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Autore: Trick    14/02/2011    11 recensioni
"Pareva essere una sorta di buffa maledizione – o di un sarcastico scherzo del destino, magari – ma ogniqualvolta decidevano di allargare la famiglia con un bel gatto o con un Kneazle, ecco spuntare un altro figlio".
Per tutti coloro che non hanno ancora capito che la loro coppia preferita è inspiegabilmente deceduta e continuano a chiedersi:
«Cosa sarebbe successo se avessi acquistato un'edizione del libro in cui Remus e Tonks sopravvivono e si trasferiscono nel Derbyshire?».
Genere: Commedia, Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti | Coppie: Remus/Ninfadora
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da Epilogo alternativo
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Note dell'Autrice – sempre discutibilmente utili:
Prima di essere accusata di fare satira gratuita sulla saga di Twilight, vorrei precisare che sì, in questo capitolo c'è uno scambio di battute palesemente riferito al suddetto libro e sì, trovo che sia molto divertente da prendere in giro. Niente di cattivo, niente di volgare e niente di personale; non è il caso di dare il via ad un massacro di massa – soprattutto se il target in questione è la sottoscritta.
Buona lettura, gente! (:
*

La Casa Stornella
Capitolo Due
Acqua, baci e sapone




Fra tutte le assurde previsioni di vita coniugale che aveva sopportato dacché si era sposato, undici anni prima, il più irragionevole rimaneva quella secondo la quale sua moglie avrebbe presto perduto ogni caratteristica attraente e si sarebbe rapidamente trasformata – testuali parole – da una graziosa fata dei boschi a una Banshee delle brughiere.
Remus era fiero di rispondere a tutte quelle insinuazioni dicendo che non soltanto riteneva sua moglie bella quanto il primo giorno in cui l'aveva incontrata, ma che, essendo diventata la madre dei propri figli, la sua opinione su di lei era andata osannandosi nel tempo.
E come avrebbe potuto non essere così, dopotutto? Come avrebbe potuto smettere di amarla? Se lei non fosse entrata nella sua vita, lui sarebbe probabilmente morto in qualche taverna di periferia del mondo magico, riverso su un pavimento lercio e bagnato, con la barba incolta e l'alito impregnato di Whisky Incendiario contraffatto.
Lei storceva ancora il naso nauseata, quando le faceva notare la naturalezza con la quale si sarebbe potuto compiere quel destino parallelo.
«Perché ti è così difficile crederlo?» le aveva domandato una volta, mentre lui cercava di convincerla che, senza di lei, sarebbe perfino potuto morire in una rissa fra Troll in qualche angolo sperduto della Gran Bretagna.
Lei lo aveva fissato per un lunghissimo istante di silenzio, prima che l'angolo sinistro delle labbra si arricciasse in un vago sogghigno.
«Beh, perdonami se non ho ancora iniziato a trovare allettante l'idea della vedovanza».
Nonostante gli anni e nonostante i loro quattro figli, lei era sempre la stessa. I suoi occhi erano ancora brillanti e spavaldi e, sebbene avesse deciso di togliere uno di quei buffi anellini di ferro che portava al capo del sopracciglio sinistro, le sue orecchie contavano ancora almeno una decina di orecchini. Preferiva ancora sfoggiare un'acconciatura corta, ma sembrava aver rivalutato l'impatto del rosa sulla propria immagine. Sebbene continuasse a cambiare la tonalità dei propri capelli con la medesima frequenza di prima, aveva trovato nel cremisi un degno sostituto all'accecante colore dei suoi primi vent'anni. Perfino Remus aveva dovuto ammettere che, per quanto la ritenesse strepitosa con i capelli rosa, quella buffa sfumatura fra carminio, cremisi e lampone – mai una volta che i suoi colori fossero facilmente riconoscibili – era indiscutibilmente inimitabile.
Anche il suo guardaroba, nel corso della maternità, aveva subito qualche restauro. Accanto alle sue T-shirt delle Sorelle Stravagarie – poiché se c'era qualcosa di immutabile, quella era la sua passione per la loro musica – erano andati via via comparendo delle belle vesti da strega, qualche completo classico per le riunioni al Quartier Generale degli Auror e, con immane stupore di Remus, qualche abito da sera di raso che compariva per le occasioni ufficiali e spariva non appena mettevano a letto i bambini.
Aveva ancora quell'umorismo un po' scanzonato e un po' volgare che l'aveva fatto innamorare di lei, la sua risata era ancora acuta e cristallina ed era ancora la stessa goffa e disordinata strega che inciampava nel corridoio e scendeva a colazione con i calzini spaiati.
Arrivato alla porta del bagno, Remus bussò delicatamente tre volte. Attese qualche secondo, ma non sentì alcun rumore provenire dall'interno. Fece un secondo tentativo senza migliori risultati e tentò di abbassare la maniglia. La porta non era aperta che di pochi centimetri, quando le sue orecchie furono raggiunte dalle assordanti percussioni delle Sorelle Stravagarie. Entrò nella stanza e si richiuse velocemente la porta alle spalle, pregando in cuor suo che i bambini non si fossero svegliati.
Quando l'aroma dolciastro dei sali da bagno gli arrivò sotto il naso, fece un grande respiro sereno. Erano davvero mesi che non arrivava a casa così stanco.
Le stanze da bagno di Casa Stornella – come la maggior parte degli altri locali – erano, per indiscutibile volere di Tonks, soleggiate e spaziose. La donna non aveva voluto sentire ragioni: aveva trascorso la prima parte della sua vita d'adulta in uno scomodo e umido monolocale di Gerrart Street e non aveva la minima intenzione di trascorrerne il resto in una scatola con il tetto.
Se non fosse stato per il Ministero della Magia, tuttavia, non avrebbero mai potuto permettersi un'abitazione come Casa Stornella.
Non erano trascorsi che cinque mesi da quando Harry aveva sconfitto Lord Voldemort e ognuno di loro stava ancora cercando di riprendere in mano le redini delle proprie vite. Non era affatto un periodo facile e la pace appena conquistata non aveva ancora il sapore della vittoria.
La perdita di Fred aveva stravolto l'intero clan Weasley e i loro sorrisi e i loro abbracci avevano l'affettato slancio di chi finge di non attraversare alcun lutto. Si stringevano l'uno con l'altro, trascorrevano ogni giorno insieme e, per quanto tutti si sentissero impotenti dinanzi a quell'ingiustizia, si doveva solo aspettare che il tempo raschiasse il dolore per permettere loro di vivere un'altra volta.
Sebbene la nascita del nipotino le avesse dato un motivo per reagire, poi, Andromeda Tonks non riusciva ancora a superare la perdita del marito – e, sicuramente, non l'avrebbe mai superata. Per quanto gli sforzi di Tonks di trattenere le lacrime davanti alla madre fossero encomiabili, anche il suo animo era ancora appesantito dalla gravità di tutte le perdite che avevano subito. A questo, si era poi aggiunto il rinnovato rancore verso i Malfoy che, alle soglie del loro processo, erano riusciti per la seconda volta ad evitare Azkaban. Remus aveva tentato inutilmente di placare la furia di Andromeda, il giorno in cui la notizia era stata pubblicata sulla Gazzetta del Profeta, ma la donna sembrava fuori di sé.
«Perché sono liberi!? Perché!?» strillava rabbiosa, muovendosi per il soggiorno come una feroce belva rinchiusa in gabba. «Questa è giustizia!? È questa!? È questa!?».
Remus aveva avuto bisogno dell'intero pomeriggio e di tutta la sua persuasione per calmarla. Non che ritenesse giusto il verdetto finale del Wizengamot, tutt'altro: il fatto che Lucius Malfoy si fosse salvato da Azkaban era un oltraggio per qualunque mago o strega possedesse un minimo di onestà. Tuttavia, sapeva anche che Draco Malfoy, in fondo, non era nient'altro che un ragazzino spaventato gettato fra le fauci di una guerra che non gli era mai appartenuta e la gelida Narcissa, nonostante tutto, era semplicemente una madre devota più di ogni altra cosa al suo unico figlio. Remus sperava che queste, perlomeno, fossero state le valutazioni che avevano tenuto i Malfoy lontano da Azkaban, piuttosto che un immorale giro di mazzette fra le mani dell'appena restaurato Ministero della Magia.
In questo clima di totale confusione fra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, fra passato e futuro e fra lacrime e sorrisi, Remus e Tonks si erano lasciati convincere da Andromeda a tornare nel vecchio monolocale di Gerrert Street. Entrambi sapevano perfettamente quanto Andromeda detestasse quell'appartamento di periferia e quanto avesse bisogno di compagnia, ma sapevano anche che era una donna tenace e orgogliosa e non avrebbe mai impedito a Tonks di organizzare le fondamenta di una famiglia che, in fin dei conti, era nata così in fretta da non aver lasciato loro nemmeno il tempo per esserne pronti.
Ed era assolutamente vero, a conti fatti. Teddy era nato nel pieno della guerra e i problemi sul dove avrebbe dormito o sul come lo avrebbero cresciuto erano irrilevanti, dinanzi alla più temibile possibilità che venissero tutti sterminati dai Mangiamorte. Ora, invece, tutti quei problemi erano tornati e Remus e Tonks, improvvisamente, si erano resi conti di non avere la più pallida idea di cosa fare.
L'appartamento in Gerrert Street era troppo piccolo e malmesso per un bambino dall'esuberanza di Teddy, ma non avevano ancora la possibilità di cercare una sistemazione più adatta. Con il Ministero della Magia in continuo ripristino, la maggior parte degli stipendi erano diminuiti, così i Galeoni scarseggiavano un po' in tutte le tasche magiche. Remus, poi, che dopo la caduta di Lord Voldemort aveva promesso a se stesso che non avrebbe mai più sostenuto un solo duello magico, trascorreva gran parte delle giornate nel gruppo di volontari che si era offerto di sistemare i gravissimi danni a Hogwarts. Nonostante la professoressa McGranitt, nominata recentemente Preside senza alcuna obiezione da parte del Consiglio Scolastico, avesse già reclamato Remus come nuovo insegnante di Difesa Contro le Arti Oscure – una cattedra non più maledetta, fortunatamente – le alte mura, i pennacchi, le merlature e le colonne erano ancora distrutte. L'intera ala ovest, inoltre, era da ricostruire completamente, e sarebbero serviti diversi mesi prima che la scuola fosse nuovamente agibile.
Mancavano poche settimane al Natale del 1998, quando il Ministero aveva spedito loro quel gufo.
Era una fredda domenica relativamente tranquilla e Remus e Tonks erano stati svegliati dagli strilli scocciati di Teddy. Tonks aveva sferrato al marito un violento calcio nel fianco, ricordandogli chi, la mattina prima, avesse abbandonato le coperte per preparare loro la colazione. Remus si era alzato con un grande sbadiglio, aveva sollevato Teddy dal lettino e si era avviato verso la cucina, strascicando ogni passo sul pavimento. Si era accorto del gufo imperiale che stava dritto e impettito davanti alla finestra solo dopo aver controllato che Teddy non sarebbe riuscito a scappare dal seggiolone – un'abitudine fin troppo pericolosa che sperava avrebbe perduto crescendo.
Non aveva riconosciuto immediatamente il gufo, ma lo stemma di cera impresso sulla pergamena era inconfondibile. La lettera era intestata soltanto a lui e Remus aveva aggrottato le sopracciglia, pensieroso. Se fosse stata intestata a Tonks, non si sarebbe affatto preoccupato: qualche collaboratore dei Mangiamorte era ancora in fuga e non era affatto insolito che il Ministero contattasse personalmente gli Auror. Quel “Remus Lupin” l'aveva lasciato perplesso, così si era affrettato a chiamare Tonks, pregando in cuor suo che non ci fossero altri problemi ad attenderli.
Quando Tonks l'aveva raggiunto, con gli occhi ancora socchiusi e una smorfia infastidita sulla faccia, si era limitata a scuotere interrogativa il capo e a preparare il latte per Teddy che, poverino, continuava a dimenarsi in cerca di attenzioni.
«È una lettera del Ministero» aveva detto Remus con voce piatta.
«È domenica. Rispondigli che tua moglie di domenica diventa una pazza isterica e che augura loro di essere investiti dal Nottetempo».
Remus si era limitato a fare un lieve sospiro rassegnato.
«La apro?».
«No, tienila chiusa. Credo che i pannolini di tuo figlio siano finiti».
«D'accordo. La apro».
«Sei matto? È una lettera del Ministero. Potrebbe perfino essere un invito alla prossima stagione di caccia al licantropo».
«Non ho mai partecipato alla caccia al licantropo» si era finto interessato Remus, mentre apriva con cauta precisione la busta. «Potrebbe essere divertente».
Mentre Tonks prendeva in braccio Teddy e controllava che bevesse la giusta dose di latte dal biberon, Remus aveva iniziato a leggere mentalmente. All'inizio, non era riuscito a recepire appieno lo straordinario contenuto della lettera.
«Non sono sorda, Remus. Puoi evitare di parlare così forte» aveva detto lei con pesante ironia.
Remus le aveva rivolto uno sguardo sconvolto che le aveva gelato il sorriso sulle labbra.
«Che diavolo è successo...?» gli aveva chiesto in un sibilo.
«Mi... mi vogliono... mi...».
«Io li ammazzo, quei bastardi. Li ammazzo tutti quanti, se solo provano a--».
«No. Loro non... ecco, la situazione è... è... ci danno dei soldi».
Tonks si era bloccata a metà di un'imprecazione particolarmente volgare e lo aveva fissato in esterrefatto silenzio per qualche momento. Confusa, aveva allontanato inconsciamente il biberon dalla bocca di Teddy, che aveva iniziato a lamentarsi con ripetuti strilli.
«...cosa?».
«Ci stanno offrendo dei soldi» aveva ripetuto Remus con enfasi, passandosi sconcertato una mano fra i capelli. «E, per la santa spada di Godric Grifondoro, sono un mucchio di soldi!».
«Mi prendi in giro».
Remus aveva scosso violentemente il capo, mentre sul viso gli compariva un sorriso stordito.
«Affatto. “Vi informiamo che l'Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche, a seguito di recenti rettificazioni del passato operato, ha ratificato un indennizzo verso tutti i registrati presso la Divisione Animali, Esseri e Spiriti. Comprendiamo che tale provvedimento non ha il potere di coprire le scorrette manovre mosse verso di Voi negli anni trascorsi, ma speriamo che possiate essere in grado di farne buon uso”» aveva letto Remus tutto d'un fiato. «Merlino, Ninfadora... guarda».
Quando Tonks aveva visto la cifra, era sbiancata. Aveva affermato che quel numero aveva più zeri dei fan delle Sorelle Stravagarie presenti all'ultimo concerto a Liverpool ed era scoppiata in una risata incontrollata. Ad entrambi erano servite diverse ore, prima di rendersi conto di cosa questo significasse per loro.
«Possiamo comprarci una casa vera, Remus» aveva sentenziato quella notte Tonks, in preda all'euforia. «Per le sottogonne di Tosca, possiamo comprarci una casa! E un cane, magari. Che dici? Compriamo un cane?».
Remus l'aveva guardata con aria sognante e si era avvicinato per rubarle un bacio a fior di labbra.
«Certo. Compriamo un cane».
*

Tonks era immersa nella vasca da bagno fumante fino al seno, con le braccia distese sui bordi di ceramica e il capo appoggiato all'indietro. Teneva gli occhi chiusi, mentre le labbra piene si muovevano silenziose seguendo le parole di Can you dance like an Hippogriff. Cercando di sopravvivere al frastuono della musica che usciva dalla radio, Remus la fissò con un mezzo sorriso; era indiscutibilmente la donna più attraente che avesse mai visto.
Sollevò la bacchetta e la mosse svogliatamente a mezz'aria: la musica si interruppe di colpo. L'unico movimento di Tonks fu un sogghigno appena accennato.
«Hai appena interrotto una delle più belle canzoni della discografia delle Sorelle Stravagarie, Remus» disse con voce grave, senza aprire gli occhi. «Pentiti dinanzi a cotale peccato o verrai scaraventato nella bolgia dei profani della musica e sarai costretto ad ascoltare Celestina Warbeck per il resto dell'eternità».
«Poco male» rispose indifferente lui, iniziando a sbottonare i bottoni dorati del proprio panciotto. «Credo di aver appena perso la mia sensibilità uditiva».
«Scocciatore» sentenziò lei. Dischiuse le palpebre e gli rivolse uno sguardo serio. «Come mai sei arrivato così tardi?».
«Ho seguito un Bianconiglio che non conosceva la strada e ci siamo perduti lungo la via del ritorno».
Tonks emise un gemito divertito.
«Lo dicevano tutti che avrei avuto un pessimo ascendente su di te».
Dopo aver ripiegato con cura il panciotto e averlo riposto nella ceste degli abiti sporchi, Remus disfò il nodo della cravatta, la arrotolò con altrettanta precisione e iniziò a sbottonare la camicia. Tonks lo osservava con uno sguardo a metà fra l'esasperato e l'affascinato.
«Non credere che ti lascerò invadere il mio spazio vitale» scherzò, indicando con decisione la vasca da bagno. «I tuoi figli mi hanno distrutto, oggi».
«Siamo sposati da undici anni e devo ancora capire per quale motivo siano “i miei figli” solo quando c'è qualcosa da rimproverare loro».
«Io sono sopravvissuta all'immane fatica della gravidanza e del parto, Remus, quindi è a te che spettano le colpe del loro pestifero corredo genetico».
«La trovo una conclusione scientificamente infondata» ribatté lui, mentre sfilava la cintura. «E pure un poco sessista, se posso permettermi».
«Sessista? Io?» ripeté con drammaticità lei. «Mi auguro tu stia scherzando, uomo. E ora levati dalla mia vista e fila in cucina a farmi un panino».
Lui scoppiò a ridere, la liquidò con un gesto veloce della mano, terminò di svestirsi e si immerse nell'altro lato della vasca da bagno.
«Seriamente, Remus» disse Tonks non appena si fu seduto. «Che accidenti volevano quei bacchettoni del Consiglio per rapirti fino a quest'ora?».
Con un leggero mormorio, Remus appoggiò il capo al bordo e si passò stancamente una mano sul viso.
«Francamente, mia cara, non ne ho la più pallida idea. Ho smesso di ascoltarli dopo le prime due ore di riunione. Credo di aver sentito le parole “parco”, “acqua” e “lavori” diverse volte, quindi suppongo sia possibile che vogliano costruire una piscina nei giardini di Hogwarts».
Tonks rise.
«Avrebbe un'utilità indiscutibile» continuò Remus con enfasi. «Pensa: mi basterebbe aprire la finestra della mia aula per affogare gli studenti che mi pongono delle domande troppo ridicole. Sai cosa mi ha domandato, oggi, Crispin Crockford?».
«Il figlio di Cyril Crockford dell'Ufficio per i Giochi e gli Sport Magici?».
«Proprio lui. Mi ha chiesto se è vero che i vampiri luccicano alla luce del sole» spiegò con tono tetro, scrutando con espressione penetrante la moglie. «“Luccicare al sole”, tesoro. Ti rendi conto? Come gli è potuta venire in mente un'idea tanto balorda?».
«Mai dire mai, Remus» ridacchiò lei. «Alla prossima lezione, potresti scoprire che i licantropi diventano più pelosi se i loro capelli sono lunghi».
Remus soffocò una risata.
«Che la buonanima di Mago Merlino mi aiuti».
Tonks ritrasse le gambe, si arpionò con forza al bordo della vasca e fece per stringersi a lui, ma la mano sinistra scivolò sulla ceramica bagnata e avrebbe probabilmente sbattuto la testa all'indietro, se Remus non l'avesse afferrata al volo.
«Dovrebbe esserci un salvagente nello scantinato» la prese in giro, inarcando un sopracciglio.
Lei lo inondò nuovamente di schizzi. Mentre lui alzava una mano per asciugare un poco il volto, Tonks si sporse verso di lui e gli baciò la punta del naso.
«Potresti farti crescere un altro po' i capelli» commentò con serietà. «I bambini si divertirebbero un sacco a farti le treccine durante i pleniluni».
«Vorrei aspettare almeno i loro quindici anni, prima di veder svanire il rispetto per la paternità che rappresento» ribatté Remus, sfiorandole con i polpastrelli le spalle bagnate e avvicinandosi alle sue labbra.
Dopo undici anniversari e quattro figli, i baci di Remus erano ancora come lui: controllati, gentili e oltremodo galanti.
Sapere che era realmente accanto a lei era una sensazione a cui Tonks non avrebbe mai rinunciato. Nemmeno volendo, si diceva, ne sarebbe stata capace: lui anticipava i suoi pensieri, prevedeva le sue mosse e conosceva ogni suo timore, ogni suo segreto e ogni suo desiderio. Non si erano mai posti alcun limite – qualcosa che entrambi definivano un'assurdità, oltretutto – e continuavano a parlare per ore, a confrontarsi, a discutere e ad essere vivi e in continua evoluzione.
Tonks non poteva immaginare di trascorrere il resto dei propri giorni senza di lui – proprio lei, che aveva sempre preferito una radiocronaca di Quidditch alle frasi romantiche dei cioccolatini!
«Teddy vorrebbe andare a Diagon Alley, domani» la informò con tono indifferente lui, mentre tracciava una scia di baci lungo la linea del suo collo.
«Mmh...» mugugnò Tonks, gettando il capo indietro e passando le dita bagnate fra i suoi capelli lunghi. «Credo che abbia finito la scorta personale di Fuochi Forsennati».
«Rimandiamo a Natale, che ne pensi? Sono anni che in questa casa non trascorre una sola settimana senza esplosioni di Detonazioni Deluxe».
«Non è vero» lo corresse sarcastica Tonks, carezzandogli la mandibola. «Il mese scorso ha usato solo Spari Standard e qualche Detonatore Abbindolante».
Remus si allontanò di qualche centimetro da lei e le rivolse un'occhiata pensierosa.
«Mi chiedo se George e Ron siano a conoscenza dei vasti problemi educativi che stanno generando in tutte le famiglie magiche della Gran Bretagna».
«Ecco ciò che accade quando una strega decide di sposare un professore» ridacchiò lei contro la sua spalla destra. «I suoi figli non saranno mai beneducati come la comunità magica vorrebbe. Senza contare che dovrà pure aspettare che emerga dal Ghirigoro per l'intera domenica pomeriggio...».
«È solo per scopo didattico».
«Non usare Alastor come scusa alle tue perversioni da bibliotecario».
«Non l'ho mai fatto».
«Lo fai sempre. Tu e quel mangialibri di tuo figlio siete la causa principale del disboscamento del pianeta».
Remus soffocò una risata, le scostò un ciuffo porpora dalla fronte e la fissò intensamente negli occhi con un sorriso d'estasi appena accennato.
«Ti amo».
Lei sbuffò teatralmente e inclinò il capo.
«Che razza di cliché».
«Lascia il cestino, Cappuccetto Rosso, e vieni a letto con me» sussurrò improvvisamente Remus, mentre le labbra si piegavano in un ghigno malandrino.
Tonks scoppiò a ridere.
«Che occhi grandi hai» gli diede corda, mordicchiandosi l'interno della guancia e appoggiando le mani sull'incavo delle sue spalle.
«Mi servono per guardarti meglio...».
Erano anni che ripetevano quel vivace scambio di battute nei momenti d'intimità e, nonostante l'incredibile numero di volte in cui l'avevano recitato, nessuno dei due sembrava ancora intenzionato a giudicarlo ripetitivo. Per Tonks, quell'ironica buffonata significava che i bambini erano definitivamente nel mondo dei sogni e che Casa Stornella, dopo un'intera giornata di schermaglie fra piccoli Maghi Oscuri ammantati dalle coperte di pile e minuscoli Draghi con i visi impiastricciati di tempera rossa, era solo per loro.
«Che orecchie grandi hai».
«Mi servono per sentirti meglio...».
«Che mani grandi hai».
«Mi servono per toccarti meglio...».
Remus si riavvicinò nuovamente al suo collo e iniziò a baciare la linea della gola di Tonks, che gettò il capo all'indietro con un mormorio soddisfatto.
«Che bocca grande hai».
Lui sollevò la testa e inarcò un sopracciglio con un malizia che a Tonks, più che un lupo, ricordò una volpe.
«Indovina un po' perché, mia cara».


   
 
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