La Vita Nova.
Capitolo XIX
Erik ricordava alla
perfezione quei passaggi umidi e bui che scorrevano sotto le strade di Parigi.
Li ricordava così bene che sembrava fossero passati solo un paio di giorni
dall’ultima volta che li aveva percorsi e non più di venti anni. Ricordi vividi
di momenti che sarebbe stato meglio dimenticare
affiorarono alla sua mente, irritandolo più del dovuto. Memorie di un’infanzia
che nessun bambino avrebbe dovuto vivere, ma che lui invece aveva dovuto
sopportare per un brutto scherzo della vita.
Si guardò le
spalle, rendendosi conto di qualcuno che silenziosamente gli stava dietro,
senza farsi notare. Loro sapevano che era lì, era esattamente quello che
volevano. Quando tornò a guardare davanti a sé una figura gli si parò davanti,
con le braccia incrociate sul petto. Non riuscì a capire di chi si trattasse,
perché l’unica fiaccola accesa si stava per consumare tremolante, impedendogli
di studiare i lineamenti dell’altro.
«Vieni,
Erik. Il padrone di casa ti sta aspettando.» La voce di
Faust echeggiò per tutto il lugubre corridoio ed Erik strinse i denti e i pugni
per la rabbia. Di lì a poco si sarebbe nuovamente trovato faccia
a faccia con il figlio dell’uomo che si era preso gioco di lui da
piccolo, usandolo come mera attrazione per i passanti, deridendolo,
picchiandolo. Ma lui non era più un bambino indifeso,
succube delle loro prese in giro; no, lui era cresciuto, era diventato un uomo
dalla grande personalità, un genio... e un uomo che sapeva difendersi. Un
assassino, il tanto temuto Fantasma dell’Opera.
Portò una mano
all’elsa a forma di teschio della sua spada lucente, che pendeva lungo un
fianco nascosta dal mantello, e seguì l’uomo che gli faceva
strada, continuando a lanciare occhiate di circospezione intorno. Si
ritrovarono in quello che un tempo doveva essere un vecchio magazzino, ora il
punto principale del rifugio di quella banda di
zingari.
Lo vide alzarsi
dalla sedia sbilenca, dietro un tavolo consumato dai tarli, ed
allargare le braccia in segno di saluto. Guardandolo attentamente si accorse
con stizza che il ghigno di derisione che gli aveva sempre visto in faccia non
era ancora sparito. Avrebbe presto rimediato alla questione. Ora doveva solo
far liberare Meg Giry, quella era la cosa che più gli premeva.
«Guarda,
guarda chi è venuto a farci visita! Mostriciattolo, qual buon vento ti porta
qui? Sentivi forse la nostra mancanza?», chiese Lucas,
avvicinandosi di qualche passo a lui, anche se vide bene di mantenere una certa
distanza di sicurezza, soprattutto quando si accorse dello sguardo infuocato
dell’altro.
«Lasciala
andare.»
Il suono profondo e
imponente della voce Erik gelò per un attimo il sangue nelle vene dei presenti;
Lucas stesso rimase impressionato da quel tono che non ammetteva repliche, lo
stesso tono di chi era abituato ad impartire ordini da
una vita. Era evidente che il bambino impaurito ed
assoggettato di un tempo era sparito per lasciar spazio ad un uomo che aveva
pieno controllo di sé stesso.
«Però,
sei cresciuto.», commentò lo zingaro, piegando il capo verso una spalla,
incuriosito. «E hai anche buon gusto, la maschera che usi per coprire quella
schifezza che hai in viso è un gran bell’oggetto.»
Erik non rispose
alle sue provocazioni, sapeva benissimo che genere di uomo si trovasse davanti.
Voleva rimanere lucido fino al momento in cui l’avrebbe ucciso, quel maledetto.
«Lascia andare la ragazza.», ripeté con calma.
«Quale
delle due? La biondina o quella a cui hai
involontariamente fatto uccidere i genitori?», chiese con cattiva strafottenza,
che fece rabbrividire di rabbia l’altro. «Sai, Phénix
ti odia. Me l’ha detto lei giusto l’altro giorno. Devi essere stato molto
cattivo con lei... Lo sai che le donne non si fanno
soffrire?» Lucas scoppiò a ridere, scuotendo la testa. «No,
certo che no. Tu non hai avuto nessuna madre né padre che potessero
dirtelo, tanto meno una donna che ti insegnasse le buone maniere.»
Erik fu lesto ad estrarre la spada e premergliela al collo, ma altrettanto
fulmineo fu Lucas, che gli puntò una pistola in mezzo alla fronte. Gli uomini
presenti, intanto, erano sul chi vive, pronti per ogni evenienza.
«Ti
piace la mia pistola? L’ho fregata ad un giovane
soldato che camminava da solo in piena notte. Non c’è più la gendarmeria di una
volta, non sei d’accordo con me?»
Erik strinse gli
occhi guardando la canna dell’arma a pochi centimetri dal suo viso, poi spostò
lo sguardo verso l’uomo che lo minacciava e che lui stesso minacciava.
«Getta la spada, amico.», gli consigliò Lucas. «Anche perché non so cosa ti convenga con una pistola in
fronte. Gettala e possiamo iniziare a ragionare insieme sulla bella biondina.»
L’immagine di Meg
che danzava lieta e felice, del suo sorriso, dei suoi cipigli severi che
acquisiva con Christine quando questa faceva qualcosa di sbagliato e così simile
alla donna che gli aveva salvato la vita quando ancora era un bambino, lo portò
a far cadere di mano la spada lucente, che finendo per terra emise un suono
metallico sordo, che rimbombò per tutta la stanza. Il teschio, nell’elsa,
sembrava ridere derisorio e molti dei compagni di Lucas lo guardarono con
timore, come cattivo presagio.
«Molto
bene, Erik. Ora vai verso quella parete, qualcuno provvederà
a tenerti fermo.», continuò Lucas, sempre puntandogli contro la pistola.
Due uomini si
fecero avanti e, nonostante il brivido di paura che provarono nel sentire
quello sguardo carico d’odio del prigioniero, gli ammanettarono i polsi su un
anello di ferro sopra la sua testa e, una volta che si assicurarono
che non potesse più muoversi, gli sputarono contro.
«Portate qui la
nostra ragazza.», ordinò Lucas ai due, abbassando ora la pistola. Raccolse la
spada che giaceva in terra e, avvicinandosi lentamente, gli sfilò la maschera
con la punta dell’arma, ferendogli la carne già martoriata di suo. «Patetico. Se credi che una maschera ed
un nome come il Fantasma possano
incutere paura. Tu sei e rimarrai un mostro sfigurato.»
Erik distolse lo
sguardo dall’uomo solo quando si accorse della figura femminile che entrò nella
stanza e perse un battito quando vide Phénix sgranare gli occhi per lo stupore;
era più sciupata del solito e aveva gli occhi rossi, gonfi per i lunghi e
numerosi pianti. Diavolo, quanto gli era mancato anche solo poterla vedere da
lontano!
«Erik...» Phénix si portò le mani alle labbra, sgomenta. Mai avrebbe
pensato di rivederlo in quello stato, legato ed
impossibilitato a muoversi. Lui, che invece non esitava un secondo ad uccidere se veniva messa in pericolo la sua vita o quella
dei suoi pochi cari, lui che aveva seminato il terrore per anni in un teatro,
lui che aveva avuto il potere di stregarla con i suoi modi autoritari ed
eleganti, ma mai rudi.
«Sai Phénix, ci ho
pensato parecchio in questi ultimi giorni.», esordì Lucas, ottenendo
l’attenzione di entrambi. «Pensavo... Quest’uomo qui,
o meglio, questo che dovrebbe essere
un uomo, ha ucciso mio padre senza pietà. Non basta, per causa sua i tuoi
genitori sono morti quando ancora avevi due anni. Se non fosse mai vissuto, se
non avesse avuto l’aspetto di un mostro tutto questo
non sarebbe successo.»
«Nessuno ti ha mai dato il permesso di giocare con la vita di un altro.»,
sibilò Erik, ora completamente furibondo.
«Taci!
Non è con te che sto parlando, feccia!», gridò Lucas,
tirandogli il calcio della pistola in viso e facendolo sanguinare copiosamente
dal naso.
Phénix, dietro lo
zingaro, si dovette mordere un labbro per evitarsi di gridare. No, non poteva
permettere che lo ammazzasse, lei... lei era innamorata di lui, anche se le
aveva mentito per tutto quel tempo!
Non smise di
guardarlo neanche quando Lucas riprese a parlare.
«Mi
chiedevo, dovrò farlo io o lo lascio a lei? In fondo lui ha strangolato mio
padre.» Lucas corrugò la fronte, pensieroso.
«Poi mi son detto: in realtà la piccola Phénix è stata privata di tutto, e non
basta... le ha nascosto la verità!»
Erik socchiuse le
labbra come per voler dire qualcosa, ma non fiatò. Si limitò a fissare gli
occhi verdi della ragazza con dolore e risentimento.
«Sei
sempre stata decisa, Phénix. Hai sempre mantenuto le tue promesse e per questo
hai tutto il mio rispetto. Ora non deludermi: uccidilo.»
Phénix distolse di
scatto lo sguardo dall’uomo sanguinante per guardare con orrore la pistola che
Lucas, deciso, le stava porgendo.
«Uccidilo,
Phénix.»
Impiegò qualche
secondo prima di rendersi conto che quell’uomo stava dicendo sul serio. E in
quel momento tutto il peso di quella terribile situazione si fece sentire come
un macigno sulle spalle, che le impediva di muoversi, di ragionare a mente
lucida. Riusciva solo a tremare sotto quello sforzo immane, tremare
e piangere incontrollabilmente.
Il metallo della
pistola era tiepido, riscaldato dalle dita di Lucas che fino a poco prima la
stringeva tra le mani, ma lei rabbrividì come se avesse toccato del ghiaccio.
Improvvisamente tutto divenne offuscato, tutto tranne la sagoma di quella
povera anima appesa per i polsi, con il capo chino di chi si rassegnava alla
sua fine.
Erik,
abbandonandosi alla realtà, chiuse gli occhi quando la vide prendere
l’arma tra le mani, riluttante, non avendo il coraggio di sostenere lo sguardo
di una donna distrutta da tutte quelle novità, la stessa donna per cui provava
l’immenso e tremendo sentimento per il quale si era maledetto in passato, la
stessa donna che gli aveva detto di odiarlo e che presto avrebbe posto fine
alle sue sofferenze.
Le mani che
tremanti reggevano la pistola si sollevarono con lentezza verso di lui, mentre
un dito cercava il grilletto.
Una lieve pressione
e tutto sarebbe finito.
Per sempre.
Ma
lo sparo non arrivò, non ancora.
Erik riaprì gli
occhi solo quando si rese conto che la donna stava indugiando un po’ troppo per
i suoi gusti. O forse era solo un modo per torturarlo lentamente, lasciandolo
ai suoi rimorsi e ai ricordi di una vita funesta che, veloci, gli passavano
davanti agli occhi?
Ma
quando Erik capì le vere intenzioni della ragazza, lei aveva già spostato la
pistola contro Lucas e non poté fare niente per fermarla.
Quella stupida!
«Che stai facendo,
Phénix?», le chiese pacatamente Lucas, alzando un sopracciglio.
La zingara deglutì
a fatica prima di parlare. «Ti ricordi cosa mi dicevi,
anni fa? “Figli
del vento, siamo i figli del vento.” Dimmi,
Lucas, hai mai provato a fermare il vento?*»
L’uomo strinse gli
occhi, ripetendo la domanda di prima. «Che stai facendo,
sciocca?»
«Quello che avrei
voluto fare da tempo.»
Il vento non si può
fermare. Prova a fermarmi, ora.
«Abbassa la
pistola, ragazzina.», le ordinò con incredibile calma l’uomo. Conosceva bene la
ragazza per sapere che non gli avrebbe sparato. Non ne avrebbe avuto il
coraggio.
«Tu lascia andare
Meg ed io abbasserò la pistola.»
Lucas esitò un
attimo, poi fece un cenno d’intesa a Faust, che aveva già la mano pronta sulla
sua arma da fuoco. Questo sparì subito dopo, e Lucas tornò a guardare Phénix.
Scoppiò a ridere due secondi dopo. «Non giocare,
streghetta. Potresti farti male!»
«A te che
importa?», chiese, stringendo convulsamente l’arma tra le mani. «Non mi pare
che tu ci abbia pensato due volte a farmi del male.»
«Non ho mai alzato
un dito su di te, maledetta ingrata!», esclamò furente Lucas. «E Dio solo sa
quanto avrei voluto!»
«Non sono le
percosse o le violazioni al mio corpo gli unici modi
per procurarmi dolore, Lucas.», sibilò, gli occhi verdi che ribollivano di
rabbia. «Mi hai sempre trattata come se fossi il tuo
bamboccio, come se io avessi dovuto sottostare ai tuoi voleri. E io, troppo impaurita all’epoca, ti seguivo, perché ti
temevo. Mi hai lasciata andare solo perché gli altri
avevano iniziato a temere me, una strega
secondo le loro stupide teorie!»
«Sei
sempre stata innocua, Phénix. Non è il colore dei capelli a fare una persona.»
«Mi hai fatta seguire, se non fosse stato per Erik Dio solo sa cosa
quei due disgraziati dei tuoi cugini mi avrebbero fatto.» Vide Lucas contrarre
la mascella per il disappunto nel sentire nominare Victor e Nicolas, ma lei non
vi prestò attenzione. «Hai ucciso mia nonna e con lei
una parte di me. Hai messo in mezzo una ragazza che non c'entrava niente con
questa storia solo per arrivare ai tuoi scopi... E non meno importante, non mi
sembra che tu abbia fatto qualcosa per far scagionare
i miei genitori per l’uccisione di tuo padre. Sapevi benissimo che loro non ne
avrebbero avuto i motivi e nemmeno la forza. Non posso
chiudere ancora un occhio.»
«Quel mostro ha
ucciso mio padre!», tuonò Lucas,
muovendo un passo verso la rossa. «Secondo te avevo anche la voglia di aiutare
una mocciosa come te quando mio padre si ritrovava con un cappio al collo?!»
«E tuo padre non
era da meno!», ribatté lei, con le lacrime agli occhi. «Se ci fossi stato tu al
suo posto, che avresti fatto?»
Erik strinse i
pugni per la avvilimento nel rendersi conto ancora una
volta che quella donna lo stava difendendo, nonostante sapesse. Ma fu quello che sentì dopo che
lo lasciò più sgomento di quanto già non fosse.
Tu hai ucciso
nostro figlio. Te ne sei dimenticata, forse?
Alzò lo sguardo
verso Phénix, gli occhi sbarrati mentre si rendeva conto che quella domanda era
fondata. La vide morsicarsi il labbro inferiore, le lacrime che continuavano a
sgorgare ormai senza freni sul suo viso scarno.
Figlio? Avevano avuto...
un figlio?
Phénix
singhiozzò rumorosamente, stringendo convulsamente la pistola tra le mani.
«Hai mai pensato... Anche solo lontanamente... Che una
ragazzina come me non poteva avere un figlio?», gli chiese, ormai senza forze.
«Era il nostro bambino
quello che portavi in grembo, per Dio!», gridò l’uomo. «E tu hai permesso a
quella vecchia di ucciderlo prima ancora che nascesse!»
«A stento mi
reggevo in piedi, come avrei potuto farlo nascere?!»,
ribatté lei, distrutta dal ricordo. «Pensi che non avrei voluto vederlo
crescere?»
Lucas sospirò
rumorosamente, passandosi una mano sul viso imperlato di sudore. Erik, nel
frattempo, a stento riusciva a credere alle sue orecchie.
«Ti ho amata, maledetta sciocca... E ti avrei amata anche dopo
quello che è successo, se solo non mi avessi abbandonato. Quest’idea ti ha mai
sfiorato quella bella testolina che ti ritrovi?», le
chiese il gitano, più dolcemente.
Phénix socchiuse le
labbra per rispondere, ma il grido disperato di Meg e il suono di uno sparo le fece voltare il viso verso la direzione del frastuono e
Lucas ne approfittò per coglierla alla sprovvista e rubarle la pistola dalle
mani, tirandole un colpo e facendola rovinare a terra. Il ghigno gli comparve
nuovamente in viso e puntò l’arma verso Erik, avvicinando il dito al grilletto.
«Mi son sbagliato sul tuo conto, mia piccola
streghetta. Vuol dire che lo ucciderò io per entrambi. Con te facciamo i conti
dopo.»
Il suono sordo di
due colpi risuonò per l’intero ex-magazzino, facendo trattenere il fiato a tutti
i presenti. Phénix sbarrò gli occhi umidi per le lacrime e provò a gridare, ma
niente fuoriuscì dalla sua gola.
Ma la pallottola
non colpì Erik, per lo meno non quella del primo sparo, che era partito da un Raoul de Chagny freddo e deciso, mentre a farne le spese
maggiori fu Lucas, che cadde a terra reggendosi il petto, insanguinato. Voltò
lo sguardo terrorizzato e vacuo verso Phénix, che piangeva a pochi passi da
lui; poi cadde sul pavimento sporco e umido, senza muoversi più.
Raoul, accompagnato
da alcuni soldati, ordinò di arrestare tutti gli altri zingari e si avvicinò al
corpo senza vita dell’uomo a cui aveva appena sparato.
Poi sollevò gli occhi verso colui che solo un anno
prima aveva cercato di strangolarlo e di portargli via la donna amata. Se non
fosse stato per Phénix che gli si era avvicinata in lacrime per controllare la
ferita che aveva sul fianco, provocata da un colpo accidentale di Lucas,
l’avrebbe finito lui stesso.
«Erik... Erik ti
prego, guardami.»
Lui scosse la
testa, stanco. «Non posso...»
Phénix gli prese il
viso tra le mani e lo costrinse ad alzarlo. «Guardami.»
Lui aprì debolmente
gli occhi e cercò di mettere a fuoco la figura china su di lui. Non aveva mai
provato un dolore fisico come quel bruciare tremendo dovuto ad
un’arma da fuoco, ma tutto sembrò svanire quando incontrò lo sguardo umido per
le lacrime di Phénix. Non sentì la sua voce che lo chiamava, non sentì la
ragazza gridare a Raoul affinché lo portasse da Faucon o da qualcuno che
potesse medicarlo celermente.
Perse i sensi
prima.
Phénix si alzò e
corse incontro a Raoul, sconvolto dall’espressione terrorizzata della ragazza.
«Vi prego, vi supplico, salvatelo!», gridò, afferrandolo per il bavero della
giacca e scuotendolo con disperazione. «Morirà se qualcuno non lo curerà in
tempo!»
Il Visconte lanciò
un’occhiata al suo acerrimo nemico che ora era immobile e piegato su sé stesso, mentre la macchia rossa di sangue sul fianco si
allargava sempre di più. «Morirà comunque. È un
assassino e finirà al patibolo questa settimana stessa.»
«No, no, no!»
Phénix strinse con forza e rabbia la stoffa del suo cappotto. Avrebbe anche
potuto ucciderlo in quel momento. «È
venuto qui per salvare Meg! Se non fosse stato per lui
chissà cosa sarebbe successo!», esclamò tra le lacrime ed
i singhiozzi la zingara. Poggiò disperata la fronte contro il petto dell’uomo,
mentre lentamente perdeva ogni forza. «Per favore, ve lo chiedo per favore.»
La ballerina
comparve in quel momento, accompagnata da un soldato ed
avvolta in una coperta che avevano trovato da qualche parte, scossa ma viva e
senza ferite. Raoul la guardò a lungo prima di prendere una decisione e di
spostare lo sguardo su quell’uomo che, nonostante avesse ucciso, nonostante
tutti i guai che gli aveva causato, si era rivelato il salvatore della piccola
Meg e anche della sua Christine. L’aveva lasciata andare, sebbene l’avesse
amata con una passione ed una follia che ancora
stentava ad immaginare. Inoltre non poteva sopportare il peso dello sguardo di
quella ragazza distrutta dal dolore, perché aveva capito quale sentimento la
legasse a quell’uomo. Se lui avesse perso Christine era più che sicuro che avrebbe dato via la vita pur di salvarla.
La sua stessa
Christine che prima di uscire di casa, quella mattina,
lo aveva pregato di non fargli del male...
Ti prego, Raoul, ti scongiuro. Se è vero che
mi ami salva anche lui! Fallo in nome del nostro amore.
«D'accordo, vi
accontenterò.» Phénix sollevò lo sguardo stupito ed
insieme riconoscente su di lui, facendolo sospirare. «Ma non posso assicurarvi
la sua salvezza da un processo.»
«Grazie, grazie!»,
gioì tra le lacrime la ragazza, che gli si appese al collo per abbracciarlo.
Raoul fece chiamare
urgentemente il cugino, che era rimasto tutto il tempo nascosto dietro un
angolo per paura di essere coinvolto, e con l’aiuto di alcuni soldati portarono
il corpo di Erik fuori da quei cunicoli bui ed umidi,
diretti alla villa del Visconte stesso per dargli le prime cure e togliergli il
proiettile dal fianco.
Phénix guardò la
carrozza andare via veloce, poi cadde in ginocchio, piangendo tutte le lacrime
che le erano rimaste. Quando Claire Louise Giry la trovò in quello stato non riuscì a non versare anche lei una lacrima e pregò
Dio che Erik si salvasse e donasse un po’ di tranquillità a quelle due anime
che per troppo tempo avevano vissuto nell’angoscia.
Continua...
Ammetto che la
facilità con cui Erik si abbassa a gettare la spada ha lasciato sgomenta anche
me, ma ho pensato che fosse un uomo senza più niente
da perdere, che sperava così facendo di poter salvare almeno Meg... spero vi
sia piaciuto anche questo capitolo! ;)
A presto!
Marta.