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Autore: My Pride    09/05/2011    3 recensioni
«Quanto sei disposta a spingerti oltre con questa storia?»
«Quel che basta per capire cosa sta succedendo»
«Lo dico per il tuo bene, chica, lascia perdere questa faccenda adesso che sei ancora in tempo per farlo. Non hai nulla a che vedere con tutto questo»
Genere: Drammatico, Sovrannaturale, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash, Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'St. Louis ~ Bloody Nights'
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Under a bloody sky_3 ATTO III
BEN POCHE SPIEGAZIONI
 
    Il modo migliore per ottenere delle informazioni senza dover ricorrere alla polizia, lì in quella zona di St. Louis, era senza alcun ombra di dubbio il recarsi nei bassi fondi della città. Si riusciva sempre a trovare qualcuno disposto a raccontare qualcosa per un po’ di centoni, che fossero storie sentite in giro, cose semplicemente vedute o, meglio ancora, esperienze vissute sulla propria pelle. C’era sempre chi non cantava nemmeno pagato a peso d’oro, certo, ma per me andavano bene anche le maniere forti.
    Avevo parlato con ben otto persone prima di essere finalmente direzionata verso l’insegna al neon del night club fuori cui mi ero ritrovata, e dovevo ammettere che tutto mi sarei aspettata tranne quello. Apparteneva ad un mio vecchio conoscente che, da quanto sapevo, aveva fatto parte della malavita sin da giovane. Adesso che era vecchio e stanco continuava sì gli affari, ma da un paio d’anni aveva affidato la gestione di quel night club ad una persona di cui, almeno per quanto mi riguardava, non c’era molto da fidarsi. Non era un uomo malvagio - non secondo i canoni della sua natura di vampiro, almeno -, ma nel corso dei secoli non si era mai fatto scrupoli nell’agire come meglio credeva, il più delle volte rasentando i limiti dell’immaginario di noi vampiri stessi. Avevo passato abbastanza tempo con lui da rendermene conto a mie spese. Che fosse proprio per quel motivo che mi avessero indirizzata lì? Non lo sapevo, ma volevo scoprire a tutti i costi cosa c’entrasse lui con quegl’omicidi, se ne fosse realmente a conoscenza o se quelle che gli erano state rivolte fossero solo accuse infondate. Cosa di cui in fondo, conoscendolo, non dubitavo.
    Tornai con i piedi per terra e scossi il capo, osservando un’ultima volta l’insegna prima di rassettare i miei abiti. Con quei semplici jeans scuri e quel dolcevita aderente, ero ben lontana dai canoni della restante clientela. Ma, ehi, non ero mica andata lì ad abbordare qualcuno, no? Decisi dunque di entrare, gettando occhiate quasi svogliate in ogni dove. Lì dentro l’odore di pelle sintetica, sangue e liquore era asfissiante ed insopportabile, tanto che mi fece storcere il naso dal disgusto.
    Ancor più penetrante, poi, era l’olezzo di fumo che avvolgeva ogni cosa, persone comprese. I clienti, per la maggior parte uomini, si trastullavano con le accompagnatrici o gli accompagnatori ingurgitando bicchieri su bicchieri, troppo presi da quei loro svaghi per accorgersi di quel che capitava loro intorno. Cercavano con le labbra il viso delle donne sedute accanto a loro o sulle loro cosce, con gli occhi annebbiati dai fumi dell’alcool. Uno di loro mi rivolse uno sguardo vacuo e per nulla intelligente, simbolo che oltre al liquore c’era qualcos’altro che stava facendo effetto nel suo organismo. Lo sentivo nell’odore che lo avvolgeva come se fosse l’aroma d’un vino pregiato, un miscuglio di colori e forme che si riversava forte e prepotente nei palpiti del suo cuore.
    Non era il solo ad avere quell’aspetto e quell’aria smarrita, quella notte, e non fu il solo sguardo che ricevetti mentre avanzavo nella ressa del night club. Superai un paio di tavoli e gran parte di quell’ammasso di carne e muscoli, raggiungendo il limitare dell’ambiente.
    «Sono entrate qui parecchie persone, questa notte, ma mai avrei pensato che ci onorassi della tua presenza, chica», mi accolse subito una voce, proveniente da uno dei divani accostati alla parete sinistra del pub. Erano in ombra a differenza di quelli nel restante locale, e a malapena si scorgevano i volti delle tre persone lì accomodate. Quelle due sedute rispettivamente a destra e a sinistra erano donne, e dal loro odore - un misto di vodka, Chanel n°5 e lussuria - sembravano anche pronte a prestarsi sessualmente a qualunque uomo l’avesse loro chiesto. In mezzo a loro c’era l’unico vampiro a cui non avrei mai voluto chiedere un favore. In nessun secolo, possibilmente. Per mia sfortuna, invece, vi ero stata costretta per cause di forza maggiore.
    Inclinai il capo di lato ed assunsi un’espressione scettica per il modo in cui ero stata chiamata, ritrovandomi a sbuffare appena, ilare. «Risparmiati tutti questi convenevoli, Miguel», replicai per nulla cordiale. «Avrei volentieri evitato di venire nel tuo night club».
    Mi giunse in risposta una risata, prima che una mano d’alabastro uscisse da quella zona delimitata dalle ombre. «Non vieni a farmi visita da quasi un secolo e mezzo ed è questo il saluto che ottengo da te?» più che una vera e propria domanda, la sua mi parve più un’affermazione o una semplice constatazione. La voce con cui la porse fu comunque bassa e calda, esattamente come mi sarei aspettato da un vampiro della sua levatura. Proveniva da una famiglia che un tempo era stata nobile e ricca, ed era l’unico, lì dentro, ad appartenere allo stesso secolo a cui appartenevo io. Era stato creato parecchi anni prima di me, ed era stato lui ad insegnarmi tutto quello di cui ero a conoscenza e come sopravvivere nel corso dei secoli. In un modo alquanto contorto e perverso si poteva dire che mi avesse quasi fatto da padre, mentore e, sebbene odiassi ammetterlo, anche da amante. Ma era una storia chiusa ormai da troppi secoli per rivangarla ancora.
    «La mia natura la conosci, non fare domande ovvie», mi sentii comunque in dovere di ribattere, forse anche un po’ scontrosa. «Comunque sia non sono venuta qui per questo scambio di futili chiacchiere, Miguel», arrivai dritto al punto, aggirando il tavolino lì davanti per accomodarmi, senza attendere il suo consenso, sul divano libero che gli stava di fronte. «Mi è giunta voce che tu sai un po’ di cose riguardo a degli omicidi... è così?»
    Per qualche minuto nessuno dei due fiatò oltre: sentivo solo il battito del cuore delle due accompagnatrici e i loro respiri, suoni mescolati con la miriade di organi palpitanti e la bassa musica che faceva quasi da sottofondo. Vidi poi Miguel fare un cenno con quella sua mano bianca, e finalmente una delle due donne si alzò in piedi esponendosi alla debole luce. Era alta e snella, con ricci capelli castani sciolti sulle spalle. Non era esattamente una di quelle donne dalle curve vertiginose e il fisico da modella, ma aveva una carica di voluttà unicamente sua. Se fossero solo quegli occhi scuri che mi avevano fissato per un attimo a dare quell’impressione, non avrei saputo dirlo. Sbatté appena le lunghe ciglia prima di distogliere lo sguardo da me, aiutando Miguel ad alzarsi in piedi e ad evitare il tavolino sebbene non ce ne fosse bisogno, venendo ben presto congedata da lui stesso. Lui fece cenno ad entrambe di lasciarci soli, e quando finalmente lo fummo ci squadrammo e restammo in silenzio, quasi in uno stato di mistica contemplazione.
    Sembrava come se uno di noi due avesse il terrore di rompere quel precario equilibrio di quiete, sebbene l’aria che vibrasse intorno a noi fosse tutto fuorché placida e tranquilla: tesi come corde di violino sembrava che ci stessimo scontrando con l’aura di potere che ci caratterizzava, ma nessuno dei due stava cercando di imporre il proprio volere all’altro.
    Accavallai disinvolta le gambe, attendendo che lui proferisse parola senza staccare al contempo lo sguardo dal suo viso per non dimostrarmi debole dinnanzi ai suoi occhi. Seppur velati dalla patina della cecità, difatti, quelle sue polle che un tempo erano state più azzurre del cielo stesso sembravano metter soggezione anche guardandoli per un breve attimo.
    Volse infine lo sguardo verso un punto indefinito del locale, affidandosi al suo udito per compiere qualche passo. «Seguimi», disse semplicemente. «Meglio discutere in un luogo più appartato. Anche i muri hanno le orecchie, lo sai».
    Non ribattei, limitandomi solo ad alzarmi. Se voleva parlarmi in privato voleva significare che di qualcosa, in fin dei conti, ne era a conoscenza.
    Lo seguii nella ressa del locale, superando divani e clienti prima di giungere dal lato opposto, uscendo con lui dalla porta di servizio. Ci ritrovammo in un vicolo, dove un tanfo insopportabile appestava l’aria, rendendola quasi irrespirabile. Storsi il naso e mi portai una mano su di esso, coprendomi anche la bocca mentre continuavo a stare al passo di Miguel che, bisognava ammetterlo, pur essendo cieco riusciva a muoversi con una facilità inaudita.
    Ad un certo punto si fermò e, ancora di spalle, intercedette. «Quanto sei disposta a spingerti oltre con questa storia?» mi domandò, con un tono di voce sottile e tagliente. Sembrava che ci fosse qualcosa che lo rendeva nervoso, dato il modo in cui mi si era rivolto.
    Mi limitai semplicemente ad incrociare le braccia al petto. «Quel che basta per capire cosa sta succedendo», risposi con fare ovvio, vedendolo finalmente voltarsi verso di me. Il suo viso era una maschera marmorea, e la sua bocca era ritratta a scoprire le zanne candide e affilate.
    «Lo dico per il tuo bene, chica, lascia perdere questa faccenda adesso che sei ancora in tempo per farlo», disse, per nulla cordiale. «Non hai nulla a che vedere con tutto questo».
    Sollevai un sopracciglio, senza capire. «Come sarebbe a dire?» fu il mio turno di chiedere. «Non eri stato proprio tu, un tempo, a dire che più evitavamo d’esporci meglio sarebbe stato?»
    Non riuscivo a comprendere il suo cambiamento e il motivo di tanta ostilità, e anche l’espressione sul suo viso non era capace di rispondere alle mie mute domande o diradare qualsiasi dubbio. Non lo fece nemmeno lui stesso, fra l’altro, incamminandosi verso di me con passo deciso ma malfermo, come se stesse facendo attenzione a dove metteva i piedi.
    «Ed è proprio per questo che ti dico di restarne fuori», disse ancora una volta. «Quando sarà il momento saprai tutto, per adesso vedi di tenere lontano da te quel ragazzino».
    Feci per ribattere, ma realizzai quelle parole e subito guardai Miguel con serietà. «Che ne sai del ragazzino?» domandai nuovamente. «Non ti ho parlato di lui».
    «Ci sono domande di cui è meglio non conoscere mai le risposte», replicò semplicemente, alquanto sibillino. «E tu ne hai poste troppe».
    Scossi il capo, avvicinandomi io stesso a lui prima di fermarmi a pochissimi passi. Se avessi allungato una mano avrei potuto sfiorargli il viso. «Cosa mi stai nascondendo, Miguel?» gli chiesi senza giri di parole, fissandolo seriamente negli occhi sebbene sapessi che lui non avrebbe potuto ricambiare il mio sguardo. «Che cosa significano tutti questi misteri?»
    Con gli occhi fissi dinnanzi a sé alzò un braccio per cercare il mio volto, ponendomi un dito sulle labbra. «Secoli or soro abbiamo condiviso tutto», cominciò, carezzandomi delicatamente un angolo della bocca con i polpastrelli. «Il mio rifugio era il tuo rifugio, la mia tavola era la tua tavola. Il mio corpo era tuo, così come la mia conoscenza. Per un breve periodo sei anche stata i miei occhi, ma quel tempo è finito», si spostò lungo una guancia e poi verso il petto, attento a non sfiorarmi i seni, chinandosi verso di me come se stesse inspirando il mio odore. «In nome di quei sentimenti che ci hanno legati, te ne prego, interrompi le tue ricerche e lascia perdere questo caso. Lascia che siano i mortali a risolvere i problemi dei mortali».
    Avevo chiuso gli occhi durante quel suo monologo, concentrata sul tocco della sua mano che aveva percorso per tutto il tempo i lineamenti del mio viso. Erano secoli che non sentivo quelle carezze, e la sensazione che provai fu tutto fuorché piacevole. Mi allontanai difatti di scatto, sentendo nell’aria la sua incertezza a quel mio modo di fare.
    «Non mi sono mai data per vinta, Miguel, ed era questa mia caparbietà ad averti attratto quasi seicento anni fa», gli tenni presente in tono quasi accusatorio. «Sai anche che sono un tipo curioso e testardo, quindi pretendo di sapere che cosa sta succedendo».
    Sentii un suo lungo sospiro prima che si riavvicinasse, ma mi sorpassò senza proferir parola per attraversare il vicolo e ritornare probabilmente all’interno. Lo seguii con lo sguardo, interdetta, affrettandomi a raggiungerlo per artigliargli una spalla e fermarlo.
    Si voltò solo di poco, con un’espressione palesemente stanca che ignorai prontamente. Mi limitai solo a snudare le zanne, facendo in modo che sentisse il ringhio nel fondo della mia gola. «Voglio sapere cosa mi stai nascondendo», ripetei, e lui mi scostò la mano con uno scatto secco, intrappolandomi con una mossa fulminea il braccio e, costringendomi a dargli le spalle, me lo bloccò dietro alla schiena.
    «Mi pare d’averti detto che non devi immischiarti in questa storia, quindi non abbiamo più nulla di cui parlare», sibilò al mio orecchio, facendo serpeggiare il suo potere nell’aria, quasi rendendola satura di zolfo e pronta ad esplodere. «Non costringermi ad essere violento con te. Anche se sono cieco lo scontro non volgerebbe a tuo favore».
    Mi divincolai dalla sua presa, guardandolo nuovamente in viso con un’espressione furiosa. Non l’avrei mai ammesso a me stessa, ma sapevo che aveva ragione: se si fosse presentata l’occasione di uno scontro non sarei mai riuscita ad avere la meglio su di lui. Era specialmente per questo che molti preferivano essere dalla sua parte piuttosto che contro.
    «Non ho intenzione di battermi con te, Miguel», lo informai in tono aspro e tagliente. «Voglio solo sapere in che cazzo di situazione mi sono cacciata. Anche due parole mi bastano».
    «Proprio non vuoi capire», ribatté subito con serietà. «Non dipende né da me, né da te. Siamo solo perdine in un gioco di scatti fra i potenti».
    «E chi sarebbero costoro?» insistetti agguerrita. «Chi è così potente da tenere in pugno anche te?»
    Lo vidi compiere qualche passo a ritroso mentre scuoteva al contempo la testa. «Ti ho già detto troppo, accontentati di quello che sai», disse semplicemente, stando attento ai passi che compiva man mano che si riavvicinava alla porta di servizio. «Posso solo dirti che i più fortunati hanno sofferto di meno».
    A quelle parole strabuzzai gli occhi, correndo verso di lui per afferrarlo per il colletto della camicia che indossava. Prima che potessi farlo, però, vidi due omaccioni uscire dalla porta e accostarsi a lui, guardando me con aria di sfida. Uno dei due porse un braccio a Miguel e lo aiutò a sostenersi, mentre l’altro si piazzò invece dinnanzi a lui come per nasconderlo alla mia vista. Erano grandi e grossi e odoravano di cane: da quella poca distanza, nonostante il tanfo presente nel vicolo, il loro puzzo era inconfondibile. I lineamenti identici dei loro volti, troppo sottili per la conformazione fisica del restante corpo, facevano presupporre che fossero gemelli. Solo il taglio dei capelli, d’un biondo cenere, era diverso e permetteva di distinguerli, mentre per il resto erano praticamente due gocce d’acqua, anche nel modo di vestire.
    «Non alzo mai le mani su una donna, quindi ti conviene stare alla larga», mi consigliò con voce imperativa quello che si era piazzato dinnanzi a Miguel, ma lo ignorai.
    Inclinai invece il capo di lato per rivolgermi proprio a quest’ultimo. «Chi sono, i tuoi cani da guardia?» gli domandai con fare ovvio, sentendo il distinto suono d’un ringhio provenire dalle gole d’entrambi.
    Vidi Miguel alzare appena una mano ed agitarla, come se stesse scacciando una mosca parecchio fastidiosa. «Dominique, Paul. Basta», impose loro, anche se il tono in cui lo disse sembrò tutto fuorché autoritario. Ma dopo avermi scoccato entrambi un’occhiata nervosa ubbidirono, aiutandolo a rientrare senza più proferir parola. Prima che la porta fosse richiusa ricevetti un ultimo sguardo da quello che presunsi essere Dominique, venendo infine lasciata sola in quel vicolo buio e puzzolente.
    Ero andata fin lì quasi per nulla, maledizione. Quel che avevo scoperto non mi avrebbe portata da nessuna parte, anzi, aveva semplicemente aggiunto dubbi e domande a quelle che già mi portavo dentro. Una questione che avevo pensato si sarebbe risolta in un lampo stava lasciando dietro di sé più misteri di quanto non avessi potuto credere. E il fatto che Miguel mi consigliasse di restarne fuori voleva significare che c’era qualcosa che andava ben oltre all’umana questione degli assassinii.
    Qual era il tassello mancante per completare quel puzzle, dunque? Perché era così difficile trovarlo? Gli omicidi, il mio monolocale messo a soqquadro, le informazioni che conducevano a Miguel e il suo tenermi all’oscuro di tutto... cosa, tra queste, avrebbe condotto alla soluzione dell’enigma? L’unico modo per scoprirlo era indagare ancora. Adesso che sapevo che riguardava anche noi non potevo starmene semplicemente a guardare, nemmeno se era stato Miguel a consigliarmelo.
    Forse avrei dovuto parlare con chi di dovere, e questo voleva significare un solo nome: Dante.



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