compagnia da gay bar 3
Cap. 3
Oh, I been flying... mama, there ain't no denyin'
I've been flying, ain't no denyin', no denyin' (2)
Francis solleva lo sguardo da terra, posandolo per qualche istante
sulla persona di Matt. Riconosce gli echi di canzoni ben note, note che
gli arrivano all’udito ovattate e dissimulate da mille altri
rumori.
Si ritrova a sorridere piano, pieno di triste amarezza. Anche in un
momento come quello, pare che Matt preferisca pensare alle cose belle
che li hanno uniti piuttosto che a quel luridume in cui sono stati
sbattuti a forza, senza possibilità di appello o di salvezza.
Il francese si guarda attorno, ancora spaesato.
Vede alcuni poliziotti che parlano e intimamente spera che siano
lì per loro, per dare qualche notizia in più di quel
disgraziato da cui ora dipende anche il loro futuro – ma non ha
la forza di alzarsi dalla sedia e di chiedere, pieno di paura e timore.
In realtà, è il senso di colpa che lo sta uccidendo.
Non sa neanche il nome di quel ragazzo, non lo sa e la cosa lo fa
letteralmente impazzire, perché se solo avesse un nome per cui
pregare si riempirebbe la bocca di invocazioni pietose per quel Dio
tanto maledetto e bramato, da far venire l’angoscia.
Si è riscoperto credente da pochi minuti, Francis, quando da
un’intera esistenza aveva maledetto la Chiesa e
l’ottusità con cui ancora si ostinava a camminare su
quella Terra meravigliosa.
In un silenzio che fa raccapriccio, Francis guarda ancora una volta il
corridoio freddo che si allunga alla sua destra. Ha visto Ivan che si
incamminava verso quella direzione – lui, che con un impeto
disperato é stato il primo ad entrare in commissariato,
inseguendo l’amico e i due poliziotti che lo portavano via.
Non può certo pregare per lui: sarebbe stato fin troppo blasfemo.
Non può certo pregare per uno solo di loro: sarebbe stato un controsenso dannoso e irriverente.
Francis è impotente, ancora una volta, di fronte alla forza devastante che governa la sua vita.
Si alza, cominciando a giocare nervosamente con le proprie dita. Un
poliziotto gli si avvicina e, notando la sua faccia sconvolta, lo
invita a sedersi di nuovo e a prendere qualcosa di caldo con tanto
zucchero, per recuperare un po’ di forze.
Francis sorride e non ha la forza di rifiutare una simile gentilezza – non ha la forza di dire nulla.
Si siede di nuovo, aspettando il proprio thé al limone con
cinque dosi di zucchero. Davvero, in un momento come quello gli serve
quanto più glucosio possibile.
Lo sguardo chiaro torna a cadere su Matt, nei suoi occhi chiusi e
rapiti da qualche parte lontana, ben protetti da tutto quello che li
circonda.
Alla fine, Francis pensa che Matt non è così stupido e
che ha trovato la soluzione migliore per non farsi logorare dal tempo
maledetto.
Beve il suo thé e torna a guardare il pavimento, ripensando a
ogni evento che l’ha spinto a forza su quella sedia scomoda e con
una simile compagnia.
(2)Kashmir, Led Zeppelin
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