Fandom: Harry
Potter.
Pairing: Albus/Gellert.
Rating: Pg.
Genere: Introspettivo, Romantico.
Warning: Post
4°libro, Slash.
Words: 1788 (fiumidiparole).
Summary: Ogni
scalfittura nella calce era un giorno trascorso là dentro ed erano ormai
troppe, così tante da riempire interamente le quattro pareti e quasi tutto il
basso soffitto. Gellert aveva perfino smesso di
contarle davvero, si limitava a segnarle per ricordare a sé stesso che quella
era una nuova alba e che la stava salutando ancora sano di mente.
Note: Scritta per la seconda
settimana della COW-T di fiumidiparole
e maridichallenge,
Missione 1: prigionia,
e per la Ragenbogen Challenge di grindeldore_ita,
su prompt: Ultravioletto – Rosa
gelata. La mia tabella: QUI.
DISCLAIMER:
Non mi appartengono… bla-bla-bla….
Non ci guadagno niente… bla-bla-bla…
Una Visita Inaspettata e un
Mantello dal Colore Improbabile
Se i mortali si
guardassero da qualsiasi rapporto con la saggezza,
la vecchiaia neppure ci sarebbe.
La vita umana non è
altro che un gioco della Follia.
Il cuore ha sempre
ragione. ¹
La neve cadeva fitta su Nurmengard,
aggiungendo bianco ad altro bianco. Nella cella disadorna, una feritoia orizzontale
fungeva da finestra e Grindelwald osservò alcuni
fiocchi candidi insinuarsi tra le sbarre coperte di ghiaccioli, fluttuando
nell’aria gelida come piume sospinte dal vento per gocciolare sul muro coperto
di segni. ²
Ogni scalfittura nella calce era un giorno trascorso là
dentro ed erano ormai troppe, così tante da riempire interamente le quattro
pareti e quasi tutto il basso soffitto. Gellert aveva
perfino smesso di contarle davvero, si limitava a segnarle per ricordare a se
stesso che quella era una nuova alba e che la stava salutando ancora sano di
mente.
A volte immaginava che tutti quei graffi fossero giorni
vissuti in un altro universo, dove lui non stava invecchiando in una cella
gelida, ma viveva la propria vita alla luce del sole. Gli piaceva pensare che
in quel luogo fosse una persona migliore.
Un lieve rumore di passi lo riscosse, troppo leggero per
essere quello di un secondino, accompagnato da un morbido fruscio di vesti.
Sentì una morsa chiudergli il petto, come se il suo subconscio avesse già
compreso a chi apparteneva quell’incedere familiare, che pareva affiorare dai
recessi della sua memoria. Dopotutto, forse alla fine era davvero impazzito e
la mente gli giocava strani scherzi, evocando rumori troppo a lungo desiderati.
Sorrise amaro e non osò voltarsi nemmeno quando sentì la
pesante porta laccata di bianco schiudersi e cigolare sui cardini mal oliati.
Preferì continuare ad osservare affascinato la danza dei fiocchi di neve,
almeno fino a quando un soffice e caldissimo mantello dalla tinta improbabile
si posò sulle sue spalle.
Color lavanda. Davvero il suo vecchio amico aveva dei gusti
bizzarri, in fatto di vestiario.
Ridacchiò sommessamente ed il suono s’inerpicò per la sua
gola come un grattare ruvido, a causa del disuso. Si convinse infine a
voltarsi, incontrando due occhi turchesi e luccicanti riparati da un paio di
lenti a mezzaluna.
I capelli di Albus erano così
bianchi da sembrare anch’essi coperti di neve; per un momento, Gellert immaginò di pettinarli con una spazzola e portare
via i ghiaccioli, rispolverando il rosso ramato dei propri ricordi.
«Hai sempre avuto l’anima di un poeta» esordì Silente, con
un sorriso lieve.
«E tu quella di un impiccione. Da
quando è buon costume frugare nella mente altrui senza alcun permesso?» replicò seccato, ma nemmeno troppo, in realtà.
«Non l’ho fatto, vecchio mio. Ti
assicuro che non mi permetterei mai» rispose l’amico e Grindelwald
lo studiò con attenzione. Nonostante l’aria svagata,
una lieve ruga all’angolo destro della sua bocca denunciava preoccupazione;
dopo tutto quel tempo, se lui era ancora in grado di leggerlo con tanta
facilità, probabilmente per Albus era lo stesso.
«Sono passati… vediamo un po’…» alzò il volto verso il
soffitto, come a voler contare i segni che lo graffiavano «tredici
anni – mese più, mese meno – dall’ultima volta che sei stato qui. Allora il
Mago Oscuro che chiamate Lord Voldemort
era appena stato sconfitto, cosa è accaduto adesso, per spingerti a venire a
trovarmi?» lo interrogò con il tono leggero di chi discorre del tempo.
Entrambi diressero lo sguardo fuori dalla finestra,
osservando il mondo esterno, troppo candido e selvaggio per essere
rassicurante.
«È risorto» annunciò Silente con voce grave.
«Ah…» si limitò a sospirare Gellert.
«Quindi perché sei qui, anzi che nel tuo castello a schierare le truppe?» aggiunse dopo un momento, indicandogli con un
cenno il posto vuoto sulla branda al proprio fianco, tutto ciò che potesse offrirgli.
«Ho già schierato le
truppe» lo informò il vecchio amico.
«Ma ancora non mi hai detto perché sei qui» gli fece notare
l’altro.
«Forse volevo solo un luogo sicuro dove riposare» osservò
Silente, poggiando le spalle contro la parete graffiata.
Grindelwald ridacchiò di nuovo in
quel modo ruvido e mesto. «Sicuro lo
è di certo, ma temo che non sia abbastanza confortevole da permetterti di
riposarti, mio caro» gli fece notare.
«La compagnia potrebbe essere più rilassante dell’ambiente» Albus gli restituì un sorriso appena accennato.
Rimasero in silenzio a lungo, nonostante avessero molto di
cui parlare.
Gellert odiava quelle rare visite
ancor più della solitudine, perché ogni volta aveva l’impressione che il suo
cuore si stesse scongelando, come un rosa in piena fioritura rimasta
intrappolata nel ghiaccio. Il problema di avere compagnia dopo tanto tempo, era
che a quel calore ingannevole ci si abituava, ma quando il gelo finalmente si
scioglieva, Albus se ne andava di nuovo e allora i
petali cadevano a terra tutti insieme e lo stelo rimaneva del tutto spoglio. La
sua mancanza era lancinante e la solitudine era quasi preferibile, rassicurante
nella sua monotonia. Dopo tanto tempo, Grindelwald
aveva perfino smesso di preoccuparsi della pazzia; a che serviva? Sarebbe
rimasto lì per sempre, finché la
Morte non fosse sopraggiunta sorridendogli ferina, da leale nemica
tanto temuta che infine vinceva.
Avrebbe voluto trovare la forza di dirgli di non tornare, ma
era troppo vigliacco per farlo e troppo orgoglioso per chiedergli di
presentarsi più spesso. Osservò quel volto invecchiato, che aveva tanto amato,
desiderato e odiato senza soluzione di continuità in tutti gli anni della
propria vita, fin da quando aveva diciassette anni, e soffocò nel suo profumo
familiare, che lo circondava insieme alla stoffa calda del mantello. Cercò di
cacciare l’amarezza sul fondo del proprio petto e godersi il poco tempo che era
loro concesso, benché consapevole che più tardi i muri di quella cella gli
sarebbero parsi ancora più claustrofobici e pallidi.
«Dunque, che genere di conforto può
offrirti la compagnia di questo vecchio galeotto?» domandò per invitarlo a
confidarsi.
«Il solo fatto di poter essere me stesso e non venir
giudicato è un sollievo, Gellert» sospirò Silente,
consapevole che lui conosceva la parte peggiore della sua anima e non la
rifuggiva, ma – al contrario – forse l’amava più di tutto il resto.
D’un tratto Albus sembrò molto più
vecchio, parve quasi che l’aura di potere che emanava costantemente fosse
caduta a terra come un abito smesso, lasciandolo magro, ricurvo e pallido al
suo fianco. Aveva quello sguardo,
quello che lui conosceva tanto bene e che, quand’erano giovani e sciocchi, riempiva i suoi occhi blu tutte le volte che pensava alla
madre e alla famiglia; “È troppo, Gellert” sembrava
dire “non sono così forte”.
Grindelwald cercò la sua mano, intrecciando
le proprie dita rovinate dal gelo e dalla trascuratezza con quelle sottili e
curate dell’altro. Nonostante gli anni, le grinze e le macchie che avevano
rovinato anche la sua pelle – com’era naturale, dopotutto – erano ancora forti
e perfette come le ricordava. Per un attimo l’immagine di mani lisce e bianche
si sovrappose ad esse; il memento di due ragazzi stesi sulla verde brughiera
inglese.
«Cos’hai fatto, Albus?» gli chiese
con voce sommessa.
Questi rincarò la presa, aggrappandosi a lui come se fosse
il suo unico appiglio. «Tutto questo è colpa mia, è il
frutto dei miei errori. Voldemort era solo un ragazzo,
una volta, sai? Le cose sarebbero potute andare diversamente». Le sue labbra si
strinsero in una linea pallida, mentre chiudeva le palpebre dietro le lenti a
mezzaluna.
«Ma così non è andata. Puoi essere
la coscienza solo di te stesso, Albus. Ogni uomo
decide da sé il proprio Destino» gli fece presente,
perché quanto a Maghi Oscuri da riportare sulla retta via lui bastava per una
vita intera.
«Ora ricade tutto sulle spalle di
un ragazzino, Gellert. Come posso caricarlo di tutto
questo? Non ha nemmeno quindici anni» sussurrò
affranto.
«Noi non eravamo molto più adulti
quando pianificavamo di conquistare il mondo, meiner Rubin. E sai quanto me che ne eravamo
già in grado. Dimmi, è dotato questo giovanotto?» ³
«È potente. Molto più di tutti i
ragazzi del suo anno, anche se non è al nostro livello» ammise Silente «Audace
come pochi, un vero leader, e nasconde una discreta vena manipolatrice sotto
l’aspetto mite. È quello che a Hogwarts chiamiamo un
“Serpeverde mancato”. Ma più di tutto questo è un
ragazzo con un profondo senso della morale ed un
grande spirito giusto».
«Allora istruiscilo, Albus. Guidalo» lo incitò.
«Non voglio immischiarmi nella sua vita più di quanto ho già
fatto, gli ho già causato troppi problemi con le scelte che ho fatto per
proteggerlo» obbiettò l’amico scuotendo il capo.
«Non è un ragazzo qualunque, Albus»
il tono di Gellert ora si fece più duro «Non puoi permetterti di affezionarti a lui. C’è un profezia sul suo conto, no? E Voldemort
l’ha già messa in atto». Gliene aveva parlato quasi
tredici anni prima, quando il regno di terrore di quel mago corrotto era
caduto, ma lui non aveva dimenticato.
Silente annuì, con il cuore appesantito dalla colpa.
«Tu sai qual è il potere che “egli avrà, a lui sconosciuto”»
continuò duro e Albus sbuffò divertito, incontrando
il suo sguardo.
«I Doni, Gellert?
Dopo tutto questo tempo?» replicò, chiedendosi se
facesse sul serio.
«Il ragazzo ne possiede già uno, no?
Ed il più potente di tutti, quello che potrebbe assicurargli la vittoria, è ad
un passo da lui. Tu stesso sostieni che ha un animo giusto e retto, degno
discendente del terzo fratello» sostenne Grindelwald. «Certo, questo implica che dovrebbe quantomeno
disarmarti…» aggiunse poi, soppesando la faccenda.
«Non sono certo di essere la persona adatta ad addestrarlo»
obbiettò l’altro.
«Chi meglio di te?» replicò Gellert,
liquidando quella sciocchezza come se stesse scacciando una mosca fastidiosa.
«Tu» rispose semplicemente Albus.
«Io, certo» rise
lui, dopo un attimo di stupore. «Non sono io il professore, mio caro, e dubito
che potrei essere un buono esempio» gli fece presente.
«Eppure è come te che cerco di
pensare, nei momenti difficili. Mi domando “cosa farebbe Gellert?”
e agisco di conseguenza, cercando di trovare la giusta misura»
confessò l’amico.
Grindelwald scosse il capo, un
sorriso lieve dipinto sulle labbra. «Curioso,» asserì
«visto che è lo stesso che ho sempre fatto io. Le mie idee migliori sono sempre
venute dopo essermi chiesto “cosa farebbe Albus?” In
un certo senso non ho mai smesso di portarti con me».
Lui non rispose alcun che, limitandosi a posare un bacio sul
dorso della sua mano, ancora intrecciata alla propria e Gellert
lo fissò con serietà, certo che se uno dei due avesse aperto di nuovo bocca
troppe cose dolorose sarebbero venute alla luce. Eppure era consapevole che
loro erano il più calzante esempio di ciò che la gente comune definiva “anime
gemelle”.
Grindelwald non aveva mai pensato
a loro in modo tanto banale. Due mesi di follia gli avevano sconvolto la vita e
da allora tutto era cambiato, lui stesso
era cambiato. Erano come i due estremi di un equazione,
il cui risultato – malgrado le varianti ed i possibili calcoli errati – non
poteva che essere perfetto. Albus era l’incognita
della sua esistenza, il solo capace di imprigionarlo per sempre nel bianco più
alienante e scaldarlo con un mantello dal colore ridicolo.
«Non ho mai capito il tuo problema con le tinte sobrie»
ponderò quasi tra sé, stringendosi meglio un lembo del soprabito addosso e gli
occhi dell’amico scintillarono divertiti.
FINE.
Note finali:
¹. Citazione tratta da “Elogio
alla Follia” di Erasmo da Rotterdam.
². In realtà: Nurmengard è
descritta come un “edificio torreggiante” ed una “fortezza sinistra, color nero
lucente e di difficile accesso”, costruita su una roccia nera, situata su di
un’isola nel mezzo di un mare tempestoso. (Estratto da
Wikipedia)
Io, però, preferisco immaginarla così, come ho già accennato in “Bianco” e in “L’Uomo di Silente”; la
trovo più originale.
³. “Meiner Rubin”, il
vezzeggiativo con cui Gellert chiama Albus, significa “mio Rubino” in tedesco.