FLY AWAY (Butterfly reprise)
Capitolo 18
100 per cento
Mi guardo intorno per
l’ennesima volta, in attesa, com’è
giusto che sia e come vuole la tradizione.
La chiesa è
semideserta, sono quasi tutti all’esterno, in attesa di lei mentre io sono
confinato all’interno, come mi ha ordinato mia madre, per
evitare che il caldo mi faccia sudare e rovini il mio aspetto.
Eccola di nuovo, si
affretta a raggiungermi per l’ennesima volta.
Sistema la cravatta al
mio collo, aggiusta il colletto della camicia, poi si allontana di
nuovo, sorridendomi dolcemente e dandomi un buffetto delicato sul petto.
Grazie,
mamma...
Finito di occuparsi,
per il momento, del figlio maggiore, si dedica al più
piccolo, che adrenalinico, non ne vuole sapere di stare fermo.
Sorrido divertito,
godendomi la scena di mia madre che cerca di raggiungere Daichi, che
sfugge dalle sue mani, come un gattino dispettoso.
Papà
interviene, finalmente e lo acciuffa per il colletto della camicia,
proprio come se fosse la sua collottola.
Daichi non protesta ma
ride divertito, tra le braccia di papà, mentre la mamma si
pone l’indice alle labbra, per intimargli il silenzio.
Mio fratello imita il
suo gesto con il piccolo indice paffuto, ridacchiando e incassando il
collo nelle spalle, fasciate nella giacchetta blu elegante.
Distolgo lo sguardo
dalla mia famiglia e torno a guardare i banchi occupati da qualche
anziana parente, i girasoli che illuminano la navata e il viavai di
persone, che mi salutano con gesti d’incoraggiamento.
Al mio fianco Taro,
vestito di tutto punto, da perfetto testimone, m’incoraggia
con un sorriso disteso, anche se lo vedo benissimo che è
agitato, e una stretta vigorosa all’altezza della spalla.
Rispondo sorridendo e
liberando un leggero sbuffo, carico di attesa e agitazione.
Colmo di
quell’incredibile emozione, che a stento riesco a contenere.
D’improvviso
però noto un trambusto proprio in direzione
dell’ingresso.
La morsa che
attanaglia il mio stomaco, si stringe un po’ di
più, tanto per gradire.
Mi volto a guardare il
mio migliore amico, che con occhi stupiti, fissa in direzione della
confusione, sistemandosi involontariamente la giacca, i polsini e il
minuscolo fiore all’occhiello, identico al mio.
Quando si volta, mi
sorride di nuovo.
Abbozzo una smorfia,
mentre le mie mani sono diventate gelide e respiro un po’ a
fatica.
“Ci
siamo!” bisbiglia allontanandosi di qualche passo,
lasciandomi così solo davanti all’altare.
Sto entrando nel
panico ora, lo ammetto.
Tutti gli invitati si
sistemano veloci nelle panche di legno scuro ed io vorrei che
rallentassero questa loro corsa, ma non per posticipare
l’evento, semplicemente perché mi agitano da
morire, tutti questi gesti frettolosi.
Ciliegina sulla torta,
in lontananza scorgo una figura familiare precipitarsi in chiesa, con
aria circospetta.
Auricolare
all’orecchio, vestito impeccabile e maniacale ossessione per
il particolare, fosse anche una foglia leggermente sproporzionata in
una decorazione, che nessuno mai noterà.
Mendo si aggira con
fare deciso per la navata centrale, osservando, anche, la disposizione
degli invitati.
Lo vedo sbuffare,
osservando un punto preciso tra la folla.
Temo che abbia notato
qualche accostamento di colore sbagliato nelle sedute, se potesse, temo
ancora, farebbe spostare parenti e amici, in base alle sue regole
cromatiche.
A un tratto nota
l’anziano sacerdote, che con passo calmo, si appresta a
raggiungere l’altare.
Lo affianca sicuro,
prendendolo a braccetto per accelerare la sua camminata.
“Per fortuna
che per i matrimoni indossate questi adattissimi paramenti bianchi! Non
oso immaginare se fosse stato il viola, il colore di rito!
L’avrei obbligata a cambiarsi!” lo sento
distintamente mormorare all’orecchio del parroco, quando sono
davanti a me.
Il povero prete lo
guarda perplesso, la bocca aperta in un moto
d’incredulità.
“Oh
carissimo e devotissimo servo del Signore! Avrebbe fatto a pugni con il
giallo dei fiori!” e sorride ammiccante, come se
l’avesse l’illuminato, su non so quale dogma o
mistero.
Il sacerdote aggrotta
le sopracciglia bianche e folte, fissandolo interdetto.
Mendo alza gli occhi
al cielo, come se avesse appena finito di parlare con un marziano,
perdendo preziosissimo tempo e si congeda da noi, non prima,
però, di aver lisciato ben bene il paramento
dell’allibito celebrante e, ovviamente, aver sistemato il mio
fiore all’occhiello.
“Eccola che
entra!” esclama in maniera stridula, quando raggiunge Tadai e
la Minase.
D’istinto mi
volto a guardare dalla parte opposta alla mia.
Dall’entrata,
ora completamente libera, entra un bagliore accecante, che non permette
di distinguere nulla all’esterno.
Deglutisco nervoso,
vendendo delle piccole ombre, stanziarsi contro la luce.
Ok...
ci siamo...
Per l’ultima
volta, per farmi forza, forse, mi volto in direzione di Taro, della mia
famiglia seduta nei primi banchi e della famiglia di Sanae, al lato
opposto.
Torno a guardare la
luce, le ombre si fanno più nette.
Ora le distinguo bene,
ma mi concentro solo su una.
Riesco a vedere solo
lei.
Lei distinta, tutto il
resto sfocato e confuso.
Si avvicina,
deglutisco.
Quando è a
un passo da me, mi sorride.
Rispondo al sorriso e
sento gli occhi velarsi di lacrime emozionate.
Perché in
nessun momento ancora, avevo avvertito così forte il senso
di quello che sta per accadere.
Ora, in
quest’istante, che la vedo vestita di bianco, mi rendo
davvero conto che sto per sposarmi.
E che non mi
separerò più da lei.
Sanae è al
mio fianco, il sacerdote inizia il rito.
La guardo ancora e le
stringo la mano, fredda come la mia.
Da oggi
sarà per sempre.
Le sorrido, di nuovo.
Per
sempre.
Sanae si allontana da
me sorridendo allegra, la ringrazio simulando con il labiale, per
avermi risparmiato l’imbarazzo di un ballo al centro pista,
con gli occhi di tutti puntati addosso.
Raggiunge Mendo, Tadai
e la signorina Minase accanto alla piccola orchestra, che sta suonando
un repertorio di classici, altamente romantici, degni di un matrimonio.
“Tsubasa!”
mi volto in direzione della voce inconfondibile, che ha pronunciato il
mio nome.
Roberto sorride avvicinandosi e quando mi raggiunge, circonda
affettuosamente le mie spalle.
“Allora come
procedono le grandi manovre in Brasile, sarà tutto pronto
per il nostro arrivo?” gli chiedo, senza tanti preamboli.
Oltre
all’organizzazione del matrimonio lampo, ho avuto pochissimo
tempo per sistemare le cose a Sao Paulo ma, per fortuna, Roberto mi ha
aiutato tantissimo, specialmente nella ricerca
dell’appartamento, dove andare a vivere con Sanae.
Prima che si mettesse
in moto, però, ho dovuto aspettare che si riprendesse dallo
choc di dover tornare in Giappone in brevissimo tempo, per il mio
matrimonio.
“Stanno
impacchettando le tue cose a casa nostra,
cioè mia,
ormai...” lo dice con un tono di voce un po’ mesto,
immagino che per lui sia come vedere un figlio, andare via di casa.
“Eh prima o
poi dovevo pur spiccare il volo dal nido, no?” chiedo con
fare allegro, per sdrammatizzare.
Roberto annuisce
sorridendo.
“Solo che tu
tendi leggermente ad accelerare i tempi, rispetto alla media...
mondiale!” esclama infine, ridendo divertito.
Arrossisco, portando
la mano alla nuca, nel mio classico gesto d’imbarazzo.
“E’
tutto ok anche per la sorpresa, la consegneranno in tempo...”
aggiunge, riferendosi al mio regalo di nozze per Sanae.
Un pianoforte a coda
Steinway & Sons, che mi è costato una fortuna e che
mi ha suggerito Mendo, visto la mia ignoranza in materia, dichiarando
pomposamente che, se volevo regalarle quello strumento, dovevo puntare
sull’eccellenza.
Sorrido
all’idea di mostrarlo a Sanae, nella nostra nuova casa,
curioso di vedere l’espressione del suo volto, di fronte a
tanta magnificenza.
Con la coda
dell’occhio la cerco di nuovo e la scovo mentre si dirige
verso il palco dell’orchestra.
Bellissima nel suo vestito candido e con le gote arrossate dalla gioia.
“Roberto...
Pensi che Sanae si troverà bene in Brasile?”
chiedo, quasi non rendendomi conto di aver lasciato emergere un
po’ di ansia.
Il mio allenatore mi
guarda serio poi si volta verso il palco.
L’orchestra
ha smesso di suonare e Tadai sta aiutando Sanae a salire i gradini, per
raggiungere, noto, il microfono vicino al piano.
“E’
una ragazza forte e coraggiosa, se la caverà alla
grande...”
Annuisco, continuando
a fissarla curioso mentre sistema, visibilmente imbarazzata,
l’asta avanti a sé.
“E vivace da
morire, si divertirà da matti!” mi rassicura il
mio allenatore, mentre continuo a fissare l’orchestra.
Tadai si siede al
pianoforte, guarda Sanae e con un cenno d’assenso, una
melodia prende a riempire l’aria, diffondendosi per tutto il
parco.
Sanae mi guarda
sorridendo, gli occhi irradiati di luce brillante e le gote ancora
più rosse.
La guardo imbambolato,
sbattendo le palpebre più volte.
“E questo
credo che sia il tuo,
regalo di nozze...” sussurra Roberto al mio orecchio, prima
di allontanarsi di qualche passo e confondersi tra gli altri.
Sanae inizia a cantare.
“Treated
me kind, sweet destiny, carried me through desperation, to the one that
was waiting for me...”*
Per me...
La notte è
calda, piacevole.
Ma mai come la
sensazione della sua pelle contro la mia.
Una leggera brezza
estiva attraversa la stanza.
Ma non è
nulla a confronto del suo respiro, che mi solletica il petto.
Mi stringo a Sanae,
baciandole la fronte, gli zigomi e scoprendo il suo corpo nudo,
allontanando le lenzuola dalla sua pelle accaldata.
La guardo mentre mi
sorride e si stringe a me.
Lei è mia moglie ora e
quest’appellativo esalta in maniera incredibile, quel
possesso di cui sono un po’ vittima, quando
c’è di mezzo lei.
“Non riesci
a dormire?” mi chiede innocentemente, come se fosse possibile
addormentarsi dopo questa giornata, dopo aver fatto l’amore
da sposati.
“Come
te...” rispondo, Sanae guarda di traverso ridendo, colta in
fallo.
Assaporo questa
sensazione magnifica di pace.
Come se fosse la prima
volta che la sento, come se riuscissi, per la prima volta ancora, a
provare la tranquillità.
Sanae si muove tra le
mie braccia, strofinando il suo corpo al mio.
All’improvviso
però, si separa da me e scende dal letto.
Perplesso, sbatto le
palpebre osservandola mentre nuda, armeggia con la piccola valigia,
accanto al comò.
Ne estrae un indumento
bianco e quando lo indossa con gesti veloci, mi rendo conto che si
tratta di una vestaglia da camera corta.
Si volta verso di me,
chiudendo i lembi di tessuto davanti al petto e mi sorride, mentre
stringe in vita la cintura di seta, in un morbido fiocco sproporzionato.
Mi dà le
spalle di nuovo e lentamente si dirige verso la terrazza, dalla quale
entra un venticello tiepido.
Il tempo di vederla
scomparire oltre la vetrata semiaperta e mi precipito anch’io
fuori dalle lenzuola.
Afferro i pantaloni
dell’abito, abbandonati a terra e una volta indossati, la
raggiungo in terrazza.
Sanae è
appoggiata alla balaustra di pietra e guarda il panorama notturno del
parco.
Non si volta quando la
raggiungo alle spalle, circondando la sua vita e il mio mento si posa
leggero sulla sua testa.
Si limita a stringersi
di più nel mio abbraccio, posso chiaramente distinguere
però che sta sorridendo.
“Non
è bellissimo?” mi chiede, continuando a osservare
la lussureggiante vegetazione davanti ai suoi occhi, colma di richiami
orientali, in contrasto con l’edificio in stile occidentale
che ci ospita.
Le fronde degli aceri
giapponesi si muovono dolcemente seguendo il vento che li spinge, il
loro riflesso si specchia nelle acque calme di un laghetto sottostante.
Annuisco, spostando il
mio viso nell’incavo del suo collo.
“Bellissimo...”
ripete piano, la voce leggermente velata da un’indefinibile
sfumatura.
Scorgo tra gli alberi
un luccichio debole, fatto di fiammelle mosse dal vento.
“Scendiamo
in giardino!” esclamo, attirato dalle luci, come se fossi un
bambino attratto dalle lucciole.
Sanae mi guarda per un
attimo, perplessa, poi i suoi occhi s’illuminano
d’entusiasmo e annuisce allegra.
La prendo per mano con
fare sicuro e velocemente usciamo dalla stanza.
In piena notte.
Senza badare a come
siamo vestiti, o meglio, svestiti.
Ci infiliamo in
ascensore, ridacchiando come due mocciosi che stanno per combinarne
delle belle e quando le porte si chiudono, bacio Sanae come succede nei
film romantici, quando gli innamorati si trovano soli, a scendere i
piani, lentamente.
Quando le porte si
aprono a piano terra, faccio capolino per vedere se la via è
libera.
Non notando nessuno,
riprendo mia moglie
per mano e di corsa, letteralmente, oltrepassiamo la veranda che porta
al giardino.
Corriamo scalzi
sull’erba morbida, ridendo divertiti, andando incontro a
quelle luci tremule, nascoste tra gli alberi.
Quando le
raggiungiamo, le nostre lucciole misteriose, prendono la forma di
lanterne di carta.
Bianche e dalla luce calda ma tenue, emanata dalla piccola candela
all’interno di ognuna.
Sanae si avvicina agli
aceri, dalle foglie simili a mani aperte, tese verso di noi e prende
una lanterna, staccandola dal ramo basso cui oscillava.
Poco lontano da noi,
avverto il rumore dell’acqua che cade nel laghetto circondato
dagli alberi, che abbiamo visto dalla terrazza della nostra camera.
Mi avvicino
anch’io all’acero e prendo un’altra
lanterna.
“Vieni con
me...” sussurro all’orecchio di Sanae, che continua
a osservare quella piccola luce che trema tra le sue mani.
Insieme ci avviciniamo
all’acqua placida del piccolo lago, quando siamo sul bordo,
mi abbasso e lascio che la mia lanterna sfiori la superficie,
lasciandola galleggiare.
In silenzio, Sanae si
mette al mio fianco, accovacciandosi e m’imita, abbandonando
la sua cupola di carta, accanto alla mia.
Rimaniamo a osservare
le luci tenui, che rischiarano debolmente la superficie
dell’acqua.
Sanae si sporge e con
un gesto delicato spinge le lanterne, che dondolando, si allontanano
dalla riva, danzando sulla superficie dell’acqua.
Seguiamo il loro
volteggiare, sempre senza dire una parola.
Mi guardo intorno e mi
sento circondato dal mio Paese.
Che non è
solo grattacieli e luci,
ma anche silenzio.
Natura e lanterne che
galleggiano nelle notti di agosto.
Osservo Sanae, che
segue il movimento delle luci sull’acqua, sorridendo
dolcemente.
Pensavo che il
Giappone non mi sarebbe più mancato, perché lei
lo rappresentava e ci teneva legati, indissolubilmente.
Quel legame sta per
spezzarsi ora e adesso ho la certezza che sentirò
più netta la mancanza.
Degli aceri dalle dita lunghe e rosse.
Della neve sul Monte
Fuji quando è inverno.
E di quel sole che sorge rosso a levante...
Le ore in aereo non sono
così interminabili.
Sorvoliamo il
Pacifico, immersi nelle nuvole candide, che come cuscini, accompagnano
il nostro viaggio, quasi volessero renderlo il più
confortevole possibile.
Non siamo partiti da
soli stavolta, non ce n’era bisogno, anche se non
è mai bello separarsi da chi si ama.
Mentre il tapis
roulant ci allontanava dai nostri affetti, ci siamo presi per mano,
Sanae ed io, continuando a scorgere, sempre più lontani, le
nostre famiglie e gli amici, stretti in un saluto collettivo.
Sanae ha pianto.
Una piccola lacrima ha
solcato la sua guancia ma le mie dita l’hanno asciugata, nel
ricordo di quella che bagnò, un tempo, il mio viso.
Ha sorriso quando ha
incrociato il mio sguardo, poi i suoi polmoni si sono gonfiati
d’aria e con un sospiro, è tornata a guardare
avanti a sé, senza più voltarsi.
Ho stretto di
più la sua mano e non mi sono più voltato,
nemmeno io.
Stiamo
puntando al futuro.
Una
nuova vita, ancora.
“Ehi ti va
di ascoltare un po’ di musica?”
Mi volto a guardare
Sanae che mi sorride, appoggiata al bracciolo che divide il suo sedile
dal mio.
Annuisco convinto e
lei prende a frugare nel bagaglio a mano, estraendo un Ipod bianco,
dalle cuffiette tutte attorcigliate.
La osservo per qualche
tempo, senza degnarmi di reprimere un sorriso divertito, cercare di
venire a capo del groviglio di fili.
Quando temo che
tirando troppo, strappi i fili ricoperti di gomma, riesce finalmente a
venire a capo della matassa.
Mi passa una cuffietta
mentre appoggia l’altra al suo orecchio destro.
La imito e dopo poco
sento partire la musica, Sanae appoggia la testa al mio braccio e
chiude gli occhi.
Guardo fuori dal
finestrino mentre mi lascio trasportare dalle note di una canzone, che
Sanae canticchia di continuo negli ultimi tempi.
Un po’
troppo spesso, a essere sinceri.
Quando la sua canzone
preferita però parte da capo, per la seconda volta, alzo gli
occhi al cielo.
“Ehi
ancora!” mi volto verso di lei, per rimproverarla
bonariamente ma mi blocco.
La sua cuffietta giace
abbandonata sulla sua spalla, mentre le sue labbra sono socchiuse, come
Daichi quando dorme esausto, dopo un pomeriggio di giochi al parco.
Chiedo
all’assistente di volo di darmi una coperta, sorrido quando
la copro e Sanae si sposta nel sonno, rannicchiandosi sul sedile.
Le sfioro la fronte
con un bacio leggero, poi m’impossesso dell’Ipod,
rimettendo entrambe le cuffie alle orecchie.
Scorro le canzoni
nella memoria, mi fermo incuriosito da un titolo sconosciuto, nel senso
che proprio non c’è e dalla scritta demo.
Faccio partire la
traccia e la voce di Sanae arriva decisa alle mie orecchie.
Non
ho mai sentito questa canzone, ma ascoltandola è come se mi
appartenesse...
Appoggio la testa al
finestrino e chiudo gli occhi sereno.
Al
cento per cento...
**My life ain’t
defined by limits
I Don’t need no
permission to live it
I’m a break thru the
door til I get in
Everything that I got
I’m a give it
100 Percent and I
ain’t stopping til I reach the finish
I’m a believer not
just a dreamer
I’m givin everything
I got
I’m a go getter
100 Percenter
Undoubtedly I can reach the
top and I ain’t gonna let nothing discourage or dissuade me
Cuz I’m walking out
of here a champion either way babe
I am givin 100 Percent
So go on put your ones up
If you’re putting in
a hundred put your ones up, ones up
If you know that this is
something, put your ones up, ones up
If you really comprehend this
feel, your ones up, your ones up
If you’re walking
into victory keep on shining
One hundred percent
You can only do it if you do
it like I did
Cause’ suffering
ain’t easy
But if you can turn your
wounds into living proof that you’ve survived the fight and
you no longer defined
My life ain’t
defined by limits
I Don’t need no
permission to live it
I’m a break thru the
door til I get in
Everything that I got
I’m a give it
100 Percent and I
ain’t stopping til I reach the finish
I’m a believer not
just a dreamer
I’m givin everything
I got
I’m a go getter
100 Percenter
Undoubtedly I can reach the
top and I ain’t gonna let nothing discourage or dissuade me
(Nothing can discourage me)
Cuz I’m walking out
of here a champion either way babe (Eh)
I am givin 100 Percent so go
on put your ones up
If you’re putting in
a hundred put your ones up, ones up (Put your ones up)
If you know that this is
something, put your ones up, ones up (Everybody)
If you really comprehend this
feel, your ones up, your ones up (Put your ones up)
If you’re walking
into victory keep on shining (One hundred)
One hundred percent
Don’t you ever be
discouraged, let nobody take your courage
If you gonna pray
don’t worry,
If ya gonna wait
don’t pray
You just keep the faith and
listen to me
If you’re putting in
a hundred put your ones up, ones up (Put your ones up)
If you know that this is
something, put your ones up, ones up (If you know you were)
If you really comprehend this
feel, your ones up, your ones up (If you ever hear something)
If you’re walking
into victory keep on shining
One hundred percent
I’m a believer not
just a dreamer
I’m givin everything
I got
I’m a go getter
100 Percenter
Undoubtedly I can reach the
top and I ain’t gonna let nothing discourage or dissuade me
(Percent I will share with you)
Cuz I’m walking out
of here a champion either way babe (Either way)
I am gotta givin 100 Percent
So go on put your ones up
If you’re putting in
a hundred put your ones up, ones up
If you know that this is
something, put your ones up, ones up
If you really comprehend this
feel, your ones up, your ones up
If you’re walking
into victory keep on shining
One hundred percent
*"Vision
of Love" - Parole & Musica: Mariah Carey, Ben Marguiles
© 1990 Sony Music Entertainment Inc.
**
“100 Percent” – Parole & Musica:
Mariah Carey, Crystal Johnson, Jermaine Dupri, Bryan-Michael
Cox © 2010 Island Records
Tutti
i personaggi originali di "Captain Tsubasa" sono © di Yoichi
Takahashi e Shueshia.
I
personaggi di Keysuke Mendo, Takeshi Seii, Akane Minase e Yoichi Tadai
sono invece frutto della mia immaginazione e appartengono a me.^^
In
Giappone ad agosto si celebra l’Obon, ovvero la
commemorazione dei defunti.
Si
accendo lanterne nei giardini, si lasciano scivolare nei fiumi...
Il
terremoto ha distrutto tante vite, proprio in questi giorni, in quel
Paese lontano, che io amo tanto.
La
scena delle lanterne non esisteva, l’ho inserita solo ora.
Le
mani di due giovani giapponesi hanno lasciato la mia lanterna
nell’acqua... lascio che galleggi.
In
ricordo di chi non c’è più, sicura che
il Giappone risorgerà... ancora una volta...
I
miei Tsubasa e Sanae si congedano, da me e da chi ha seguito la
mia/loro storia. Tutto quello che avevo da dire su di loro, ora
è davvero stato detto, nel completo, al 100%. Mi separo
definitivamente da loro, con un po’ di malinconia ma con la
consapevolezza che mi hanno regalato tante cose importanti. Ringrazio
tutti i lettori di Fly Away, chi ha recensito, chi ha segnalato, a suo
tempo, questa storia per le Scelte e l’amministrazione che
l’ha inserita. Ne sono infinitamente grata. Ringrazio
Tsubasa e Sanae per avermi dato la possibilità di mettermi
in gioco, di crescere e migliorare. Li ringrazio per avermi dato modo
di far entrare nella mia vita delle persone favolose, che stimo e
adoro. Che mi sono vicine, nonostante i chilometri di distanza tra noi.
Grazie
infinite di cuore a tutti, questo non è un addio ma solo un
arrivederci...
A
Sara, Elena, Betta e Grazia... che sono molto di più di un
nickname!^^
Dont’be
afraid to fly, open up the door, so much more outside...
OnlyHope
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