That
Love is All There is
Terre_del_Nord
Slytherin's Blood
Chains - IV.005
- Nuovi Equilibri
Orion Black
12, Grimmauld Place, Londra - sab. 25 dicembre 1971
“Che cosa
ci fai lì, impalato? Vattene, devo vestirmi!”
Era iniziata così la mattina di Natale: mi ero alzato molto
presto, dopo una notte agitata, carica di strani presagi, avevo passato
ore intere a cercare di prendere sonno, ero stato nello studio a
leggere per un po', ero persino entrato nella camera di Walburga,
Merlino solo sa per fare che cosa, mi ero seduto su una delle poltrone
vicino al suo baldacchino e mi ero fermato a guardarla dormire. Me ne
ero andato prima che si svegliasse, all'alba, non avevo per niente
intenzione di iniziare la giornata litigando con lei, anche se non
avevo la certezza che non si fosse accorta della mia presenza: una
parte di me, forse, s’illudeva ancora che fosse stata sveglia
per tutto il tempo e avesse fatto finta di niente, tanto un codardo
come me non avrebbe mai intrapreso folli
iniziative… O forse... forse anche lei desiderava
che restassi lì, al suo fianco, come un tempo, era solo
l’orgoglio a impedirle di chiedermelo... la paura che
potessimo tornare a essere come un tempo…
Sei
solo un patetico illuso, Orion... esattamente come il primo giorno...
No, non era più come il primo giorno, non per me. E
se ero lì, se ero stato lì, durante la notte, era
proprio, in fondo, per averne dimostrazione. Era per lei che non
riuscivo più a dormire, per le domande che da tempo mi
accompagnavano: da mesi, dalla sera funesta in cui mio figlio era stato
smistato a Grifondoro, era stato un crescendo, fino all'apoteosi, fino
alla notte in cui, a Herrengton, era accaduto il finimondo. In
quei mesi, con lei, avevo sentito un disagio nuovo prendermi,
improvviso, nei momenti più disparati, pensieri assurdi
giungevano a dilaniarmi la mente e a togliermi le poche
certezze. Non sapevo più che cosa fosse giusto,
cosa dovessi realmente fare. Sì, era per lei, per i
dubbi che mi tormentavano, su lei, su noi, sul nostro sbilenco
equilibrio, sul rapporto malato che avevamo instaurato con i ragazzi,
che non riuscivo più a trovare pace. All'improvviso
tutto mi appariva assurdo, folle, estremamente sbagliato, tutto da
rifare. Sì, avevo sbagliato... E l'errore
peggiore, me ne rendevo conto solo adesso, non era nemmeno stato
Elizabeth. Piuttosto quello che avevo lasciato che accadesse
dopo.
Mi ero fatto la doccia, mi ero rasato, mi ero vestito di tutto punto,
con un leggero incantesimo avevo fatto sparire le tracce di stanchezza
che la notte insonne aveva lasciato sul mio volto, perché un
vero Black non mostra mai nessun cenno di dubbio o debolezza, anche se
quella recita, quella continua recita, giorno dopo giorno, non faceva
che segnare l'anima con rughe più profonde, ed io mi sentivo
consumato, sdrucito, come la trama di una veste portata troppo a lungo.
Quando, infine, pronto per la colazione, avevo visto la luce accesa
filtrare da sotto la porta della sua stanza, non ero sceso di sotto, ma
ero andato da lei, di nuovo, ero entrato senza chiederle il permesso,
di nuovo, e in silenzio mi ero fermato sull'ingresso a guardarla,
insistente. Volevo esserne sicuro, essere sicuro di quella
volontà nuova, di quella consapevolezza nuova, nata in me,
in tutti quei mesi. Continuavo a fissarla, imperturbabile,
ammiravo il suo sguardo duro e profondo che mi fulminava dallo
specchio; rimasi lì, fermo, appoggiato allo stipite, le
braccia incrociate, senza una parola, anche dopo che lei aveva ripreso
a sistemarsi l'acconciatura, fingendo che fossi sparito, sbattendomi in
faccia, con la sua indifferenza e il suo mutismo, come sempre, che
persino il tappeto ai suoi piedi aveva più valore di me, ai
suoi occhi. In realtà, continuava a sondarmi di
sottecchi, lo vedevo, a controllarmi, a calcolare mentalmente che non
muovessi un passo di troppo, che restassi al mio posto, carica sempre,
incessantemente, di quel rancore che non ci dava tregua, che ci
lacerava da anni. Un rancore sordo, freddo, che anno dopo
anno, come la goccia, che pezzo dopo pezzo, sfalda la montagna, mi
aveva scalfito, sempre di più, mi aveva ferito, sempre
più nel profondo, persino più della rabbia feroce
e dell’intenso dolore fisico con cui mi aveva travolto
all'inizio. Guardandola, anch’io implacabile, mi
accorgevo quanto avesse segnato ferocemente anche lei: anche lei
così sdrucita, anche lei così infelice…
C'erano stati giorni in cui quel suo rancore mi era entrato sottopelle,
mi aveva bruciato e divorato da dentro, come fiamme
d’inferno, ed io mi ero tormentato all'idea di dover fare
qualcosa, qualsiasi cosa, per trovare un rimedio a quella situazione,
invano. Assurdamente, pateticamente convinto che ci fosse ancora una
possibilità di redenzione non solo per me, ma per
entrambi. Nemmeno Alshain, la persona che meglio di tutti, da
sempre, mi conosceva, riusciva a capire quel sentimento strano, quella
punizione continua che m’infliggevo: secondo lui era assurdo,
patologico, che, dopo tutto quello che Walburga mi aveva fatto, dopo il
castigo tremendo cui mi ero lasciato sottoporre, io non solo accettassi
di pagare ancora, ma mi sentissi ancora legato a lei da qualcosa che
non fosse solo il freddo, asettico, dovere familiare. Lo
sapevo anch’io che era assurdo, ma per anni ero riuscito a
sentirmi vivo proprio permeandomi di quel suo rancore,
perché era comunque un rapporto, malato certo, ma
c’era almeno qualcosa di vivo, di concreto tra di
noi. Certo se me l'avessero detto appena pochi anni prima, io
stesso avrei riso all'idea di ridurmi a quel modo… e
invece…
Sei
un folle, Orion, solo un patetico pazzo.
No, sono solo innamorato di te, disperatamente, innamorato di te, mi
manchi Walburga, mi manchi!
Che cos'altro era altrimenti quel buio in cui amavo
attardarmi? Se non era amore, che cos'altro
era? Senso di
colpa? Nostalgia? Necessità di sentirmi in
qualche modo, qualunque modo, vivo? La frustrazione di chi
può ottenere tutto, tranne una sola cosa, e allora si fissa
su di essa e l'esalta, anche se, razionalmente, sa che non ce ne
sarebbe motivo? Col tempo, ciò che si sa perduto
irrimediabilmente assume sempre un valore superiore a quello
intrinseco, era una verità universale, che avevo appreso
persino negli affari... Ma non era questo… non era nulla di
tutto questo. Avevo dato alla famiglia tutto quello che le
dovevo, due straordinari eredi maschi, ormai potevo essere libero di
vivere la mia vita, potevo avere tutte le donne che volevo, bastava
agire con discrezione, non creare altro scandalo: solo questo ormai mi
era richiesto, la discrezione in cambio della libertà, avrei
potuto vivere la mia vita tranquillamente, come facevano decine,
centinaia, migliaia di altri uomini. Incredibile a dirsi,
però, dopo averla agognata per tutta la vita, non avevo
saputo che farmene della libertà, non mi serviva a niente
essere libero, mi faceva solo sentire più prigioniero della
mia disperazione. Volevo lei, solo lei, desideravo solo imprigionarmi
di nuovo in quell’amore incredibile e vero che brevemente,
troppo brevemente, avevamo condiviso.
Sei
un folle Orion, un folle, masochista e pazzo, nulla di più.
Mi sentivo le sue parole cariche di disprezzo nella testa tutte le
volte, tutte le notti, senza possibilità di redenzione,
mentre mi sfinivo da solo le membra, nel mio freddo letto; non riuscivo
a togliermi dalla testa quella donna, l’unica donna, per anni
odiata, per anni disprezzata, poi all'improvviso tanto desiderata,
tanto follemente voluta, tanto assurdamente perduta... Perduta
nel momento esatto in cui mi ero sentito l'uomo più felice
della terra, completo come non ero stato mai e come non sarei stato
più. Lei, che dormiva nella stanza accanto alla
mia. Lei, che era sempre davanti ai miei occhi, nobile, bella,
austera, perfetta, irraggiungibile. Lei, la madre dei miei
figli
Lei, mia moglie.
Poi Sirius era finito a Grifondoro e…
All’improvviso le parole di Walburga, sulla mia carne,
sembravano capaci di incidere solo unghiate terribilmente e
profondamente insopportabili… ingiuste…
Finché, come il silenzio attonito che segue la tempesta
più furiosa, in me si era spenta ogni voce, ogni sensazione,
ogni emozione. Mi ero reso conto, all’improvviso, di
non avere addosso più niente di quell’amore. Era
arrivata, si era insinuata, improvvisa e silenziosa, inesorabile, sotto
pelle, quella sensazione sconosciuta di vuoto assoluto. Com'era
possibile? E soprattutto, esisteva davvero quella quiete o
m'illudevo soltanto? Non riuscivo a credere che realmente, di
colpo, si potesse smettere di provare qualcosa, qualunque cosa, verso
chi ci aveva fatto soffrire così tanto, chi si era amato
così tanto. No, non era possibile. Eppure, ora che
ero lì, a pochi passi da lei, ad ammirarla, lo sentivo
ancora di più: qualcosa si era rotto per sempre dentro di
me, dopo Herrengton, non riuscivo più a mentire a me
stesso. Non provavo più dolore. Non
provavo più desiderio. Per alcuni giorni avevo
provato rabbia, ora non provavo più nemmeno
quella. La guardavo e quel rancore che le vedevo nello
sguardo, quel suo rancore di cui mi ero cibato per sopravvivere, mi
riempiva solo di pietà, di una pena infinita per lei,
perché vedevo senza alcun filtro la solitudine terribile che
viveva nella sua gabbia d'odio. L'aveva creato lei, attorno a
noi, quel dolore, come una culla in cui vivere, insieme, per anni,
copia al negativo dell'amore inaspettato che ci si era appiccicato
addosso quasi per miracolo. Ora io ne ero miracolosamente
uscito, lei restava fissa lì, e temevo, non ne sarebbe
uscita. Mai.
Mi avvicinai, lei mi seguiva dallo specchio con gli occhi foschi di una
gatta pronta ad aggredirmi alla prima mossa falsa. La
guardai... così terribile e ancora bellissima...
Come fai a non essere ancora stanca di odiare, Walburga? Anche ora che il motivo
dell’odio è cenere e noi stessi siamo ridotti a
polvere dispersa dal vento…
Che cos'è Walburga che ancora t’infiamma il cuore
di rancore? È
amore, Walburga?
Quest'odio è l’altare su cui celebrare in eterno
ciò che resta dei nostri sentimenti?È perversa nostalgia
per quello che eravamo e non saremo... mai più?
Sei tu, solo tu che vuoi questo!
O ormai, per te, il rancore è la sola strada per sentirti
viva? Per
non tornare a essere come quei dannati volti sull'arazzo, fissi, fermi,
eterni, vuoti, sacrificati al dovere, privi di passione e quindi di
vita?
Puoi ancora scegliere un destino diverso, Walburga! Io sono qui, davanti a
te, per questo!
Spezza queste dannate catene e seguimi, Walburga, torniamo a vivere la
nostra vita! Hai
conosciuto la passione con me, la voglia di vivere e di essere, quella
che ti hanno insegnato a disprezzare, a mettere in secondo piano,
rispetto al dovere… Non puoi
più farne a meno, di quella vita, di quella passione, vero? Ammettilo!
È solo l'orgoglio che t’impedisce di vivere come
vorresti, come io voglio e posso darti ancora! È per questo che odi
così tanto?
Dimmelo!
Ti rendi conto che odi me, ma in realtà odi te stessa? Ti odi per quella che
consideri la tua vergognosa debolezza… ma è
solo… La
tua sacrosanta voglia di vivere!
Ero arrivato a toccarle il cuore quel giorno? La passione che
aveva messo nei due schiaffi che mi aveva dato dimostrava la presenza
di un cuore ancora vivo nel suo petto, o solo tutto il suo disgusto per
le mie intemperanze poco Black? Non importava, non importava
più, ormai, perché non ci sarebbe stato
più un momento simile, mai più. Avrei
potuto chiederle di darmi la mano, di darmela in quel momento,
finché avevo ancora una possibilità, una
soltanto, l’ultima, di prenderla e portarla via con me,
lontano da quell’oscurità soffocante, ora che una
luce improvvisa mi mostrava la strada... Quante volte in
quegli anni, però, le avevo offerto la mia mano e lei
l’aveva guardata con disgusto e disprezzo? Fermo sulla porta,
fissavo i suoi occhi di un blu cupo e terribile riflessi nello
specchio: non l’avrebbe fatto mai, non mi avrebbe
più dato quella mano, come non l'aveva mai fatto in quegli
ultimi anni, perché il suo rancore era fatto solo di
“orgoglio”, solo di orgoglio, nulla di
più...
“Sei diventato anche sordo?
Non ti ho dato il permesso di entrare e voglio che tu te ne
vada!”
No, non sono mai stato sordo, mai, ai suoi improperi, alle sue
maledizioni, alle sue punizioni. Nemmeno alle sue
lacrime... Quanto si vergognerebbe se sapesse che
l’ho sentita anche piangere... Quelle lacrime erano
state per me la Cruciatus più potente... E al tempo
stesso la mia più grande speranza, mi hanno dato per anni la
forza di aspettare, di resistere, erano la prova che il sangue le
scorreva ancora vivido nelle vene... m’illudevano che un
giorno avrei rivisto ancora indomita la fiamma del desiderio nel suo
sguardo, quella che solo io le avevo acceso nel corpo e
nell'anima. E forse persino quella felicità
improvvisa, inaspettata, autentica che avevo scoperto nascere in lei
anche per le cose più semplici. L’avevo
sentita piangere, e avevo creduto che quelle lacrime fossero identiche
alle mie, lacrime di un cuore innamorato, ferito ma disposto ancora a
combattere per la propria felicità, invece, giorno per
giorno, si era cristallizzata una diversa realtà, cui non
volevo credere né rassegnarmi, l'orgoglio l’aveva
portata via, sempre più lontano da me, me l’aveva
divorata pezzo per pezzo, davanti agli occhi, senza che potessi fare
niente. Si può morire d'orgoglio e si
può far morire d’orgoglio chi ci vive accanto...
Io sarei stato disposto persino a morire, per lei, per
liberarla, per renderle la felicità, avrei anche potuto
morire... in fondo lo meritavo, avevo fatto soffrire la persona che
avevo scoperto di amare più di me stesso, io che ero stato
sempre innamorato solo di me stesso…
“Vattene, Orion...”
La guardavo, era incredula, via via meno fredda e sempre più
spaventata, forse si stava maledicendo per aver lasciato la bacchetta
sul comodino, lei che non se ne separava mai, forse temeva che fosse
uno di quei giorni, in cui non riuscivo a nascondere la mia debolezza
nei suoi confronti, uno di quelli in cui ero capace di prostrarmi e
umiliarmi davanti a lei, dicendole quello che provavo per lei,
chiedendole perdono, chiedendole un’altra
possibilità, provocando in lei ancora più
disgusto e raccapriccio per la mia incapacità di
contenermi. O forse temeva che fossi talmente impazzito e
ubriaco da volermi prendere di prepotenza quello che non mi avrebbe
dato mai più, nemmeno a rischio di morire. Rapido
le fui vicino, alle spalle, vidi i suoi occhi carichi di domande
fissarmi ancora dallo specchio, scuri di paura e angoscia, le posai una
mano sulla spalla e la sentii tremare, mi chinai su di lei, annegando
il volto nell’incavo del suo collo, stampando le labbra umide
sulla sua pelle, osando quello che non avevo più fatto da
non ricordavo più nemmeno quanto tempo, quello che
l’avevo pregata a volte di poter fare, prostrandomi come un
mendicante, subendo il suo oltraggiato diniego. Profumava,
come al solito, di una delle sue essenze costosissime, mi trattenni
ancora ad annusare, mi dilungai con le labbra in quello che un tempo
era un momento di piacere per entrambi, ora solo una prova di
forza. Aprii gli occhi e sfidai i suoi, allo specchio, sentivo
il suo corpo contratto, voleva svicolare da quel tocco che le faceva
doppiamente ribrezzo, aveva il respiro rotto dalla paura e
dall’attesa.
Quanti schiaffi vorresti darmi per la mia audacia? Con quanta
convinzione e impeto cercheresti di cavarmi gli occhi, gettarmi a
terra, sfogare tutto l'odio che senti, su di me, a colpi di bacchetta,
appena ne avessi l’occasione? Quali malefici potenti
stai pensando di scagliarmi addosso, mentre mi attardo a muovere le
labbra sul tuo collo?
Sorrisi. No, non provavo più niente, per la prima
volta ero io il più forte: lei provava ancora odio per me,
io non provavo più nulla per lei, il suo calore e il suo
profumo mi accendevano appena i sensi come il corpo di qualsiasi altra
donna, ma non risvegliavano più il mio cuore.
Cos’altro posso provare se non indifferenza per chi ha
abbandonato mio figlio? Solo… completamente
solo. Un bambino di undici anni
Solo. Nella sua completa disperazione... Nella
paura, per se stesso, per la sua famiglia, per le persone che
più ama.
Walburga non è più la donna che ho amato, la
donna che ho amato non l’avrebbe fatto mai… la
donna che ho amato non esiste più, l’ho uccisa io
e ne pagherò per sempre il prezzo.
“Smettila immediatamente... mi
fai ribrezzo! Non sono una di quelle sgualdrine che ti piacciono
tanto... esci da qui, subito!”
Ritornai in me, non risposi ai suoi insulti, staccai le labbra dal suo
collo, ma non tolsi la mano dalla sua spalla, sentivo tutta la sua
fermezza nel volersi alzare e colpirmi, ma ero altrettanto determinato,
non me ne sarei andato finché non avesse
compreso. Ero lì solo per questo: lei doveva
rendersi conto di non avere più alcun potere su di
me. Quello che aveva fatto a “mio” figlio,
aveva cambiato tutto, aveva definitivamente cambiato tutto, molto
più di quello che aveva fatto a me, attraverso
l’indifferenza, l’odio, le
umiliazioni. Glielo avevo detto dal primo giorno, dal primo
momento, avrei subito ogni genere di umiliazione da lei,
perché fallendo con la mia debolezza, l’avevo
indotta a sua volta a fallire, a venir meno dal suo ideale di
perfezione, non avrei però lasciato che uccidesse tutto il
resto con quell'orgoglio. Non i nostri figli. Nessuno
dei nostri figli. Mi guardava carica di domande, sempre più
spaventata...
La mano libera scivolò nel panciotto ed estrasse una
custodia di pelle, rettangolare, allungata, gli occhi di Walburga
seguirono tutti i miei gesti e la curiosità prese il posto
dell’ira e della paura. L'aprii ed estrassi una
catena di argento e smeraldi, la lasciai brillare nella luce delle
candele che illuminavano la stanza, l’appoggiai alla sua
pelle nivea, l’allacciai e rapido le sciolsi i capelli, la
sua sorpresa, la sua vanità, la sua cupidigia, presero il
posto dell’orgoglio e del rancore. I capelli, liberi
dall’aristocratica acconciatura, andarono a incorniciarle il
volto, accarezzando la pelle coperta solo dall'accappatoio, ancora
calda e umida del bagno appena fatto. Con un gesto rapido
avrei potuto allentare il nodo e far scivolare il tessuto a terra,
vedere se mi avrebbe permesso di farlo, vedere se mi avrebbe permesso
di guardarla, o persino di toccarla. Rimasi immobile, la
fissai attraverso lo specchio, bellissima, desiderabile, sondai i suoi
occhi, mi chiesi che cosa pensasse in quel momento, se almeno in
quell’ultimo istante provasse nostalgia per me, come io avevo
provato, fino alla follia, per lei, se in cuor suo desiderasse che io
prendessi coraggio e la sfidassi, fino in fondo. Mi guardava
con insistenza, non c’era più paura, né
curiosità né ribrezzo, solo domande.
Che cosa cerchi nei miei occhi Walburga? Cerchi ora
quell’amore che ormai è sparito per sempre?
Lo vedi, lo senti, che non c'è più potere nel tuo
corpo e nel tuo sguardo su di me?
Che cos’è che ti stupisce, Walburga? La
mia libertà?
Sì, è vero, ora sono libero... mi hai reso tu
libero. Non con l'odio né la violenza, mi hai
liberato tu dalla mia ossessione per te, con la tua atroce indifferenza
verso il nostro comune sangue. È finita,
Walburga... è finita.
Per anni la mia codardia e il tuo orgoglio hanno eretto un muro tra
noi... Mi sono illuso per anni che per rompere il maleficio che
imprigionava la tua anima, sarebbe bastato baciare i tuoi occhi, le tue
labbra, riprendermi questo tuo corpo che è sempre stato mio
e mio soltanto... farti sentire, vivo e furioso, quel tuo sangue
bollente nelle vene.
Ti ricordi come bruciava quel sangue puro nelle tue vene,
Walburga? Non era così, però, mi
sbagliavo: non esiste più alcuna strada per ritrovare la tua
anima.
Non esiste più la tua anima… altrimenti non
avresti lasciato Sirius così… da
solo… Non così…
Mi staccai da lei, mi allontanai, le
diedi le spalle, raggiunsi la porta, consapevoli entrambi che non sarei
più entrato in quella stanza, non avrei più
toccato quella pelle, né baciato le sue
labbra. Nemmeno per dimostrare qualcosa a me stesso... non
avevo bisogno di altre dimostrazioni…
“Sei solo un codardo, Orion...
un codardo che non sa andare fino in fondo... ”
Un tempo sono stato un codardo... è
vero… Una forma d'amore anche quella...
Una patetica forma d'amore, come hai sempre detto tu, come hai sempre
ironizzato tu…
Patetico, sei solo patetico, come patetici sono i tuoi sentimenti...
Ora non ci sono più, Walburga… forse un giorno,
all’improvviso, come io ho scoperto l’indifferenza,
tu proverai nostalgia per i miei patetici sentimenti… ma
sarà troppo tardi… come per la mia ricerca della
tua anima…
“Se preferisci un altro colore
o un'altra fattezza, i folletti cambieranno questa collana con qualcosa
di tuo gradimento… Buon Natale, Walburga...”
Mi chiusi la porta alle spalle, davanti al tuo silenzio: se non fossi
stato un cuor di coniglio, avrei avuto il coraggio di dirtelo a parole.
Addio.
***
Sirius Black
12, Grimmauld Place, Londra - sab. 25 dicembre 1971
Benché fosse la mattina di Natale, l'atmosfera a Grimmauld
Place, se possibile, era ancora più glaciale del
solito. Sentivo l'arrivo della tempesta, una tempesta
piuttosto impetuosa e non ero certo l'unico a essermene accorto:
Regulus era seduto di fronte a me, e dal modo in cui teneva gli occhi
fissi nel suo piatto, se non per fugaci e furtivi sguardi lanciati a
destra e sinistra verso i nostri genitori, doveva aver anche lui
sentore, come me, del tipo di giornata che si stava
prospettando. Nostra madre, alla mia destra, stava
sorseggiando il suo nettare di rose, silenziosa e assorta, non
impartiva ordini agli Elfi, non si occupava della posta che i Gufi
avevano recapitato prima della colazione, né delle notizie
del Daily Prophet: in genere si comportava così quando era
preoccupata per qualcosa d’importante o stava per manifestare
il suo disappunto su qualcosa. Pregai che, almeno per una
volta, la causa scatenante non fossi io, non mi andava di star
barricato in casa anche il giorno di Natale, anche annoiarmi a morte a
casa degli zii, a quel punto, era meglio che star rinchiuso da solo a
pensare in camera mia. Nostro padre aveva requisito posta e
giornali, e questa non era certo una novità, da che avevo
memoria, aveva sempre usato la “Gazzetta” come
trincea per segnare il confine tra se stesso e il resto della famiglia:
lo studiavo, di tanto in tanto, di sottecchi, immerso nella lettura del
giornale, perso completamente in un mondo tutto suo, la colazione si
era raffreddata, le uova raggrumate. Non vedevo molto della
sua espressione dietro le pagine del giornale, ma dal modo in cui
pareva non trovare una posizione comoda sulla sedia e da alcuni colpi
di tossetta stizzita, compresi che doveva esserci qualche notizia che
lo infastidiva parecchio. Nonostante sapessi che era
un'assurdità, mosso a speranza dopo le strabilianti aperture
che mi pareva di aver notato in lui e nel suo recente comportamento,
quella mattina avevo avuto l'ardire, prima dell'arrivo della mamma, di
tentare un approccio, avevo cercato di farmi notare e avevo chiesto con
la gentilezza e l'educazione di un perfetto Black di poter leggere la
pagina del Quidditch. Come risposta, mio padre, calmo, ma
serio e tedioso, mi aveva ammaestrato sui doveri di un vero Black:
dovevo stare composto a tavola, non dovevo dimenticare che avevo il
diritto di alzarmi solo quando mi avesse concesso lui il permesso e,
soprattutto, che non dovevo leggere a
tavola. L’avevo fissato in silenzio tenendo per me
osservazioni del tipo “perché tu leggi a tavola,
allora?" e cose simili, mi ero rimesso seduto al mio posto senza osar
dire o fare più nulla, dandomi da solo dello stupido per
aver davvero creduto che qualcosa potesse essere cambiato in quella
sfinge che era mio padre: non ci capivo più niente,
sembravano due persone nel corpo di una. Evidentemente non
avevo capito nulla come mio solito, forse avevo sognato, o forse ero
impazzito, o forse il pazzo era lui, di sicuro, avevo di nuovo di
fronte un uomo che provava, per i suoi figli e la sua famiglia, la
stessa glaciale indifferenza che gli suscitavano Elfi e topi di
soffitta.
Dov’è finito l’uomo che ho visto nella
mia stanza? O quello che a Herrengton…
Nostra madre ogni tanto alzava gli occhi e lo osservava, enigmatica, e
lui le rimandava uno sguardo indecifrabile: conoscendoli, immaginai che
dovessero parlare e che non ci volessero tra i piedi, la situazione di
certo non era piacevole, ma mi ritrovai a sospirare di sollievo, tra
me, perché se fossi stato io la pietra dello scandalo,
nostra madre non avrebbe certo avuto remore a
“esibirsi”, se non altro per istruire Regulus sui
suoi compiti, strapazzando me come fossi una cavia. Appena
Regulus finì il suo ultimo sorso di succo di zucca, la mamma
ci spedì nelle nostre camere con la solita, patetica scusa:
dovevamo renderci presentabili per l'arrivo dei nonni e il pranzo di
Natale a casa di zia Lucretia. Mio fratello non
riuscì a trattenere la sua espressione sorpresa, visto che
erano appena le 830 e mancavano almeno tre ore alla partenza, ma non
proferì verbo; io, imperturbabile e stranamente ubbidiente,
mi alzai, salutai come avrebbe fatto ogni bravo Black che si rispetti,
per evitare di essere coinvolto nella burrasca, poi composto salii
tutti i rami di scale con Regulus alle costole, arrivai fino al
pianerottolo su cui si affacciavano le nostre stanze, aprii e chiusi
con grazia la mia porta, poi quella di mio fratello, infine, furtivo,
gli feci intendere che poteva seguirmi, purché restasse
zitto. Avevo intenzione di tornare indietro e di capire che cosa stesse
accadendo, ma dovevo evitare di mettermi nei guai, perciò
tentare di guadagnarmi la collaborazione di Regulus, invece di
tagliarlo fuori, mi sembrava la scelta migliore; mio fratello, a
sorpresa, non fece obiezioni, né provò a
ostacolarmi, non mi guardò scandalizzato, non mi
minacciò di dir tutta a nostra madre, né mi
apparve terrorizzato per la disubbidienza che stavamo per commettere,
evidentemente la curiosità, o forse la paura che davvero
alla fine mi spedissero a Durmstrang, in quel momento, era superiore al
suo abituale desiderio di compiacere la mamma. Iniziammo
così a scendere entrambi, rapidi e cauti, le scale.
“E se ci limitassimo ad
aspettare che finiscano di parlare e poi entrassimo in sala da pranzo
per prendere il giornale?”
“Non credo riusciremo a
mettere le mani sui giornali di oggi, Regulus. Hai visto come si son
liberati di noi con tre ore di anticipo? Sta succedendo qualcosa,
potremmo provare a prendere un giornale a casa della zia, con un po' di
fortuna ne troveremo uno, anche se non ci giurerei, se è
davvero successo qualcosa che ha turbato nostro padre... ci
impedirà di leggere anche lì... ”
“Credi che siamo diventati
poveri?”
“Poveri? E perché
mai? Di cosa stai parlando, Reg?”
“Non lo so, ma... pensaci...
cos'altro potrebbe turbare nostro padre? A parte dei suoi affari, di
cos'altro gl’importa? Forse sono andati a monte e abbiamo
perso tutto... e… ”
Guardai Regulus... A parte i suoi affari, di solito, nulla suscitava
una preoccupazione profonda in nostro padre: persino della politica non
gli importava poi molto, di sicuro meno molto meno che ai nonni, si
limitava a dire che il Ministero era pieno di porci filobabbani e che i
Purosangue non erano tutelati, ma non pareva convinto delle alternative
che entusiasmavano, per esempio, zio Cygnus. Riflettei e la
risposta mi salì rapida alle labbra: se c'era un altro
argomento che poteva far preoccupare tanto nostro padre, era solo la
reputazione della famiglia. A ben pensarci, aveva avuto
un’espressione simile i giorni in cui era saltato fuori che
Andromeda...
No, è meglio non dirlo a Regulus, va nel panico
solo a sentir ricordare certe cose...
Che cos’altro poteva esser successo di dannoso per la
reputazione dei Black? Forse Malfoy non voleva più
Cissa? Se n'era approfittato, promettendole di sposarla,
l’aveva sedotta e ora si tirava indietro e magari aveva pure
fatto in modo che lo sapessero tutti? No, anche se Lucius non
fosse stato innamorato, Abraxas l'avrebbe costretto a sposarla, per
ricchezza, nobiltà e purezza, il sangue Black era un
richiamo fortissimo anche su una potente famiglia come i Malfoy e dopo
essere arrivato a un passo da un matrimonio tanto prestigioso, non si
sarebbe accontentato di nulla di meno per il suo unico figlio.
Forse... Forse… hanno arrestato Rodolphus
Lestrange... Sì, questo è molto
più probabile... è un pazzo criminale, lo sanno
tutti!
Persino nostra madre, che di solito apprezzava Bellatrix e suo marito
per le loro accese convinzioni antibabbane, sosteneva che si era
comportato in maniera disdicevole al matrimonio di Mirzam Sherton, a
Herrengton; e anche se, alla fine, tutti eravamo rimasti impressionati
e sconvolti per quanto gli era accaduto, era opinione comune che lui e
Bella avessero dato scandalo, facendosi cogliere dagli aggressori in
una zona interdetta del maniero mentre si abbandonavano a...
Nostra madre arrossiva ogni volta che se ne accennava e non
riusciva a continuare. Sì, quello poteva essere un
argomento abbastanza difficile da digerire, per la nostra famiglia,
essere sulla bocca di tutti per un altro scandalo, a pochi giorni dal
fidanzamento di Cissa con Malfoy, col rischio che Abraxas ne
approfittasse per avanzare richieste patrimoniali ancora più
esorbitanti. No, era meglio non parlarne a Regulus, aveva
già timore di Lestrange, se gli avessi detto che lo ritenevo
responsabile di qualcosa di scandaloso, rischiavo di turbarlo ancora di
più.
“Che cosa vai a pensare, Reg?
La possibilità che i Black diventino poveri è
pari a quella di vedere quelle schiappe del “Chudley
Cannons” vincere un campionato di Quidditch!”
Sapevo quanto mio fratello deridesse quella squadra e come non perdesse
occasione, con zio Alphard, per fare ironia sui loro risultati in
campionato e, in effetti, anche in quel momento un sorrisetto divertito
prese il posto dell'espressione spaventata che aveva avuto fino a poco
prima. Meno male, era meglio distrarlo, quel discorso non mi piaceva.
“Se non sono i soldi, allora
che cosa è accaduto?”
Lo guardai, non sapevo proprio cosa rispondergli, così la
buttai sul ridere.
“Chissà, forse si
è dimesso il Ministro Longbottom e non voleva che lo
vedessimo fare i salti di gioia... lo sai, è così
poco Black manifestare il proprio entusiasmo!
Ahahahah…”
Regulus comprese che preferivo cambiare discorso, così
lasciò correre e proseguimmo lungo le scale: arrivati al
pianerottolo della Sala dell'Arazzo, mi fece cenno di rallentare e di
nasconderci meglio, nel buio, i nostri genitori, infatti, si erano
spostati dalla sala da pranzo e ora stavano chiacchierando
lì, dovevamo fermarci e appostarci, se volevamo ascoltare
senza essere notati. Mi sistemai in modo da far da palo a
Regulus, nel caso fosse arrivato Kreacher dalle cucine, ma rimasi
abbastanza vicino da potergli parlare senza essere udito dai nostri
genitori e capire la natura della loro conversazione: al momento
sembravano impegnati su argomenti di poco conto.
“Mi stai dicendo che messer
Yuket non ha ancora finito i medaglioni? È inammissibile! Se
li avessimo commissionarli ai folletti gallesi da cui ci serviamo da
secoli, sarebbero già pronti!”
“Saranno pronti per tempo,
Walburga... e l'attesa sarà ricompensata dalla gioia di
Narcissa: lo sai, è affascinata dai gioielli di Yuket e ha
ragione, sono realizzati in maniera egregia, e la purezza di quelle
pietre si adatta alla perfezione di... ”
“Non mi pare il caso di
rischiare una figuraccia con Malfoy per assecondare i capricci di una
ragazzina, Orion! Lo sai bene che, in questi casi, si dovrebbe
considerare solo la convenienza e... ”
“Narcissa ha ottenuto per se
stessa e per i Black uno dei migliori contratti matrimoniali degli
ultimi decenni, Walburga, e l'ha fatto in pratica da sola, senza che
dovessimo ricorrere ad arguzie e strategie e negoziati... Se non
ricordo male, ti ha anche spianato la strada per certi tuoi progetti,
togliendo di mezzo Lucius... Non mi pare così
disdicevole accontentarla e, per quanto mi riguarda, non c'è
nulla di male e sconveniente nell’unire l'interesse della
famiglia con la propria felicità…”
Regulus ed io ci guardammo, sembrava che stessero bisticciando solo sul
dono per il fidanzamento e altre questioni di poco conto, di sicuro
nulla d’interessante, eppure...
“Sirius... ”
Mio fratello si era sporto appena e, rapido, era ritornato al suo
posto, rigido come una statua...
“Forse i giornali sono ancora
di sotto... mi pare che papà non li abbia con
sé... ”
Dubitavo che li avremmo trovati, se c’era qualcosa
d’importante sui giornali che non dovevamo sapere, nostro
padre li avrebbe fatti sparire; d’altra parte, era anche
possibile che avessero iniziato a bisticciare per Narcissa appena
alzati e che fosse quello il motivo dello strano clima mattutino,
quindi, forse, sul giornale non avremmo trovato nessuna notizia
preoccupante.
“Felicità? Direi
piuttosto la stupidità della gioventù, unita a
insano romanticismo!”
“Se non ti conoscessi, direi
che sei gelosa di tua nipote… Sei gelosa Walburga?”
“Non m’interessa
proseguire in questo discorso, Orion!”
“Io invece considero
interessante questo discorso!”
“Allora continualo da solo!
Con tutto quello che è successo, non vedo come tu possa
perdere tempo con queste ciarle! Sembri una vecchia pettegola!
Piuttosto... dovresti andare a dire a certe persone, che sarebbe meglio
se non accettassero l'invito per la festa di Cissa... ”
“Perché non
dovrebbero accettare l'invito? Mi hai fatto fare di tutto per
strappargli quel dannato contratto e ora non li vuoi alla vostra
stupida festa? Non dirmi che ora ti scandalizza saperli in amicizia
con… perché se non ricordo male, poche sere fa,
tu stessa sei andata a una festa cui tuo fratello l’aveva
invitato!”
“Tu non capisci la
gravità della situazione! C’è una bella
differenza tra quello che accade in privato, nella casa di una famiglia
rispettabile e lo scandalo di farsi coinvolgere in un… Non
possiamo sporcarci con queste chiacchiere! Ed è anche
pericoloso frequentare certa gentaglia!”
“Ah davvero? Era una
situazione pericolosa? E si lasciano i figli indietro, nelle situazioni
pericolose? Che strano…”
“Che cosa stai facendo? Dove
stai andando?”
“Di sopra… a
strappare un certo inutile contratto… l’hai
chiamata gentaglia, no? Non vorrai che si sappia dei tuoi progetti
con… la gentaglia!”
“Orion! Che cosa diavolo sta
succedendo? Sembri impazzito!”
“Sei tu che dovresti essere
più coerente, nelle tue azioni e nelle tue scelte... io sto
bene, e per quanto mi riguarda... ho già fatto la mia parte
per il nome e soprattutto, per la testa dei Black...”
Ci guardammo senza capire un discorso dai toni tanto misteriosi, strani
e persino preoccupanti: era davvero insolito sentir nostro padre alzare
la voce e parlare con una tale fermezza, addirittura controbattere a
nostra madre, di solito era d’accordo su tutto quello che lei
diceva. Ad aumentare il dubbio e la curiosità, sentimmo il
suono secco di qualcosa sbattuto sul tavolo, suonava come risuona il
legno, dopodiché sentimmo nostra madre pigolare qualcosa
d’incomprensibile, infine ci fu un gelido silenzio
incredibilmente profondo e lungo.
“Se vuoi consegnarle tu ai
legittimi proprietari, fai pure... e già che ci sei,
dì pure loro, da parte mia, anche se immagino lui
l’abbia già capito, che a meno di comportamenti
più adatti al nostro nome e al nostro sangue, sono ospiti
poco graditi in questa casa… quanto alla festa... se devo
ritirare l'invito, lo farò... ma sappi che non mi
presenterò nemmeno io... e nemmeno i miei
figli!”
“Stai scherzando,
vero?”
“Affatto… Arriva
per tutti il momento di scegliere da che parte stare... io
l’ho già fatto… ora tocca a
te… mi auguro ti ricorderai che la tua famiglia è
questa, Walburga!
Seguì una pausa che non compresi, guardai Regulus, ma
nemmeno lui, dalla sua posizione riusciva a capire, né
tantomeno a vedere che cosa stesse accadendo in quella stanza. Non
capivo il senso, ma ero fermamente convinto che il rumore di legno
fosse il rumore di una bacchetta sbattuta sul tavolo. Quella storia non
mi piaceva per niente, quel tono di voce, di mio padre, non mi sembrava
presagire nulla di buono. Non si era mai comportato così, e
soprattutto, non avevo mai sentito nella voce di nostra madre una nota
di paura, volevo solo andarmene il più velocemente possibile
via da lì.
“Proviamo a vedere se
c’è davvero il giornale, dai, io vado avanti, tu
coprimi... ”
Mi avviai per le scale scendendo di un altro piano, fino alla sala da
pranzo, Regulus era dietro di me e si assicurava che i nostri genitori
continuassero a bisticciare di sopra, io avevo già la scusa
pronta nel caso avessimo intercettato Kreacher. La sala era
già stata risistemata, ma la “Gazzetta”
era ancora al suo posto, a capotavola, là dove mio padre,
l'aveva lasciata, piegata con cura sulle pagine del Quidditch: non
sarebbe stata buttata via dall'Elfo prima della sera, a meno di ordini
precisi, perché il padrone di casa poteva ancora richiederla
in qualsiasi momento. Mi guardai attorno, furtivo, sentii che
Kreacher era di nuovo in arrivo, tirai fuori la bacchetta da sotto la
giacca e ci provai, per la prima volta, dentro Grimmauld Place.
“Accio Daily
Prophet!”
Il desiderio di capire che cosa stava realmente accadendo
superò tutto, sia la voce tremante che non governava ancora
bene l'incantesimo, sia l'indecisione della mano, sia la paura e
l’eccitazione nel commettere qualcosa di proibito, anzi
addirittura illegale.
“Sei pazzo?! Non puoi usare la
Magia fuori dalla scuola, Sirius! Non sei maggiorenne!”
Presi al volo la Gazzetta che fluttuava nell'aria verso di me, sorrisi
passando di fianco a mio fratello, arrotolai rapidamente il giornale e
me lo nascosi dentro i pantaloni, pronto a riprendere di corsa la via
per la mia stanza; ghignando, gli sussurrai piano una frase per me
celebre, la frase di uno dei miei miti, quella che Rigel Sherton mi
aveva rivolto la prima volta che l'avevo visto.
“Credi che m’importi
qualcosa del Ministero? Con tutti i Maghi che ci sono qui oggi, sfido
chiunque a capire che sono stato io ... ”
“Che stai dicendo, Sirius?
Siamo solo noi quattro, qui dentro! E tu sei il solito
cretino!”
Non mi curai di lui, me lo lasciai alle spalle, facendo gli scalini a
due per volta: tutta la paura, l’angoscia e il sospetto si
erano già andati a far benedire, felice com’ero di
essere riuscito a ottenere la Gazzetta e poter scoprire la
verità, ma ancor di più per aver fatto vedere a
mio fratello che avevo già padronanza con la bacchetta e
sapevo fare qualcosa di cui lui non era ancora capace, che io ero
grande e lui ancora un moccioso. E felice di essere riuscita a
farla sotto il naso a nostro padre, così imparava a
trattarmi come un bambino!
“Allora che fai? Ti decidi?
Entriamo o restiamo qui a far mezzogiorno? Credo sia meglio leggere e
far sparire il prima possibile questo benedetto giornale e poi
sbrigarci a cambiarci! Non credo sia il giorno migliore per cercare di
sfidarli, li hai sentiti no?”
“Non inizierai a fare la
piattola, vero Reg? Ti sei comportato così bene fino adesso,
perché devi già ricominciare a
rompere?!”
Ghignai ed entrai nella sua stanza, seguito da Regulus a ruota, pronto
a rispondermi per le rime, mi sedetti sul suo letto sfatto come se
fosse tutta roba mia, irritandolo ancora di più, infine
aprii la Gazzetta davanti a me in modo che non potesse leggere.
“Pare che il Puddlemere abbia
vinto anche con il suo secondo Cercatore... beh di certo Mirzam
avrà ben altri pensieri, in questo momento, hai visto che
belle tette ha sua moglie?”
Guardai mio fratello con un ghignetto di chi la sapeva lunga in fatto
di bellezza femminile, Regulus mi rimandò indietro
un'espressione stranita, non capivo se di colpo se la facesse sotto
dalla paura per essersi fatto coinvolgere, o fosse interdetto, al
pensiero che un giocatore di Quidditch professionista avesse rinunciato
a una partita tanto importante solo per una donna, o mi stesse
riprendendo, come avrebbe fatto la mamma, per i pensieri poco
rispettosi che avevo appena esternato e che di certo preludevano ad
altri, nella mia testa, ben peggiori. Sorrisi tra me, era
proprio un moccioso, mio fratello! Ridendo, aprii il giornale,
così da riprenderlo dalla prima pagina e non mi
uscì un'espressione colorita per puro miracolo: rimasi
paralizzato, incredulo, addirittura terrorizzato. Regulus mi
disse qualcosa che non capii e a cui non risposi, allora
salì sul letto, al mio fianco, mi passò dietro e,
in ginocchio sul letto, si mise a leggere il giornale alle mie spalle.
“Per Merlino e tutti i
fondatori!!! No, non ci credo... non è possibile...
”
DAILY PROPHET
- EDIZIONE DEL 25 DICEMBRE 1971 -
MIRZAM ALSHAIN SHERTON
SEGUACE DEL
SIGNORE
OSCURO
IL CERCATORE DEL PUDDLEMERE UNITED ACCUSATO DEL
FALLITO ATTENTATO A LONGBOTTOM
SCONTRO CON
BARTEMIUS CROUCH, UN AUROR FERITO
SHERTON
SFUGGE ALL'ARRESTO GRAZIE ALL'INTERVENTO
DEI MANGIAMORTE
INTERROGATO NELLA NOTTE ALSHAIN SHERTON
SHERTON FUGGITO CON LA FIAMMA DI
HABARCAT? (ARTICOLO A PAGINA 3)
SENZA ESITO LA RICERCA DELL'ATHAME USATO IN
NUMEROSE AGGRESSIONI (DISEGNI A PAGINA 5)
UN TESTIMONE AFFERMA
"VENDUTO
AL CERCATORE DEL PUDDLEMERE"
Regulus mi strappò il giornale di mano senza altre
esitazioni e andò a pagina cinque, come vedemmo entrambi il
disegno dell'athame, io mi sentii morire. Non avevamo la
certezza assoluta, perché nessuno dei due si era arrischiato
ad aprire l'involto, ma sapevamo entrambi che l'oggetto che tutti
stavano cercando, quello che provava in maniera definitiva tutte le
accuse ai danni di Mirzam, era lì, vicino a noi, dentro
l'armadio di mio fratello.
“È lui, vero?
È il pugnale che hai trovato nel caminetto!”
“Reg... lo sai, non l'ho mai
visto... non l'ho visto nemmeno quando c'eri tu... ”
“Lo sai anche tu che
è così: quello che tutti cercano è
qui, nella mia stanza, nel mio armadio!”
“Che cosa vorresti fare, Reg?
Andare dal Ministro e denunciare Mirzam? Devi credere veramente a tutto
quello che c'è scritto nel giornale, lo sai, vero?
Io… io non so ancora se ci credo... non mi pare possibile,
l’hai conosciuto… adora sua sorella! E l'hai visto
alla festa, aveva occhi solo per la sua ragazza, per sua moglie... non
può aver fatto del male alla sua famiglia… a
Meissa... ”
“Io non so niente, Sirius, ma
quella cosa non può rimanere qui! Chiamiamo papà!
Sirius… chiamiamolo... dobbiamo raccontargli tutto! E
liberarci di quella cosa!”
Lo guardai, serio, determinato, sapevo che aveva ragione, che era una
storia troppo grossa per noi due, e che se qualcuno avesse scoperto per
caso che l'avevo sottratto io... Chi mi avrebbe creduto se
avessi detto che l’avevo trovato per sbaglio? Avevo
paura, un'infinita paura, perché di colpo quelle che erano
sempre state delle certezze... Ero talmente spaventato per
quello che sarebbe potuto capitare, non solo a noi, se fossimo stati
scoperti con quell’oggetto in casa, ma anche a Mirzam e ad
Alshain e a Meissa… E non potevo pensare a quanto
avrebbe sofferto Meissa se fosse stato tutto
vero… Non riuscivo a dare coerenza ai miei
pensieri, tutto mi sembrava possibile e al tempo stesso, assolutamente
improbabile: ero così sconvolto che non mi resi conto che
Regulus era già arrivato sulla porta, pronto a scendere per
avvertire nostro padre, non sapevo cosa fare, il panico mi
agguantò allo stomaco e mi spinse a bloccarlo, Regulus mi
respinse, ci azzuffammo, nessuno dei due aveva ben chiaro che cosa
fosse meglio fare.
“Non puoi nasconderlo per
sempre, Sirius! Pensa se venissero a cercarlo qui i Ministeriali! Pensa
se rimanessimo coinvolti anche noi in questa storia... pensa se dessero
la colpa a papà!”
Perplesso e spaventato, Reg riuscì a sfuggirmi,
superò la porta e di corsa scese le scale. Io, con
la fiducia che riponevo nei miei genitori pari a zero, temendo di aver
compreso in parte anche la natura della lite che avevamo appena spiato,
che nostra madre si riferisse agli Sherton quando parlava di
“gentaglia”, non credevo fosse una buona idea
coinvolgerli. Dovevo trovare il modo di distruggere le prove,
subito, nessuno doveva sapere, nemmeno nostro padre, figuriamoci nostra
madre: anche se fossimo sfuggiti tutti al Ministero, anche se
ufficialmente nessuno avesse mai avuto prove, sarebbe bastato un
pettegolezzo di mia madre e Meissa ne sarebbe venuta a conoscenza, ne
sarebbe morta e avrebbe odiato anche me, per sempre. Dovevo
proteggerla, non poteva sopportare, adesso, anche un orrore simile,
l’idea che suo fratello fosse davvero responsabile di quanto
le era accaduto… No, non riuscivo a sopportarlo io,
figuriamoci lei, che lo adorava… Non volevo che ne
soffrisse, era già sufficiente che ci stessi male
io… Come poteva Mirzam essere così? Un
falso, un traditore, che aveva persino tentato di uccidere suo padre e
i suoi fratelli… No, Meissa non poteva vivere con una
certezza del genere, non poteva. Andai all'armadio, aprii le ante e
raggiunsi il ripiano, presi la scatola e nemmeno l'aprii, puntai la
bacchetta e invocai l'unico incantesimo che avevo già
imparato a eseguire abbastanza bene.
“Reducto! Reducto!
Reducto!”
La scatola fu sbalzata a terra, a destra e a sinistra, volteggiando
nell’aria a ogni colpo, riportando solo lievi scalfitture sul
coperchio, ma non si distrusse come avevo sperato
ardentemente. Ero così impegnato a cercare di avere
la meglio su quella dannata scatola di latta, che nemmeno mi accorsi
delle lacrime che mi bagnavano la faccia, un po' per i nervi, un po'
per il dispiacere e l'incredulità, un po' per la
frustrazione di non riuscire in quello che desideravo fare. Me la
prendevo con quella stupida scatola, ma ogni colpo l'avrei inferto
volentieri a Mirzam, ogni colpo conficcava sempre più a
fondo in me la convinzione che fosse tutto vero, che era un traditore,
che aveva quasi fatto morire Meissa e Rigel, addirittura
Alshain. Tutti coloro che l’amavano in maniera
profonda... Io lo odiavo, sì, sentivo di odiarlo:
lui non aveva una famiglia disgraziata come la mia, li avevo visti,
loro si volevano bene, si amavano… non erano freddi e senza
sentimenti come noi.
Come hai potuto rovinare tutto così? Perché?
Perché? Devi essere impazzito, non c’è
altra soluzione.
Di colpo la scatola s’incendiò sotto
i miei occhi e l'involto si presentò alla mia vista,
ammutolito, la guardai, mentre due braccia robuste mi spostavano senza
tanti complimenti verso la parete e la figura nervosa e agitata di mio
padre occupava tutto il mio campo visivo. Si chinò
a terra, aprì l'involto facendo attenzione, mosse i lembi
del tessuto non con le mani ma con la bacchetta, infine si
rialzò, provò un paio d’incantesimi
distruttivi, persino l'Incendio, senza ottenere risultati, allora lo
sentii bisbigliare in maniera impercettibile qualcosa che pareva una
delle litanie di Alshain, e sotto i miei occhi, sorpresi, il famigerato
pugnale che tutti cercavano si ridusse a un mucchietto di cenere, da
cui uscì, come un diabolico sbuffo, una specie di polvere
nera. Mio padre puntò la bacchetta per l'ultima volta e
riformulò ancora tre volte la sua litania, la polvere parve
disporsi nell’aria come un ghigno demoniaco, infine
sparì nel nulla, quando mio padre le ordinò di
disporsi a palla, poi chiuse la questione, definitivamente, con un
“Evanesca!” Sparita la prova che tutti cercavano,
lo fissai, vidi anche Regulus, impietrito sull'arco della porta,
guardai nostro padre negli occhi, ma lui sembrava sfuggire il mio
sguardo.
“Questa storia non
uscirà mai da questa stanza, nemmeno con i nostri parenti,
nemmeno con vostra madre... siamo intesi? Ora sbrigatevi a cambiarvi...
tra poco arriveranno i nonni, io devo uscire un momento, ci rivediamo a
casa di zia Lucretia... ”
Come al solito, tra noi, nemmeno in un caso tanto grave, ci fu alcun
tipo di spiegazione.
*continua*
NdA:
Ciao a tutti/e, il capitolo è conclusivo per vari filoni: la
storia tra Orion e Walburga -nei termini conosciuti finora-
lascerà il posto a equilibri diversi tra loro; la vicenda
dell’athame si è conclusa, seminando vari dubbi e
sospetti. Volevo sottolineare due punti: Orion dice addio alla moglie,
nel senso che ha chiuso un capitolo importante della sua vita, non
lascerà Walburga, ma ha aperto gli occhi e ha compreso gli
errori commessi. Fa parte della maturazione del personaggio, che curo
già dalle origini, con quella doppia faccia, una che mostra
in pubblico, l’altra all’inizio quasi
esclusivamente con Alshain, ora via via più spesso. Questo
mutamento ha preso un’accelerazione da quando Sirius
è tornato da scuola ed è in parte reazione alla
freddezza che Walburga mostra verso suo figlio.
L’osservazione che Sirius fa sul corpo di Sile... non ho
intenzione di fare di Sirius il solito scopajolo seriale,
però la mamma gli ha fatto gli occhi e lui resta il figlio
di suo padre; inoltre avrà sempre quel suo atteggiamento
irriverente, dirà sempre le cose esagerando, spacconando,
magari anche solo nel tentativo di scandalizzare “quel
moccioso” di suo fratello. Non ho intenzione di descriverli
come due che si odiano dalla culla, certo, anzi spesso li vediamo
cooperare, almeno da piccoli, per mettersi nei guai insieme, ma restano
sempre uno più scavezzacollo e l’altro
più riflessivo, e Sirius è pur sempre un
malandrino.
Vi ringrazio per le letture, le recensioni, le preferenze. A presto
Valeria
Scheda
Immagine
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