Remus
soffocò una risata.
«Che
la buonanima di Mago Merlino mi aiuti».
Tonks
ritrasse le gambe, si arpionò con forza al bordo della vasca
e fece
per stringersi a lui, ma la mano sinistra scivolò sulla
ceramica
bagnata e avrebbe probabilmente sbattuto la testa all'indietro, se
Remus non l'avesse afferrata al volo.
«Dovrebbe
esserci un salvagente nello scantinato» la prese in giro,
inarcando
un sopracciglio.
Lei
lo inondò nuovamente di schizzi. Mentre lui alzava una mano
per
asciugare un poco il volto, Tonks si sporse verso di lui e gli
baciò
la punta del naso.
«Potresti
farti crescere un altro po' i capelli» commentò
con serietà. «I
bambini si divertirebbero un sacco a farti le treccine durante i
pleniluni».
«Vorrei
aspettare almeno i loro quindici anni, prima di veder svanire il
rispetto per la paternità che rappresento»
ribatté Remus,
sfiorandole con i polpastrelli le spalle bagnate e avvicinandosi alle
sue labbra.
Dopo
undici anniversari e quattro figli, i baci di Remus erano ancora come
lui: controllati, gentili e oltremodo galanti.
Sapere
che era realmente accanto a lei era una sensazione a cui Tonks non
avrebbe mai rinunciato. Nemmeno volendo, si diceva, ne sarebbe stata
capace: lui anticipava i suoi pensieri, prevedeva le sue mosse e
conosceva ogni suo timore, ogni suo segreto e ogni suo desiderio. Non
si erano mai posti alcun limite – qualcosa che entrambi
definivano
un'assurdità, oltretutto – e continuavano a
parlare per ore, a
confrontarsi, a discutere e ad essere vivi e in continua evoluzione.
Tonks
non poteva immaginare di trascorrere il resto dei propri giorni senza
di lui – proprio lei, che aveva sempre preferito una
radiocronaca
di Quidditch alle frasi romantiche dei cioccolatini!
«Teddy
vorrebbe andare a Diagon Alley, domani» la informò
con tono
indifferente lui, mentre tracciava una scia di baci lungo la linea
del suo collo.
«Mmh...»
mugugnò Tonks, gettando il capo indietro e passando le dita
bagnate
fra i suoi capelli lunghi. «Credo che abbia finito la scorta
personale di Fuochi Forsennati».
«Rimandiamo
a Natale, che ne pensi? Sono anni che in questa casa non trascorre
una sola settimana senza esplosioni di Detonazioni Deluxe».
«Non
è vero» lo corresse sarcastica Tonks,
carezzandogli la mandibola.
«Il mese scorso ha usato solo Spari Standard e qualche
Detonatore
Abbindolante».
Remus
si allontanò di qualche centimetro da lei e le rivolse
un'occhiata
pensierosa.
«Mi
chiedo se George e Ron siano a conoscenza dei vasti problemi
educativi che stanno generando in tutte le famiglie magiche della
Gran Bretagna».
«Ecco
ciò che accade quando una strega decide di sposare un
professore»
ridacchiò lei contro la sua spalla destra. «I suoi
figli non
saranno mai beneducati come la comunità magica vorrebbe.
Senza
contare che dovrà pure aspettare che emerga dal Ghirigoro
per
l'intera domenica pomeriggio...».
«È
solo per scopo didattico».
«Non
usare Alastor come scusa alle tue perversioni da
bibliotecario».
«Non
l'ho mai fatto».
«Lo
fai sempre. Tu e quel mangialibri di tuo figlio
siete la causa
principale del disboscamento del pianeta».
Remus
soffocò una risata, le scostò un ciuffo porpora
dalla fronte e la
fissò intensamente negli occhi con un sorriso d'estasi
appena
accennato.
«Ti
amo».
Lei
sbuffò teatralmente e inclinò il capo.
«Che
razza di cliché».
«Lascia
il cestino, Cappuccetto Rosso, e vieni a letto con me»
sussurrò
improvvisamente Remus, mentre le labbra si piegavano in un ghigno
malandrino.
Tonks
scoppiò a ridere.
«Che
occhi grandi hai» gli diede corda, mordicchiandosi l'interno
della
guancia e appoggiando le mani sull'incavo delle sue spalle.
«Mi
servono per guardarti meglio...».
Erano
anni che ripetevano quel vivace scambio di battute nei momenti
d'intimità e, nonostante l'incredibile numero di volte in
cui
l'avevano recitato, nessuno dei due sembrava ancora intenzionato a
giudicarlo ripetitivo. Per Tonks, quell'ironica buffonata significava
che i bambini erano definitivamente nel mondo dei sogni e che Casa
Stornella, dopo un'intera giornata di schermaglie fra piccoli Maghi
Oscuri ammantati dalle coperte di pile e minuscoli Draghi con i visi
impiastricciati di tempera rossa, era solo per loro.
«Che
orecchie grandi hai».
«Mi
servono per sentirti meglio...».
«Che
mani grandi hai».
«Mi
servono per toccarti meglio...».
Remus
si riavvicinò nuovamente al suo collo e iniziò a
baciare la linea
della gola di Tonks, che gettò il capo all'indietro con un
mormorio
soddisfatto.
«Che
bocca grande hai».
Lui
sollevò la testa e inarcò un sopracciglio con un
malizia che a
Tonks, più che un lupo, ricordò una volpe.
«Indovina
un po' perché, mia cara».
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