Chase è
nato come un personaggio per il gdr "Draco Dormiens". E' quindi
tutt'ora vivo ed "utilizzato"; non si tratta di una fic occasionale
né di uno slice of life, sto piano piano costruendo la sua
storia. Qualche informazione: Ha più o meno questo aspetto
(immagine presa da dA, il copyright è dell'autore);
è un Metamorfomagus, come ogni mago maschio della sua
famiglia praticamente dalla sua creazione. Più precisamente
i Gearhart contano, infatti, un maschio e una femmina Metamorphomagus a
generazioni alterne. Pare che l'abilità si trasmetta solo in
linea diretta, e solamente fra matrimoni tra purosangue, anche se
potrebbe essere solo un pretesto della casata; la sorella maggiore di
Chase, sposatasi con un Mezzosangue più di un anno fa, pare
abbia avuto una bella bambina con i capelli a volte blu, a volte
biondi. Proprio perché caratteristica della sua famiglia,
Chase non andava molto fiero di questo suo carattere; poi
trovò il modo di rivoltarlo contro i suoi. Si fece i capelli
a ciocche di colore diverso come di moda tra i Babbani, e li
abbinò ad un piercing sul labbro inferiore che non si leva
mai quando è a casa. Buona lettura :)
Tintinnare
di posate.
Un
fruscio di carta. Mia madre.
«
Hai sentito? Pare che a Londra si stia muovendo qualcosa »
Un
mormorio appena accennato. « Non è da poco
»
Da
qualche parte, un sospiro. Le sue dita scorrono ancora sulla
pergamena, le sue dita bianche e belle, di quelle mani tanto sottili
e spoglie di carezze. « Questa è la prima nuova
che arriva da noi »
obbietta verso la voce che le ha risposto.
Ne
interviene un'altra. « Nulla è sicuro. Per questo
le novità
indugiano, prima di fare scalpore »
«
È successo qualcosa di attestato? »
«
Intendi di rivendicato? »
Una
pausa. « No, anche solo con uno scopo. Attentati ai Babbani,
cose
così »
Faccio
un passo.
«
Più o meno » borbotta qualcuno, e si accende un
brusio di
commensali che commentano con il proprio vicino.
Le
scale sono deserte. Linde, sgombre, deserte. Ci sono solo io con un
braccio appoggiato al muro.
«
C'è movimento nei bassifondi »
«
È vero, si dice che abbiano messo controlli a Diagon Alley
»
«
Diagon Alley? Non è il posto più sicuro?
»
Una
risata. « Per l'appunto. Temono che l'oasi si incrini
»
Altri
si uniscono alla risata. Mia madre rimane muta, aspetta che torni il
silenzio. « Ma... chi? » domanda, forse
controllando sottecchi suo
marito che mangia.
Ed
è proprio il marito ad intervenire. « Non
nostalgici. Non
ragazzini. » Me lo vedo, ad asciugarsi i baffi con il
tovagliolo di
lino. Si spiega. « I nostalgici siamo noi, i ragazzini
esplodono
subito. È altro, stavolta».
Faccio
un altro passo mentre si accende una risatina di donna. «
Esplosioni! È quello che è successo. Lo rifaranno
».
«
Concediamoci di sperare... » Un commento nervoso.
E
improvvisamente divento visibile. Tip, tap, gli ultimi due passi per
uscire alla luce. Sguardo critico della tavolata. Il signorino,
cioè
io, cioè Chase, indossa i jeans sotto il corpetto con la
cravatta.
Ed è scalzo come sempre.
«
Chi? »
La
mia voce ha il doppio del volume delle loro. Perché?
Ascoltano.
Perché hanno paura? Perché io sono giovane?
Perché non sanno cosa
potrei dire.
«
Chi? » insisto, « Altri buontemponi che giocano
alla bacchetta
nucleare tra la gente? Dimenticavo che voi non sapete cosa vuol dire
nucleare. Scusate, allora. Dunque chi? Simpaticoni vestiti di nero in
una brillante interpretazione del Ku Klux Klan? Oh, non mi guardate
così »
Li
ammonisco con le mani sui fianchi, li fisso negli occhi, uno per uno,
da sotto i capelli scarmigliati troppo lunghi che mi coprono la
fronte. Sono una fiamma rossa opposta a loro, il mio colore che
offende il macabro della loro pelle diafana, la compostezza dei loro
abiti grigi e formali.
«
Non mi sorprende che Londra torni ad essere impestata da rimbambiti
col cappuccio » considero con lo sguardo sul lampadario di
cristallo. I finti fuochi fatui che lo fanno luccicare tremano al
ritmo del mio respiro. Quando abbasso gli occhi intercetto
l'espressione di mia madre. Passo a mio padre. Medesimo sentimento.
Trattengo un sorriso ironico. A stento.
«
Che c'è? Mamma? Cos'è questa faccia? »
Non
mi risponde. Non che lo volessi.
«
È per i nostri ospiti? » Mi fermo, scorro
rapidamente la tavola,
faccio un inchino perfetto alla volta degli invitati.
«
No... Loro conoscono benissimo il vostro pupillo »
Mi
permetto un sorriso. Un ghigno.
«
È per un altro motivo... Voi... novità a Londra,
ho capito, voi
ex-simpatizzanti dell'Allegro Circo di Mister Pandemonio Magico
potreste essere... sorvegliati?
»
Sono
il protagonista dello spettacolo, le parole su cui metto enfasi li
fanno trasalire.
«
Sì, i muri potrebbero avere le orecchie, e allora? Forse non
ci
sentono? Forse non ci SENTONO?» La mia voce si alza,
è quasi un
urlo, la strega con la mano sulla bocca è pietrificata dalla
mia
entrata in scena.
«
MANGIAMORTE MERDA! MAGIA OSCURA, MERDA! MERDA, MERDA! TUTTA MERDA!
HEY! MI CHIAMO CHASE, E PENSO CHE SIATE MERDA! CIAO! »
---
Jamie,
sono io.
Mandami
una cazzo di lettera, ti prego.
Hanno
capito che parlo con qualcuno via gufo e che è l'unico
motivo per
cui non mi appendo ad una corda. Sono andato a spiegarglielo.
“Sì,
come mi tirano su di morale i miei rivoluzionari amici
mezzosangue”.
Hanno
messo quattro falchetti e una parodia di aquila in giardino. Tutti
maschi. A controllare la posta.
Ho
stregato il più grosso.
L'aquila
è un pollo gigante a strisce, tutto quello che sa fare
è dare la
caccia alle lepri e agli allocchi del Profeta. Ha cercato di sbranare
un elfo domestico. Ho provato a spiegargli che gli ospiti di mio
padre sono più buoni, senza successo.
Mandami
una cazzo di lettera. Okay che ci sono quei pennuti a fare la
guardia, ma ti ho detto, se toccano il tuo gufo l'aquila li mastica
vivi. E poi se si mangiano Moby Dick te ne regalo uno, promesso.
È
da un po' che lo devi cambiare.
Chase
---
Sono
sdraiato sul divano del salone. Sopra di me ci sono otto metri di
aria profumata e asfissiante che mi separano dal soffitto ad arco.
Tutto decorato in stile gotico. Casa mia è una tredicenne
del
Connecticut.
«
Questa domenica ci sarà una festa, Chase »
Non
apro gli occhi per controllare da dove esattamente mia madre mi stia
parlando. Il fatto che abbia le caviglie più in alto della
testa le
dovrebbe far capire quanto la sto ascoltando.
Mugolo
un assenso-dissenso che vuol dire più o meno “ho
recepito; a
seconda di come mi sveglierò la mattina sai che potrei
rinchiudermi
nella mia stanza e non farmi vedere per tutto il giorno ululando come
un mannaro costringendoti ad inventare una disgrazia che mi
sarà
accaduta per l'occasione oppure trasformarmi in un Merlino (o in Lord
Salazar, ma farlo più anni di seguito perde
originalità) che si
butterà dentro la zuppa costringendo tutti i presenti a
giurare
fedeltà al Minestrone della Magia”.
Mio
padre. Tossisce prima di parlare. « È una cosa
seria. »
Smetto
di trattenermi. « Seria? » ripeto, e stavolta
spalanco gli occhi
per ridere. Sono entrambi molto vicini, lui a braccia incrociate, lei
rigida. Ogni volta che vedo mia madre in quell'assetto mi viene in
mente il paragone che le aveva accostato Jamie vedendo la sua foto.
Esilarante anche quindici volte al giorno.
«
Seria. » Come lui, che mi inchioda con lo sguardo e quei
pessimi
baffi curati ai quali non permetterò mai di infestare la mia
faccia.
« Ci saranno molte persone tra le più autorevoli
di noi Purosangue.
Adulti - sottolinea questa parola - con incarichi
nel
Ministero. In questo e nel precedente ».
“Precedente”
a casa mia è una parafrasi che indica i vecchi bei tempi in
cui la
magia oscura si usava anche per il pediluvio e la gente teneva le
effigi di Lord Voldemort vicino allo specchio del bagno.
«
Sì, ho presente, signor Gearhart. Un bel mazzetto di
fanatici col
pedigree. Poi? »
Mi
ignorano. Mio padre mi incendierebbe, se non fossi il metamorfomago
che lui non è diventato.
«
Questa volta abbiamo prestato particolare attenzione agli ospiti tuoi
coetanei... » inizia mia madre, con il tono che si impone
quando
tenta di farsi mia complice per invogliarmi a fare qualcosa.
«
Soprattutto ragazze. »
Finora
sono stato mezzo sdraiato e scomposto. Mi tiro su e mi metto a sedere
con gli occhi socchiusi, per dar loro il tempo di immaginare come
reagirò. Mia madre sicuramente è contenta di non
essersi dovuta
spiegare.
Uso
la via breve. « Fatemi capire. Voi mi procurate cinque o sei
figlie
di papà col cervello annacquato di puro sangue di mago, fate
in modo
che stiamo da soli, che il mio fascino abbia il suo immancabile
effetto, io ve le ingravido e il casato conquista. È questo
il
programma della serata? »
«
Non ti permettere »
Mi
si gela quel liquido maledetto nelle vene, quando mio padre alza la
voce con me. Si congela. L'istinto.
«
Non ti permettere, Chase. Non ti permettere
»
Non
so a cosa vado incontro ma vorrei continuare. Mia madre me lo
impedisce. Chiama mio padre per nome e lui torna al suo posto. Mi
guarda. Voce fredda. Cuore pure. « Chase. Non dire
sciocchezze.
-siete voi a chiamarle così- Smettila di urlare al
complottismo e di
fare fantasie sulle nostre intenzioni. -e voi di farle sulla mia
vita- Lo facciamo per te. -lo fate per la mia magia- Ti vediamo solo
qui a casa, -mi impedite di vedere chi vorrei- e sappiamo di che
compagnie hai bisogno. Ci saranno tante ragazze rispettabili domenica
sera »
Fa
una piccola pausa d'effetto, quell'ingenua di mia madre. Naive.
« Può darsi che tu trovi una persona che ti
interessi più delle
altre... e che noi ne saremo felici. Non è una cosa
combinata. Tu
scegli. »
Oh,
eccola, la carta psicologica.
«
Non considerare disumana questa formalità... Ci si innamora
comunque
»
Ecco,
questo è precisamente il ruolo della signora Gearhart: dire
ciò che
è necessario dire, ma che il marito non è
assolutamente in grado di
pronunciare.
Le
mani anche sul mio cuore. Ringhiano sulla mia testa, hanno un
attestato che fa del mio sangue loro esclusiva proprietà,
scelgono i
miei spazi, il mio cibo, il passo successivo sono i sentimenti verso
i nipotini che difenderanno l'orgoglio di famiglia, cosa che io non
sto facendo.
Ancora
il commento di Jamie in testa: “Scopate! Scopate,
è per la
famiglia!”.
«
Oh, perché il vostro è stato proprio un attacco
di passione, vero?
»
Pungente.
Sarcastico.
Come
il ceffone e la punizione.
---
Quattro
ore. La cena è durata quattro ore.
In
sedici anni i miei hanno trovato milioni di modi per manipolarmi
senza torturarmi fisicamente. Cioè per non versare il mio
preziosissimo liquore venale inutilmente.
Ero
elegante, ti giuro. Più di quei fighetti biondi con le
camicie
dentro i pantaloni che i miei pretendevano essere miei amici
d'infanzia (anche loro ne erano convinti). Ho provato a parlare con
loro di Quidditch.
Come
si fa a tifare per i Cannoni di Chudley? Fanno pena, è
questione di
numeri!
A
parte queste divergenze, ammetto che della conoscenza la avevano.
Più
di noi. Hanno la mia età, Jamie. Vuol dire che hanno passato
sei
anni in una scuola di magia privata (e spudoratamente del lato
Oscuro, più di Durmstrang, fidati), i loro genitori erano
troppo
preoccupati per la loro salute per mandarli da noi. Grande intuito,
questi genitori premurosi; uno di loro si vantava di aver steso a
colpi di Nimbus un compagno di corso mezzosangue che aveva preso un
voto più alto del suo. C'avesse provato da noi, lo sai dove
se la
ritrovava, la scopa.
Sono
vuoti. Vaneggianti. Imbottiti di pregiudizi più dei
sandwich del
buffet.
Le
ragazze annunciate dai miei in effetti erano sette, più o
meno della
nostra età, tranne una di tredici anni che va ad Hogwarts e
a scuola
si rifiuta categoricamente di conoscermi.
Ho
parlato con loro tutta la serata per guadagnare credito con i miei
signori genitori. La cosa più divertente è stata
mutare la faccia
in modo che il bulbo oculare cadesse fino agli zigomi, sai che
più
in giù non riesco a mandarlo. Quel trucchetto vecchio che ti
ho
fatto vedere il secondo anno ad Erbologia e poi la professoressa ci
ha fatto raccogliere lumache fino a giugno, lo ricordi? L'ho usato
per chiudere la conversazione. In fondo dovevo provarle tutte, no?
È
alla quinta ragazza che mi è arrivata l'idea.
Parlavamo
di imbarazzo, cose da ragazzine, insomma, prendeva in giro qualche
compagna di scuola che faceva i pigiama party con le sue amiche in
circostanze dubbie, e mi è venuta l'illuminazione.
Sposami.
Sei
mezzosangue, fai schifo a scuola, vivi in quindici metri quadrati,
sei un maschio.
Andiamo
a visitare i miei due volte alla settimana per farli rosicare.
Sarò
il gay. Il frocetto di famiglia. Il vicolo cieco. La stirpe finisce
qui.
Da
te non sarà un problema. Divento una ragazza quando mi
presenti a
mamma e al fratellino. Uguale per i tuoi amici. Non ci vuole molto.
Prendiamo un appartamento dove ti pare e viviamo da barboni.
Ti
prego.
Io
qua muoio. Vogliono accoppiarmi come un coniglio.
Ps.
Ah... niente di personale che fai schifo a scuola, te lo dico sempre
che semplicemente non ti applichi.
Chase
Jamie
guarda il foglio alla luce della lampadina. È pergamena di
qualità
eccelsa, raccoglie gli odori, la pressione delle mani, ogni ghirigoro
dell'inchiostro.
Sulle
ultime quattro righe ci sono tre grosse macchie concentriche ad
interrompere la calligrafia.
Scuriscono
la carta, inumidiscono le parole.
Lacrime.
---
«
Marguerite, che cosa dannazione stai facendo, vieni subito qui
»
«
Sì, signora »
Un'occhiata
severa della padrona. Marguerite tiene la testa china come si
conviene alla sua posizione. Ha un grembiule molto colorato. Non
glielo hanno tolto. Perché farlo? Deve stonare col contesto.
Lei del
resto è maga per metà.
«
Marguerite, io » La padrona si interrompe, sembra distrarsi a
pensare, poi si corregge: « Noi non siamo
soddisfatti del tuo
lavoro »
La
donna non emette suono, si limita ad annuire con il capo, accenna una
leggera scrollata di spalle. La sua bacchetta spunta dalla tasca
più
grande del vestito: non può impugnarla mentre parla con la
padrona.
La
signora aspetta un'altra reazione che non arriva. Marguerite sembra
abituata a questo genere di richiami. « Sei licenziata.
»
Un
piccolo sussulto della donna che alza lo sguardo. La signora rimane
impassibile e rimarca le sue parole: « Sei licenziata. Prendi
la tua
roba, ti voglio fuori dal castello per l'ora del tè.
All'ingresso
c'è una sacca col tuo commiato. Sono quattrocento falci e un
diadema
di rubini, mio pensiero personale per ricompensarti del lavoro
svolto. Vattene. » Voce severa. « Via, su»
Marguerite
rimane in silenzio. Sta pensando, con la fronte corrugata, fissa la
signora. Sta decidendo se parlare o no. Si morde un labbro
perché se
si sbaglia rischia grosso. Poi torna la governante sicura di sempre.
«
Signorino, smettetela, non ditelo alla signora ma l'aspetto di vostra
madre non vi dona affatto »
Torno
me stesso con una risata e un sollievo immenso. « Certo che
non
glielo dirò, Maggy, ma ti ringrazio per il complimento
»
Con
un sospiro sollevato si toglie la bacchetta dal grembiule e torna ad
incantare gli archi del corridoio per muovere la luce e i riflessi
come vuole lei. È un'artista mancata, Maggy.
Le
sto alle spalle. È una vita che le sto alle spalle,
tartassandola
per ogni stronzata. « Ma ti prego, non darmi del voi, mi
offende più
del fatto che mi hai riconosciuto »
Sorride.
È una donna che si vede sorridere anche di schiena. Le sue
guance
piene si piegano, la sua figura si illumina. Più delle
vetrate. Ha
un aspetto così materno.
«
Era impossibile non riconoscerti, Chase. La signora che usa la parola
“roba”? Sia mai! »
Riconosco
il mio errore alzando le mani a mo' di scusa. «
Com'è allora che mi
hai scoperto da subito? » chiedo, additandola con fare
curioso.
Sbuffa
silenziosamente. « La signora si schiarisce sempre la voce
prima di
parlarmi. »
«
Sei tu a doverle dare attenzione per prima, vero? »
Non
conferma, continua a lavorare. Le do una pacca leggera sulla spalla.
« Fa così con tutti. Io continuo a proporle il San
Mungo per le
malattie respiratorie, lei non capisce la battuta ».
Marguerite
si concede un ridacchiare sommesso. Si gira in istante. « Che
vuoi,
Chase? Che cerchi? »
«
Io... » Prendo la mia governante per le spalle, tornato me;
sono più
alto di lei, ma la ricordo più alta di me. «
Voglio trovare la mia
balia, Maggy. Voglio ritrovarla per fare una sorpresa a mia sorella.
Non ricordo neanche il suo nome, Maggy. Voglio andarla a trovare
»
Continua ;)!
J.
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