Under a bloody sky_3
ATTO III
BEN POCHE
SPIEGAZIONI
Il
modo migliore per ottenere delle informazioni senza dover ricorrere
alla
polizia, lì in quella zona di St. Louis, era senza alcun
ombra di dubbio il
recarsi nei bassi fondi della città. Si riusciva sempre a
trovare qualcuno
disposto a raccontare qualcosa per un po’ di centoni, che
fossero storie
sentite in giro, cose semplicemente vedute o, meglio ancora, esperienze
vissute
sulla propria pelle. C’era sempre chi non cantava nemmeno
pagato a peso d’oro,
certo, ma per me andavano bene anche le maniere forti.
Avevo parlato con ben otto
persone prima di essere finalmente direzionata verso
l’insegna al neon del
night club fuori cui mi ero ritrovata, e dovevo ammettere che tutto mi
sarei
aspettata tranne quello. Apparteneva ad un mio vecchio conoscente che,
da
quanto sapevo, aveva fatto parte della malavita sin da giovane. Adesso
che era
vecchio e stanco continuava sì gli affari, ma da un paio
d’anni aveva affidato
la gestione di quel night club ad una persona di cui, almeno per quanto
mi riguardava,
non c’era molto da fidarsi. Non era un uomo malvagio - non
secondo i canoni
della sua natura di vampiro, almeno -, ma nel corso dei secoli non si
era mai
fatto scrupoli nell’agire come meglio credeva, il
più delle volte rasentando i
limiti dell’immaginario di noi vampiri stessi. Avevo passato
abbastanza tempo
con lui da rendermene conto a mie spese. Che fosse proprio per quel
motivo che
mi avessero indirizzata lì? Non lo sapevo, ma volevo
scoprire a tutti i costi
cosa c’entrasse lui con quegl’omicidi, se ne fosse
realmente a conoscenza o se
quelle che gli erano state rivolte fossero solo accuse infondate. Cosa
di cui
in fondo, conoscendolo, non dubitavo.
Tornai con i piedi per terra e
scossi il capo, osservando un’ultima volta
l’insegna prima di rassettare i miei
abiti. Con quei semplici jeans scuri e quel dolcevita aderente, ero ben
lontana
dai canoni della restante clientela. Ma, ehi, non ero mica andata
lì ad
abbordare qualcuno, no? Decisi dunque di entrare, gettando occhiate
quasi
svogliate in ogni dove. Lì dentro l’odore di pelle
sintetica, sangue e liquore
era asfissiante ed insopportabile, tanto che mi fece storcere il naso
dal
disgusto.
Ancor più penetrante, poi,
era
l’olezzo di fumo che avvolgeva ogni cosa, persone comprese. I
clienti, per la
maggior parte uomini, si trastullavano con le accompagnatrici o gli
accompagnatori ingurgitando bicchieri su bicchieri, troppo presi da
quei loro
svaghi per accorgersi di quel che capitava loro intorno. Cercavano con
le
labbra il viso delle donne sedute accanto a loro o sulle loro cosce,
con gli
occhi annebbiati dai fumi dell’alcool. Uno di loro mi rivolse
uno sguardo vacuo
e per nulla intelligente, simbolo che oltre al liquore c’era
qualcos’altro che
stava facendo effetto nel suo organismo. Lo sentivo
nell’odore che lo avvolgeva
come se fosse l’aroma d’un vino pregiato, un
miscuglio di colori e forme che si
riversava forte e prepotente nei palpiti del suo cuore.
Non era il solo ad avere
quell’aspetto e quell’aria smarrita, quella notte,
e non fu il solo sguardo che
ricevetti mentre avanzavo nella ressa del night club. Superai un paio
di tavoli
e gran parte di quell’ammasso di carne e muscoli,
raggiungendo il limitare
dell’ambiente.
«Sono entrate qui parecchie
persone, questa notte, ma mai avrei pensato che ci onorassi della tua
presenza,
chica»,
mi accolse subito una voce, proveniente da uno dei divani
accostati alla parete sinistra del pub. Erano in ombra a differenza di
quelli
nel restante locale, e a malapena si scorgevano i volti delle tre
persone lì
accomodate. Quelle due sedute rispettivamente a destra e a sinistra
erano
donne, e dal loro odore - un misto di vodka, Chanel n°5 e
lussuria - sembravano
anche pronte a prestarsi sessualmente a qualunque uomo
l’avesse loro chiesto.
In mezzo a loro c’era l’unico vampiro a cui non
avrei mai voluto chiedere un
favore. In nessun secolo, possibilmente. Per mia sfortuna, invece, vi
ero stata
costretta per cause di forza maggiore.
Inclinai il capo di lato ed
assunsi un’espressione scettica per il modo in cui ero stata
chiamata,
ritrovandomi a sbuffare appena, ilare. «Risparmiati tutti
questi convenevoli,
Miguel», replicai per nulla cordiale. «Avrei
volentieri evitato di venire nel
tuo night club».
Mi giunse in risposta una
risata, prima che una mano d’alabastro uscisse da quella zona
delimitata dalle
ombre. «Non vieni a farmi visita da quasi un secolo e mezzo
ed è questo il
saluto che ottengo da te?» più che una vera e
propria domanda, la sua mi parve
più un’affermazione o una semplice constatazione.
La voce con cui la porse fu
comunque bassa e calda, esattamente come mi sarei aspettato da un
vampiro della
sua levatura. Proveniva da una famiglia che un tempo era stata nobile e
ricca,
ed era l’unico, lì dentro, ad appartenere allo
stesso secolo a cui appartenevo
io. Era stato creato parecchi anni prima di me, ed era stato lui ad
insegnarmi
tutto quello di cui ero a conoscenza e come sopravvivere nel corso dei
secoli.
In un modo alquanto contorto e perverso si poteva dire che mi avesse
quasi
fatto da padre, mentore e, sebbene odiassi ammetterlo, anche da amante.
Ma era
una storia chiusa ormai da troppi secoli per rivangarla ancora.
«La mia natura la conosci, non
fare domande ovvie», mi sentii comunque in dovere di
ribattere, forse anche un
po’ scontrosa. «Comunque sia non sono venuta qui
per questo scambio di futili
chiacchiere, Miguel», arrivai dritto al punto, aggirando il
tavolino lì davanti
per accomodarmi, senza attendere il suo consenso, sul divano libero che
gli
stava di fronte. «Mi è giunta voce che tu sai un
po’ di cose riguardo a degli
omicidi... è così?»
Per qualche minuto nessuno dei
due fiatò oltre: sentivo solo il battito del cuore delle due
accompagnatrici e
i loro respiri, suoni mescolati con la miriade di organi palpitanti e
la bassa
musica che faceva quasi da sottofondo. Vidi poi Miguel fare un cenno
con quella
sua mano bianca, e finalmente una delle due donne si alzò in
piedi esponendosi
alla debole luce. Era alta e snella, con ricci capelli castani sciolti
sulle
spalle. Non era esattamente una di quelle donne dalle curve vertiginose
e il
fisico da modella, ma aveva una carica di voluttà unicamente
sua. Se fossero
solo quegli occhi scuri che mi avevano fissato per un attimo a dare
quell’impressione, non avrei saputo dirlo. Sbatté
appena le lunghe ciglia prima
di distogliere lo sguardo da me, aiutando Miguel ad alzarsi in piedi e
ad
evitare il tavolino sebbene non ce ne fosse bisogno, venendo ben presto
congedata da lui stesso. Lui fece cenno ad entrambe di lasciarci soli,
e quando
finalmente lo fummo ci squadrammo e restammo in silenzio, quasi in uno
stato di
mistica contemplazione.
Sembrava come se uno di noi due
avesse il terrore di rompere quel precario equilibrio di quiete,
sebbene l’aria
che vibrasse intorno a noi fosse tutto fuorché placida e
tranquilla: tesi come
corde di violino sembrava che ci stessimo scontrando con
l’aura di potere che
ci caratterizzava, ma nessuno dei due stava cercando di imporre il
proprio
volere all’altro.
Accavallai disinvolta le gambe,
attendendo che lui proferisse parola senza staccare al contempo lo
sguardo dal
suo viso per non dimostrarmi debole dinnanzi ai suoi occhi. Seppur
velati dalla
patina della cecità, difatti, quelle sue polle che un tempo
erano state più
azzurre del cielo stesso sembravano metter soggezione anche guardandoli
per un
breve attimo.
Volse infine lo sguardo verso
un punto indefinito del locale, affidandosi al suo udito per compiere
qualche
passo. «Seguimi», disse semplicemente.
«Meglio discutere in un luogo più
appartato. Anche i muri hanno le orecchie, lo sai».
Non ribattei, limitandomi solo
ad alzarmi. Se voleva parlarmi in privato voleva significare che di
qualcosa,
in fin dei conti, ne era a conoscenza.
Lo seguii nella ressa del
locale, superando divani e clienti prima di giungere dal lato opposto,
uscendo
con lui dalla porta di servizio. Ci ritrovammo in un vicolo, dove un
tanfo
insopportabile appestava l’aria, rendendola quasi
irrespirabile. Storsi il naso
e mi portai una mano su di esso, coprendomi anche la bocca mentre
continuavo a
stare al passo di Miguel che, bisognava ammetterlo, pur essendo cieco
riusciva
a muoversi con una facilità inaudita.
Ad un certo punto si fermò e,
ancora di spalle, intercedette. «Quanto sei disposta a
spingerti oltre con
questa storia?» mi domandò, con un tono di voce
sottile e tagliente. Sembrava
che ci fosse qualcosa che lo rendeva nervoso, dato il modo in cui mi si
era
rivolto.
Mi limitai semplicemente ad
incrociare le braccia al petto. «Quel che basta per capire
cosa sta succedendo»,
risposi con fare ovvio, vedendolo finalmente voltarsi verso di me. Il
suo viso
era una maschera marmorea, e la sua bocca era ritratta a scoprire le
zanne
candide e affilate.
«Lo dico per il tuo bene, chica,
lascia perdere questa faccenda adesso che sei ancora in tempo per
farlo»,
disse, per nulla cordiale. «Non hai nulla a che vedere con
tutto questo».
Sollevai un sopracciglio, senza
capire. «Come sarebbe a dire?» fu il mio turno di
chiedere. «Non eri stato
proprio tu, un tempo, a dire che più evitavamo
d’esporci meglio sarebbe stato?»
Non riuscivo a comprendere il
suo cambiamento e il motivo di tanta ostilità, e anche
l’espressione sul suo
viso non era capace di rispondere alle mie mute domande o diradare
qualsiasi
dubbio. Non lo fece nemmeno lui stesso, fra l’altro,
incamminandosi verso di me
con passo deciso ma malfermo, come se stesse facendo attenzione a dove
metteva
i piedi.
«Ed è proprio per
questo che ti
dico di restarne fuori», disse ancora una volta.
«Quando sarà il momento saprai
tutto, per adesso vedi di tenere lontano da te quel
ragazzino».
Feci per ribattere, ma
realizzai quelle parole e subito guardai Miguel con serietà.
«Che ne sai del
ragazzino?» domandai nuovamente. «Non ti ho parlato
di lui».
«Ci sono domande di cui
è
meglio non conoscere mai le risposte», replicò
semplicemente, alquanto
sibillino. «E tu ne hai poste troppe».
Scossi il capo, avvicinandomi
io stesso a lui prima di fermarmi a pochissimi passi. Se avessi
allungato una
mano avrei potuto sfiorargli il viso. «Cosa mi stai
nascondendo, Miguel?» gli
chiesi senza giri di parole, fissandolo seriamente negli occhi sebbene
sapessi
che lui non avrebbe potuto ricambiare il mio sguardo. «Che
cosa significano
tutti questi misteri?»
Con gli occhi fissi dinnanzi a
sé alzò un braccio per cercare il mio volto,
ponendomi un dito sulle labbra. «Secoli
or soro abbiamo condiviso tutto», cominciò,
carezzandomi delicatamente un
angolo della bocca con i polpastrelli. «Il mio rifugio era il
tuo rifugio, la
mia tavola era la tua tavola. Il mio corpo era tuo, così
come la mia
conoscenza. Per un breve periodo sei anche stata i miei occhi, ma quel
tempo è
finito», si spostò lungo una guancia e poi verso
il petto, attento a non
sfiorarmi i seni, chinandosi verso di me come se stesse inspirando il
mio
odore. «In nome di quei sentimenti che ci hanno legati, te ne
prego, interrompi
le tue ricerche e lascia perdere questo caso. Lascia che siano i
mortali a
risolvere i problemi dei mortali».
Avevo chiuso gli occhi durante
quel suo monologo, concentrata sul tocco della sua mano che aveva
percorso per
tutto il tempo i lineamenti del mio viso. Erano secoli che non sentivo
quelle
carezze, e la sensazione che provai fu tutto fuorché
piacevole. Mi allontanai
difatti di scatto, sentendo nell’aria la sua incertezza a
quel mio modo di
fare.
«Non mi sono mai data per
vinta,
Miguel, ed era questa mia caparbietà ad averti attratto
quasi seicento anni fa»,
gli tenni presente in tono quasi accusatorio. «Sai anche che
sono un tipo
curioso e testardo, quindi pretendo di sapere che cosa sta
succedendo».
Sentii un suo lungo sospiro
prima che si riavvicinasse, ma mi sorpassò senza proferir
parola per
attraversare il vicolo e ritornare probabilmente all’interno.
Lo seguii con lo
sguardo, interdetta, affrettandomi a raggiungerlo per artigliargli una
spalla e
fermarlo.
Si voltò solo di poco, con
un’espressione palesemente stanca che ignorai prontamente. Mi
limitai solo a
snudare le zanne, facendo in modo che sentisse il ringhio nel fondo
della mia
gola. «Voglio sapere cosa mi stai nascondendo»,
ripetei, e lui mi scostò la
mano con uno scatto secco, intrappolandomi con una mossa fulminea il
braccio e,
costringendomi a dargli le spalle, me lo bloccò dietro alla
schiena.
«Mi pare d’averti
detto che non
devi immischiarti in questa storia, quindi non abbiamo più
nulla di cui parlare»,
sibilò al mio orecchio, facendo serpeggiare il suo potere
nell’aria, quasi
rendendola satura di zolfo e pronta ad esplodere. «Non
costringermi ad essere
violento con te. Anche se sono cieco lo scontro non volgerebbe a tuo
favore».
Mi divincolai dalla sua presa,
guardandolo nuovamente in viso con un’espressione furiosa.
Non l’avrei mai
ammesso a me stessa, ma sapevo che aveva ragione: se si fosse
presentata
l’occasione di uno scontro non sarei mai riuscita ad avere la
meglio su di lui.
Era specialmente per questo che molti preferivano essere dalla sua
parte
piuttosto che contro.
«Non ho intenzione di battermi
con te, Miguel», lo informai in tono aspro e tagliente.
«Voglio solo sapere in
che cazzo di situazione mi sono cacciata. Anche due parole mi
bastano».
«Proprio non vuoi
capire»,
ribatté subito con serietà. «Non
dipende né da me, né da te. Siamo solo perdine
in un gioco di scatti fra i potenti».
«E chi sarebbero
costoro?»
insistetti agguerrita. «Chi è così
potente da tenere in pugno anche te?»
Lo vidi compiere qualche passo
a ritroso mentre scuoteva al contempo la testa. «Ti ho
già detto troppo,
accontentati di quello che sai», disse semplicemente, stando
attento ai passi
che compiva man mano che si riavvicinava alla porta di servizio.
«Posso solo
dirti che i più fortunati hanno sofferto di meno».
A quelle parole strabuzzai gli
occhi, correndo verso di lui per afferrarlo per il colletto della
camicia che
indossava. Prima che potessi farlo, però, vidi due omaccioni
uscire dalla porta
e accostarsi a lui, guardando me con aria di sfida. Uno dei due porse
un
braccio a Miguel e lo aiutò a sostenersi, mentre
l’altro si piazzò invece
dinnanzi a lui come per nasconderlo alla mia vista. Erano grandi e
grossi e
odoravano di cane: da quella poca distanza, nonostante il tanfo
presente nel
vicolo, il loro puzzo era inconfondibile. I lineamenti identici dei
loro volti,
troppo sottili per la conformazione fisica del restante corpo, facevano
presupporre che fossero gemelli. Solo il taglio dei capelli,
d’un biondo
cenere, era diverso e permetteva di distinguerli, mentre per il resto
erano
praticamente due gocce d’acqua, anche nel modo di vestire.
«Non alzo mai le mani su una
donna, quindi ti conviene stare alla larga», mi
consigliò con voce imperativa
quello che si era piazzato dinnanzi a Miguel, ma lo ignorai.
Inclinai invece il capo di lato
per rivolgermi proprio a quest’ultimo. «Chi sono, i
tuoi cani da guardia?» gli
domandai con fare ovvio, sentendo il distinto suono d’un
ringhio provenire
dalle gole d’entrambi.
Vidi Miguel alzare appena una
mano ed agitarla, come se stesse scacciando una mosca parecchio
fastidiosa. «Dominique,
Paul. Basta», impose loro, anche se il tono in cui lo disse
sembrò tutto
fuorché autoritario. Ma dopo avermi scoccato entrambi
un’occhiata nervosa
ubbidirono, aiutandolo a rientrare senza più proferir
parola. Prima che la
porta fosse richiusa ricevetti un ultimo sguardo da quello che presunsi
essere
Dominique, venendo infine lasciata sola in quel vicolo buio e
puzzolente.
Ero andata fin lì quasi per
nulla, maledizione. Quel che avevo scoperto non mi avrebbe portata da
nessuna
parte, anzi, aveva semplicemente aggiunto dubbi e domande a quelle che
già mi
portavo dentro. Una questione che avevo pensato si sarebbe risolta in
un lampo
stava lasciando dietro di sé più misteri di
quanto non avessi potuto credere. E
il fatto che Miguel mi consigliasse di restarne fuori voleva
significare che
c’era qualcosa che andava ben oltre all’umana
questione degli assassinii.
Qual era il tassello mancante
per completare quel puzzle, dunque? Perché era
così difficile trovarlo? Gli
omicidi, il mio monolocale messo a soqquadro, le informazioni che
conducevano a
Miguel e il suo tenermi all’oscuro di tutto... cosa, tra
queste, avrebbe
condotto alla soluzione dell’enigma? L’unico modo
per scoprirlo era indagare
ancora. Adesso che sapevo che riguardava anche noi non potevo starmene
semplicemente a guardare, nemmeno se era stato Miguel a consigliarmelo.
Forse avrei dovuto parlare con
chi di dovere, e questo voleva significare un solo nome: Dante.
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